Il danneggiamento delle piante da frutto e la rimozione dei pali di sostegno

IRMA CONTI

1. Bussole di inquadramento

L'ambiente è uno dei beni che, nel corso degli anni, ha avuto una tutela crescente e un'attenzione particolare da parte del legislatore.

Si tratta di un bene giuridico di rango costituzionale che, proprio a partire del 2022, ha ottenuto un ancor più importante riconoscimento attraverso la modifica degli artt. 9 e 41 Cost.

In particolare, l'ambiente diventa un baluardo nell'interesse “delle future generazioni” e un limite alla libertà dell'iniziativa economica privata.

La tutela accordata dal legislatore è attuata a trecentosessanta gradi e mira a salvaguardare le sue componenti sotto tutti i punti di vista, in primis anche per quanto attiene al suo contenuto patrimoniale.

Con specifico riferimento a tale componente, vengono ad essere salvaguardati dall'art. 635 c.p. al n. 3 del comma 2, le piantate di viti, di alberi o arbusti fruttiferi, o su boschi, selve o foreste, ovvero su vivai forestali destinati al rimboschimento.

Si tratta, pertanto, di una protezione che viene accordata, come si intuisce dal riferimento alla capacità fruttifera della pianta, o della selva, a livello patrimoniale, con riferimento alla capacità della stessa di generare frutti ed essere, pertanto una risorsa di tipo economico.

Tale fattispecie che, come vedremo, costituisce una forma di danneggiamento aggravato solleva alcuni dubbi di carattere interpretativo, tanto con riferimento alla condotta punibile, quanto all'oggetto della tutela, ossia se la norma protegga unicamente le piante, o anche gli strumenti – come i pali di supporto – di cui le stesse necessitano.

La fattispecie di danneggiamento

L'art. 635 c.p. punisce le condotte di danneggiamento, ossia quelle di chi distrugge, deteriora, disperde, o rende in tutto, o in parte inservibili determinati beni individuati dalla norma.

A tal proposito, è necessario precisare, che in seguito all'entrata in vigore del d.lgs. n. 7/2016 è stato depenalizzato il cd. “danneggiamento semplice”.

Come conseguenza di tale importante scelta del nostro legislatore, ai sensi del comma 1 dell'art. 635 c.p., le condotte di danneggiamento poste in essere nei confronti di beni mobili, o immobili privati saranno punite solo quando connotate da violenza, o minaccia.

Non è stato, invece, toccato dalla depenalizzazione il comma 2 del predetto art. 635 c.p., ossia il cd. “danneggiamento aggravato”.

Si tratta di una forma di danneggiamento di beni ritenuti meritevoli di una tutela rafforzata, tanto è vero che la pena prevista dal secondo comma è la medesima della condotta attuata con violenza e minaccia sulle persone.

Tra queste ipotesi, rientra quella di danneggiamento perpetrato attraverso la distruzione, il deterioramento, la dispersione o condotte che rendono in tutto o in parte inservibili piantate di viti, di alberi o arbusti fruttiferi, o boschi, selve, o foreste, ovvero vivai forestali destinati al rimboschimento.

Affinché si configuri in astratto il delitto di danneggiamento, nel caso di specie, è pertanto necessario che l'agente ponga in essere, sui beni che sono stati sopra indicati, una delle condotte previste dalla norma, materialmente o funzionalmente offensive.

Si tratta di condotte che mirano al distruggimento o al rendere inutilizzabile i beni altrui: si tratta di diverse declinazioni di tale risultato che può essere ottenuto attraverso la distruzione, il deterioramento o anche con la dispersione – l'allontanamento della cosa mobile dalla sfera di disponibilità dell'avente diritto, in modo che lo stesso non sia in grado di recuperarla, ovvero possa farlo con notevole difficoltà –.

Sotto il profilo dell'elemento soggettivo, il delitto è punito a titolo di dolo generico e sarà pertanto necessario, cioè, che il danneggiante abbia, al momento della commissione del fatto, sia la coscienza e volontà di aggredire il bene, sia la consapevolezza che tale bene appartenesse ad altri. Mentre non rileva ai fini della qualificazione del dolo, lo scopo specifico di nuocere (Cass. II, n. 15102/2007).

