Insolvenza fraudolenta, mero inadempimento e truffa

FRANCESCA ROMANA FULVI

1. Bussole di inquadramento

La rilevanza penale dell'inadempimento di un'obbligazione

Nei rapporti commerciali è possibile rinvenire una casistica abbastanza frequente nella quale il debitore ottiene delle somme di denaro in prestito da un terzo celandogli, però, il proprio contestuale stato d'insolvenza e senza l'intenzione di ottemperare al suo debito. Il creditore sottoscrive il contratto di mutuo sulla base dell'erroneo convincimento che la controparte rispetterà gli accordi contrattuali e corrisponderà quanto dovuto. Sovente tale convinzione scaturisce o da un pregresso rapporto di amicizia e stima oppure dalla circostanza che il debitore ha antecedentemente provveduto al pagamento delle somme di danaro ricevute – negli anni passati – con annessi interessi o, ancora, dalla natura dell'affare, dalla condizione soggettiva della controparte o dalla modesta entità economica del negozio.

La mancata riconsegna della somma presa a prestito indubbiamente configura l'inadempimento dell'obbligazione assunta. Quest'ultimo, infatti, consiste proprio nell'inesatta esecuzione della prestazione dovuta (ad es. perché non è eseguita al momento dovuto o nel luogo stabilito o secondo le modalità convenute) e può essere assoluto, ovvero quando la succitata prestazione è mancata del tutto, o relativo, cioè quando una prestazione vi è stata, ma è stata difforme da quella pattuita.

L'inadempimento di un'obbligazione, oltre a comportare una responsabilità civile, può rilevare in ambito penale in alcuni casi: è possibile, infatti, che si configurino, ricorrendone gli elementi costitutivi, o il delitto d'insolvenza fraudolenta ai sensi dell'art. 641 c.p. o quello di truffa ex art. 640 c.p.

In queste ipotesi l'obbligazione deve essere di natura “contrattuale” – ovvero avere come fonte costitutiva la stipula di un contratto – e, quindi, volontaria, deve essere lecita e produttiva di effetti giuridici (un'obbligazione usuraria non potrebbe determinare insolvenza fraudolenta). Deve trattarsi, poi, di un'obbligazione che ha ad oggetto un dare e non un facere (ovvero di svolgere una specifica attività in favore dell'altra parte).

Il rapporto contrattuale è suscettibile, inoltre, di assumere possibile rilevanza penale in presenza di condotte dei contraenti che, oltre ad essere inadempienti rispetto alle obbligazioni assunte, si palesino ispirate a malafede e scorrettezza.

Si tratta di tutte quelle situazioni, come quella sopra descritta, in cui da un lato vi è un creditore che confida nella solvibilità del debitore e dall'altro un agente che contrae un'obbligazione col proposito di non adempierla, dissimulando il proprio “reale” stato di insolvenza.

Proprio la dissimulazione, poi, segna la linea di confine tra l'insolvenza fraudolenta e la truffa: si sostanzia, infatti, nella frode, che può assumere diverse forme. Può consistere, infatti, sia in un comportamento positivo, sia in uno negativo, come ad es. la reticenza, il silenzio o la menzogna, purché non integrante i veri e propri artifici o raggiri, perché in tal caso potrebbe configurarsi la truffa.

In queste ipotesi, pertanto, occorre definire l'ambito di operatività delle due precitate fattispecie di reato al fine di stabilire se l'inadempimento contrattuale costituisce anche un fatto penalmente rilevante.

