Sarcoma osseo: la scansione cronologica del nesso di causa

Vittorio Nizza
10 Gennaio 2023

La Corte di cassazione, con la sentenza in oggetto, viene chiamata a pronunciarsi in merito ad una contestazione per omicidio colposo mossa nei confronti di un medico per aver ritardato la diagnosi di sarcoma a cellule chiare, cagionando così la morte di una paziente.
Massima

In tema di responsabilità medica, l'accertamento del nesso causale tra la diagnosi intempestiva di una malattia tumorale e il decesso del paziente postula il ricorso ad un giudizio controfattuale ipotetico, sulla base del modello probabilistico e multifattoriale che richiede di valutare l'incidenza del comportamento alternativo lecito, ossia se la diagnosi tempestiva avrebbe impedito ovverosia significativamente ritardato, con alto grado di probabilità logica e in assenza di decorsi causali alternativi, l'esito infausto.

Il caso

Si addebita all'imputato di avere agito con negligenza e imperizia, in quanto aveva omesso di richiedere la necessaria consulenza specialistica ortopedica, perseverando per mesi nella prescrizione di trattamenti fisiokinesiterapici per la cura di ematomi, nonostante il continuo accrescimento delle dimensioni della neoformazione e il peggioramento delle condizioni della paziente.

La Corte d'appello aveva confermato la penale responsabilità dell'imputato.

Quest'ultimo aveva dunque proposto ricorso avverso la sentenza deducendo violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla sussistenza del nesso causale, poiché il perito aveva affermato che non potesse essere stabilita con certezza, sulla base dei dati disponibili in letteratura, in considerazione della rarità del tumore (300 casi in tutto il mondo), se la persona offesa sarebbe sopravvissuta più a lungo in caso di diagnosi tempestiva.

La questione

La questione rimessa alla Corte di cassazione riguarda la possibilità di istituire un nesso causale con un livello prossimo alla certezza tra l'evoluzione del tumore correlata al ritardo diagnostico e il decesso della parte lesa, nonché di stabilire per quanto tempo la persona offesa sarebbe sopravvissuta ove fosse stata diagnosticata la patologia tempestivamente.

Le soluzioni giuridiche

La Suprema Corte, nell'annullare con rinvio la sentenza di condanna emessa dalla Corte d'Appello, ritiene che le doglianze formulate dal ricorrente in ordine alla sussistenza del nesso causale siano fondate.

Poichè è “causa” di un evento quell'antecedente senza il quale l'evento stesso non si sarebbe verificato, per effettuare il giudizio controfattuale, si rende necessario ricostruire con precisione la sequenza fattuale che ha condotto all'evento, chiedendosi poi se, ipotizzando come realizzata la condotta dovuta dall'agente, l'evento lesivo si sarebbe o meno evitato o posticipato (Cass. pen., sez. IV, 4 ottobre 2012, n. 43459).

A tal proposito la Corte specifica che in tema di responsabilità medica diviene indispensabile accertare il momento iniziale e la successiva evoluzione della malattia, in quanto solo in tal modo è possibile verificare se, laddove il sanitario avesse posto in essere la condotta dovuta, l'evento lesivo sarebbe stato o meno evitato o differito (Cass. pen., sez IV, 4 ottobre 2012 n. 43459).

Di estrema rilevanza è dunque la ricostruzione degli anelli determinanti della sequenza eziologica, necessari per stabilire se sussista o meno il nesso di condizionamento tra la condotta del medico e l'evento lesivo. Infatti, solamente conoscendo in tutti i suoi aspetti fattuali e scientifici la scaturigine e il decorso della malattia, è possibile analizzare la condotta colposa addebitata al sanitario al fine di effettuare il giudizio controfattuale, avvalendosi delle leggi scientifiche o delle massime di esperienza che si attagliano al caso concreto.

Occorre tuttavia tenere ben distinto il profilo della ricostruzione della sequenza eziologica che, rerum natura, ha portato alla verificazione dell'evento, da quello del giudizio controfattuale.

