La condotta induttiva nel delitto di circonvenzione di persona incapace1. Bussole di inquadramentoLa condotta induttiva nel delitto di circonvenzione di incapace In riferimento al reato di circonvenzione di incapace uno degli aspetti che ha maggiormente impegnato la giurisprudenza sotto il profilo interpretativo è quello attinente alla corretta individuazione delle ipotesi in cui si può ritenere sussistente la condotta di induzione. Il delitto sanzionato dall'art. 643 c.p., infatti, si caratterizza proprio per i comportamenti insidiosi che l'agente pone in essere per far compiere alle vittime, che si trovano in una situazione di fragilità cognitiva, atti per loro dannosi al solo fine di conseguire un proprio interesse personale. La corretta definizione del concetto di induzione richiamata dall'art. 643 c.p. è determinante per perimetrare l'ambito di applicazione della fattispecie, anche in considerazione del fatto che quest'ultima si colloca in una “zona d'ombra” e che all'accertamento del delitto di circonvenzione di incapace consegue la nullità del contratto stipulato dall'incapace per contrarietà a norme imperative, ai sensi dell'art. 1418 c.c. (Cass. II, n. 19665/2008). Generalmente, infatti, da un lato è possibile ravvisare un atto giuridicamente valido (o più atti validi) perché apparentemente esente da vizi che ne possono determinare la nullità ai sensi dell'ordinamento civile e dall'altro, però, la volontà espressa dalla vittima, che costituisce elemento costitutivo di qualsiasi negozio giuridico, è resa deficitaria dalla minore età o dall'esistenza di un'infermità o di una deficienza psichica e verosimilmente appare non essere genuina. Ciò in quanto è stata preventivamente condizionata in qualche modo e indirizzata diversamente da un soggetto che, essendo consapevole della particolare vulnerabilità della persona offesa, ne abbia abusato attraverso un'attività induttiva esterna. Nel caso in analisi la vittima è una donna che aveva un disturbo bipolare della personalità con sintomatologia maniacale centrata su deliri persecutori e megalomaniaci e manifestava una grave inclinazione a dissipare beni e denaro. Una terza persona, che le aveva venduto gioielli per un importo pari a L. 70.000.000, le aveva presentato telefonicamente l'agente, che svolgeva la professione di commercialista. A seguito di tale conoscenza la persona offesa gli aveva conferito l'incarico professionale a “prestare tutta l'assistenza e consulenza necessarie in relazione a tutti gli affari patrimoniali, societari e personali”. Tale incarico era stato formalizzato in brevissimo tempo ovvero dopo che il giorno seguente alla succiata telefonata il reo aveva trascorso un'intera giornata nell'abitazione della vittima ricevendone le confidenze. L'agente, inoltre, lo aveva subito accettato senza svolgere alcuna preventiva verifica sulla situazione patrimoniale della potenziale cliente, che accusava i parenti di volerla defraudare (a differenza di quanto aveva fatto il precedente commercialista che, a seguito del controllo, aveva rifiutato il mandato). Appena pochi giorni prima lo psichiatra del Centro psicosociale aveva proposto il trattamento sanitario obbligatorio per la persona offesa e, successivamente all'incontro con il colpevole, la aveva fatta ricoverare alla Divisione psichiatrica dell'ospedale. In tale periodo il commercialista aveva visitato la cliente senza preoccuparsi di cercare un incontro con i parenti (alla figlia della donna, anzi, aveva inviato una diffida a riconsegnare immediatamente le chiavi di casa della madre) e aveva portato a casa sua un quadro della donna, attribuito ad un noto autore, che aveva poi messo in vendita. Il reo, inoltre, aveva richiesto fidi bancari a nome della vittima e si era fatto cedere quote del capitale sociale della società immobiliare di cui la donna era socia, insieme con i fratelli, al 25%, asseritamente per poter partecipare all'assemblea annuale e poter esaminare la documentazione sociale. In sostanza manifestandole comprensione e assecondandola e, così, svolgendo