Danneggiamento con violenza o minaccia sulle persone: contestualità delle azioni

IRMA CONTI

1. Bussole di inquadramento

Nel contesto dei reati contro il patrimonio, una delle fattispecie più codificate e che, fino a pochi anni fa, era al centro di tantissimi processi nella quotidianità giudiziaria è quella di danneggiamento (art. 635 c.p.).

Una fattispecie che, originariamente, tutelava il patrimonio della persona offesa da tutte quelle condotte che mettevano a repentaglio l'integrità e l'utilizzabilità di cose mobili o immobili e che oggi, in seguito all'entrata in vigore del d.lgs. n. 7/2016, limita in modo rilevante l'ambito di punibilità delle condotte criminose.

E ciò in quanto con la suddetta legge è stato depenalizzato il cd. “danneggiamento semplice”, prevedendo che le condotte di danneggiamento poste in essere nei confronti di beni mobili, o immobili privati possano essere puniti penalmente solo quando la condotta sia connotata da violenza, o minaccia sulle persone, o nei casi in cui le condotte siano poste in essere in occasione del reato di interruzione di pubblico servizio (cfr. art. 331 c.p.) e, con riferimento alle cose mobili, nel caso in cui la res sia una dei quelle indicate dal n. 7 dell'art. 625 c.p.

In tutti gli altri casi è punito soltanto il cd. “danneggiamento aggravato”, ossia quello perpetrato contro determinati beni individuati dal comma 2 dell'art. 635 c.p., o in occasione di manifestazioni che si svolgono in luogo pubblico, o aperto al pubblico ai sensi del comma 3.

Pertanto, oggi l'ipotesi “base” di danneggiamento di beni mobili, o immobili “privati” è punita solo in caso di azione posta in essere con violenza, o minaccia, o in occasione del reato di cui all'art. 331 c.p.

Ciononostante, per le modalità proprie in cui può inserirsi nella condotta “danneggiante” la violenza o la minaccia, possono porsi delle rilevanti questioni in ordine alla contestualità o meno richiesta ai fini dell'integrazione della fattispecie e alla loro riconducibilità all'azione danneggiante.

Come può avvenire nel caso in cui ad una minaccia segua, in modo quasi del tutto scollegato anche sotto un profilo temporale, una condotta di danneggiamento di un'autovettura.

L'analisi delle fattispecie: il danneggiamento

Prima di prendere in considerazione la questione dell'inserimento della condotta violenta o minacciosa nel paradigma dell'art. 635 c.p. è necessario operare un excursus della fattispecie al fine di tratteggiarla in tutti i suoi elementi.

Come osservato in sede di inquadramento, essendo stato depenalizzato il cd. “danneggiamento semplice” in seguito all'entrata in vigore del D.Lgs. n. 7/2016, saranno punite solo le ipotesi aggravate di danneggiamento, ossia quelle poste in essere con violenza o minaccia alla persona, quelle commesse in occasione del reato di cui all'art. 331 c.p. e quelle sanzionate dai commi 2 e 3 dell'art. 635 c.p.

In tutti gli altri casi, il legislatore ha scelto di fornire una tutela di tipo civilistico per i danni cagionati ai beni privati, prevedendo delle sanzioni di tipo civile.

Considerando i casi di danneggiamento aggravato previsto dal primo comma, viene punito chiunque distrugge, disperde, deteriora o rende, in tutto o in parte, inservibili cose mobili, o immobili altrui con violenza alla persona, o minaccia, ovvero in occasione del delitto previsto dall'art. 331 c.p.

Affinché si configuri in astratto il delitto di danneggiamento, nel caso di specie, è pertanto necessario che l'agente ponga in essere, in primis, una delle condotte “danneggianti” previste dalla norma.

Tutte le condotte menzionate sono diverse e differenti declinazioni di azioni atte a distruggere o a rendere inutilizzabili i beni altrui menzionati dalla norma.