Il primo profilo inerisce alla ‘'causalità materiale'', mentre il secondo alla ‘'causalità giuridica''.

Se risulta incertezza sull'effettivo snodarsi, sul piano naturalistico, della catena causale, non vi è strumento argomentativo che possa trasformare tale incertezza in imputazione causale; mentre, ove il dubbio asserisca al giudizio controfattuale, il giudice si troverà di fronte al concetto di probabilità. Il giudizio controfattuale è infatti per definizione un giudizio ipotetico e tale caratteristica è connaturale a un determinato tasso di probabilismo.

A tal proposito la Corte aggiunge che: «un'adeguata analisi del concetto di giudizio controfattuale non può prescindere dalla disamina della crisi che ha progressivamente investito il modello causale: si è infatti rilevata la sempre più frequente presenza di trame causali oscure, a fronte della quali si registra un chiaro deficit dei paradigmi conoscitivi di matrice scientista.

Si è constatato come la causalità di impronta deterministica soffra di una crisi profonda generata dall'impossibilità di spiegare non monoliticamente gli eventi: dunque il carattere indomabile delle serie azioni causali ha messo a nudo i limiti della scienza e la contraddittorietà delle sue valutazioni. La scienza, infatti, non è in grado di conoscere le interazioni tra i diversi fattori eziologici, sicché viene impossibile isolare, nella rete causale multipla, le condizioni necessarie all'evento. Paradigmatica, al riguardo, è la fenomenologia che si presenta nel settore della responsabilità professionale medica».

Tutto quanto appena illustrato pone in rilievo come, allo stato attuale delle conoscenze, la medicina costituisca il regno del ragionamento incerto.

Mentre infatti nel contesto delle sequenze eziologiche di carattere lineare è possibile - sulla base di un parametro nomologico di elevata affidabilità – isolare un ben preciso fattore da porre in correlazione causale con l'evento morte, in molti altri contesti, i collaudati schemi deterministici (monocausali) di interpretazione della malattia, sono stati sostituiti da un paradigma imperniato sulla causazione multipla e reticolare.

In questo quadro, la complessità della ricostruzione eziologica è da ricercare nella sua circolarità.

Oggetto della fattispecie concreta in esame è il meccanismo della cancerogenesi, la cui circolarità dei fattori eziologici dà luogo a un fenomeno la cui complessità è destinata ad accrescersi perché le resistenze individuali dipendono a loro volta dalle condizioni generali dell'individuo dalla sua storia personale dalla sua conformazione genetica e via dicendo. Di qui la natura essenzialmente probabilistica dei tumori e l'impossibilità di formulare predizione individuali.

L'epidemiologia dei tumori ha infatti da tempo rinunciato alla tradizionale concezione aristotelica fondata su cause necessarie e sufficienti sulla ricerca di lesioni anatomiche univoche e caratteristiche per ogni malattia e su una rigida tassonomia delle cause e delle malattie.

È in questo ordine di idee che lo studio delle malattie croniche è approdato l'enucleazione di un modello causale probabilistico e multifattoriale.

Occorre dunque prendere atto della mancanza di leggi di copertura che siano connotate da una regolarità tale da consentire di istituire una correlazione tra le concause e l'evento che permette di affermare che, ove ricorra un dato plesso eziologico, l'accadimento lesivo conseguirà con elevata probabilità. Il modello deterministico viene così sostituito da reti di causazione multipla.

Dunque, laddove interazioni causali diventino complesse e assumano una fisionomia reticolare, la scienza si dimostra spesso incapace di decriptarle.

La Corte evidenzia così il punto focale della problematica in disamina: nell'ambito della causalità sistemica si registra un interagire di fattori in un contesto all'interno del quale è certo che un determinato fattore abbia arrecato un contributo eziologico talora di rilevante portata, ma è assai incerto se, in assenza di esso, l'evento si sarebbe verificato o meno. In questo orizzonte, la ricostruzione delle sequenze causali si risolve a talora in una relazione di mera possibilità implicativa fra l'antecedente e il conseguente.