così un ruolo attivo di induzione e persuasione, aveva rafforzato nella vittima la volontà di conferirgli l'amplissimo mandato professionale. Quest'ultimo conteneva anche l'esplicito e inusuale impegno a versare un fondo spese e a pagare le parcelle finali in un ammontare successivamente determinato in misura elevatissima e giustificato con qualche imbarazzo (tariffe “d'urgenza”). In ipotesi simili a quella sopra narrata, in cui il reo tiene un comportamento analogo a quello descritto, occorre, pertanto, stabilire se ai fini dell'integrazione del reato è necessario che la condotta induttiva possa sostanziarsi in una qualsiasi forma di pressione morale come “gli atteggiamenti di condiscendenza, di acritico ascolto, di inopportuna rassicurazione, di facili promesse e di interessato consiglio” idonei a determinare nel soggetto passivo il consenso al compimento dell'atto giuridico pregiudizievole o a rafforzare la decisione già presa oppure sia necessario che ricorra un quid pluris ovvero che l'agente debba adottare un comportamento volto ad influire positivamente sulla sua volontà della persona offesa ponendo in essere uno stimolo che la porta a porre in essere l'atto per lei pregiudizievole. La tesi della configurabilità della circonvenzione d'incapace Nel caso di specie sembrano ricorrere tutti gli elementi costitutivi del reato di circonvenzione d'incapace. Come noto il bene giuridico tutelato dall'art. 643 c.p., inserito nel codice penale fra i delitti contro il patrimonio mediante frode, è il patrimonio del soggetto che si trova in una situazione di fragilità cognitiva ossia di colui che, non necessariamente interdetto o inabilitato, si trovi in una minorata condizione di autodeterminazione in ordine ai suoi interessi patrimoniali (Cass. V, n. 29003/2012). La ratio della fattispecie è, infatti, quella di salvaguardare quei soggetti che siano facilmente determinabili e coscientemente indotti al compimento di atti pregiudizievoli a causa della loro età o del loro stato di infermità o di deficienza psichica. Ciò in quanto tali condizioni li rendono particolarmente assoggettabili alle pressioni, agli stimoli e agli impulsi che altri possono esercitare su di loro (Cass. II, n. 7101/1988). Specificamente l'art. 643 c.p. identifica tre categorie di soggetti passivi: i minori, l'infermo psichico e il deficiente psichico. La sussistenza di una delle correlate condizioni si pone come un presupposto della condotta della cui sussistenza, pertanto, vi deve essere l'assoluta certezza (Cass. II, n. 5791/2017). Indubbiamente la vittima del caso sopra descritto si trovava in una situazione di infermità. Quest'ultimo è un concetto generico e più ampio di quello di malattia mentale, perché ne comprende ogni forma. Vi include, infatti, sia le malattie mentali (ad es. la psicosi maniaco-depressiva o la schizofrenia) sia le c.d. anomalie mentali (ad es. personalità psicopatiche, reazioni psicogene, psiconeurosi). Al suo interno possono essere ricomprese, dunque, tutte quelle condizioni cliniche, di qualsiasi origine e natura, che abbiano un riflesso sullo stato di mente di un individuo, pregiudicandone più o meno intensamente il funzionamento e le capacità di assicurare performance adeguate (Cass. II, n. 21464/2019). Diversamente nella nozione di deficienza psichica, invece, vi rientrano non solo condizioni psicopatologiche sfumate o meno gravi rispetto a quelle “tipiche” dell'infermità, ma anche situazioni cliniche al di fuori della psicopatologia vera e propria (debolezza di carattere, fragilità, particolare suggestionabilità). Si riconduce a tale stato, pertanto, qualsiasi minorazione, anche temporanea, della sfera intellettiva, volitiva o affettiva del soggetto passivo, che può derivare dalla fragilità del carattere, dalla vecchiezza e, in genere, da ogni altro analogo stato che si presti agli abusi, indipendentemente da uno specifico quadro morboso clinicamente identificabile secondo le comuni classificazioni neurologiche o psichiatriche (Cass. II, n. 21464/2019). La giurisprudenza, poi, ha