Ai fini dell'applicabilità, o meno, del delitto di insolvenza fraudolenta è necessario, inoltre, stabilire se il predetto inadempimento costituisce elemento costitutivo del reato o condizione obiettiva di punibilità. L'adesione alla prima o alla seconda tesi comporta una serie di conseguenze, in tema di individuazione dell'elemento soggettivo e in riferimento alla competenza territoriale del giudice. In riferimento a quest'ultimo aspetto, ad es., secondo la prima impostazione quest'ultima sarà stabilita in relazione al luogo in cui l'obbligazione avrebbe dovuto essere adempiuta; per la seconda sarebbe, invece, competente il giudice del luogo in cui l'obbligazione è stata contratta poiché l'inadempimento è estraneo al fatto e, quindi, alla consumazione del reato, in quanto funge da condizione oggettiva di punibilità.

La configurabilità dell'insolvenza fraudolenta

È possibile ravvisare una contiguità tra la condotta di mero inadempimento di stampo civilistico e quelle di insolvenza fraudolenta e truffa. Dal punto di vista del disvalore del fatto il primo delitto citato si pone, infatti, in una posizione “mediana” tra il più grave reato di truffa ed il mero inadempimento contrattuale di natura civilistica.

La ratio dell'art. 641 c.p. si rintraccia, infatti, proprio nella tutela del diritto del creditore adempiente contro particolari, preordinati, successivi inadempimenti fraudolenti di un'obbligazione di contenuto patrimoniale scaturente da un contratto consumati dalla controparte. In particolare, gli inadempimenti devono essere realizzati con modalità tali da rendere inadeguata la tutela apprestata dal c.c. (Cass. II, n. 6847/2015).

Nel caso de quo ricorre sia il presupposto, ovvero lo stato d'insolvenza del soggetto attivo, sia la condotta di reato. Specificamente affinché si consumi il delitto di cui all'art. 641 c.p. è necessario che l'agente contragga un'obbligazione – come quella di prendere a prestito e successivamente restituire una somma di denaro – col proposito di non adempierla e che, poi, effettivamente non lo faccia, ovvero non renda il prestito.

In merito occorre ricordare che la giurisprudenza individua lo stato d'insolvenza in quella condizione a causa della quale il soggetto agente si trova nell'impossibilità attuale di assolvere l'obbligazione contratta. Esso può avere sia carattere “assoluto” che “relativo”, cioè riferito esclusivamente all'obbligazione assunta, deve sussistere quando sorge l'obbligazione e permanere sino al momento dell'adempimento. Ciò in quanto l'art. 641 comma 2 c.p. prevede come speciale causa del reato proprio l’integrale pagamento di quanto pattuito prima che intervenga la condanna (Cass. S.U. , n. 77638/1997). Più specificamente, la corresponsione di quanto dovuto può attuarsi anche dopo la sentenza di primo o secondo grado e fino a che non sia stato deciso il ricorso per cassazione (a differenza del risarcimento del danno idoneo ad integrare la circostanza attenuante di cui all'art. 62, comma 6 c.p., che deve avvenire “prima del giudizio”: Cass. II, n. 21093/2023).

La condotta punita consiste nella dissimulazione del proprio stato d'insolvenza e nella contestuale assunzione di un'obbligazione con il proposito di non provvedere. Un orientamento consolidato in giurisprudenza individua la dissimulazione in un comportamento diretto a nascondere una circostanza vera (ovvero l'incapienza del proprio patrimonio), che non consente di far fronte ai propri debiti (Cass. II, n. 3538/1980).

2. Questioni e orientamenti giurisprudenziali

Domanda
Come si qualifica giuridicamente l'inadempimento contrattuale ex art. 641 c.p.? 

La qualificazione giuridica dell'inadempimento contrattuale ex art. 641 c.p.

