Danneggiamento e furto, consumato o tentato, con violenza sulle cose:quando l'esercizio di una violenza sulle cose non può integrare il danneggiamento1. Bussole di inquadramentoNel contesto dei reati contro il patrimonio, due delle fattispecie più tradizionali e che, allo stesso tempo, si verificano con maggiore frequenza nella quotidianità, sono senz'altro quelle di furto (624 c.p.) e di danneggiamento (art. 635 c.p.). Due norme che sono poste a tutela del patrimonio della persona offesa dalle condotte che incarnano l'archetipo di questo tipo di reato: quella di “sottrazione” della res e quella del suo danneggiamento, ossia di una serie di azioni tra loro alternative che rendono la cosa inservibile, o che rendono necessario un vero e proprio ripristino del bene. Sotto il profilo della condotta, prendendo in considerazione l'ipotesi di furto tracciata nell'ipotesi base di cui all'art. 624 c.p. (che punisce, sic et simpliciter, la sottrazione e l'impossessamento della cosa mobile altrui), viene punita un'azione che, nella realtà dei fatti, sarà quasi sempre caratterizzata da un quid pluris che può integrare una delle circostanze aggravanti prevista dall'art. 625 c.p., oppure una delle ipotesi autonome di reato di cui all'art. 624-bis c.p. Nella quotidianità delle aule di Tribunale, infatti, è molto più facile imbattersi in casi di furto commesso con destrezza, con strappo, in appartamento, all'interno di mezzi pubblici di trasporto, o commessi con violenza sulle cose, rispetto a processi per furto “semplice”. Proprio con riferimento all'ipotesi di furto aggravato dalla violenza sulle cose di cui all'art. 625 comma 1 n. 2 c.p., si possono porrei dei problemi interpretativi nel suo rapporto con il reato di danneggiamento. E ciò in quanto la condotta che integra l'aggravante della “violenza sulle cose” è fondamentalmente coincidente con quella che integra il delitto di danneggiamento ai sensi dell'art. 635 c.p. che necessità, ontologicamente, una forma di “violenza” sulla res. Il rapporto tra i due reati può essere, poi, particolarmente complesso nell'ipotesi in cui non si realizzi la condotta sottrattiva per ragioni estranee alla volontà dell'agente e quindi di tentato furto con violenza sulle cose, laddove, in assenza dell'impossessamento della res, i confini tra le due fattispecie diventano ancora più evanescenti, come nel caso del tentato furto con violenza su un'automobile esposta alla pubblica fede. L'analisi delle fattispecie: il danneggiamento La prima fattispecie da analizzare nel suo rapporto con il furto con violenza sulle cose è quella di danneggiamento. Bisogna, però, precisare, che in seguito all'entrata in vigore del d.lgs. n. 7/2016 è stato depenalizzato il cd. “danneggiamento semplice”, prevedendo che le condotte di danneggiamento poste in essere nei confronti di beni mobili, o immobili privati possano essere puniti penalmente solo quando la condotta sia connotata da violenza, o minaccia, salvo nel caso in cui la res sia una dei quelle indicate dal n. 7 dell'art. 625 c.p. In tutti gli altri casi, il legislatore ha scelto di fornire una tutela di tipo civilistico per i danni cagionati ai beni privati, introducendo delle sanzioni di tipo civile. Prendendo, però, in considerazione il rapporto con il furto con violenza sulle cose, l'esempio tipico del danneggiamento dell'automobile esposta “alla pubblica fede”, che integra la fattispecie di danneggiamento aggravato ai sensi del comma 2 dell'art. 635 c.p., può essere utile tanto per delineare i tratti tipici della fattispecie di danneggiamento, quanto per il suo rapporto con la fattispecie exartt. 