precisato che l'art 643 c.p. non richiede che l'incapace sia privo della capacità d'intendere e di volere in maniera totale ovvero permanente: è sufficiente che lo stato di infermità psichica sia limitato ad alcune manifestazioni, anche solo ricorrenti, delle quali l'agente abbia abusato mediante induzione a compiere un atto che un individuo di media normalità psichica non avrebbe acconsentito a compiere (Cass. V, n. 9263/1979). In riferimento al delitto di circonvenzione d'incapace la giurisprudenza, con orientamento risalente nel tempo (Cass. II, n. 19834/2019; Cass. V, n. 29003/2012), ha individuato unanimemente quelle che sono le condizioni necessarie per integrarlo, ovvero: “a) l'instaurazione di un rapporto squilibrato fra vittima ed agente, in cui quest'ultimo abbia la possibilità di manipolare la volontà della vittima, che, in ragione di specifiche situazioni concrete, sia incapace di opporre alcuna resistenza per l'assenza o la diminuzione della capacità critica; b) l'induzione a compiere un atto che importi per il soggetto passivo o per altri qualsiasi effetto giuridico dannoso; c) l'abuso dello stato di vulnerabilità che si verifica quando l'agente, consapevole di detto stato, ne sfrutti la debolezza per raggiungere il suo fine e cioè quello di procurare a sé o ad altri un profitto; d) la oggettiva riconoscibilità della minorata capacità, in modo che chiunque possa abusarne per raggiungere i suoi fini illeciti”. Nell'ipotesi in esame la condotta delittuosa è consistita proprio nell'avere indotto la persona offesa a rilasciare al commercialista un ampio incarico professionale, con il proposito di lucrarne cospicui compensi (oltre a cedergli quote del capitale sociale della società immobiliare di cui la donna era socia e il quadro di ingente valore perché dipinto da un noto autore). Il colpevole ha esercitato un ruolo attivo di induzione e persuasione perché ha rafforzato nella donna, manifestandole comprensione e assecondandola, la volontà di conferirgli l'amplissimo mandato professionale, comprensivo anche degli “affari personali”. L'induzione, infatti, implica il compimento di un'attività di sollecitazione e suggestione capaci convincere il soggetto passivo a prestare il suo consenso al compimento dell'atto per lui pregiudizievole. Non è sufficiente, infatti, che l'agente si limiti a trarre giovamento dalle menomate condizioni psichiche del soggetto passivo (Cass. II, n. 1419/2013). Non è richiesto, inoltre, il ricorso a mezzi coattivi o ad artifici o raggiri, ma è pur sempre necessaria un'attività apprezzabile di pressione morale, di suggestione o di persuasione (Cass. II, n. 28080/2015), che deve porsi, rispetto all'atto dispositivo compiuto, in un rapporto di causa ed effetto (Cass. II, n. 1195/1993). L'art. 643 c.p. non specifica le modalità attraverso le quali si deve estrinsecare l'abuso per cui quest'ultimo può consistere in qualsiasi pressione morale, anche blanda, idonea a conseguire il risultato avuto di mira (Cass. II, n. 31320/2008) sfruttando la debolezza e la vulnerabilità del soggetto passivo (Cass. V, n. 29003/2012). Nel caso de quo il colpevole conosceva il timore della vittima che i parenti volessero defraudarla e ne ha approfittato per farsi affidare l'incarico professionale di assistenza e consulenza per tutti gli affari patrimoniali, societari e personali. Indubbiamente, poi, l'atto pregiudizievole compiuto dalla vittima è stato quello di conferire un mandato che si caratterizzava di eccezionale estensione e di particolare onerosità. In riferimento alla procura generale conferita per gestire il patrimonio la Cassazione ha evidenziato che si tratta di un atto sicuramente produttivo di effetti giuridici, in quanto trasferisce in capo al procuratore il potere di gestire il patrimonio del delegante. Tale operazione, però, deve essere analizzata nell’ambito spazio-temporale in cui avviene: nonostante l’attribuzione della procura generale possa essere, infatti, qualificata come atto “neutro”, in quanto, in astratto, funzionale anche a produrre effetti positivi