L'orientamento risalente della Corte di Cassazione

Secondo un orientamento molto risalente l'inadempimento costituisce una condizione obiettiva di punibilità, che consiste in un avvenimento al di fuori del processo esecutivo del reato. Ciò in quanto l'espressione usata dal legislatore per descriverlo – “qualora l'obbligazione non sia adempiuta” – e l'aspetto soggettivo della fattispecie in cui è dato rilievo al “proposito di non adempiere” renderebbe incomprensibile l'assunzione del mancato adempimento tra gli elementi costitutivi del reato. Secondo tale interpretazione il delitto non può considerarsi perfezionato fino a quando non sia decorso il termine stabilito per l'adempimento dell'obbligazione, per cui la sua omissione costituisce condizione obiettiva di punibilità (Cass. III, n. 3144/1965). Il dolo, inoltre, si presenta come specifico e il proposito di non adempiere si manifesta come un fine di profitto, che necessariamente deve sussistere sin dall'assunzione dell'obbligazione. Non ha, infatti, rilevanza penale il proposito sorto in un momento successivo (Cass. 4 ottobre 1965).

L'orientamento recente della Corte di Cassazione

L'impostazione più recente e maggioritaria ritiene che l'inadempimento è un elemento costitutivo del reato che si consuma nel momento dell'inadempimento, che rappresenta l'ultima fase dell'iter criminoso, e non in quello in cui viene posta in essere l'obbligazione o in quello in cui viene a manifestarsi lo stato di insolvenza (Cass. II, n. 6479/1997; Cass. II, n. 5196/1986; Cass. I, n. 1203/1985). Le Sezioni Unite hanno chiarito che “elemento materiale del reato di cui trattasi è rappresentato dalla condotta dissimulatoria del proprio stato di insolvenza, da parte dell'agente, nell'assumere un'obbligazione a prestazioni corrispettive, e dall'evento consistente nel mancato adempimento dell'obbligazione assunta”. Di conseguenza, secondo tale impostazione, l'inadempimento rappresenta l'evento del reato.

L'elemento soggettivo, pertanto, s'individua nel dolo generico e consiste nella volontà e coscienza di assumere l'obbligazione col proposito di non adempierla, dissimulando il proprio stato di insolvenza. Lo scopo di non eseguire la prestazione non caratterizza il dolo, qualificandolo come specifico, ma integra un elemento della condotta (Cass. II, n. 6478/1997).

Come si distingue l'insolvenza fraudolenta dal mero inadempimento civilistico?

L'orientamento consolidato

In primo luogo, occorre precisare che esula dall'ambito di applicazione dell'art. 641 c.p. l'ipotesi in cui l'inadempimento si ricollega ad uno stato d'insolvenza che sia temporalmente sopravvenuto rispetto all'assunzione dell'obbligazione, sebbene sia stato preordinato e sia imputabile al debitore. Il fatto tipico previsto dalla norma presuppone, infatti, che tale condizione deve sussistere al tempo in cui la parte, successivamente inadempiente, contrae l'obbligazione.

Si tratta del caso di chi stipula un contratto con l'intenzione di eseguire quanto pattuito ma si ritrova, suo malgrado, in una situazione di incapienza patrimoniale alla scadenza del termine per eseguire la prestazione convenuta e decide, solo in quel momento, di dissimulare tale stato e conseguentemente – essendone impossibilitato – di non pagare il dovuto. Secondo la giurisprudenza, in questo caso non è ravvisabile un reato, ma solamente un illecito civile.

Secondo, poi, un orientamento pacifico in giurisprudenza il discrimine tra mero inadempimento di natura civilistica e commissione del reato di insolvenza fraudolenta si rinviene nell'elemento ispiratore della condotta.

Quando l'agente pone in essere un comportamento che si concretizza nel tenere il creditore all'oscuro della propria condizione di insolvibilità sussistente proprio quando sta contraendo l'obbligazione commette il delitto di cui all'art. 641 c.p. solo se è possibile rinvenire anche il contestuale proposito di non adempiere la dovuta prestazione.

Diversamente, l'inadempimento non proceduto da alcuna intenzionale preordinazione configura solo un mero illecito civile, di cui il debitore risponderà secondo le regole prescritte dal codice in tema di responsabilità civile (Cass. II n. 34192/2006, Cass. II n. 39890/2009). Non rileva penalmente, inoltre, anche l'intento dell'agente di non adempiere l'obbligo sopravvenuto in un secondo momento rispetto alla sottoscrizione del contratto.

