Rapporti tra estorsione e truffa1. Bussole di inquadramentoI rapporti tra estorsione e truffa Si pone con frequenza nelle aule dei Tribunali il problema di distinguere i reati di estorsione (art. 629 c.p.) e di truffa (art. 640 c.p.), in particolare in relazione al carattere effettivo, o meramente immaginario, a seconda dei casi, del pericolo evocato alla vittima attraverso la minaccia profferita in suo danno. 2. Questioni e orientamenti giurisprudenziali
Domanda
Come si distinguono i reati di estorsione e di truffa?
Orientamento tradizionale Quando il pericolo evocato, anche se inesistente, coarta la libertà di autodeterminazione del soggetto passivo è configurabile l'estorsione L'orientamento tradizionale della giurisprudenza configurava il più grave delitto di estorsione, e non quello di truffa, nei casi in cui il pericolo rappresentato, sia pur inesistente, si fosse manifestato come reale e l'avverarsi dell'evento dannoso apparisse come dipendente dalla volontà dell'agente: si poneva, in particolare, l'accento non tanto sull'inganno, quanto sulla coartazione della libertà di autodeterminazione del soggetto passivo che da tale situazione deriva. Si precisava che il reato di truffa aggravata dall'essere stato ingenerato nella persona offesa il timore di un pericolo immaginario (art. 640, comma secondo, n. 2, c.p.) si configura allorché venga prospettata al soggetto passivo una situazione di pericolo non riconducibile alla condotta dell'agente, ma che anzi da questa prescinda perché dipendente dalla volontà di un terzo o da accadimenti non controllabili dall'uomo; in tal caso la vittima viene infatti indotta ad agire per l'ipotetico pericolo di subire un danno il cui verificarsi, tuttavia, viene avvertito come dipendente da fattori esterni estranei all'agente, che si limita pertanto a condizionare la volontà dell'offeso, senza peraltro conculcarla, con una falsa rappresentazione della realtà. Al contrario, se il verificarsi del male minacciato, pur immaginario, viene prospettato come dipendente dalla volontà dell'agente, il soggetto passivo è comunque posto davanti all'alternativa di aderire all'ingiusta e pregiudizievole richiesta del primo o subire il danno: in tali ipotesi pertanto si configura il delitto di estorsione, ed a nulla rileva che la minaccia se credibile, non sia concretamente attuabile (Cass. II, n. 7889/1996, in fattispecie riguardante la richiesta di una somma di danaro per la restituzione di un motociclo rubato, formulata da un soggetto che aveva tratto in inganno il derubato falsamente affermando di avere la disponibilità del mezzo). Si era successivamente ribadito, in tema di truffa aggravata per essere stato ingenerato il timore di un “pericolo immaginario”, che deve intendersi come tale tutto ciò che è effetto dell'immaginazione ed esiste solo in essa, senza alcun fondamento nella realtà. Di conseguenza: – sussiste la truffa c.d. “vessatoria” ove l'agente rappresenti il pericolo di un evento dannoso – di norma correlato all'azione di forze occulte e tale che un comune discernimento è in grado di individuare come non reale – la cui evenienza prescinde dalla sua volontà; – si configura, al contrario, il delitto di estorsione tutte le volte in cui l'agente rappresenti il pericolo reale di un accadimento il cui verificarsi appare come da lui dipendente. In applicazione del principio, si ritenne sussistere il delitto di estorsione in un caso in cui l'agente, falsamente qualificandosi come vigile urbano, si era fatto corrispondere una somma di denaro dal proprietario di un immobile minacciando di sospendere l'esecuzione dei lavori di ristrutturazione che vi si svolgevano (Cass. II, n. 263/2000). Orientamento contrario Quando il pericolo evocato è inesistente, la condotta costituisce raggiro od artificio, ed è configurabile la truffa Altro orientamento valorizzava, al contrario, ai fini della distinzione fra truffa ed estorsione, il mezzo utilizzato, e cioè l'artificio o il raggiro, più che gli effetti della rappresentazione del pericolo immaginario sulla volontà della vittima, giungendo così a conclusioni opposte a quelle appena indicate: in particolare, Cass. II, n. 8456/1995 aveva ritenuto che, mentre gli elementi caratterizzanti la condotta estorsiva sono la “violenza” e la “minaccia”, quelli qualificanti il comportamento truffaldino – anche nell'ipotesi aggravata della prospettazione del “pericolo immaginario” – sono, pur sempre, gli artifizi e raggiri: in quest'ultima ipotesi, la minaccia riguarda un male non reale, ma immaginario, ed assume i contorni dell'inganno, perché contribuisce alla induzione in errore della parte offesa del reato attraverso la prospettazione del falso pericolo. Argomentando in tal modo, si è ritenuto configurabile soltanto il reato di truffa nel fatto di un soggetto che, spacciandosi per ufficiale della Guardia di Finanza, aveva richiesto ed ottenuto una somma di danaro per non procedere ad una verifica fiscale. Una successiva decisione (Cass. II, n. 8974/1996) aveva addirittura escluso la configurabilità della circostanza aggravante de qua in un caso in cui l'evento dannoso prospettato dall'agente, falsamente qualificatosi come ufficiale giudiziario, era costituito dall'asporto dei mobili dall'abitazione del soggetto passivo, valorizzando il rilievo che la nozione di “pericolo immaginario” corrisponde a quella di “pericolo inesistente”, sicché tale non poteva considerarsi il male nella specie minacciato, risultando il predetto asporto consentito dalla normativa di cui agli articoli 520 e 521 c.p.c., i quali espressamente prevedevano che, ai fini della conservazione delle cose pignorate, l'ufficiale giudiziario autorizza il custode a trasportarle altrove. Orientamento attualmente dominante Quando il fatto è connotato dalla minaccia di un male, ai fini della distinzione tra estorsione e truffa occorre valorizzare il diverso modo di atteggiarsi della condotta lesiva e la sua incidenza nella sfera soggettiva della vittima Il contrasto fu ben presto superato. La giurisprudenza (Cass. VI, n. 29704/2003), chiarì, infatti, che il criterio distintivo tra il reato di truffa e quello di estorsione, quando il fatto è connotato dalla minaccia di un male, va ravvisato essenzialmente nel diverso modo di atteggiarsi della condotta lesiva e della sua incidenza nella sfera soggettiva della vittima: – ricorre la truffa, se il male viene ventilato come possibile ed eventuale, e comunque non proveniente direttamente o indirettamente da chi lo prospetta, in modo che la persona offesa non è coartata, ma si determina alla prestazione, costituente l'ingiusto profitto dell'agente, perché tratta in errore dalla esposizione di un pericolo inesistente; – si configura l'estorsione, se il male viene indicato come certo e realizzabile ad opera del reo o di altri, poiché, in tal caso, la persona offesa è posta nella ineluttabile alternativa di far conseguire all'agente il preteso profitto o di subire il male minacciato. Nel caso esaminato, si ritenne che la condotta dell'imputato, il quale aveva prospettato il pignoramento ed il sequestro di tutti i beni e le somme depositate presso gli Istituti di credito di proprietà del soggetto passivo, per costringerlo a versargli una cospicua somma di denaro non dovuta, integrasse configurarsi il tentativo di estorsione e non quello di truffa. L'orientamento è stato successivamente ribadito da Cass. II, n. 21537/2008 e da Cass. II, n. 35346/2010, secondo le quali integra il reato di estorsione, e non quello di truffa, la prospettazione di un male futuro per la vittima in termini di evento certo e realizzabile ad opera del soggetto agente o di altri, poiché in tal caso la vittima é posta nella ineluttabile alternativa di far conseguire all'agente il preteso profitto o di subire il male minacciato; ricorre, invece, il reato di truffa se é prospettato un male come possibile ed eventuale, in ogni caso non proveniente direttamente o indirettamente dal soggetto agente, in modo che la vittima non sia coartata ma si determini alla prestazione perché tratta in errore. Nel medesimo senso, in difetto di voci contrarie, si sono pronunciate, più recentemente, Cass. VI, n. 27996/2014, Cass. II, n. 11453/2016, Cass. II, n. 24624/2020, nonché, da ultimo, Cass. II, n. 39289/2021, in fattispecie nella quale è stata ritenuta corretta la qualificazione giuridica dei fatti, contestati ed indiziariamente verificati, come estorsione, argomentata valorizzando il fatto che il male futuro, evocato alle persone offese coinvolte, era stato indicato come certo e realizzabile, direttamente o indirettamente, “ad opera dell'indagato o di altri” (nella specie, un finto Carabiniere che agiva in sinergia con l'indagato, più volte da quest'ultimo messo in contatto le vittime), ed aveva posto le vittime stesse nella ineludibile alternativa di far conseguire all'agente il preteso profitto o di subire il male minacciato.