nel patrimonio del delegante, può configurarsi, in concreto, dannosa - ovvero idoneo ad integrare una condotta di circonvenzione - quando, valutata unitamente agli altri elementi di contesto, emerga che la stessa sia stata ottenuta attraverso la manipolazione della volontàdel vulnerabile al fine di danneggiarlo (Cass. II, n. 26727/2023). In altro arresto al Corte ha chiarito che l'atto di procura alla riscossione di denaro in nome e per conto dell'incapace può rientrare nella nozione di atto produttivo di effetto dannoso se nel concreto si atteggia a strumento con cui il soggetto attivo si appropria del denaro, depauperando la vittima (Cass. II, n. 10578/2004). In merito la Cassazione ha evidenziato che non è necessario, inoltre, che l'effetto dannoso consegua all'atto indotto come sua conseguenza giuridica immediata e che, quindi, l'attitudine a determinare un danno o un pericolo di danno costituisca una manifestazione tipica dell'atto stesso, ma è sufficiente che questo, determinato dal dolo o dalla frode dell'agente, sia idoneo ad ingenerare un pregiudizio o un pericolo di pregiudizio per il soggetto passivo che l'ha posto in essere o per altri (Cass. II, n. 2063/2000). Deve, poi, sussistere una correlazione tra l'azione subdola dell'agente e la ridotta capacità di autodeterminarsi della vittima a causa della mancata o diminuita capacità critica (Cass. II, n. 9358/2015). È ravvisabile, infine, anche l'elemento soggettivo, consistente nel dolo specifico, perché l'agente si era rappresentato che la cliente non era nelle piene facoltà mentali (l'aveva visitata presso la struttura sanitaria che la ospitava), era consapevole del fatto che la propria condotta la avrebbe spinta a compiere un atto per la stessa pregiudizievole ed era animato dall'intento di procurarsi un profitto (la parcella determinata di un ammontare elevatissimo, la proprietà delle quote sociali, ecc.). 2. Questioni e orientamenti giurisprudenziali
Domanda
Quali sono le caratteristiche della condotta induttiva nel delitto di circonvenzione di incapace?
Orientamento minoritario della Corte di Cassazione In alcuni arresti la Cassazione ha asserito che l'induzione può consistere in un qualsiasi comportamento o attività, come una semplice richiesta, cui la vittima, per le sue minorate condizioni, non sia capace di opporsi. Tale comportamento deve portarla, quindi, a compiere atti privi di una causale, che in condizioni normali non avrebbe posto in essere e che siano per lei pregiudizievoli e favorevoli all'agente. In merito la Corte ha specificato che la proposta di compiere l'atto dannoso non deve pervenire necessariamente dal colpevole, perché integra la condotta del reato di circonvenzione d'incapace anche il mero rafforzamento della volontà manifestata in tal senso dal soggetto passivo, operato approfittando del suo stato psichico (Cass. II, n. 29641/2020; Cass. II, n. 25877/2009; Cass. II, n. 44869/2004; Cass. II, n. 8516/2000). La giurisprudenza di legittimità è, infatti, costante nel reputare che l'induzione possa essere realizzata attraverso qualsiasi forma di pressione morale idonea a determinare o a rafforzare nel soggetto passivo una decisione pregiudizievole già adottata, impedendo, in tal modo, l'insorgere di una volontà contraria a quest'ultima (Cass. VI, n. 266/1996; Cass. II, n. 4973/1987). L'attività di induzione può, quindi, consistere anche nell'attività di subdolo condizionamento che si manifesti attraverso un assecondamento interessato della volontà della persona offesa, di cui venga strumentalizzato lo stato di debolezza psichica che limita o deforma la percezione della realtà. Ad esempio, la Cassazione ha ravvisato la condotta di induzione costitutiva della fattispecie criminosa prevista dall'art. 643 c.p. nel “ruolo attivo di induzione e persuasione” svolto attraverso una serie di attività positive quali “gli atteggiamenti di condiscendenza, di acritico ascolto, di inopportuna rassicurazione, di facili promesse e di interessato consiglio” diretti a rafforzare la decisione già presa della vittima (Cass. II, n. 25877/2009). In riferimento, poi, al caso specifico di soggetto infermo psichico ha affermato il seguente principio di diritto: “nelle ipotesi in cui parte offesa del delitto di cui all'art. 643 c.p., sia una persona affetta da una malattia (come, nella fattispecie in esame, la demenza senile) che la privi gravemente della capacità di discernimento, di volizione e di autodeterminazione, e il soggetto attivo non abbia nei suoi confronti alcuna particolare ragione di credito, l'induzione può essere desunta in via presuntiva potendo consistere anche in un qualsiasi comportamento o attività da parte dell'agente (come ad es. una semplice richiesta) alla quale la vittima, per le sue minorate condizioni, non sia capace di opporsi e la porti, quindi, a compiere, su indicazione dell'agente, atti che, privi di alcuna causale, in condizioni normali non avrebbe compiuto e che siano a sè pregiudizievoli e a lui favorevoli, atteso che l'attività di induzione dev'essere diversamente valutata e graduata a seconda dello stato psichico in cui versi la vittima” (Cass. II, n. 18583/2009). In merito al profilo probatorio la giurisprudenza ha evidenziato che mancando nella norma contenuta nell'art. 643 c.p. ogni tipizzazione della condotta, la prova dell'induzione può essere anche indiretta, indiziaria o presuntiva, e cioè risultare da elementi gravi, precisi e concordanti come, in via esemplificativa, la natura degli atti compiuti senza plausibili motivi e l'incontestabile pregiudizio da essi derivato, l'isolamento dell'incapace, i continui e stretti rapporti dell'agente con la vittima, atteso il potere-dovere del giudice penale di ricercare ovunque prove od elementi di prova al fine ultimo dell'accertamento della verità cui è preordinato il processo penale (Cass. II, n. 48302/2004; Cass. VI, n. 266/199). Orientamento dominante della Corte di Cassazione Secondo un filone giurisprudenziale prevalente (Cass. II, n. 28080/2015; Cass. II, n. 1419/2013; Cass. II, n. 9731/1985; Cass. V, n. 10368/1978) all'interno della fattispecie di circonvenzione di persone incapaci l'induzione costituisce un elemento del tutto distinto dal mezzo usato (ovvero l'atto giuridico pregiudizievole), con il quale non va confuso, per quanto entrambi siano necessari per la consumazione del reato. Il concetto di “induzione” postula una attività positiva diretta a determinare la volontà del soggetto passivo di compiere un determinato atto giuridico o a rafforzare la decisione già presa ostacolando in tal modo eventuali ripensamenti. Indurre, infatti, letteralmente significa convincere, influire sulla volontà altrui. La connessa attività, quindi, esige che l'agente ponga in essere uno stimolo che successivamente porta la persona offesa a realizzare l'atto per lei pregiudizievole. Di conseguenza, non è sufficiente che l'agente si giovi delle menomate condizioni psichiche della vittima, ma deve adottare un comportamento che positivamente influisca sulla sua volontà. Pertanto, non può considerarsi opera di induzione la passiva accettazione di una proposta fatta da un menomato psichico, anche se l'atto sia a lui dannoso (in questa e in analoghe ipotesi gli interessi del minorato e dei suoi aventi causa trovano, infatti, congrua tutela nelle norme del codice civile). Secondo tale impostazione, dunque, la condotta di induzione si deve sostanziare in un'apprezzabile attività di suggestione, pressione morale e persuasione finalizzata a determinare la volontà minorata del soggetto passivo (Cass. II, n. 13968/2018) in riferimento alla quale non è richiesto l'uso di mezzi coattivi o di artifici o raggiri (Cass. II, n. 28080/2015). Non sono riconducibili alla succitata condotta, come per l'opposto orientamento, la semplice richiesta rivolta alla parte offesa di compiere l'atto per lei pregiudizievole (Cass. II, n. 1195/1993) ed il mancato attivarsi, da parte di colui che dall'atto riceve vantaggio, per impedirne il compimento (Cass. II, n. 13308/1999). Il comportamento del soggetto che si limita a non attivarsi per bloccare la