Genitorialità intenzionale nelle coppie omosex e ordine pubblico internazionale

14 Febbraio 2023

L'autore esamina le problematiche connesse al tema della cd. genitorialità intenzionale nelle coppie dello stesso sesso ripercorrendo gli interventi del legislatore e l'evoluzione giurisprudenziale sulla questione.
Lo “stato dell'arte” nella giurisprudenza di legittimità

Fra le problematiche poste dall'aspirazione delle coppie omosex alla genitorialità si è profilata, negli ultimi anni, quella costituita dalla riconoscibilità o meno, nell'ordinamento italiano, della genitorialità c.d. “intenzionale”: quella, cioè, rivendicata dal componente della coppia omosex il quale non abbia alcun legame biologico con il figlio nato mediante uso del materiale genetico o dell'apparato riproduttivo dell'altro componente, combinati, rispettivamente con l'apparato riproduttivo o il materiale genetico di un terzo soggetto, ma si sia limitato a dare il proprio consenso a tale combinazione ed, eventualmente, a collaborare poi con il “partner” nell'adempimento dei doveri genitoriali. Tale problematica ha dato luogo, nella giurisprudenza di legittimità, a soluzioni differenziate a seconda che: -a) la nascita del figlio sia avvenuta in Italia o all'estero; - b) la nascita sia avvenuta a seguito del solo impiego di tecniche di procreazione assistita ovvero anche del ricorso alla c.d. “maternità surrogata”, più frequentemente e sbrigativamente definita, nel linguaggio corrente, “utero in affitto”.

In particolare, nel caso di nascita avvenuta in Italia, si è ritenuto che sia sempre da escludere la possibilità di far figurare, nel relativo atto, oltre al genitore “biologico”, anche quello “intenzionale”, ostandovi il divieto, posto dall'art. 4 l. n. 40/2004 (nella parte non colpita da declaratoria di incostituzionalità) all'impiego di tecniche di procreazione assistita da parte di coppie omosessuali, indipendentemente dall'avvenuto ricorso o meno alla pratica della “maternità surrogata”. In tal senso: Cass. I, 13 luglio 2022 n. 22179; Cass. I, 7 marzo 2022 n. 7413; Cass. I, 25 febbraio 2022 n. 6383; Cass. I, 22 aprile 2020 n. 8029; Cass. I, 3 aprile 2020 n. 7668.

Nel caso di nascita avvenuta all'estero, si è fatta invece distinzione tra l'ipotesi che essa sia avvenuta solo a seguito dell'impiego di tecniche di procreazione assistita e quella che si sia fatto ricorso alla “maternità surrogata”. Nella prima di tali ipotesi, secondo Cass. I, 23 agosto 2021 n. 23319, deve ritenersi consentita la trascrizione in Italia dell'atto di nascita estero nel quale compaia il genitore “intenzionale” accanto a quello “biologico”, non potendosi considerare contraria all' “ordine pubblico” e, quindi, ostativa all'accoglimento della domanda di trascrizione, ai sensi dell'art. 65 l. n. 218/1995, la sola violazione del divieto, vigente in Italia, dell'impiego di tecniche di procreazione assistita da parte di coppie dello stesso sesso. Nella seconda ipotesi si è invece ritenuto, da Cass. S.U. 8 maggio 2019 n. 12193 e Cass. S.U. 30 dicembre 2022 n. 38162, che la trascrizione non fosse consentita, dovendosi considerare di “ordine pubblico” il divieto, penalmente sanzionato dall'art. 12, comma 6, della citata legge n. 40/2004, del ricorso alla “maternità surrogata”.