Domanda
Quanto incide l'appostamento di polizia sulla configurazione dei reati di estorsione e di truffa?
Appostamento di polizia ed estorsione: rinvio. Per l'incidenza dell'appostamento di polizia sulla configurazione del reato di estorsione si rinvia al CASO “Estorsione ed appostamento di polizia: consumazione o tentativo?”. Appostamento di polizia e truffa: secondo l'orientamento della giurisprudenza, è sempre tentativo. Secondo la giurisprudenza, è configurabile il delitto tentato, e non consumato, nel caso di consegna del denaro o del bene sotto il diretto controllo della polizia giudiziaria allertata dalla persona offesa (c.d. “consegna controllata”), in quanto, in tali casi, l'atto di disposizione patrimoniale non avviene per l'induzione in errore in cui sia incorsa la vittima, nè si è realizzato il profitto tramite l'acquisizione della disponibilità autonoma e definitiva della cosa (Cass. II, n. 27114/2020; Cass. II, n. 3751/2020). L'impossibilità dell'arresto in flagranza Ne consegue l'impossibilità, in tali casi, di procedere ad arresto in flagranza, poiché per la truffa tentata l'arresto in flagranza non è consentito, ai sensi dell'art. 381, comma 2, c.p.p. 3. Azioni processualiUlteriori attività difensive Per la fattispecie in esame si possono esperire le seguenti ulteriori attività difensive: Memoria difensiva al pubblico ministero (art. 367); Richiesta di riesame di un'ordinanza che applica una misura coercitiva (art. 309); Ricorso per cassazione contro ordinanze cautelari personali (art. 311); Richiesta di riesame di un'ordinanza che applica una misura cautelare reale (artt. 322 e 324); Appello contro un'ordinanza in materia cautelare reale (art. 322-bis); Istanza di revoca del sequestro preventivo al pubblico ministero (art. 321, comma 3); Ricorso per cassazione contro ordinanze cautelari reali (art. 325); Memoria difensiva al pubblico ministero (art. 367); Richiesta di presentazione spontanea per rilasciare dichiarazioni (art. 374); Richiesta di documenti in possesso di privati (art. 391-bis); Memoria difensiva (art. 419, comma 2); Richiesta di giudizio abbreviato (art. 438, comma 1). Procedibilità Per il reato di truffa, prima della Riforma Cartabia, si procedeva, di massima, ai sensi dell'art. 640, comma 3, c.p., a querela della p.o.; si procedeva d'ufficio ove ricorresse una delle seguenti circostanze aggravanti: – aggravanti previste dall'art. 640, comma 2, c.p. (tra le quali rientra anche quelle di cui all'art. 61, comma 1, n. 5, c.p.); – aggravante prevista dall'art. 61, comma 1, n. 7, c.p. Ai sensi dell'art. 649-bis c.p., si procedeva, inoltre, di ufficio anche se: – ricorressero circostanze aggravanti ad effetto speciale (inclusa la recidiva nei casi di cui all'art. 99, commi secondo e seguenti: cfr. Cass. S.U. , n.3585/2021); – la persona offesa fosse incapace per età o per infermità; – il danno arrecato alla persona offesa fosse di rilevante gravità (con duplicazione sostanziale del riferimento ai casi di cui all'art. 61, comma 1, n. 7, c.p.). Si procedeva sempre d'ufficio per la truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche di cui all'art. 640-bis c.p. Diversamente, la c.d. “Riforma Cartabia” [art. 2, comma 1, lett. o) e lett. q), d.lgs. n. 150 del 2022, in vigore, come stabilito dal d.l. n. 162 del 2022, conv., in l. n. 199 del 2022, dal 30 dicembre 2022], modificando gli artt. 640, comma 3, e 649-bis c.p., prevede che si proceda a querela di parte anche: – per le truffe aggravate ai sensi dell'art. 61, comma 1, n. 7, c.p.; – per le truffe aggravate dalla recidiva nei casi di cui all'art. 99, commi secondo e seguenti. Secondo quanto stabilito dalle disposizioni transitorie ad hoc di cui all'art. 85, comma 1, d.lgs. n. 150 del 2022, e di quelle introdotte dalla l. n. 199 del 2022 (sostituendo nel corpo del predetto art. 85 il comma 2, ed introducendovi, inoltre, i