realizzazione dell'atto dannoso è atipico in quanto la condotta omissiva è logicamente incompatibile con l'induzione (Cass. II, n. 13308/1999). L'induzione, quindi, non può dirsi sussistente senza la dimostrazione di un comportamento attivo di persuasione da parte dell'interessato, la cui prova può desumersi anche da concordanti elementi indiziari (Cass. II, n. 1064/1988). Per quanto attiene al profilo probatorio, anche per questo indirizzo giurisprudenziale l'attività di induzione può essere desunta in via presuntiva quando la persona offesa sia affetta da una malattia che la privi gravemente della capacità di discernimento, di volizione e di autodeterminazione ed il soggetto attivo non abbia nei suoi confronti alcuna particolare ragione di credito (Cass. II, n. 4108/2019; Cass. II, n. 18583/2009). La prova dell'induzione non richiede necessariamente la dimostrazione di episodi specifici, ben potendo il convincimento del giudice essere fondato su elementi indiretti e indiziari, e cioè risultare da elementi gravi, precisi concordanti (Cass. II, n. 51192/1029; n. 17415/2009; Cass. II, n. 6078/2009). Applicabilità della causa di non punibilità ex art. 649 c.p. al delitto di circonvenzione di persona incapace e configurabilità del predetto delitto mediante una condotta che implichi l'uso di violenza morale. Orientamento consolidato della Corte di Cassazione In una interessante pronuncia la Cassazione ha precisato l'ambito di applicazione dell'art. 649 c.p. in riferimento al delitto di circonvenzione di persona incapace (Cass. VI, n. 35528/2008). Quest'ultima diposizione al comma 1 disciplina un'ipotesi di non punibilità qualora il reato sia stato commesso in danno di congiunti. La ratio di tale norma si rintraccia in ragioni di carattere morale e sociale che connotano i rapporti fra certe categorie di familiari riguardo ai beni materiali ed in vista dei quali si esclude la punibilità di alcuni reati. L'ultimo comma dell'art. 649 c.p. esclude, poi, l'applicazione della succitata causa di non punibilità quando il delitto contro il patrimonio sia commesso con violenza alle persone. Si tratta di una disposizione di chiusura che ha lo scopo di evitare l'operatività dei primi due commi in presenza di condotte violente, rispetto alle quali l'ordinamento non rinuncia alla punizione del soggetto agente. La Cassazione ha evidenziato che la condotta tipica del reato di cui all'art. 643 c.p. consiste nell'abusare dello stato di minorazione del soggetto passivo e nell'indurre quest'ultimo a compiere un atto che comporti un effetto dannoso, per lui o per altri. Al riguardo la giurisprudenza ha precisato che con il termine “abuso” si intende una condotta di approfittamento ovvero di strumentalizzazione dello stato di debolezza della vittima. Poiché la norma non specifica le modalità di una tale comportamento, si ritiene che qualsiasi pressione morale – anche se blanda – possa essere sufficiente ad integrare l'abuso, qualora si riveli idonea allo scopo perseguito, tenuto conto delle condizioni della vittima. La condotta di induzione, poi, deve concretarsi in un'apprezzabile attività di suggestione ovvero, ancora, di pressione morale, finalizzata a determinare la volontà minorata del soggetto passivo e la stessa giurisprudenza specifica che l'induzione può consistere nell'uso di qualsiasi mezzo idoneo a determinare o a rafforzare nel soggetto passivo il consenso al compimento dell'atto dannoso (Cass. II, n. 4973/1987). Pertanto, non può escludersi che la circonvenzione possa realizzarsi anche attraverso condotte che implichino l'uso di una violenza morale, cioè di una condotta che si estrinsechi in un atteggiamento di intimidazione del soggetto passivo, in grado di eliminare o ridurre la sua capacità di determinarsi, condizionando la sua già ridotta capacità di agire secondo la propria volontà indipendente. Di conseguenza è possibile applicare in tale ipotesi il disposto dell'art. 649, ultimo comma, c.p. perché la nozione di “violenza sulle persone” in quest'ultimo richiamata ricomprende, infatti, non solo