In tutti i casi nei quali la riconoscibilità della “genitorialità intenzionale” è stata esclusa, si è comunque ritenuto che, a sufficiente tutela di quello che si presume possa essere l'interesse del minore, resta in ogni caso aperta la possibilità, per il genitore "intenzionale", di ricorrere all'istituto dell'adozione in casi particolari, previsto dall'art. 44, comma 1, lett. d), della legge n. 184/1983. Ed a quest'ultimo si fa riferimento, pur auspicando un intervento del legislatore che valga a renderlo più idoneo al conseguimento dell'obiettivo, anche nella sentenza della Corte costituzionale n. 33/2021 che, investita della questione di costituzionalità dell'art. 12, comma 6, della legge n. 40/2004 e di altre norme ad esso ricollegabili, l'ha dichiarata inammissibile. Pronuncia, questa, in presenza della quale, si è ritenuto opportuno, in sede di legittimità, rimettere in discussione l'orientamento già espresso dalla citata sentenza delle sezioni unite Cass., sez. un., n. 12193/2019; orientamento che ha, invece, trovato poi conferma nella pure citata sentenza delle sezioni unite Cass. sez. un., n. 38162/2022.

Considerazioni critiche

Così sommariamente descritto lo “stato dell'arte”, può criticamente osservarsi, con particolare riguardo al caso di soggetto nato all'estero, che appare, anzitutto, difficilmente giustificabile, sotto un profilo tanto di equità quanto di ragionevolezza, il far dipendere (come risulta dalla citata Cass. I, 23 agosto 2021 n. 23319) la riconoscibilità o meno della genitorialità “intenzionale” dalla circostanza che si sia o non si sia fatto ricorso alla pratica della “maternità surrogata”. Dato per ammesso, infatti, che risponda al presunto interesse del minore la riconosciuta esistenza del genitore “intenzionale” accanto a quello “biologico”, non si vede perché tale interesse debba rimanere soccombente, rispetto a quello della salvaguardia dell' “ordine pubblico”, quando la violazione della norma penale che si assume posta a tutela del medesimo non è, come appare ovvio, in alcun modo riconducibile al soggetto che, ciononostante, è chiamato a subirne le relative conseguenze. Viene quasi, in tal modo, ad essere riesumata l'antica figura dei “figli della colpa” ai quali, come tali, non potevano essere riconosciuti, pur essendo essi stessi privi di colpa, i medesimi diritti riconosciuti ai figli nati da unioni legittime. Il che appare, poi, tanto più ingiustificabile in quanto si consideri che - come espressamente affermato, in particolare, nella citata sentenza delle sezioni unite Cass. sez. un., n. 38162/2022 - la ritenuta non riconoscibilità della “genitorialità intenzionale” nel caso di soggetto venuto al mondo a seguito di “maternità surrogata” non deriva dal fatto che, altrimenti, verrebbe ad essere direttamente violato il divieto, vigente in Italia, del ricorso a tale pratica, ma risponde soltanto all'intento di “scoraggiare i cittadini dal ricorso all'estero ad un metodo di procreazione che l'Italia vieta nel suo territorio, perché ritenuto lesivo di valori primari”. Finalità, questa, alla quale si richiama, sulla scorta degli orientamenti espressi dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, anche la citata sentenza della Corte costituzionale n. 33/2021.