In relazione specificamente al caso dell'omessa diagnosi precoce di un tumore, si sostiene che, poiché la sopravvivenza si riduce in funzione del progredire della patologia, esista nesso di causalità tra la mancata tempestiva diagnosi della neoplasia e l'evoluzione del tumore. È però evidente come tale correlazione non possa essere istituita in termini deterministici, esistendo innumerevoli casi di tumori diagnosticati e trattati adeguatamente a uno stato iniziale che, ciononostante, conducono a morte il soggetto in tempi quanto mai rapidi. Da un lato non è sostenibile che il ritardo diagnostico terapeutico non apporti alcun contributo eziologico nel processo patologico, in quanto non vi è dubbio che ove la diagnosi del tumore e le conseguenti terapie medico chirurgiche intervengano tempestivamente, si evita di lasciar trascorrere un lasso di tempo durante il quale la patologia ha modo di progredire e, in ipotesi, di mestatatizzare.

La Corte precisa però che il giudice deve adeguatamente motivare la conclusione sulla possibile esistenza di fattori alternativi di spiegazioni dell'evento e non può contrapporre ai dati di fatto accertati mere congetture per ipotizzare tali spiegazioni alternative (Cass. pen., sez. IV, 2 marzo 2005. Herreros). Le Sezioni Unite hanno ribadito che il rapporto di causalità tra omissione ed evento non può ritenersi sussistente sulla base del solo coefficiente di probabilità statistica ma deve essere verificato alla stregua di un giudizio di altra probabilità logica, che a sua volta deve essere fondato, oltre che su un ragionamento di deduzione logica basato sulle generalizzazioni scientifiche, anche su un giudizio di tipo induttivo elaborato sulla base dell'analisi delle connotazioni del fatto storico e delle peculiarità del caso concreto (Cass. pen., sez. un., 24 aprile 2014, n. 38343 Rv. 261103).

Nel caso in esame, dalla motivazione del provvedimento impugnato emerge che anche se la diagnosi fosse stata tempestiva la probabilità di sopravvivenza a 5 anni non avrebbe superato il 25%: da ciò si evince come nel 75% delle probabilità, anche se la diagnosi e la terapia fossero state tempestive, la persona offesa sarebbe morta lo stesso. Non è dunque possibile formulare in termini di alta probabilità logica o credibilità razionale il giudizio contro fattuale.

A ciò si aggiunga che la Corte d'appello sembra avere ignorato l'effettiva portata delle conclusioni della perizia espletata: il perito aveva infatti concluso nel senso che non è possibile stabilire un nesso causale con un livello di probabilità prossimo alla certezza tra il ritardo diagnostico di circa 9 mesi e il decesso della paziente, che invece va più che verosimilmente attribuito all'aggressività intrinseca della neoplasia.

La Corte d'appello avrebbe dunque dovuto confrontarsi con tali conclusioni delle indagini per Italia che invece ha completamente ignorato. Ciò costituisce pertanto un vizio della sentenza impugnata che non può non imporre un pronunciamento rescindente.

Osservazioni

La Corte nel caso di specie, viene chiamata a pronunciarsi su una vicenda peculiare che vede un medico imputato per omicidio colposo di una paziente deceduta a seguito della ritardata diagnosi di un sarcoma a cellulare chiare.

La condotta contestata all'imputato era relativa all'omessa richiesta della necessaria consulenza specialistica ortopedica, nonché la mancata valutazione del progressivo accrescimento della massa con conseguente peggioramento delle condizioni della paziente. Non avendo diagnosticato la patologia da cui era affetta la parte lesa, e così non consentendo il trattamento terapeutico, intrapreso con un ritardo di circa 9 mesi, egli cagionava (in concorso con un medico radiologo, la cui posizione processuale è stata definita separatamente) la morte della paziente.

Il ricorrente lamentava il fatto che la Corte territoriale non avesse adeguatamente motivato in ordine alla sussistenza del nesso causale, in quanto non era possibile istituire, con un livello prossimo alla certezza, un nesso causale tra l'evoluzione del tumore (correlata al ritardo diagnostico) e il decesso della parte lesa, né stabilire per quanto tempo la persona offesa sarebbe sopravvissuta ove fosse stata diagnosticata tempestivamente la patologia.