alla violenza fisica (non riferibile al delitto previsto dall'art. 643 c.p.), ma anche quella morale, in quanto costituisce pur sempre una forma di coazione psichica, che può essere parificata alla violenza. Individuazione del soggetto passivo legittimato a proporre querela. Orientamento consolidato della Corte di Cassazione La Cassazione ha precisato che per individuare il soggetto passivo del reato di circonvenzione di persone incapaci, titolare del diritto di querela nei casi di cui all'art. 643 c.p., si deve avere riguardo soltanto alla persona che abbia subito la circonvenzione, quale portatrice dell'interesse tutelato dalla predetta norma. Il terzo che abbia patito o possa patire un danno per effetto degli atti posti in essere dall'incapace circonvenuto non è soggetto passivo del reato, bensì persona danneggiata dall'illecito penale. Quest'ultima è una figura distinta dalla prima e come tale non legittimata ad esercitare il diritto di querela, ma soltanto l'azione civile ai sensi dell'art. 2043 c.c., anche nell'ambito del processo penale se il reato sia perseguibile d'ufficio, come nel caso di specie. Di conseguenza non ha diritto di avere avviso della proposizione della richiesta di archiviazione (Cass. II, n. 20809/2016; Cass. II, n. 38508/2010; Cass. II, n. 7192/2008). La Cassazione ha, inoltre, evidenziato che l'amministratore di sostegno, anche se rappresenta il soggetto amministrato nei limiti segnati dal decreto giudiziale di nomina, non ha un autonomo potere di querela, potendo al massimo sollecitare il giudice tutelare alla nomina di un curatore speciale (Cass. II, n. 14071/2015). 3. Azioni processualiUlteriori attività difensive Per la fattispecie in esame si possono esperire le seguenti ulteriori attività difensive: Querela (art. 336); Memoria difensiva al pubblico ministero (art. 367); Richiesta di presentazione spontanea per rilasciare dichiarazioni (art. 374); Memoria difensiva (art. 419, comma 2); Richiesta di giudizio abbreviato (art. 438, comma 1). ProcedibilitàLa circonvenzione di incapace è procedibile d'ufficio.A tale fattispecie si applica il disposto dell'art. 649 c.p., che sancisce la non punibilità per fatti commessi a danno di congiunti elencati al primo comma, a meno che non ricorrano una delle situazioni esplicitate al comma 2 (fatto commesso a danno del coniuge legalmente separato, ecc.). Se ricorre una delle predette situazioni si procede a querela della persona offesa.Recentemente la Cassazione ha chiarito che in materia di reati contro il patrimonio, e con riferimento specifico alla procedibilità a querela di parte ex art. 649, comma 2, c.p. in relazione al delitto di circonvenzione di incapaci, la relazione di convivenza fra l'autore della condotta e la persona offesa implica un rapporto di stretta coabitazione. In tale tipologia di rapporto non è possibile annoverare situazione di fatto da cui possono derivare incrementi patrimoniali per occasionali ed episodici contributi di persone legate alla vittima da un particolare rapporto affettivo, ma non inserite nella sua organizzazione economica familiare (Cass. II, n. 51537/2019; Cass. II, n. 14071/2015). Improcedibilità delle impugnazioni (e prescrizione del reato) Il termine-base di prescrizione è pari ad anni sei (cfr. art. 157 c.p.). A partire dal 1° gennaio 2020 (cfr. art. 2, comma 3, l. n. 134/2021), per il delitto di circonvenzione d'incapace costituiscono causa di improcedibilità dell'azione penale ex art. 344-bis c.p.p., la mancata definizione: – del giudizio di appello entro il termine di due anni; – del giudizio di cassazione entro il termine di un anno. Tali cause di improcedibilità ricorrono a meno che non intervenga: – la proroga per un periodo non superiore ad un anno nel giudizio di appello ed a sei mesi nel giudizio di cassazione quando il giudizio d'impugnazione risulta particolarmente complesso in ragione del numero delle parti o del numero o della complessità delle questioni di fatto o di diritto da trattare; – la sospensione nei casi previsti dall'art. 344-bis, comma 6, c.p.p.; – la