624 e 625 comma 1 n. 2 c.p.. Nell'ipotesi prevista dal comma 2 dell'art. 635 c.p. ricadono i casi che non sono stati oggetto di depenalizzazione – ossia i casi di cd. “danneggiamento” aggravato – e, in particolare, con riferimento all'ipotesi dell'autovettura, viene punito chiunque distrugge, disperde, deteriora o rende, in tutto o in parte, inservibili edifici pubblici o destinati a uso pubblico o all'esercizio di un culto, ovvero su immobili i cui lavori di costruzione, di ristrutturazione, di recupero o di risanamento sono in corso o risultano ultimati, o su altre delle cose indicate nel numero 7 dell'articolo 625 c.p. In questa ultima categoria rientrano anche le cose “esposte alla pubblica fede”, tra cui rientrano, ovviamente, anche le autovetture parcheggiate e lasciate “incustodite”. In tal senso, la giurisprudenza di legittimità ha in più occasioni precisato che ai fini dell'integrazione dell'aggravante dei veicoli lasciati alla pubblica fede, non basta ad escludere la aggravante dell'esposizione alla pubblica fede un qualsiasi ostacolo frapposto alla sottrazione, ma occorre che l'ostacolo sia tale da affermare la non omissione della custodia e la difficoltà dell'intervento di terzi, per modo che il ladro non possa superare l'ostacolo senza dare l'allarme; onde ricorre l'aggravante nel caso di furto di automobile lasciata incustodita nella pubblica via, non avendo rilievo l'uso di congegni antifurto, sia perché le esigenze del traffico attuale hanno fatto sorgere la consuetudine di lasciare incustodito in luoghi pubblici il predetto mezzo di locomozione, sia perché l'ingegnosità dei delinquenti ha sempre trovato modo di superare tali ostacoli. Pertanto, la presenza di sistemi di allarme e videoregistrazione, se può facilitare una reazione contro il furto o il danneggiamento del bene esposto alla pubblica fede o l'individuazione del colpevole, non elimina quell'affidamento alla protezione assicurata dal senso di rispetto per l'altrui bene da parte di ciascun consociato, che è a fondamento della previsione normativa, sì da giustificare l'aggravamento della pena e nella fattispecie la persistente rilevanza penale della condotta (Cass. V, n. 51662/2017). Affinché si configuri in astratto il delitto di danneggiamento, nel caso di specie, è pertanto necessario che l'agente ponga in essere, sui beni che sono stati sopra indicati, una delle condotte previste dalla norma. Tutte le condotte menzionate sono diverse e differenti declinazioni di azioni atte a distruggere o a rendere inutilizzabili i beni altrui menzionati dalla norma. Uno scopo che può essere raggiunto attraverso: – la distruzione, ovvero l'annientamento della res, come può avvenire con la demolizione di un artefatto; – il deterioramento, ossia il porre in essere azioni atte a diminuire una delle funzioni strumentali di una cosa, la quale, pur rimanendo nella disponibilità del titolare, è interessata da una diminuzione del suo valore o del suo livello di utilizzabilità. Per esempio, una statua che viene imbrattata un una vernice indelebile; – la dispersione, che può inquadrarsi nell'allontanamento della cosa mobile dalla sfera di disponibilità dell'avente diritto, in modo che lo stesso non sia in grado di recuperarla, ovvero possa farlo con notevole difficoltà; – azioni volte a rendere inservibile la cosa, quindi condotte mediante le quali la res non potrà più svolgere, completamente o parzialmente, la propria funzione per un lasso temporale rilevante, senza giungere alla sua distruzione, alla sua dispersione o al suo deterioramento. Anche con riferimento alle condotte di “deterioramento” e “dispersione”, non è necessario che il danneggiamento sia “definitivo”. In tal senso la Suprema Corte ha ampiamente chiarito che, in tema di deterioramento, la condotta è comunque integrata allorquando una cosa venga resa inservibile, anche solo temporaneamente, all'uso cui è destinata, non rilevando, ai fini dell'integrazione della fattispecie, la possibilità di reversione del danno, anche se tale reversione avvenga non per opera dell'uomo, ma per la capacità della cosa di riacquistare la sua funzionalità nel tempo (Cass. IV, n. 9343/2011). Requisito fondamentale ai fini dell'integrazione del reato è l'altruità