Furto con strappo e rapina1. Bussole di inquadramentoLinee generali Il furto con strappo e la rapina sono strutturati quali reati comuni, come agevolmente desumibile dall'utilizzo del termine chiunque per indicare chi se ne renda protagonista. Entrambe le fattispecie incriminatrici sono ricomprese all'interno del Capo I del Titolo XIII del Libro II del codice penale, intitolato “delitti commessi mediante violenza alle cose o alle persone”. Non si tratta dell'unica analogia ontologica riscontrabile tra i due modelli legali in commento: ambedue costituiscono infatti delitti di aggressione unilaterale ed integrano un reato plurioffensivo. Il furto con strappo costituisce reato autonomo, e non circostanze aggravate del furto di cui all'art. 624 c.p. (in argomento cfr. giurisprudenza citata nella Casistica “La procedibilità a querela per i furti nella riforma Cartabia: problemi di diritto intertemporale”). Con riferimento al delitto di furto con strappo Il furto con strappo (comunemente definito anche con il termine scippo) è un reato istantaneo; non si dubita della ammissibilità del tentativo. La condotta incriminata consiste nella sottrazione (cioè nella fuoriuscita della cosa dalla signoria di fatto del soggetto passivo) e nell'impossessamento (quale creazione – ad opera del soggetto attivo – di un potere di fatto sulla cosa mobile sottratta), che vengano attuate attraverso l'adozione di una condotta di violenza sulla cosa. L'oggetto materiale della condotta è ovviamente la cosa mobile. Trattasi poi di reato a dolo specifico: l'agente agisce al fine di trarre profitto dall'impossessamento della cosa. Della nozione di profitto viene fornita un'interpretazione ampia ed estensiva, comprensiva di qualsivoglia vantaggio anche di natura non squisitamente patrimoniale. La condotta tipizzata dall'art. 624-bis, comma 2 c.p. è strutturata quale fattispecie autonoma. Essa però rappresentava un tempo un'aggravante del delitto di furto. Con la l. 26 marzo 2001, n. 138 sono state espunte dal testo dell'art. 625, n. 4, c.p. le parole “ovvero strappando la cosa di mano di dosso dalla persona”. Ne è seguita la riconduzione delle stesse all'interno di una fattispecie autonoma, che oggi incrimina la condotta di sottrazione che avvenga – appunto – “strappando la cosa di mano o di dosso alla persona”. Contestualmente, è stato disposto un aumento sanzionatorio, visto che si è passati da un minimo edittale di due anni a un minimo edittale di quattro anni e da un massimo edittale di sei a un massimo edittale di sette anni. Occorre infine sottolineare la discrasia tra furto con destrezza e furto con strappo. L'analisi appare necessaria in considerazione del fatto che la fattispecie tipica in commento, in epoca antecedente alla riforma del 2001, presentava la medesima collocazione topografica del furto aggravato dalla destrezza, essendo collocata allo stesso numero dell'art. 625 c.p. La giurisprudenza della Corte di Cassazione (Cass. V, n. 44976/2016) ha chiarito come l'elemento discretivo fra le due ipotesi di furto aggravato debba essere colto nella presenza di una pur minima forma di violenza. L'aggravante del furto con destrezza implica dunque una particolare forma di attitudine e prontezza nell'esecuzione, che si traduce in una peculiare abilità nella modalità attuativa della sottrazione; l'azione furtiva risulta allora fulminea e scaltra. Il furto di cui all'art. 624, comma 2, c.p. rinviene invece la propria essenza nell'elemento della violenza: è indispensabile difatti che lo spossessamento avvenga con una pur minima forma di violenza. Sulla scorta di tale impostazione teorica, la Corte nella sopra menzionata decisione (Cass. V, n. 44976/2016) ha riqualificato in termini di furto aggravato dalla destrezza la condotta – originariamente contestata come furto con strappo – di alcuni soggetti che, una volta avvicinatisi alla persona offesa e dopo averla distratta, provocandone la perdita di equilibrio tramite uno sgambetto, si erano impossessati del cellulare di questa, sfilandoglielo via dalla tasca dei pantaloni. La l. 23 giugno 2017, n. 103 (c.d. legge Orlando), ha introdotto un quarto comma, che dispone la blindatura delle forme di manifestazione, attribuendo una natura privilegiata alle circostanze aggravanti indicate dall'art. 625 c.p.; e infatti, in relazione al furto con strappo, le circostanze attenuanti – diverse da quella della minore età e da quelle indicate specificamente dall'art. 625-bis c.p. – non possono essere ritenute equivalenti o prevalenti rispetto alle circostanze indicate dall'art. 625 c.p. La Consulta ha infine dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 656, comma 9, lettera a), c.p.p., nella parte in cui non prevede che alla condanna di furto con strappo possa seguire