Uno scopo che può essere raggiunto attraverso:

– la distruzione, ovvero l'annientamento della res, come può avvenire con la demolizione di un artefatto;

– il deterioramento, ossia il porre in essere azioni atte a diminuire una delle funzioni strumentali di una cosa, la quale, pur rimanendo nella disponibilità del titolare, è interessata da una diminuzione del suo valore o del suo livello di utilizzabilità. Per esempio, una statua che viene imbrattata un una vernice indelebile;

– la dispersione, che può inquadrarsi nell'allontanamento della cosa mobile dalla sfera di disponibilità dell'avente diritto, in modo che lo stesso non sia in grado di recuperarla, ovvero possa farlo con notevole difficoltà;

– azioni volte a rendere inservibile la cosa, quindi condotte mediante le quali la res non potrà più svolgere, completamente o parzialmente, la propria funzione per un lasso temporale rilevante, senza giungere alla sua distruzione, alla sua dispersione o al suo deterioramento.

Con riferimento alle condotte di “deterioramento” e “dispersione”, non è comunque richiesto un danneggiamento che renda “inservibile” la cosa in via definitiva. In tal senso la Suprema Corte ha ampiamente chiarito che, in tema di deterioramento, la condotta è comunque integrata allorquando una cosa venga resa inservibile, anche solo temporaneamente, all'uso cui è destinata, non rilevando, ai fini dell'integrazione della fattispecie, la possibilità di reversione del danno, anche se tale reversione avvenga non per opera dell'uomo, ma per la capacità della cosa di riacquistare la sua funzionalità nel tempo (Cass. IV, n. 9343/2011).

Ulteriore elemento cardine del reato è rappresentato dall'altruità della res.

In tal senso non è richiesto comunque un “titolo” giuridico che qualifichi tale altruità, essendo la norma integrata, sia quando la cosa è di proprietà altrui, sia quando altri vantano sulla stessa un diritto di godimento, o un semplice possesso per detenzione, o una mera relazione di fatto col bene.

La fattispecie può essere integrata anche attraverso il deterioramento di energie naturali, come sancito dalla Suprema Corte con riferimento ad un caso di inquinamento idrico (Cass. IV, n. 9343/2011).

Si osserva, inoltre, che proprio con riferimento alla tutela ambientale, ai sensi dell'art. 2 comma 10 del d.l. 23 maggio 2008, n. 90 recante “Misure straordinarie per fronteggiare l'emergenza nel settore dello smaltimento dei rifiuti nella Regione Campania e ulteriori disposizioni di protezione civile”, l'art. 635, comma 2, c.p. è integrato anche in caso di condotte di danneggiamento in danno di componenti impiantistiche e beni strumentali connessi alla gestione dei rifiuti.

Restano esclude dalla tutela esclusivamente le res nullius o le res derelictae in quando viene meno, in questi casi, proprio il requisito dell'altruità.

Come più volte evidenziato, in seguito alla depenalizzazione del danneggiamento semplice, oltre ai casi in cui la condotta sia posta in essere nel contesto dell'interruzione di pubblico servizio, la fattispecie potrà essere configurata solo in caso di uso di violenza o minaccia sulle persone, intese come condotte funzionali a coartare la volontà della persona offesa, o attraverso l'utilizzo della forza, oppure attraverso la prospettazione di un male futuro e ingiusto.

Sotto il profilo dell'elemento soggettivo, il delitto è punito a titolo di dolo generico e sarà pertanto necessario, cioè, che il danneggiante abbia, al momento della commissione del fatto, sia la coscienza e volontà di aggredire il bene, sia la consapevolezza che tale bene appartenesse ad altri. Mentre non rileva ai fini della qualificazione del dolo, lo scopo specifico di nuocere (Cass. II, n. 15102/2007).

2. Questioni e orientamenti giurisprudenziali

Domanda
In che caso la condotta violenta o minacciosa può integrare il delitto di danneggiamento?

Rapporto tra la condotta danneggiante e quella violenta o minacciosa

Come osservato in precedenza, la violenza o la minaccia alla persona rappresenta l'unica modalità – esclusa quella prevista in occasione del reato di cui all'art. 331 c.p.– attraverso la quale può, generalmente, essere integrato il danneggiamento in danno di beni mobili, o immobili privati.

Al fine di comprendere quando il reato può dirsi o meno integrato, è opportuno comprendere se sussista o meno la necessità di un rapporto di strumentalità rispetto alla condotta “danneggiante” e se, sotto un profilo “temporale”, le due condotte debbano essere tra loro contestuali.

Ad esempio, se fosse richiesto un rapporto di strumentalità tra le condotte, le minacce o la violenza dovrebbero essere esclusivamente dirette a vincere la resistenza della persona offesa, con riferimento al bene oggetto di danneggiamento (ad esempio, violenza per costringere taluno a lasciare la presa sul bene che si intende danneggiare).