Ma, anche a voler prescindere da tale pregiudiziale rilievo critico, vi è poi da osservare che appare assai discutibile la stessa attribuzione della qualità di norma di “ordine pubblico” al divieto delle pratiche di “maternità surrogata” penalmente sanzionato (come si già ricordato) dall'art. 12, comma 6, della legge n. 40/2004. La detta attribuzione è giustificata, dalle S.U. della cassazione, in entrambe le sentenze sopra ricordate, con il richiamo a quanto affermato (ma a tutt'altri fini) dalla Corte costituzionale nella motivazione della sentenza Coste cost. n. 272/2017, secondo cui il ricorso alle pratiche in questione “offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane”. Ora, una tale affermazione, pur essendo, in sé e per sé, certamente degna di condivisione, non può, solo per questo, adeguatamente giustificare la conseguenza che da essa si è inteso trarre. E ciò proprio alla luce dei criteri sulla base dei quali, secondo un ormai consolidato orientamento espresso dalla stessa giurisprudenza di legittimità, anche ai suoi massimi livelli, deve stabilirsi se una norma straniera sia o meno da ritenersi contraria all' “ordine pubblico” c.d. “internazionale”; criteri, quelli anzidetti, che, in estrema sintesi, possono riassumersi nel principio che la contrarietà in tanto può riconoscersi in quanto la norma straniera non solo sia diversa da quella che disciplina, nell'ordinamento italiano, una determinata materia, ma sia anche tale da risultare incompatibile con i “principi fondamentali vincolanti per lo stesso legislatore ordinario”, per cui quest'ultimo non potrebbe neppure, in ipotesi, adottarla nell'ambito della sua discrezionalità, se non contravvenendo, appunto, a quei principi. E questi ultimi – si afferma – sono da individuarsi “in quelli fondamentali della nostra Costituzione o in quelle altre regole che, pur non trovando in essa collocazione, rispondono all'esigenza di carattere universale di tutelare i diritti fondamentali dell'uomo, o che informano l'intero ordinamento in modo tale che la loro lesione si traduce in uno stravolgimento dei valori fondanti dell'intero assetto ordinamentale”. Così, in particolare, Cass. sez.un. n. 12193/2019 e, in precedenza, pressochè negli stessi termini, Cass. I n. 19599/2016. Analogo anche l'orientamento espresso, più recentemente, da Cass. S.U. 30 dicembre 2022 n. 38162, per la quale: “Il concetto di ordine pubblico internazionale si allarga ai valori condivisi dalla comunità internazionale e, in particolare, alla tutela dei diritti umani risultanti dal diritto dell'Unione europea, dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione, avente lo stesso valore vincolante dei trattati istitutivi, nonché dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, dato il fenomeno di osmosi che interessa i diritti fondamentali, garantiti in particolare dall'art. 2 Cost., e quelli che risultano dalle fonti internazionali. I diritti di libertà e i diritti della persona hanno infatti, per loro natura, una vocazione aperta all'implementazione e all'arricchimento del loro contenuto”.

Se così è, risulta allora difficile comprendere come la ritenuta natura di norma di “ordine pubblico internazionale” da attribuirsi, come si è visto, al divieto della c.d. “maternità surrogata”, penalmente sanzionato dall'art. 12, comma 6, della legge n.40/2004, possa conciliarsi con l'affermazione, pure contenuta nella stessa sentenza delle sezioni unite Cass. sez. un., n. 12193/2019 (che richiama, sul punto, per aderirvi, Cass. I, n. 24001/2014), secondo cui il detto divieto costituisceespressione di una scelta non irragionevole, compiuta dal legislatore nell'esercizio della sua discrezionalità”. E ciò tanto più in quanto, sempre nella sentenza in discorso, si osserva che “proprio in tema di riconoscimento giuridico del rapporto di filiazione tra il minore nato all'estero mediante il ricorso alla maternità surrogata ed il genitore intenzionale, la Corte EDU ha da tempo affermato che gli Stati godono di un ampio margine di apprezzamento sia ai fini della decisione di autorizzare o meno la predetta pratica, che con riguardo alla determinazione degli effetti da ricollegarvi sul piano giuridico, dando atto che è in gioco un aspetto essenziale dell' identità degli individui, ma rilevando che in ordine a tali questioni non vi è consenso a livello internazionale, e ritenendo comunque legittime le finalità di tutela del minore e della gestante, perseguite attraverso l'imposizione del divieto in questione”.