della cosa. In tal senso il requisito dell'“altruità” sarà integrato quando la res è in proprietà di altri, con conseguente esclusione della soggettività attiva per il proprietario; quando sulla stessa altri hanno un diritto di godimento o il possesso o la semplice detenzione, o una mera relazione di fatto. Sotto il profilo dell'elemento soggettivo, il delitto è punito a titolo di dolo generico e sarà pertanto necessario, cioè, che il danneggiante abbia, al momento della commissione del fatto, sia la coscienza e volontà di aggredire il bene, sia la consapevolezza che tale bene appartenesse ad altri. Mentre non rileva ai fini della qualificazione del dolo, lo scopo specifico di nuocere (Cass. II, n. 15102/2007). L'analisi delle fattispecie: il furto aggravato dalla violenza sulle cose Il reato di furto è senza dubbio la fattispecie più comune e tradizionale tra i delitti contro il patrimonio ed è disciplinata, nella sua ipotesi base, dall'art. 624 c.p. che punisce chiunque s'impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, al fine di trarne profitto per sé o per altri. La norma prevede, inoltre, espressamente che agli effetti della legge penale, si considera cosa mobile anche l'energia elettrica e ogni altra energia che abbia un valore economico. Il bene giuridico tutelato dall'art. 624 c.p. è, anche in questo caso, il patrimonio, inteso nella sua accezione “costituzionalmente orientata”, ovvero di bene funzionale alla conservazione, allo sviluppo e all'autonomia della persona umana, come derivazioni del diritto, costituzionalmente garantito, alla proprietà privata (art. 42 Cost.). In tal senso, non è tutelata soltanto la proprietà o la detenzione derivante da un titolo formale di un determinato bene. Come precisato dalle Sezioni Unite, infatti, è tutelato anche il possesso, inteso nella peculiare accezione propria della fattispecie, costituito da una detenzione qualificata, cioè da un'autonoma relazione di fatto con la cosa, che implica il potere di utilizzarla, gestirne o disporne ed è quindi tutelata la mera relazione di fatto con il bene, che non ne richiede necessariamente la fisica e diretta disponibilità e può configurarsi anche in assenza di un titolo giuridico, nonché quando si costituisce in modo clandestino o illecito (Cass. S.U., n. 40354/2013). L'oggetto materiale del reato di furto è la cosa mobile altrui, ossia qualsiasi entità di cui sia possibile la fisica detenzione, sottrazione, impossessamento od appropriazione e che possa essere trasportata da un luogo ad un altro, compresa quella che, pur non mobile originariamente, sia resa tale mediante l'avulsione o l'enucleazione dal complesso immobiliare di cui faceva parte (Cass. S.U. , n. 19054/2013). Come si desume anche dalla mera littera legis, nella categoria rientrano beni di qualsiasi natura – anche la stessa energia elettrica – che possa avere un qualsiasi valore economico, compresi beni materiali, fungibili o infungibili, beni immobili mobilizzati e dunque asportabili, che possano essere sottratti e potenzialmente oggetto di appropriazione (Cass. IV, n. 26678/2009). La condotta punita dalla norma è quella della sottrazione volta all'impossessamento della res. La sottrazione comporta la privazione della cosa dalla disponibilità materiale di chi la detiene. La giurisprudenza di legittimità ha chiarito che tale impossessamento può essere anche solo momentaneo ed è sufficiente che la cosa mobile altrui sia passata, anche solo per breve tempo, sotto l'autonoma disponibilità dell'agente (Cass. V, n. 7047/2008). Sotto il profilo dell'elemento soggettivo, il reato è punito a titolo di dolo specifico, in quanto l'azione si connota per una peculiare direzione finalistica dell'agire: il soggetto agente è infatti spinto dalla volontà di raggiungere un profitto per sé o per altri derivante dall'impossessamento della cosa. Come evidenziato in sede di inquadramento, tale fattispecie può