nuovi commi 2-bis e 2-ter), le predette modifiche, immediatamente operanti per i reati commessi a partire dal 30/12/2022, data di vigenza della novella, opereranno, per i reati commessi fino al 29/12/2022, divenuti procedibili a querela di parte in forza delle nuove disposizioni, nei termini di seguito indicati: A) nei casi in cui non pende il procedimento penale: – se il soggetto legittimato a proporre querela ha avuto in precedenza notizia “del fatto costituente reato”, il termine per proporre querela (di mesi tre, ex art. 124 c.p., non toccato dall'intervento novellatore) decorre dal 30/12/2022, data di entrata in vigore della novella, e scade, pertanto, il 30/03/2023; – in forza della predetta disposizione, letta a contrario, se il soggetto legittimato a proporre querela non ha avuto in precedenza notizia “del fatto costituente reato”, il medesimo termine per proporre querela decorre, secondo la disciplina ordinaria, in parte qua non modificata, dal momento in cui ne abbia avuto conoscenza; B) nei casi in cui pende il procedimento penale: – avendo il soggetto legittimato a proporre querela necessariamente avuto in precedenza notizia “del fatto costituente reato”, il termine trimestrale per proporre querela decorre dal 30/12/2022, data di entrata in vigore della novella, e scade il 30/03/2023: diversamente rispetto a quanto previsto dall'originario comma 2 della disposizione, nessun onere di informare la p.o. di tale facoltà incombe sul giudice procedente, presumendosi, pertanto, che la p.o. debba avere conoscenza della novella. Ferma restando la predetta disciplina, si è anche stabilito che le misure cautelari personali in corso di esecuzione perdono efficacia se, entro venti giorni dalla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 150 del 2022, e quindi entro il 19/01/2022, l'autorità giudiziaria che procede non acquisisce la querela: a tal fine, l'a.g. procedente effettua ogni utile ricerca della p.o., anche avvalendosi della polizia giudiziaria. Durante la pendenza del predetto termine di venti giorni, i termini di cui all'art. 303 c.p.p. sono sospesi. Questa ultima disposizione non opera, peraltro, per il reato di truffa. Invero, per determinare la pena agli effetti dell'applicazione delle misure cautelari personali, ai sensi dell'art. 278 c.p.p., si tiene conto delle sole circostanza aggravanti ad effetto speciale, ma non anche della recidiva. Ciò comporta che soltanto alla truffa aggravata ex art. 640, comma 2, c.p., punita con pena edittale massima pari ad anni cinque di reclusione [e non anche alla truffa aggravata ex art. 61, comma 1, n. 7, c.p. (cui la norma non riconosce quoad poenam alcun “effetto speciale”, e che, pertanto, resta punita con pena edittale massima pari ad anni tre di reclusione), ovvero dalla recidiva nei casi di cui ai commi secondo e seguenti], sono applicabili misure cautelari coercitive (artt. 281/286-bis c.p.p.), poiché l'art. 280, comma 1, c.p.p. consente l'applicazione delle predette misure ai soli delitti per i quali la legge stabilisce la pena della reclusione superiore nel massimo a tre anni; alla truffa aggravata ex art. 640, comma 2, c.p. è applicabile anche la misura della custodia cautelare in carcere, poiché l'art. 280, comma 2, c.p.p. consente l'applicazione della predetta misura coercitiva ai soli delitti per i quali la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni. Durante la pendenza del termine per proporre querela, si applica quanto disposto dall'art. 346 c.p.p. in tema di atti compiuti in mancanza di condizioni di procedibilità. Alcune questioni che la nuova disciplina potrà proporre sono già state risolte dalla giurisprudenza in relazione a precedenti interventi novellatori dello stesso tenore: – l'inammissibilità del ricorso per cassazione esclude che possano porsi questioni riguardanti l'eventuale esercizio del diritto di querela (Cass. S.U. ,n. 40150/2018: fattispecie riguardante i reati divenuti perseguibili a querela per effetto del d.lgs. 10 aprile 2018 n. 36 ed i giudizi pendenti in sede di legittimità); – non possono porsi questioni riguardanti l'eventuale esercizio del diritto di querela quando la persona offesa abbia già manifestato la volontà di punizione del reo, costituendosi parte civile e persistendo in tale costituzione nei successivi gradi di giudizio (Cass. II, n. 28305/2019 e Cass. V, n. 44114/2019: fattispecie riguardante i reati divenuti perseguibili a querela per effetto del d.lgs. n. 36 del 2018); – la remissione della querela, pur intervenuta in un momento nel quale vigeva un regime di procedibilità d'ufficio, comporta l'obbligo di dichiarare la non procedibilità ai sensi dell'art. 129 c.p.p., ove disposizioni sopravvenute abbiano comportato la procedibilità di ufficio: la natura mista, sostanziale e processuale, della procedibilità a querela, comporta, infatti, la necessità di applicare la sopravvenuta disciplina più favorevole nei procedimenti pendenti (Cass. II, n. 225/2019: fattispecie riguardante la modifica del regime di procedibilità per i delitti di cui agli artt. 640 e 646 c.p., introdotta dal d. lgs. 10 aprile 2018, n. 36). (In motivazione la Corte ha richiamato la natura mista, sostanziale e processuale, della procedibilità a querela, dalla quale discende la necessità di applicare la sopravvenuta disciplina più favorevole nei procedimenti pendenti); – non costituisce causa di revoca della sentenza di condanna ai sensi dell'art. 673 c.p.p. una modifica legislativa per effetto della quale un reato procedibile d'ufficio divenga procedibile a querela, in caso di mancata proposizione di questa, atteso che il regime di procedibilità non è elemento costitutivo della fattispecie e conseguentemente la sopravvenuta previsione della procedibilità a querela è inidonea a determinare un fenomeno di abolitio criminis (Cass. I, n. 1628/2020: fattispecie relativa al delitto di appropriazione indebita aggravato art. 61, comma 1, n. 11, c.p., divenuto procedibile a querela a seguito del d.lgs. 10 aprile 2018, n. 36); – la sopravvenuta procedibilità a querela del reato di appropriazione indebita per effetto del d.lgs. 15 maggio 2018, n. 36 non costituisce prova nuova ai sensi dell'art. 630, comma 1, lett. c), c.p.p. nel caso in cui la modifica normativa sia intervenuta successivamente al passaggio in giudicato della sentenza della quale si chiede la revisione: in ragione della natura mista – sostanziale e processuale – dell'istituto della querela, la sopravvenuta disciplina più favorevole deve, infatti, essere applicata nei procedimenti pendenti, salva l'insuperabile preclusione costituita dalla pronuncia di sentenza irrevocabile, ai sensi dell'art. 2, comma quarto, cod. pen., se non derogata da una disposizione transitoria ad hoc (Cass. II, n. 14987/2020). Fin qui, gli orientamenti della giurisprudenza di legittimità sono pacifici; vi è, al contrario, contrasto sulla possibile valenza della querela tardiva o comunque, per altro verso, irrituale, sporta quando vigeva un regime di procedibilità d'ufficio: – un orientamento ritiene privo di rilievo il fatto che la persona offesa abbia, in precedenza, manifestato la volontà di punizione oltre il termine di cui all'art. 124 c.p., atteso che la valutazione in ordine alla condizione di procedibilità è ancorata al momento dell'entrata in vigore del nuovo regime normativo che prevede la procedibilità a querela, a nulla rilevando eventuali irregolarità della querela afferenti ad un momento procedimentale anteriore, in cui la querela stessa non era richiesta ai fini della procedibilità (Cass. II, n. 25341/2021; Cass. II, n. 11970/2020; Cass. S.U. , n. 5540/1982); – altro orientamento ritiene preclusa la possibilità di esercitare il diritto di sporgere querela per la p.o. che abbia in