In buona sostanza, quindi, delle due l'una: o si ritiene (stando alle premesse) che il divieto penalmente sanzionato della “maternità surrogata” sia di “ordine pubblico”, e allora non può ammettersi che esso sia frutto di una “scelta discrezionale” del legislatore, per cui esso avrebbe potuto non essere adottato o potrebbe essere soppresso in avvenire senza offesa per “i valori fondanti dell'intero assetto ordinamentale”; o si ritiene che quella del legislatore sia stata, appunto, una “scelta discrezionale”, e allora non può ammettersi (sempre stando alle premesse) che da essa possa nascere una norma da considerarsi di “ordine pubblico”.

Una possibile via alternativa

Deve allora ritenersi, a questo punto, che, non volendosi o non potendosi attribuire, per le ragioni anzidette, il carattere di norma di “ordine pubblico” al divieto delle pratiche di “maternità surrogata”, venga meno, per ciò solo, la possibilità di considerare contraria all' “ordine pubblico” la trascrizione in Italia dell'atto di nascita nel quale, trattandosi di un soggetto venuto al mondo grazie alle suddette pratiche, compaia, accanto al genitore “biologico”, quello “intenzionale”?

La risposta a tale interrogativo richiede che si facciano alcune considerazioni preliminari.

La prima di esse è che la genitorialità propriamente detta (con esclusione, quindi, di quella che, per fictio iuris, deriva dall'adozione) dovrebbe necessariamente richiedere una componente “biologica”, alla quale non può certo equipararsi il mero consenso che uno dei “partners” della coppia presti all'altro perché il “materiale biologico” di quest'ultimo, in un modo o nell'altro, mediante l'intervento, diretto o indiretto, di un terzo soggetto, possa dar luogo al concepimento. A ciò potrebbe, tuttavia, obiettarsi che, invece, nel caso di procreazione assistita eterologa (quale consentita, in determinate condizioni, alla coppia eterosessuale, a seguito delle sentenze della Corte cost. nn. 162/2014 e 96/2015, dichiarative della parziale incostituzionalità degli artt. 4, 9 e 12 della legge n. 40/2004 ), proprio dal mero consenso prestato da uno dei “partners”, coniugati o conviventi, a che l'altro “partner” ricorra alla suddetta pratica, deriva, anche per il primo, ai sensi dell'art. 8 della citata legge, l'automatica attribuzione della qualità di genitore. Si tratta di un'obiezione che ha, indubbiamente, un suo fondamento, pur potendosi osservare che la disciplina normativa da essa evocata appare in irrisolto contrasto con la norma penale (art. 567 c.p.) che prevede come reato l'“alterazione di stato” e che, secondo una risalente, ma mai successivamente abbandonata, interpretazione giurisprudenziale (ved. Cass. VI, n. 4633/1994 e Cass. VI, n. 1064/1990), trova applicazione ogni qual volta, sia pure in conformità con la presunzione civile di paternità, il neonato, in sede di formazione dell'atto di nascita, venga denunciato come figlio di taluno che, in realtà, non lo abbia effettivamente generato. Indirizzo, questo, che non può dirsi contraddetto dalle più recenti pronunce (Cass. V, n. 13525/2016; Cass. VI, n. 48696/2016; Cass. VI, n. 31409/2020) secondo le quali non dà luogo alla configurabilità del reato de quo la mera trascrizione in Italia, su richiesta, dell'atto di nascita estero nel quale, conformemente alla “lex loci”, figurino come genitori del neonato i componenti di una coppia che abbia fatto ricorso alla “maternità surrogata”. Ciò in quanto - si è detto - una tale fattispecie non può dirsi equiparabile a quella di una vera e propria “formazione” dell'atto di nascita, quale richiesta, per la configurabilità del reato, dalla norma incriminatrice.