Lo spartiacque tra la condotta che integra il delitto ex art. 641 c.p. e il mero inadempimento contrattuale si individua, quindi, proprio nell'elemento psicologico: nel caso del reato in analisi il dolo è composito e consiste nel proposito iniziale di non far fronte all'impegno contrattualmente preso e, successivamente, nella volontà consapevole di non adempiere l'obbligazione nonché nel dissimulare il proprio stato di insolvenza.

La prova che il pagamento non è stato effettivamente eseguito perché così preordinato fin dall'inizio non è di facile deduzione. In relazione al profilo probatorio la Cassazione in diverse pronunce ha fornito alcune indicazioni: ha sottolineato come la sussistenza dello stato di insolvenza (intesa non in senso assoluto, ma come mancanza attuale della possibilità di pagare al momento di contrarre l'obbligazione) può costituire indubbiamente un indizio, ma non può essere considerato un elemento determinate e decisivo. Si pensi al caso di chi, pur consapevole delle proprie difficoltà economiche al momento di assumere un'obbligazione, confidi ciecamente di poter disporre di una somma di denaro sufficiente a soddisfare il proprio creditore alla sua scadenza: in tale ipotesi è riscontrabile l'impossibilità di soddisfare gli impegni contratti, ma non il proposito di non adempierli.

La prova della preordinazione, pertanto, deve essere desunta da argomenti induttivi seri ed univoci, ricavabili dal contesto dell'azione.

La giurisprudenza ha evidenziato che, poiché la dissimulazione può estrinsecarsi in diverse forme, può consistere anche in un comportamento negativo, come il silenzio serbato sulla propria incapacità di ottemperare ai debiti contratti, purchè sorretto dall'intenzione di non far fronte agli obblighi conseguenti al contratto conclusi con la controparte (Cass. II, n. 8893/2017)

Un sintomo indicativo della sussistenza di una condotta penalmente rilevante può anche essere il fatto che l'agente assuma un'obbligazione con un comportamento idoneo ad ingannare la controparte sulle sue reali intenzioni: ad esempio presentandosi con le credenziali di persona solvibile e non riferendo alla parte offesa di problemi economici (Cass. II n. 34192/2006). L'accertamento del proposito di non adempiere può essere desunto anche dal comportamento successivo alla stipula del contratto, ma non esclusivamente dal mero inadempimento: quest'ultimo, infatti, in sé considerato offre un indizio equivoco del dolo iniziale.

Applicazioni

In applicazione di questi principi, si è ritenuto che il reato in esame non si configura nel caso in cui un soggetto assume un'obbligazione con la riserva mentale di non adempierla per causa diversa dallo stato di insolvenza (Nel caso sottoposto al vaglio della Corte di cassazione l'acquirente era consapevole sin dal momento della stipula del contratto che non avrebbe ottemperato all'obbligazione assunta. Il mancato pagamento delle cambiali, tranne la prima, era collegato, però, come ripicca, ad un precedente acquisto di autovettura, non funzionante: Cass. II, n. 46903/2011).

Domanda
Come si distingue l'insolvenza fraudolenta (art. 641 c.p.) dalla truffa (art. 640 c.p.)?

L'orientamento consolidato

Come sopra già precisato la linea di confine tra le due ipotesi di reato si rinviene nella dissimulazione in quanto possibile forma di esplicazione della più generale fraudolenza.

Nei due delitti la frode, però, è attuata in modo diverso: nel caso della truffa mediante la simulazione di circostanze e di condizioni non vere, artificiosamente create per indurre altri in errore, mentre in quello dell'insolvenza fraudolenta attraverso il “mascheramento” del reale stato di incapienza dell'agente (Cass. V, n. 44659/2021).