Allo stesso modo, ove fosse necessaria una contestualità tra le due azioni, non potrebbero essere punibili a titolo di danneggiamento aggravato, condotte poste in essere in tempi e contesti non direttamente collegati.

Su tali temi, la giurisprudenza ha affermato che, perché sia integrata la fattispecie (che inizialmente costituiva un'ipotesi di circostanza aggravante sanzionata dall'art. 635, cpv., n. 1 c.p.) è necessario che la violenza o la minaccia sia accompagnino al danneggiamento, ma non è necessario che la violenza o la minaccia rappresentino un mezzo per vincere l'altrui resistenza. Al contrario, è sufficiente che siano contestuali al fatto produttivo del danneggiamento, nel senso che il danneggiamento deve essere stato compiuto quando è ancora in atto la condotta violenta o minacciosa tenuta dall'agente (Cass. II, n. 1377/2014).

Pertanto, qualora l'attività violenta o intimidatrice sia esercitata non già al diretto e immediato fine di danneggiare bensì con l'intento di costringere il soggetto passivo alla consegna della cosa da lui detenuta per poterla successivamente danneggiare, la violenza o la minaccia, non essendo contestuali al danneggiamento, lungi dal rimanere assorbite nel delitto di danneggiamento quali circostanze aggravanti di quest'ultimo, integrano il più grave delitto di violenza privata. Si tratta, infatti, di fattispecie diverse che non danno origine a casi di reato complesso, ma a concorso di reati autonomi, in quanto la strumentalità della violenza, che nel primo reato è volta al fine di costringere altri a fare o ad omettere qualcosa, fuoriesce dallo schema tipico del secondo reato, in cui è sufficiente che la violenza sia fine a sé stessa o tutt'al più che sia compiuta al fine di danneggiare (Cass. V, n. 13550/2015).

Pertanto, secondo il principio generale ormai tracciato dall'unanime giurisprudenza di legittimità, il reato di danneggiamento commesso con violenza alla persona o con minaccia, nel testo riformulato dall'art. 2, lett. l), d.lgs. 15 gennaio 2016, n. 7, è configurabile anche nel caso in cui non sussiste un nesso di strumentalità tra la condotta violenta o minacciosa e l'azione di danneggiamento, posto che la ragione della incriminazione deve essere ravvisata nella maggiore pericolosità manifestata dall'agente nella esecuzione del reato, purché le condotte possano essere considerate temporalmente contestuali (Cass. V, n. 15643/2019).

Su tale ultimo aspetto, in considerazione dell'assenza di una necessaria strumentalità delle condotte, possono sorgere delle problematiche interpretative in ordine al concetto di “contestualità”.

In tal senso, riprendendo l'esempio delle minacce che precedono sia temporalmente, che a livello di luogo il danneggiamento di un'autovettura, la Corte di Cassazione (Cass. I, n. 5205/2019) ha escluso l'integrazione della fattispecie.

In particolare, la sentenza in parola è relativa ad un ricorso presentato avverso un'ordinanza emessa dalla Corte di appello, in qualità di giudice dell'esecuzione, che sull'opposizione proposta dall'imputato confermava il provvedimento opposto con il quale aveva rigettato l'istanza volta ad ottenere la revoca della sentenza di condanna del ricorrente a per il delitto di danneggiamento, rilevando che il fatto risultava essere stato commesso unitamente ad una minaccia rivolta alla persona offesa, sicché esso manteneva la sua rilevanza penale.

In particolare, essendo intervenuta la depenalizzazione del cd. “danneggiamento semplice”, il ricorrente aveva sostenuto l'insussistenza del reato, atteso che l'imputato aveva minacciato la persona offesa e poi, dopo una ventina di minuti, questa si era avveduta dell'avvenuto danneggiamento di uno pneumatico della propria vettura, tanto che è stata esclusa l'ipotesi del concorso formale tra reati, l'unica che avrebbe reso configurabile la connessione, exd.lgs. n. 274 del 2000, art. 6, tra il procedimento per minacce e quello per danneggiamento, ed è stata ravvisata la sola continuazione.