2. Questioni e orientamenti giurisprudenziali

Domanda
Danneggiamento di piante fruttifere: quali tipi di piante sono oggetto di protezione e possono integrare la fattispecie?

Orientamento della giurisprudenza di legittimità

Con riferimento all'oggetto di protezione, è di tutta evidenza dal riferimento al termine “piantate”, e dall'uso del plurale, che non è il danneggiamento della “singola pianta” a poter integrare la fattispecie.

In particolare, la Corte di legittimità ha precisato che con riferimento alle piante di viti, di alberi o di arbusti fruttiferi, o boschi, selve, o vivai destinati al rimboschimento, pur non occorrendo che la condotta abbia ad oggetto un'intera piantata, essendo sufficiente che siano danneggiati anche solo alcuni degli elementi arborei che costituiscono la pianta, è comunque necessario, ai fini dell'integrazione del reato, che l'azione non riguardi esclusivamente una singola pianta (Cass. VI, n. 13400/1998).

La giurisprudenza, in particolare, ha precisato che si ritiene necessaria la sussistenza di entrambi i requisiti: la natura fruttifera delle piante danneggiate e la pluralità delle stesse (Cass. II, n. 23550/2009).

Domanda
Danneggiamento e rimozione di pali di sostegno: è danneggiamento? 

Orientamento della giurisprudenza di legittimità

Una volta sgombrato il campo dall'oggetto di tutela, è importante comprendere cosa si intenda per gli “elementi arborei” ai fini dell'integrazione della fattispecie.

E ciò in quanto, oltre agli elementi costitutivi delle piantate, o degli arbusti, vi sono altri elementi “esterni” che concorrono alla crescita e alla salute del vegetale.

In particolare, in un caso recentemente deciso dalla Suprema Corte, è stato ritenuto integrante il delitto di danneggiamento anche in caso di deterioramento di alcune piante di melo attraverso la rimozione dei paletti di sostegno.

La Corte (Cass. II, n. 23787/2020), nel rigettare il ricorso proposto nell'interesse dell'imputato, ha ritenuto condivisibile la testi sostenuta dai giudici di merito che avevano condannato l'imputato per aver danneggiato rendendole in tutto o in parte inservibili, le piante di melo di proprietà della persona offesa, che l'imputato aveva estirpato nelle circostanze spazio temporali dettagliatamente descritte nei capi di imputazione.

Secondo la Corte, infatti, togliere i pali di sostegno e sradicare le giovani piantine di melo costituisce condotta di deterioramento pienamente rilevante ai sensi dell'art. 635 c.p., che agli arbusti fruttiferi et similia dedica apposita menzione, e ciò ovviamente a prescindere dalla teorica possibilità di reimpianto, gesto che serve solo ad attenuare il danno patrimoniale a reato consumato (e dunque a danno criminale perpetrato).

Si tratta di un orientamento che si inserisce nel solco della definizione giuridica di “deterioramento” che si realizza quando la cosa che ne costituisce oggetto sia ridotta in uno stato tale da rendere necessaria, per il ripristino, una attività non agevole.

Nel caso di specie, essendo richiesta, fondamentalmente, di ripristinare tramite un nuovo impianto, le piante di melo, è di tutta evidenza che la semplice rimozione dei paletti di supporto è idonea ad integrare la condotta di deterioramento e a configurare il reato.

3. Azioni processuali

Ulteriori attività difensive

Per la fattispecie in esame si possono esperire le seguenti ulteriori attività difensive: Istanza di sequestro conservativo della parte civile (art. 316); Memoria difensiva al pubblico ministero (art. 367); Richiesta di presentazione spontanea per rilasciare dichiarazioni (art. 374); Richiesta di giudizio abbreviato (art. 438, comma 1); Opposizione a decreto penale di condanna (art. 461).

ProcedibilitàIl reato di cui all'art. 635 comma 2 n. 3 è perseguibile d'ufficio. Anche in seguito all'approvazione della Riforma Cartabia, il legislatore ha scelto di non modificare il regime di procedibilità dell'ipotesi aggravata di cui al comma 2 poiché, come rilevato nella relazione illustrativa, “vengono in rilievo ipotesi di danneggiamento di beni pubblici o, comunque, di interesse o utilità pubblica”.