diversa modulazione dei predetti termini in applicazione della normativa transitoria (cfr. art. 2, commi 4 e 5, l. n. 134/2021). Misure precautelari e cautelari Arresto e fermo Per il reato di circonvenzione di persone incapaci: – non è mai consentito l'arresto obbligatorio in flagranza di reato (art. 380 c.p.p.); – è consentito l'arresto facoltativo in flagranza di reato (art. 381, comma 2, c.p.p.); – non è consentito il fermo (art. 384 c.p.p.). Misure cautelari personali Nel caso del delitto di circonvenzione di persone incapaci è consentita l'applicazione delle misure cautelari personali (custodia cautelare in carcere ed altre misure cautelari personali art. 278 e ss. c.p.p.). Competenza, forme di citazione a giudizio e composizione del tribunale Competenza Nei casi di circonvenzione di persone incapaci è competente per materia il tribunale (cfr. art. 6 c.p.p.), che decide in composizione monocratica (cfr. artt. 33-bis e 33-ter c.p.p.). Citazione a giudizio Per la circonvenzione di persone incapaci si procede con udienza preliminare, in luogo della citazione diretta del P.M. a giudizio. Composizione del tribunale Il processo per il reato di circonvenzione di persone incapaci si svolgerà dinanzi al tribunale in composizione monocratica ai sensi dell'art. 33-ter, comma 2, c.p.p. (che detta regole riguardanti le attribuzioni del tribunale in composizione monocratica). 4. ConclusioniNel corso del tempo all'interno della Cassazione di sono formati due orientamenti contrastanti in relazione alle caratteristiche che deve presentare la condotta di induzione richiamata dall'art. 643 c.p. Secondo un'impostazione minoritaria l'induzione può consistere anche in un qualsiasi comportamento o attività, come una semplice richiesta, cui la vittima, per le sue minorate condizioni, non sia capace di opporsi. Tale condotta deve portarla, quindi, a compiere atti privi una causale, che in condizioni normali non avrebbe posto in essere e che siano per lei pregiudizievoli e favorevoli all'agente. La proposta di compiere l'atto dannoso non deve pervenire necessariamente dal reo perché l'induzione può essere realizzata attraverso qualsiasi forma di pressione morale idonea a determinare o a rafforzare nel soggetto passivo una decisione pregiudizievole già adottata, impedendo, in tal modo, l'insorgere di una volontà contraria a quest'ultima. L'attività di induzione può, quindi, consistere anche in una serie di attività positive quali “gli atteggiamenti di condiscendenza, di acritico ascolto, di inopportuna rassicurazione, di facili promesse e di interessato consiglio” diretti a rafforzare la decisione già presa della persona (Cass. II, n. 25877/2009). Per un altro indirizzo, maggioritario in giurisprudenza, l'induzione deve necessariamente sostanziarsi in un'apprezzabile attività di suggestione, pressione morale e persuasione finalizzata a determinare la volontà minorata del soggetto passivo in riferimento alla quale non è richiesto l'uso di mezzi coattivi o di artifici o raggiri. L'agente deve adottare un comportamento che positivamente influisca sulla volontà della persona offesa per cui non sono riconducibili alla fattispecie la passiva accettazione di una proposta fatta da un menomato psichico o la semplice richiesta rivolta alla parte offesa di compiere l'atto per lei pregiudizievole. L'adesione ad uno dei due succitati orientamenti comporta una serie di conseguenze di carattere applicativo, tra cui, prima tra tutte, l'esatta individuazione dell'ambito di operatività della fattispecie e, di conseguenza, di un'eventuale non punibilità in riferimento ad una fattispecie che, come sopra evidenziato, per le caratteristiche del contesto in cui si verifica, si colloca in una “zona d'ombra”. Entrambi le impostazioni, infine, concordano in merito agli aspetti inerenti al profilo probatorio: nella norma contenuta nell'art. 643 c.p. la condotta non è stata tipizzata per cui la prova della induzione può essere anche indiretta, indiziaria o presuntiva, e cioè risultare da elementi gravi, precisi e concordanti. |