essere integrata con le più disparate modalità che, in moltissimi casi, possono integrare una delle circostanze aggravanti previste dall'art. 625 c.p. Tra esse, una di quelle che si realizza più di sovente è quella prevista dal comma 1, n. 2 della predetta norma, ossia se viene usata “violenza sulle cose”. In questo caso alla condotta base di sottrazione per ottenere l'impossessamento, si aggiunge un quid pluris derivante dall'utilizzo di una violenza volta vincere una “resistenza” della res. Pensiamo ad una serratura di un'automobile, ad un presidio volto a tutela di un oggetto, su cui viene esercitata ogni forma possibile di danneggiamento. Inoltre, secondo la Suprema Corte, l'aggravante sussiste anche quando l'energia fisica sia rivolta dal soggetto non sulla res oggetto dell'azione predatoria, ma verso lo strumento posto a sua protezione, purché sia stata prodotta una qualche conseguenze su di esso, provocando la rottura, il guasto, il danneggiamento, la trasformazione della cosa altrui o determinandone il mutamento di destinazione (Cass. V, n. 20476/2018). È di tutta evidenza, pertanto, che nel caso dell'aggravante di cui all'art. 625 comma 1 n. 2, il quid pluris richiesto dalla norma coincide, pressoché integralmente, con le condotte di danneggiamento previste dall'art. 635 c.p. 2. Questioni e orientamenti giurisprudenziali
Domanda
Quali sono i confini tra la fattispecie di furto aggravato con violenza sulle cose e di danneggiamento?
Rapporto tra la fattispecie di furto aggravato (tentato o consumato) e di danneggiamento Come osservato in precedenza, essendo la condotta prevista dalla fattispecie di furto aggravato ai sensi del n. 2 dell'art. 625 comma 1 c.p. la medesima di quella di danneggiamento, sono sorte delle problematiche interpretative afferenti al rapporto tra i due delitti. Un rapporto che diventa ancor più complesso nei casi in cui non avvenga la sottrazione della res e si ricada, pertanto, nell'ambito del tentativo. Prendendo proprio l'esempio di un'autovettura parcheggiata in una strada pubblica, la cui portiera viene forzata con distruzione della serratura volta alla sottrazione e al successivo impossessamento del bene, obiettivo che non viene raggiunto dal malintenzionato per fattori esterni. In questo caso l'aggravante di cui all'art. 625 comma 1 n. 2 c.p. si sarebbe senz'altro realizzata, in quanto la violenza posta sulla cosa si pone in un rapporto causale diretto con la condotta di sottrazione. E ciò in quanto l'azione violenta è diretta proprio all'eliminazione di ostacoli e resistenze frapposti dalla cosa su cui la condotta si va ad esplicare, che impedisce la sottrazione “immediata”. Condotta violenta che deve essere, ovviamente, antecedente o contestuale alla sottrazione e riguardare la res che si intende sottrarre, o su una cosa posta alla sua difesa, mentre nel caso in cui in occasione del furto, venga posta in essere una successiva, ultronea condotta di danneggiamento su un'altra cosa, ovviamente tale azione deve essere valutata autonomamente e possono concorrere i reati di furto e di danneggiamento. Negli altri casi, invece, come evidenziato dalla Corte di Cassazione, la fattispecie di danneggiamento sarà assorbita da quella di furto aggravato e per distinguere le due fattispecie, sarà dirimente esaminare la finalità perseguita dall'agente. Secondo la Corte, infatti, poiché i due reati si distinguono non per la materialità del fatto, che può essere identica, ma per la finalità della condotta, occorre valutare le modalità dell'azione, i mezzi impiegati per realizzarla, nonché le caratteristiche strutturali della cosa, per stabilire se l'intenzione dell'agente fosse diretta all'impossessamento della cosa mobile (e in questo caso la fattispecie di danneggiamento sarà assorbita da quello di furto aggravato), o, invece, al mero deterioramento della stessa (Cass. V, n. 7559/2019). In particolare, nella predetta sentenza, la Corte