Non può affermarsi che sussista una legge scientifica, universale o statistica, o una generalizzata regola di esperienza, che consenta di stabilire, con riguardo al sarcoma a cellule chiare (di cui era affetta la paziente), che sia stata la condotta asseritamente omissiva dell'imputato a determinare in concreto l'evento lesivo.

La perizia aveva infatti evidenziato che la scarsità dei casi che la ricerca scientifica ha potuto esaminare fa sì che gli studi effettuati, con le correlate statistiche, siano da ritenersi meramente indicativi e non possano assurgere a regole scientificamente attendibile e probante.

Il perito aveva affermato che se la patologia fosse stata diagnosticata in tempo, ovvero quando le dimensioni della massa tumorale erano assai più contenute rispetto a quelle accertate alla fine di quell'anno (7 cm contro i 14 cm), sarebbe stato possibile il trattamento di elezione del sarcoma, ossia la sua asportazione, in quanto in quella data non vi era ancora un interessamento dei linfonodi. La mancata tempestiva diagnosi non solo aveva impedito la terapia radiante (coadiuvante a quella chirurgica), ma aveva comportato altresì l'aggravamento delle condizioni cliniche della paziente, perché si era passati da una situazione di assenza dei linfonodi all'estesa disseminazione metastatica linfonodale.

Tuttavia, lo stesso giudice a quo aveva rilevato come il perito avesse evidenziato che una diagnosi tumorale tempestiva di quella tipologia di neoplasia avrebbe comportato una percentuale di sopravvivenza a cinque anni intorno al 20 – 25 %.

Il perito aveva correttamente indicato come, nel caso di specie, ci si trovasse di fronte a una forma tumorale particolarmente aggressiva, di dimensioni superiori a 5 cm, posta in sede profonda, ad elevato indice cinetico, con scarsa o nulla risposta alla chemioterapia. Fattori che consentivano di classificare il tumore come una forma estremamente aggressiva fin dall'esordio, allorché poteva essere collocato allo stadio terzo.

Ciononostante, la Corte afferma che siano certamente ravvisabili anche profili di negligenza e imprudenza nell'operato del medico, che non aveva rilasciato alcun referto clinico ecografico utile ai fini dell'inquadramento diagnostico della malattia e soprattutto non aveva programmato alla paziente a una visita specialistica ortopedica né ad ulteriore esame di risonanza magnetica nonostante quanto raccomandato dal medico che aveva refertato la risonanza magnetica del ginocchio e della gamba destra.

Dai profili di responsabilità professionale deriva un ritardo diagnostico di circa 9 mesi durante i quali la neoplasia registra un'evoluzione clinica dal terzo al quarto stadio.

Tale progressione neoplastica aveva diminuito la reale chance di sopravvivenza della paziente, ma tuttavia non risulta possibile stabilire un nesso causale con un livello di probabilità prossimo alla certezza tra l'evoluzione del tumore correlata al ritardo diagnostico e il decesso della persona offesa.

La verità è che nei casi come quelli relativi alla genesi e allo sviluppo delle patologie neoplastiche è estremamente difficile, se non impossibile, in sede controfattuale stabilire cosa sarebbe successo in mancanza di un determinato fattore eziologico. Ciò appare determinato da un fatto oggettivo: la mancanza di leggi di copertura che siano connotate da una regolarità tale consentire di istituire una correlazione tra le concause e l'evento che consenta di affermare che, dove ricorra un dato plesso eziologico, l'accadimento lesivo conseguirà con elevata probabilità.

Il paradigma condizionalistico di stampo deduttivo viene così messo seriamente alla frusta nelle sue capacità esplicative.

Per tali ragioni la Corte di cassazione ha dunque annullato con rinvio la sentenza della Corte d'appello, affermando che, per la particolare aggressività del tumore, con una percentuale di sopravvivenza non superiore al 25% anche nel caso di diagnosi e cure tempestive, si sarebbe verificata una elevata probabilità di morte della paziente.

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