La dissimulazione, dunque, è una forma minore di inganno in quanto con esso non si induce il soggetto passivo in errore, ma lo si mantiene in tale stato.

La giurisprudenza, pertanto, ha precisato che costituisce raggiro ai sensi dell'art. 640 la falsa affermazione, fatta da uno dei contraenti all'altro, di essere in grado di ottemperare alle obbligazioni pattuite, rafforzata, inoltre, da referenze sulla solvibilità e correttezza fornite da terzi (Cass. V, n. 3475/1984).

Si realizzerà, pertanto, la fattispecie di truffa quando la parte lesa è stata tratta in errore mediante la creazione di una situazione artificiosa da parte del soggetto agente. Quest'ultimo non si deve limitare semplicemente a occultare la propria incapienza patrimoniale, ma deve rappresentare in un ampio arco di tempo circostanze inesistenti e deve ricorrere ad artifici per farsi credere solvibile (Cass. II, n. 3395/1985, Cass. II, n. 45096/2009). Nel reato di truffa, poi, gli artifizi e raggiri influiscono sulla volontà del soggetto passivo inducendolo alla conclusione del contratto, mentre nell'insolvenza fraudolenta la volontà di quest'ultimo di stipularlo non è viziata dall'inganno altrui e le modalità dell'azione consistono soltanto nella dissimulazione dell'incapacità di far fronte ai propri debiti (Cass. II, n. 7433/1985).

La distinzione tra i due reati è ampiamente analizzata da Cass. II, n. 31055/2017, che, richiamando Cass. S.U., n. 7738/1997 ha ribadito che «L'insolvenza fraudolenta si distingue dalla truffa perché la frode non viene attuata mediante i mezzi insidiosi dell'artificio o del raggiro ma con un inganno rappresentato dello stato di insolvenza del debitore e della dissimulazione della sua esistenza finalizzato all'inadempimento dell'obbligazione, in violazione di norme comportamentali. Si è evidenziato in dottrina che l'essenza della frode nel reato di cui all'art. 641 c.p. postula che, al momento della stipulazione, come giudizio di verosimiglianza, il creditore confida nella solvibilità del debitore. Tale convincimento, derivante dalla prassi commerciale o dall'abituale modo di svolgersi di determinati tipi di affari e di convenzioni negoziali tanto più facilmente può formarsi – trovando ingresso al riguardo le massime di esperienza – quanto più modesta sia l'entità economica del negozio. Deve pertanto ritenersi che la dissimulazione attenga ad un convincimento, precostituito, del creditore di solvibilità del debitore riflettente un dato di conoscenza o di costume che lo qualifica come un affidamento ben riposto. La dissimulazione, dunque, è una forma minore di inganno in quanto con esso non si induce il soggetto passivo in errore ma lo si mantiene in tale stato».

3. Azioni processuali

Ulteriori attività difensive

Per la fattispecie in esame si possono esperire le seguenti ulteriori attività difensive: Querela (art. 336); Istanza di sequestro conservativo della parte civile (art. 316); Memoria difensiva al pubblico ministero (art. 367); Richiesta di presentazione spontanea per rilasciare dichiarazioni (art. 374); Richiesta di giudizio abbreviato (art. 438, comma 1).

ProcedibilitàL'art. 641, comma 1, c.p. stabilisce espressamente che il delitto è punito a querela della persona offesa.Il termine di proposizione della querela decorre dalla data in cui il creditore – soggetto passivo del reato – acquisisce la certezza che l'obbligato, contraendo l'obbligazione, ha dissimulato il proprio stato di insolvenza ed ha contratto l'obbligazione con il proposito di non adempierla (e non dalla data in cui si verifica l'inadempimento dell'obbligazione: Cass. II, n. 9552/1997).A tale fattispecie si applica il disposto dell'art. 649 c.p., che sancisce la non punibilità per fatti commessi a danno di congiunti elencati al primo comma, a meno che non ricorrano una delle situazioni esplicitate al comma 2 (fatto commesso a danno del coniuge legalmente separato, ecc.). Se ricorre una delle predette situazioni si procede a querela della persona offesa.