ha precisato che, chi compie atti idonei, diretti in modo non equivoco a commettere un delitto, risponde di delitto tentato, se l'azione non si compie o l'evento non si verifica, con la conseguenza che è ben configurabile il delitto di tentativo di furto nel caso in cui l'agire del reo si arresti anche in un momento antecedente rispetto all'esaurimento della condotta di sottrazione della cosa mobile: di modo che, ove l'azione protesa alla sottrazione – intesa come distacco – del bene abbia luogo utilizzando la violenza, il criterio per distinguere la fattispecie di tentativo di furto con violenza sulla cosa da quella di tentativo di danneggiamento va individuato nella direzione della volontà del soggetto agente verso la sottrazione della cosa mobile in vista del successivo impossessamento, siccome desunta dalle circostanze del fatto, singolarmente e globalmente considerate, univocamente deponenti nel senso indicato. Il giudice dovrò, pertanto, operare tale indagine e valutare il fine ultimo perseguito dall'agente. Va, dunque affermato che, allo scopo di operare la qualificazione del fatto come tentativo di furto aggravato dalla violenza sulla cosa piuttosto che come tentativo di danneggiamento della stessa, poiché i due reati si distinguono non per la materialità del fatto, che può essere identica, ma per l'elemento intenzionale, onde identificare lo specifico finalismo dell'azione – verso l'impossessamento della cosa mobile ovvero verso il deterioramento della stessa – occorre valutare le modalità dell'azione, i mezzi per realizzarla, le caratteristiche strutturali della cosa mobile, così da trarne elementi univocamente deponenti per l'uno o per l'altro orientamento della condotta del soggetto agente. In tal senso, in una recente sentenza (Cass. V, n. 36022/2022) relativa al furto di olive da una piantagione, la Corte di Cassazione ha ritenuto configurabile il furto aggravato dall'art. 625 comma 1 n. 2 nella cd. “battitura” dei rami, ovvero la recisione di alcuni rami dell'albero avvenuta durante la raccolta/ sottrazione dei frutti. La Corte ha ritenuto infondata la tesi difensiva secondo la quale non potrebbe considerarsi integrato il requisito della violenza, atteso che le olive sarebbero state raccolte mediante la battitura, che è una semplice tecnica di raccolta. E ciò in quanto l'aggravante della violenza sulle cose sussiste, in generale, qualora il soggetto usi energia fisica per commettere il fatto, provocando la rottura, il guasto, il danneggiamento, la trasformazione della cosa altrui o determinandone il mutamento di destinazione. In tal senso, come già evidenziato dalla precedente giurisprudenza (Cass. V, n. 37988/2021), l'abbattimento o la recisione di rami di un albero piantato al suolo (o anche la semplice potatura, se effettuata invito domino), in quanto rottura o danneggiamento dell'albero (nella sua parte legnosa), integra l'aggravante della violenza sulle cose e di conseguenza, quella particolare tecnica di raccolta, utilizzata per “accelerare i tempi” della sottrazione, è stata correttamente identificata come violenza, consistita nella battitura dell'albero e nella conseguente recisione di alcuni rami. 3. Azioni processualiUlteriori attività difensive Per la fattispecie in esame si possono esperire le seguenti ulteriori attività difensive: Istanza di sequestro conservativo della parte civile (art. 316); Memoria difensiva al pubblico ministero (art. 367); Richiesta di presentazione spontanea per rilasciare dichiarazioni (art. 374); Richiesta di giudizio abbreviato (art. 438, comma 1); Opposizione a decreto penale di condanna (art. 461); Istanza di sospensione del procedimento con messa alla prova (art. 464-bis, comma 1). Procedibilità Il furto aggravato exartt. 