Occorre quindi passare ad una seconda considerazione: quella, cioè, che, nell'ordinamento italiano, oltre ad essere vietata per tutti (e penalmente sanzionata) la pratica della “maternità surrogata”, è anche precluso, alla coppie omosex, ai sensi dell'art. 5 l. n. 40/2004, il ricorso alla procreazione assistita, come pure, ai sensi dell'art, 1, comma 20, della legge n. 76/2016 sulle c.d. “unioni civili”, il ricorso all'adozione congiunta. Ciò significa che, all'evidenza, il legislatore italiano è, almeno finora, radicalmente contrario ad riconoscimento di una qualsiasi forma di genitorialità congiunta di coppie omosex, ferma restando (come si è visto) la sola possibilità dell'adozione in casi particolari, ai sensi dell'art.44, comma 1, lett. d), della legge n.184/1983, da parte di quello solo dei due “partners” che non sia genitore “biologico”. Indirizzo, questo, che deve ritenersi ispirato non certo da intenti discriminatori nei confronti delle coppie omosex in quanto tali, ma piuttosto dalla preoccupazione di realizzare proprio in questo modo il “miglior interesse” dei minori, per tale legittimamente reputandosi quello ad avere come genitori, biologici o adottivi, ad instar naturae, soggetti di sesso diverso. Ciò in perfetta adesione (pur potendosi dissentire dalla valutazione di merito), al principio della necessaria salvaguardia del “ preminente” o “superiore” interesse del minore , quale affermato in vari atti internazionali, tra cui, in particolare, la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (c.d. “Carta di Nizza”, all'art. 24) e la Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989, resa esecutiva in Italia con legge 27 maggio 1991, n. 176 (all'art. 3). Il che trova conforto, del resto, anche in quanto più volte affermato dalla Corte costituzionale (ved., in particolare, le sentenze nn. Corte cost. 221/2019 e 230/2020), secondo cui non può considerarsi, di per sé, “arbitraria ed irrazionale” l'idea che «una famiglia ad instar naturae – due genitori, di sesso diverso, entrambi viventi e in età potenzialmente fertile – rappresenti, in linea di principio, il “luogo” più idoneo per accogliere e crescere il nuovo nato».

Ed è, allora, con specifico riguardo al suddetto indirizzo del legislatore italiano che ci si può chiedere se esso possa essere considerato, almeno allo stato, come espressivo di un principio di “ordine pubblico” c.d. “internazionale”, tale da precludere la trascrivibilità in Italia di tutti gli atti di nascita nei quali figurino indistintamente come genitori del neonato due soggetti dello stesso sesso, a prescindere dalla circostanza che uno di essi sia, o meno, soltanto “intenzionale” e non “biologico”. La risposta potrebbe essere positiva a condizione che, pur mantenendosi ferma, in linea di massima, la nozione di “ordine pubblico internazionale” adottata dalla più recente giurisprudenza (quale illustrata al paragrafo che precede), si faccia salva – come appare ragionevole – l'ipotesi che essa possa comprendere anche il caso di norme che, pur esprimendo una scelta discrezionale del legislatore nell'attuazione di principi presenti nella Costituzione (anche per il tramite dell'art. 117, quando si tratti di convenzioni internazionali), siano non soltanto diverse ma diametralmente ed irrimediabilmente opposte a quelle straniere alle quali si vorrebbero attribuire effetti nell'ordinamento interno. E tale condizione è appunto quella che ben potrebbe ravvisarsi nella materia in discorso, atteso che il riconoscimento della genitorialità “intenzionale”, accanto a quella “biologica”, nel caso di coppie omosex, si porrebbe in diretto contrasto con la norma italiana che esclude in radice, come si è visto, l'ammissibilità della genitorialità congiunta di soggetti che non siano di sesso diverso, ritenendola contraria (opinabilmente ma non certo irragionevolmente) al “superiore interesse” del minore; ciò a differenza di quanto si verifica con riguardo al divieto della “maternità surrogata”, la cui ostatività al riconoscimento della “genitorialità intenzionale” viene giustificata (come pure si è visto) soltanto con la ritenuta esigenza di evitare quello che altrimenti costituirebbe un indiretto incentivo alla sua elusione.

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