La Corte di Cassazione ha accolto il motivo di ricorso, osservando come non è in dubbio (e lo stesso provvedimento impugnato non lo nega) che, nel caso in esame, i fatti – l'intimidazione e il danneggiamento – non sono stati realizzati contestualmente, ossia l'uno mentre aveva luogo l'altro, avendo l'imputato dapprima minacciato la persona offesa e quindi, esaurita la prima condotta e sia pure in un lasso di tempo minimo, ne aveva danneggiato l'autovettura, come solo successivamente constatato dalla parte lesa.

Essendoci un seppur minimo lasso temporale non si ravvisa una contestualità tra le azioni e pertanto, in considerazione della più volte menzionata depenalizzazione dell'ipotesi di reato “semplice”, non può ritenersi integrata la fattispecie di cui all'art. 635 c.p.

3. Azioni processuali

Ulteriori attività difensive

Per la fattispecie in esame si possono esperire le seguenti ulteriori attività difensive: Istanza di sequestro conservativo della parte civile (art. 316); Memoria difensiva al pubblico ministero (art. 367); Richiesta di presentazione spontanea per rilasciare dichiarazioni (art. 374); Richiesta di giudizio abbreviato (art. 438, comma 1); Opposizione a decreto penale di condanna (art. 461).

Procedibilità

Il reato di cui all'art. 635 comma 1 c.p., commesso con violenza sulla persona o minaccia è stato perseguibile d'ufficio fino all'emanazione del d.lgs. n. 150/2022 (decreto attuativo della cd. “Riforma Cartabia”) entreto in vigore, con modifiche, il 30.12.2022, in seguito al rinvio disposto con d.l. n. 162/2022, ad opera della l. n. 199/2022. Con l'entrata in vigore della riforma, il reato di danneggiamento commesso con violenza o minaccia sulla persona è diventato perseguibile a querela, salvo nel caso in cui i fatti siano commessi in occasione del delitto previsto dall'art. 331 c.p.p., oppure quando la persona offesa è incapace per età o per infermità. Anche in questo caso, oltre ad aver uniformato il regime di procedibilità d'ufficio rispetto alle altre fattispecie contro il patrimonio nel caso in cui la persona offesa si trovi in condizione di particolare vulnerabilità, è stata confermata la maggiore rilevanza connessa ai reati commessi nel contesto di una dimensione di natura pubblicistica, come quella relativa al delitto di interruzione di pubblico servizio punito dall'art. 331 c.p.p.

Quanto al regime di procedibilità, è stata introdotta una riforma disciplina transitoria modificata, in sede di conversione, dalla l. n. 199 del 2022.

In particolare, l'art. 85 prevede:

– l'immediata applicazione delle nuove norme per quanto attiene ai reati commessi a far data dal 30.12.2022;

– che il soggetto legittimato a proporre querela che abbia avuto in precedenza notizia “del fatto costituente reato”, possa sporgere querela nel termine ordinario di tre mesi dall'entrata in vigore della novella, e quindi dal 30.12.2022.

In considerazione di tali disposizioni e dell'abrogazione, in sede di conversione, di alcune delle disposizioni previste dall'originaria disciplina transitoria dettata dal d.lgs. n. 150/2022, si ricava che:

– se il soggetto legittimato a proporre querela non ha avuto in precedenza notizia “del fatto costituente reato”, il termine per sporgere querela segue le regole ordinarie e si computa da momento in cui il soggetto ha avuto conoscenza del fatto di reato;

– nei casi in cui è già pendente procedimento penale, avendo il soggetto legittimato conoscenza del fatto costituente reato, in forza della modifica al regime di procedibilità, questi dovrrà presentare querela entro tre mesi dal 30.12.2022. Si precisa che, in virtà delle ultime modifiche alla disciplina transitoria disposte in sede di conversione, nessun onere di informare la p.o. di tale facoltà incombe sul giudice procedente, presumendosi, pertanto, che la p.o. debba avere conoscenza della novella.

Infine, il summenzionato art. 85 prevede che, in considerazione della modifica del regime di procedibilità del reato, in caso di applicazione di misure cautelari personali in corso di esecuzione, queste perdano di efficacia se, entro venti giorni dalla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 150 del 2022 (e quindi entro il 19/01/2023) l'autorità giudiziaria non acquisisca la querela. A tal fine è previsto che la predetta Autorità effettui ogni utile ricerca della p.o., anche avvalendosi della polizia giudiziaria. Durante la pendenza del predetto termine di venti giorni, i termini di cui all'art. 303 c.p.p. sono sospesi.