624 e 625, comma 1, n. 2 c.p. è stato, fino ad oggi, perseguito d'ufficio. Con la cd. “Riforma Cartabia” in vigore, come stabilito dal d.l. n. 162/2022, convertito in l. n. 199/2022, dal 30 dicembre 2022, ma in seguito all'entrata in vigore del d.lgs. n. 150/2022 (decreto attuativo della cd. Riforma Cartabia), il reato è diventato perseguibile a querela della persona offesa. Quanto al regime di procedibilità, è stata introdotta una riforma disciplina transitoria modificata, in sede di conversione, dalla l. n. 199 del 2022. In particolare, l'art. 85 prevede: – l'immediata applicazione delle nuove norme per quanto attiene ai reati commessi a far data dal 30.12.2022; – che il soggetto legittimato a proporre querela che abbia avuto in precedenza notizia “del fatto costituente reato”, possa sporgere querela nel termine ordinario di tre mesi dall'entrata in vigore della novella, e quindi dal 30.12.2022. In considerazione di tali disposizioni e dell'abrogazione, in sede di conversione, di alcune delle disposizioni previste dall'originaria disciplina transitoria dettata dal d.lgs n. 150/2022, si ricava che: – se il soggetto legittimato a proporre querela non ha avuto in precedenza notizia “del fatto costituente reato”, il termine per sporgere querela segue le regole ordinarie e si computa da momento in cui il soggetto ha avuto conoscenza del fatto di reato; – nei casi in cui è già pendente procedimento penale, avendo il soggetto legittimato conoscenza del fatto costituente reato, in forza della modifica al regime di procedibilità, questi dovrrà presentare querela entro tre mesi dal 30.12.2022. Si precisa che, in virtà delle ultime modifiche alla disciplina transitoria disposte in sede di conversione, nessun onere di informare la p.o. di tale facoltà incombe sul giudice procedente, presumendosi, pertanto, che la p.o. debba avere conoscenza della novella. Infine, il summenzionato art. 85 prevede che, in considerazione della modifica del regime di procedibilità del reato, in caso di applicazione di misure cautelari personali in corso di esecuzione, queste perdano di efficacia se, entro venti giorni dalla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 150 del 2022 (e quindi entro il 19/01/2023) l'autorità giudiziaria non acquisisca la querela. A tal fine è previsto che la predetta Autorità effettui ogni utile ricerca della p.o., anche avvalendosi della polizia giudiziaria. Durante la pendenza del predetto termine di venti giorni, i termini di cui all'art. 303 c.p.p. sono sospesi. Durante la pendenza del termine per proporre querela, si applica quanto disposto dall'art. 346 c.p.p. in tema di atti compiuti in mancanza di condizioni di procedibilità. Per quanto attiene al reato di cui all'art. 635 comma 2 n. 1, questo rimane perseguibile d'ufficio. Anche in seguito all'approvazione della Riforma Cartabia, il legislatore ha scelto di non modificare il regime di procedibilità dell'ipotesi aggravata di cui al comma 2 poiché, come rilevato nella relazione illustrativa, “vengono in rilievo ipotesi di danneggiamento di beni pubblici o, comunque, di interesse o utilità pubblica”. Improcedibilità delle impugnazioni (e prescrizione del reato) Per le condotte punite dagli artt. 635 comma 2 n. 1 e 624-625 comma 1 n. 2 c.p., il termine-base di prescrizione è pari ad anni sei, trattandosi di delitti (cfr. art. 157 c.p.). Tale termine, in presenza di eventuali atti interruttivi, può essere aumentato fino ad un massimo di sette anni e sei mesi (cfr. artt. 160 e 161 c.p.), al netto dei periodi di sospensione (cfr. artt. 159 e 161 c.p.). A partire dal 1° gennaio 2020 (cfr. art. 2, comma 3, l. n. 134/2021), per tutte le ipotesi previste dalla norma in parola, costituiscono causa di improcedibilità dell'azione penale ex art. 344-bis c.p.p., la mancata definizione: – del giudizio di appello entro il termine di due anni; – del giudizio di cassazione entro il termine di un anno. Tali termini possono essere ulteriormente estesi quando il giudizio d'impugnazione risulta particolarmente complesso in ragione del numero delle parti o del numero o della complessità delle