Tribunale di Milano: il comunicato sul c.d. caso Ruby ter

17 Febbraio 2023

Il comunicato del Tribunale milanese rilasciato a commento della sentenza c.d. Ruby Ter non rappresenta una novità assoluta. Nel corso degli anni a Milano si sono avuti casi in cui il Presidente del collegio, dopo la pronuncia della sentenza, ha anticipato ai giornalisti presenti in aula quella che sarebbe stata l'ossatura della motivazione ancora da scrivere.

Tutto questo avveniva secondo il buon senso del singolo magistrato, in casi di particolare rilievo mediatico. Ricordo quella volta in un processo di omicidio del rapinatore conclusosi con l'assoluzione per legittima difesa del negoziante rapinato (c'era appena stata la modifica legislativa dell'art. 52 c.p.) o, altre volte, in processi di particolare allarme sociale (terrorismo islamico).

Questo tipo di iniziative hanno sempre suscitato commenti alterni, già in relazione all'opportunità in sé di attuare un'esternazione che rischia sempre di apparire in violazione del segreto della camera di consiglio (nonché del principio più generale per cui “il giudice parla solo attraverso le sentenze”). E pure chi accettava questa novità comunque la tollerava solo se attuata dai giudici di riconosciuta serietà e senza il ricorso a frasi e toni enfatici.

Personalmente appartenevo a questa schiera, dal momento che riconoscevo la necessità di temperare, seppur per lo stretto necessario, le regole di riservatezza processuale con le esigenze della corretta comunicazione.

A dimostrazione che il tema era socialmente rilevante, il Consiglio Superiore della Magistratura si è attivato con una serie di atti che hanno portato alla delibera dell'11 luglio 2018 sulla comunicazione istituzionale degli uffici giurisdizionali. Sulla scorta della direttiva UE n. 343/2016 (e forse anche per prevenire il suo recepimento nel nostro ordinamento giuridico che poi comunque avverrà con il d.lgs. 188/2021) il Consiglio Superiore della Magistratura ha attribuito compiti di comunicazione ai capi degli uffici giudiziari, seguendo un criterio di “spersonalizzazione” che va bene per un ufficio gerarchico ed impersonale come la Procura della Repubblica, mentre va meno bene per gli uffici giudicanti dove bisogna conciliare il segreto della camera di consiglio (rispetto ad una motivazione ancora non scritta e non pubblicata) con le esternazioni di una persona che non ne ha fatto parte. Questa difficoltà è stata superata prevedendo che sia il magistrato decidente a predisporre la notizia che poi il responsabile della comunicazione veicolerà.

Tutto questo per dire che il comunicato sulla sentenza c.d. Ruby Ter è sottoscritto dal Presidente del Tribunale f.f. Dott. Fabio Roia, ma il suo contenuto non può che essere stato redatto dal Presidente del collegio Dott. Marco Tremolada. Chiaramente l'episodio dimostra come la cautela dettata dal Consiglio Superiore della Magistratura, per una più asettica comunicazione, è in realtà difficile d'attuare.

Venendo al merito della questione, il comunicato individua il punto centrale della decisione nella inutilizzabilità delle dichiarazioni delle c.d. “Olgettine”, in quanto ascoltate come testimoni quando già c'erano indizi non equivoci a loro carico che ne avrebbero imposto l'iscrizione nel registro degli indagati e, quindi, la loro escussione in veste diversa, con la facoltà di essere reticenti o mentire e, soprattutto, con l'assistenza di un difensore.

La nota del Tribunale ha il sicuro pregio di far comprendere che la questione è particolarmente importante sotto il profilo della legalità formale del processo e che, dunque, non si tratta di un sordido cavillo da azzeccagarbugli. Anche questa è una battaglia per la “legalità”.

La questione, pur avendo diversi precedenti nella pratica giuridica del Paese (qualcuno anche in processi dello stesso contesto), assume in questo periodo i connotati della particolare attualità in quanto la riforma procedurale della Ministra Cartabia, d.lgs. 150/2022, appena entrata in vigore, è intervenuta con una serie di ritocchi normativi finalizzati proprio, da una parte, a rendere più definito il momento di iscrizione della persona nel registro degli indagati (art. 335 c.p.), dall'altra, ad attribuire al giudice il potere di ordinare al P.M. la retrodatazione (art. 335-ter c.p.p.) e - novità assoluta - alla persona indagata la possibilità di richiedere al giudice l'accertamento della tempestività dell'iscrizione ritenuta tardiva (art. 335-quater c.p.p.).

Queste nuove norme sono spesso tacciate di superfluità nei commenti alla riforma Cartabia, ma il processo c.d. Ruby Ter si è fatto carico di dimostrare che il legislatore è opportunamente intervenuto per regolare una delle fasi procedurali connotata da opacità e, quindi, foriera di (possibili) violazioni delle garanzie dell'individuo.

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