Quest'ultima disposizione, comunque, non si applica al danneggiamento ex art. 635 comma 1 c.p.

Durante la pendenza del termine per proporre querela, si applica quanto disposto dall'art. 346 c.p.p. in tema di atti compiuti in mancanza di condizioni di procedibilità.

Improcedibilità delle impugnazioni (e prescrizione del reato)

Per le condotte punite dagli artt. 635 comma 1 c.p., il termine-base di prescrizione è pari ad anni sei, trattandosi di delitti (cfr. art. 157 c.p.).

Tale termine, in presenza di eventuali atti interruttivi, può essere aumentato fino ad un massimo di sette anni e sei mesi (cfr. artt. 160 e 161 c.p.), al netto dei periodi di sospensione (cfr. artt. 159 e 161 c.p.).

A partire dal 1° gennaio 2020 (cfr. art. 2, comma 3, l. n. 134/2021), per tutte le ipotesi previste dalla norma in parola, costituiscono causa di improcedibilità dell'azione penale ex art. 344-bis c.p.p., la mancata definizione:

– del giudizio di appello entro il termine di due anni;

– del giudizio di cassazione entro il termine di un anno.

Tali termini possono essere ulteriormente estesi quando il giudizio d'impugnazione risulta particolarmente complesso in ragione del numero delle parti o del numero o della complessità delle questioni di fatto o di diritto da trattare.

In ogni caso, la proroga potrà essere disposta per un periodo non superiore ad un anno nel giudizio di appello ed a sei mesi nel giudizio di cassazione, salva la sospensione prevista dall'art. 344-bis, comma 6, c.p.p. e quanto previsto dalla normativa transitoria (cfr. art. 2, commi 4 e 5, l. n. 134/2021).

Disposizione, quest'ultima, comunque non applicabile in caso di danneggiamento ex art. 635 comma 1 c.p.

Durante la pendenza del termine per proporre querela, si applica quanto disposto dall'art. 346 c.p.p. in tema di atti compiuti in mancanza di condizioni di procedibilità.

Misure precautelari e cautelari

Arresto e fermo

Con riguardo al delitto di cui all'art. 635 comma 1 c.p.:

– non è consentito l'arresto facoltativo in flagranza di reato (art. 381, co. 2, c.p.p.) essendo previsto solo per l'ipotesi di cui al comma 2;

– non è consentito il fermo di indiziato di delitto (art. 384 c.p.p.).

Misure cautelari personali

Per il danneggiamento previsto dal primo comma dell'art. 635 c.p., in considerazione del limite edittale pari a tre anni di reclusione, nonostante la parificazione delle pene previste per il primo e il secondo comma in seguito alla depenalizzazione del danneggiamento semplice, non sono applicabili misure cautelari coercitive (artt. 281-286-bis c.p.p.) in quanto, sulla base del combinato disposto dell'art. 391 comma 5 e 381 comma 2 lett. h) c.p.p., esse sono applicabili solo per il danneggiamento aggravato ai sensi del secondo comma dell'art. 635 c.p.

Competenza, forme di citazione a giudizio e composizione del tribunale

Competenza

Competente è il Tribunale in composizione monocratica.

Udienza preliminare

Essendo la pena massima prevista inferiore a quattro anni, si procederà con citazione diretta a giudizio (cfr. art. 550 c.p.p.).

Composizione del tribunale

Il processo si svolgerà sempre dinanzi al tribunale in composizione monocratica.

4. Conclusioni

La giurisprudenza di legittimità, anche con riferimento al caso di specie ha dettato dei principi generali che dovranno, però, essere necessariamente vagliati caso per caso. E ciò in quanto, pur essendo stato sancito che il reato di danneggiamento aggravato è configurabile anche nel caso in cui non sussiste un nesso di strumentalità tra la condotta violenta o minacciosa e l'azione di danneggiamento, il concetto di “contestualità” non può essere astrattamente delimitato.

In particolare, con riferimento al caso introdotto in sede di inquadramento, la Corte ha escluso l'integrazione della fattispecie osservando che i fatti – l'intimidazione e il danneggiamento – non sono stati realizzati contestualmente, ossia l'uno mentre aveva luogo l'altro, ma si sono verificati in un due momenti diversi, anche se vicini e quindi con modalità non idonee a configurare il reato.

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