la preclusione della sospensione dell'ordine di esecuzione della pena (Corte cost. n. 125/2016). La disciplina previgente non contemplava il furto con strappo, tra le fattispecie che precludono la sospensione dell'ordine di esecuzione della pena. La rapina, invece, rientra tra le ipotesi delittuose considerate. La Corte costituzionale, operando un ragionamento sistematico attinente alle ipotesi di cui all'art. 624-bis, comma 2 e 628 c.p., ha sottolineato labilità della differenza fenomenologica riscontrabile tra le due ipotesi: da un lato, la violenza è immediatamente rivolta sull'oggetto e solo mediatamente sull'agente; dall'altro, invece, la violenza è diretta sulla persona e solo indirettamente sulla cosa mobile. Sicché, si tratta di una discrepanza ontologica talmente sottile, da non giustificare una così marcata diversità nel trattamento sanzionatorio. Con riferimento al delitto di rapina Sotto il profilo strutturale, tale fattispecie delittuosa viene qualificata come reato complesso; essa infatti risulta dalla combinazione del delitto di furto con i delitti di violenza o di minaccia. I beni giuridici tutelati sono il patrimonio, l'integrità fisica e la libertà morale del soggetto passivo. La rapina è poi un reato a dolo specifico: il soggetto deve quindi essere animato dal fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, ovvero di assicurare a sé o ad altri il possesso della cosa sottratta o infine di procurare a sé o ad altri l'impunità per il fatto antecedentemente perpetrato. La summa divisio si pone poi tra rapina propria e rapina impropria. Si ha rapina propria quando la violenza o la minaccia venga adoperata al fine di conseguire la sottrazione e l'appropriazione della cosa mobile altrui. Per converso, la rapina impropria, di cui all'art. 628, comma 2, c.p., è integrata dalla condotta di colui il quale adopera violenza o minaccia immediatamente dopo la sottrazione, per assicurare a sé o ad altri il possesso della cosa sottratta o per procurare a sé o ad altri l'impunità. Si è concordi nell'escludere il concorso di rapina propria e impropria. Si deve infatti immaginare una situazione in cui un soggetto, dopo aver sottratto attraverso una azione violenta o minacciosa una cosa mobile altrui, adoperi nuovamente violenza o minaccia per assicurarsi il possesso ovvero l'impunità. Risulterà allora in tal caso integrato un solo reato di rapina (ovviamente, propria). L'integrazione del delitto contro il patrimonio di cui all'art. 628 c.p. postula la perpetrazione di una condotta violenta o minacciosa. La violenza personale consiste nell'estrinsecazione di energia fisica, finalizzata all'annullamento o all'esclusione della libertà di autodeterminazione o della libertà di azione del soggetto passivo. In altri termini, la violenza esercitata deve comportare l'elisione della volontà di questi. La minaccia è invece la prospettazione di un male futuro e ingiusto. Non è però necessario che essa di estrinsechi con modalità particolari: può essere esplicita e implicita, reale e simbolica, diretta e indiretta. Non è nemmeno indispensabile che la condotta violenta o minacciosa ricada direttamente sulla persona offesa, atteso che lo sconvolgimento emotivo può discendere anche da violenze o minacce esercitate verso soggetti terzi. La Suprema Corte ha in un primo tempo escluso la configurabilità del delitto di rapina, in caso di sottrazione di ovociti (così si era infatti espressa Cass. II, n. 39541/2016). Si escludeva dunque che una cosa facente parte del corpo umano potesse essere intrinsecamente considerata alla stregua di una cosa mobile, in quanto tale rilevante ipso facto ai fini della possibile integrazione del paradigma normativo ex art. 628 c.p. Tale interpretazione ritiene mobile solamente la cosa di cui siano possibili in rerum natura la fisica detenzione, la sottrazione, lo spossessamento e l'appropriazione. Sicché, era stato giocoforza ritenere che le parti del corpo potessero diventare cosa mobile, ma esclusivamente all'indomani dell'avvenuta separazione dal corpo umano. La Suprema Corte ha però recentemente operato un deciso revirement, offrendo una lettura evolutiva della nozione di cosa mobile: sono pertanto da qualificarsi mobili, non solo tutte le cose che sono già tali per intime caratteristiche, ma anche quelle che possono essere rese tali. In altri termini, è cosa mobile la cosa mobilizzabile. Nel caso di specie, gli ovociti possono essere mobilizzati, attraverso un intervento di tipo medico-chirurgico. L'asportazione degli ovociti comporta, dunque, la loro reificazione (il riferimento è a Cass. II, n. 37818/2020). 2. Questioni e orientamenti giurisprudenziali
Domanda
Quali sono le differenze strutturali esistenti fra i reati di furto con strappo e di rapina?