Improcedibilità delle impugnazioni (e prescrizione del reato)

Per l'insolvenza fraudolenta il termine-base di prescrizione è pari ad anni sei (cfr. art. 157 c.p.).

A partire dal 1° gennaio 2020 (cfr. art. 2, comma 3, l. n. 134/2021), per l'appropriazione indebita costituiscono causa di improcedibilità dell'azione penale ex art. 344-bis c.p.p., la mancata definizione:

– del giudizio di appello entro il termine di due anni;

– del giudizio di cassazione entro il termine di un anno.

Tali cause di improcedibilità ricorrono a meno che non intervenga:

– la proroga per un periodo non superiore ad un anno nel giudizio di appello ed a sei mesi nel giudizio di cassazione quando il giudizio d'impugnazione risulta particolarmente complesso in ragione del numero delle parti o del numero o della complessità delle questioni di fatto o di diritto da trattare;

– la sospensione nei casi previsti dall'art. 344-bis, comma 6, c.p.p.;

– la diversa modulazione dei predetti termini in applicazione della normativa transitoria (cfr. art. 2, commi 4 e 5, l. n. 134/2021).

Misure precautelari e cautelari

Arresto e fermo

Con riguardo al reato di insolvenza fraudolenta:

– non è mai consentito l'arresto obbligatorio in flagranza di reato (art. 380 c.p.p.);

– non è mai consentito l'arresto facoltativo in flagranza di reato (art. 381, co. 2, c.p.p.);

– non è mai consentito il fermo (art. 384 c.p.p.).

In riferimento all'arresto facoltativo in fragranza di reato l'art. 381, comma 3, c.p.p. dispone che se si tratta di delitto perseguibile a querela, può essere eseguito se quest'ultima viene proposta, anche con dichiarazione resa oralmente all'ufficiale o all'agente di polizia giudiziaria presente nel luogo. Se l'avente diritto dichiara di rimetterla, l'arrestato è posto immediatamente in libertà.

Misure cautelari personali

Con riguardo al reato di insolvenza fraudolenta:

– non è mai consentita l'applicazione delle misure cautelari personali (art. 278 e ss. c.p.p.);

Competenza, forme di citazione a giudizio e composizione del tribunale

Competenza

Nei casi d'insolvenza fraudolenta è competente per materia il tribunale (cfr. art. 6 c.p.p.), che decide in composizione monocratica (cfr. artt. 33-bis e 33-ter c.p.p.).

Citazione a giudizio

Per l'insolvenza fraudolenta si procede con citazione diretta a giudizio del P.M., ex art. 550, comma 1, c.p.p.

Composizione del tribunale

Il processo per il reato di insolvenza fraudolenta si svolgerà sempre dinanzi al tribunale in composizione monocratica ai sensi dell'art. 33-ter, comma 2, c.p.p. (che detta regole riguardanti le attribuzioni del tribunale in composizione monocratica).

4. Conclusioni

Secondo un orientamento giurisprudenziale consolidato l'inadempimento è un elemento costitutivo del reato di insolvenza fraudolenta. Per distinguere l'ipotesi in cui vi è solo responsabilità civile per inadempimento dell'obbligazione contratta da quella in cui vi è la commissione dell'illecito penale occorre analizzare l'elemento ispiratore della condotta, ovvero il proposito di adempiere o meno: si consuma l'insolvenza fraudolenta quando la condotta di celare al creditore lo stato di insolvenza sussistente nel momento di contrarre l'obbligazione è sorretta dal preordinato proposito di non effettuare la dovuta prestazione. L'inadempimento contrattuale non preordinato, invece, è inquadrabile, generalmente, solo nell'ambito della responsabilità civile e non costituisce reato.