precedenza già manifestato la volontà di punizione oltre il termine di cui all'art. 124 c.p., poiché, diversamente, l'avviso si risolverebbe in una rimessione in termini, precisando che l'onere di tempestività a carico della parte che si ritenga persona offesa dal reato, sussiste indipendentemente dalla procedibilità del reato di ufficio o a querela di parte (Cass. II, n. 8823/2021; Cass. II, n. 12420/2020). Quest'ultimo orientamento appare all'evidenza non condivisibile, pretendendo di valorizzare, al fine di precludere alla p.o. l'esercizio della facoltà di sporgere querela, vizi della medesima intervenuti quando l'atto era irrilevante, vigendo un regime di procedibilità officiosa. Prescrizione del reato ed improcedibilità delle impugnazioni Per l'estorsione, il termine-base di prescrizione è pari ad anni dieci (cfr. art. 157 c.p.), aumentabile, in presenza del sopravvenire di eventi interruttivi, fino ad un massimo di anni dodici e mesi sei (cfr. artt. 160 e 161 c.p.), oltre i periodi di sospensione (cfr. artt. 159 e 161 c.p.); il termine è ancora maggiore in presenza delle circostanze aggravanti specifiche previste dall'art. 629, comma 2, c.p. Per i reati commessi a partire dal 1° gennaio 2020 (cfr. art. 2, comma 3, l. 27 settembre 2021, n. 134), costituisce causa di improcedibilità dell'azione penale ex art. 344-bis c.p.p., la mancata definizione: – del giudizio di appello entro il termine di due anni; – del giudizio di cassazione entro il termine di un anno; salva proroga per un periodo non superiore ad un anno nel giudizio di appello ed a sei mesi nel giudizio di cassazione quando il giudizio d'impugnazione risulta particolarmente complesso in ragione del numero delle parti o del numero o della complessità delle questioni di fatto o di diritto da trattare, ovvero essendo contestata la circostanza aggravante di cui all'art. 416-bis.1 c.p.; salva sospensione nei casi previsti dall'art. 344-bis, comma 6, c.p.p.; salva diversa modulazione dei predetti termini in applicazione della normativa transitoria (cfr. art. 2, commi 4 e 5, l. 27 settembre 2021, n. 134). Misure precautelari e cautelari Arresto e fermo L'arresto in flagranza è obbligatorio per l'estorsione; il fermo è sempre consentito. Intercettazioni È sempre consentita l'effettuazione di intercettazioni. Misure cautelari personali È sempre consentita l'applicazione di misure cautelari personali. Competenza, forme di citazione a giudizio e composizione del tribunale La competenza e la citazione a giudizio Per il reato di estorsione è sempre competente il tribunale in composizione collegiale e si procede sempre con citazione a giudizio all'esito dell'udienza preliminare. Causa di non punibilità di cui all'art. 131-bis c.p. Per il reato di estorsione non è mai applicabile la causa di non punibilità di cui all'art. 131-bis c.p. 4. ConclusioniIl criterio distintivo tra il delitto di estorsione mediante minaccia e quello di truffa c.d. “vessatoria” consiste nel diverso atteggiarsi del pericolo prospettato: – si configura il delitto di truffa aggravata ai sensi dell'art. 640, comma secondo, n. 2, c.p., nei casi in cui il male futuro viene ventilato come possibile ed eventuale, e comunque non proveniente direttamente o indirettamente da chi lo prospetta, in modo che la persona offesa non ne sia immediatamente coartata, ma si determini alla prestazione (costituente ingiusto profitto per il deceptor, e danno per il deceptus), perché tratta in errore dall'esposizione di un pericolo inesistente; – si configura il delitto di estorsione ai sensi dell'art. 629 c.p. se il male futuro viene indicato come certo e realizzabile, direttamente o indirettamente, ad opera del reo o di altri, ed è tale non da indurre la persona offesa in errore, bensì da porla nella ineludibile alternativa di far conseguire all'agente il preteso profitto o di subire il male minacciato. |