Improcedibilità delle impugnazioni (e prescrizione del reato)

Per le condotte punite dagli artt. 635 comma 2 n. 3, il termine-base di prescrizione è pari ad anni sei, trattandosi di delitti (cfr. art. 157 c.p.).

Tale termine, in presenza di eventuali atti interruttivi, può essere aumentato fino ad un massimo di sette anni e sei mesi (cfr. artt. 160 e 161 c.p.), al netto dei periodi di sospensione (cfr. artt. 159 e 161 c.p.).

A partire dal 1° gennaio 2020 (cfr. art. 2, comma 3, l. n. 134/2021), per tutte le ipotesi previste dalla norma in parola, costituiscono causa di improcedibilità dell'azione penale ex art. 344-bis c.p.p., la mancata definizione:

– del giudizio di appello entro il termine di due anni;

– del giudizio di cassazione entro il termine di un anno.

Tali termini possono essere ulteriormente estesi quando il giudizio d'impugnazione risulta particolarmente complesso in ragione del numero delle parti o del numero o della complessità delle questioni di fatto o di diritto da trattare.

In ogni caso, la proroga potrà essere disposta per un periodo non superiore ad un anno nel giudizio di appello ed a sei mesi nel giudizio di cassazione, salva la sospensione prevista dall'art. 344-bis, comma 6, c.p.p. e quanto previsto dalla normativa transitoria (cfr. art. 2, commi 4 e 5, l. n. 134/2021).

Misure precautelari e cautelari

Arresto e fermo

Con riguardo al delitto di cui all'art. 635 comma 2 n. 1:

– è consentito esclusivamente l'arresto facoltativo in flagranza di reato (art. 381, co. 2, c.p.p.);

– non è consentito il fermo di indiziato di delitto (art. 384 c.p.p.).

Misure cautelari personali

Per il danneggiamento aggravato, in considerazione del limite edittale pari a tre anni di reclusione e del combinato disposto dell'art. 391 comma 5 e 381 comma 2 lett. h) c.p.p., sono applicabili misure cautelari coercitive (artt. 281-286-bis c.p.p.), consentendo l'art. 280, comma 1, c.p.p. di applicare dette misure ai soli delitti per i quali la legge stabilisce la pena della reclusione superiore nel massimo a tre anni e prevedendo i summenzionati artt. 391 e 381 c.p.p. la possibilità, in caso di arresto facoltativo in flagranza, di applicare la misura anche al di fuori dei limiti edittali.

Al contrario, non sarà possibile applicare anche la custodia cautelare in carcere essendo previsto dall'art. 280, co. 2, c.p.p., l'applicazione di detta misura in caso di delitti per i quali la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni.

Competenza, forme di citazione a giudizio e composizione del tribunale

Competenza

Nel caso di danneggiamento aggravato è competente il Tribunale in composizione monocratica.

Udienza preliminare

Essendo la pena massima prevista inferiore a quattro anni, si procederà con citazione diretta a giudizio (cfr. art. 550 c.p.p.).

Composizione del tribunale

Il processo si svolgerà sempre dinanzi al tribunale in composizione monocratica.

4. Conclusioni

Il caso appena analizzato consente di comprendere quanto sia importante, nell'analisi di una fattispecie, sia l'esame della littera legis, sia l'interpretazione che viene fornita dalla giurisprudenza con la sua costante opera di adattamento di una fattispecie alle esigenze della quotidianità.

Sotto il primo profilo, è di tutta evidenza come il legislatore abbia voluto limitare la sfera di applicabilità dell'art. 635 comma 2 n. 3 al solo danneggiamento che riguardi una pluralità di esemplari utilizzando il termine “piantate”, che automaticamente coinvolge più esemplari vegetali.

Sotto il profilo dell'oggetto di protezione, la giurisprudenza ha scelto correttamente un'impostazione sostanzialista, tutelando non solo la piantata in sé e per sé, ma anche tutti gli strumenti che rendono possibile la sua sopravvivenza, come i pali di supporto, inserendosi nel solco della definizione giuridica di “deterioramento” che si realizza quando la cosa che ne costituisce oggetto sia ridotta in uno stato tale da rendere necessaria, per il ripristino, una attività non agevole.

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