Affinché si realizzi l'insolvenza fraudolenta è necessario che:

a) la dissimulazione dell'obiettiva incapacità di far fronte ai propri debiti deve esplicarsi in un preciso arco temporale, che va dalla stipulazione del contratto all'esecuzione della prestazione della controparte;

b) la condotta dissimulatoria, che comporta la consapevolezza dell'impossibilità, allo stato, di ottemperare, in tutto o in parte, l'obbligazione assunta, deve essere sorretta, a livello psicologico, dall'intenzione di non adempierla. Deve, inoltre, esplicarsi secondo modalità idonee ad impedire al creditore di rendersi conto della condizione di incapienza dell'altra parte. Da ciò ne consegue che non è ravvisabile l'elemento soggettivo del reato nelle ipotesi in cui il debitore è ragionevolmente convinto di potere superare un momentaneo o transitorio stato di non solvibilità, in particolare di illiquidità, e, quindi, di poter eseguire la prestazione dovuta;

c) il contratto, da cui scaturisce l'obbligazione, deve essere stato concluso: da ciò ne deriva che assume rilievo solo l'obbligazione di natura pattizia e, quindi, volontaria. Non ricadono nell'ambito di applicazione dell'art. 641 le obbligazioni che hanno una fonte diversa dal contratto, comprese quelle di risarcimento del danno originate da un illecito contrattuale;

d) la controparte deve aver adempiuto alla propria obbligazione: nell'ipotesi in cui non via abbia proceduto non vi è offesa al bene giuridico protetto dalla norma. Il fatto di reato presuppone un rapporto obbligatorio che si svolge in un intervallo temporale, anche di durata minima, tra la prestazione del soggetto inadempiente e quella, già eseguita, del creditore. Per stabilire se vi sia stato o meno adempimento occorre fare riferimento alle disposizioni del c.c. in materia.

La fattispecie di cui all'art. 641 si distingue da quella riportata all'art. 640 c.p. perché sanziona un particolare tipo di frode, diverso dalla truffa vera e propria, da cui si differenzia sia sotto il profilo oggettivo sia sotto quello soggettivo. Nel caso dell'insolvenza fraudolenta, infatti, la dissimulazione ha ad oggetto una condizione vera, e cioè della reale incapacità dell'agente di ottemperare ai propri debiti, mentre nella truffa si esplica mediante modalità predatorie attuate attraverso la simulazione di circostanze e condizioni non vere, artificiosamente create o prospettate per indurre altri in errore.

L'essenza della frode nel reato di cui all'art. 641 c.p. postula che, al momento della stipulazione, come giudizio di verosimiglianza, il creditore confida nella solvibilità del debitore. Tale convincimento può derivare dalla prassi commerciale o dall'abituale modo di svolgersi di determinati tipi di affari e di convenzioni negoziali e sovente può formarsi quanto più modesta è l'entità economica del negozio.

Nel delitto contemplato all'art. 641, poi, la condotta non è orientata dal fine specifico dell'ingiusto profitto con altrui danno.

Si consuma la truffa, pertanto, quando l'agente non si limiti a nascondere il proprio stato d'insolvenza, ma pone in essere un comportamento ulteriore, attraverso artifici o raggiri, che ingenera nella persona offesa affidamento circa il proprio stato di solvibilità.

Tra le modalità di esplicazione della dissimulazione è possibile annoverare anche il silenzio in tutte le ipotesi in cui abbia ad oggetto proprio la condizione di incapienza del patrimonio dell'agente e sia sorretto dal proposito di non adempiere quanto pattuito con il contratto fin dalla sua stipulazione.

Sul piano processuale, infine, la prova della condizione di insolvenza può essere desunta sia dal comportamento precedente e successivo dal soggetto attivo, sia da quello che è stato tenuto dallo stesso al momento dell'inadempimento.

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