questioni di fatto o di diritto da trattare. In ogni caso, la proroga potrà essere disposta per un periodo non superiore ad un anno nel giudizio di appello ed a sei mesi nel giudizio di cassazione, salva la sospensione prevista dall'art. 344-bis, comma 6, c.p.p. e quanto previsto dalla normativa transitoria (cfr. art. 2, commi 4 e 5, l. n. 134/2021). Misure precautelari e cautelari Arresto e fermo Con riguardo al delitto di cui all'art. 635 comma 2 n. 1: – è consentito esclusivamente l'arresto facoltativo in flagranza di reato (art. 381, comma 2, c.p.p.); – non è consentito il fermo di indiziato di delitto (art. 384 c.p.p.). Con riferimento al delitto di cui al furto aggravato ai sensi dell'art. 625 comma 1 n. 2 c.p.: – è previsto l'arresto obbligatorio in flagranza (art. 380 comma 2 lett. e) c.p.p.); – è previsto il fermo solo nel caso in cui l'aggravante in parola concorra con una o più circostanze prevista nell'art. 625 c.p., o don una tra quelle indicate nell'art. 61 c.p. Misure cautelari personali Per il danneggiamento aggravato, in considerazione del limite edittale pari a tre anni di reclusione e del combinato disposto dell'art. 391 comma 5 e 381 comma 2 lett. h) c.p.p., sono applicabili misure cautelari coercitive (artt. 281-286-bis c.p.p.), consentendo l'art. 280, comma 1, c.p.p. di applicare dette misure ai soli delitti per i quali la legge stabilisce la pena della reclusione superiore nel massimo a tre anni e prevedendo i summenzionati artt. 391 e 381 c.p.p. la possibilità, in caso di arresto facoltativo in flagranza, di applicare la misura anche al di fuori dei limiti edittali. Per quanto attiene al delitto di furto aggravato, per il quale è prevista una pena fino a sei anni di reclusione, saranno altrettanto applicabili le misure coercitive, compresa quella della custodia cautelare in carcere essendo previsto dall'art. 280, co. 2, c.p.p., l'applicazione di detta misura in caso di delitti per i quali la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni. Misura che, invece, non sarà applicabile in caso di danneggiamento aggravato. Competenza, forme di citazione a giudizio e composizione del tribunale Competenza Sia nel caso di danneggiamento aggravato, sia in quello di cui agli artt. 624 e 625 comma 1 n. 2 è competente il Tribunale in composizione monocratica. Udienza preliminare Essendo la pena massima prevista inferiore a quattro anni, si procederà con citazione diretta a giudizio (cfr. art. 550 c.p.p.) in caso di danneggiamento aggravato. Allo stesso modo, in deroga alle ordinarie previsioni dettate dal primo comma dell'art. 550 c.p.p., si procederà con citazione diretta a giudizio anche in caso di furto aggravato, nonostante la pena prevista sia superiore ai quattro anni (art. 550 comma 2 c.p.p.). Composizione del tribunale Per entrambi i reati nelle forme aggravate, il processo si svolgerà sempre dinanzi al tribunale in composizione monocratica. 4. ConclusioniAlla luce di quanto sopra esposto, nel caso, che è stato menzionato nelle premesse, del tentato furto con violenza su un'automobile esposta alla pubblica fede si configurerà la fattispecie di cui agli artt. 624 e 625 comma 1 n. 2 c.p. e non quella di danneggiamento. E ciò in quanto la violenza posta sulla cosa è ontologicamente connessa alla condotta sottrattiva, essendo essa finalizzata a si pone in un rapporto causale diretto con la condotta di sottrazione. L'azione violenta, in questo caso, è diretta proprio all'eliminazione di ostacoli e resistenze frapposti dalla cosa su cui la condotta si va ad esplicare. Dovrà, comunque, operarsi un'analisi del singolo caso perché, ovviamente, nell'ipotesi in cui venga posta in essere una successiva, ultronea condotta di danneggiamento su un'altra cosa (ad esempio, viene rigata l'autovettura che si è tentato di sottrarre), ovviamente tale azione deve essere valutata autonomamente e potranno concorrere i reati di furto e di danneggiamento. |