Orientamento più risalente della Corte di Cassazione Con riferimento alla seconda modalità alternativa di consumazione dello schema tipico di cui all'art. 624-bis c.p., ossia il furto con strappo, si pone spesso – nella pratica giudiziaria – il tema della differenziazione rispetto al delitto di rapina. La più generale linea di confine da stabilire inerisce allora proprio alle modalità attuative della condotta, in relazione a ciascuna delle ipotesi incriminatrici. Le due fattispecie si diversificano infatti tra loro in base alla direzione assunta dall'azione violenta, che venga esplicata dal soggetto agente. Una condotta violenta che venga perpetrata esclusivamente nei confronti della cosa – che quindi non vada ad interessare anche il soggetto passivo (in altri termini, una azione che non esplichi effetti di tipo fisico anche sulla persona), sarà riconducibile al paradigma normativo del furto con strappo. Una condotta connotata in termini di violenza che – seppur in forma accessoria e magari in una fase cronologicamente successiva, rispetto all'inizio della condotta illecita – produca conseguenze anche immediatamente sulla persona (trattandosi eventualmente di una forma di aggressione posta in essere al fine di vincerne le resistenze), concretizzerà al contrario la fattispecie delittuosa della rapina. Potrà in definitiva dirsi realizzato il reato di cui all'art. 624-bis c.p., nel caso in cui la condotta di matrice violenta sia indirizzata a carico della res e produca pertanto esiti solo di natura indiretta e mediata sulla persona. In tale situazione, le conseguenze sulla persona altro non saranno, se non la immancabile conseguenza della relazione di stretta contiguità, riscontrabile fra la res di mira dal soggetto agente ed il detentore di questa. Si tratterà quindi di una semplice ripercussione, di una conseguenza meramente secondaria e non avuta di mira dal soggetto attivo. Si dovranno al contrario considerare integrati gli elementi costitutivi della fattispecie delittuosa ex art. 628 c.p., nel caso in cui la condotta violenta investa in via diretta il detentore del bene; quest'ultimo sarà in tal caso oggetto di una volontaria aggressione materiale e fisica, realizzata dal reo, appunto al fine di elidere ogni possibile reazione della persona offesa. Il confine tra le due figure tipiche appare quindi certamente molto labile e di difficile lettura, nella comune esperienza giudiziaria. La questione diviene poi ancor più spinosa, osservando come anche nell'ipotesi del furto con strappo sia presupposta una relazione fisica, tra il soggetto attivo e la cosa mobile oggetto materiale del delitto. Sicché, la condotta di sottrazione di quest'ultima può certamente avere conseguenze sulla persona. In giurisprudenza, è stato in passato prospettato un orientamento di matrice marcatamente soggettivistica, che valorizzava l'intenzione finalistica del soggetto attivo. Così Cass. II, n. 3746/1983 riteneva di poter fissare la linea di discrimine tra le fattispecie delittuose della rapina e del furto con strappo direttamente in base alla differente direzione finalistica della condotta violenta. Tale attività aggressiva si rivolge nel primo caso sul detentore della res avuta di mira; nella figura tipica del furto con strappo la condotta violenta è al contrario esercitata soltanto sulla cosa. Orientamento più recente della Corte di Cassazione L'impostazione sopra riassunta deve reputarsi ormai sostanzialmente superata. Le due fattispecie incriminatrici vengono infatti oggi distinte fra loro, sulla base di una valutazione che procede secondo parametri di tipo squisitamente oggettivistico. Qualora gli effetti violenti si esplichino materialmente sulla persona soltanto in maniera mediata e indiretta, risulterà integrato il delitto di furto con strappo. In altri termini, l'unica direzione finalistica che va valutata – ai fini dell'incasellamento del fatto nel dettato dell'art. 624-bis co. 2 c.p., ovvero dell'art. 628 c.p., non attiene strettamente al versante dell'intenzione psicologico-soggettiva, bensì piuttosto al profilo della vis del soggetto. La violenza indirizzata sulla cosa, quand'anche dovesse indirettamente ricadere sul soggetto passivo, è sintomatica del delitto di furto con strappo; per converso, si ha rapina quando la violenza fisica si orienti direttamente sulla persona. In caso di particolare aderenza della res al corpo della vittima, se l'azione violenta ricade ad un tempo sulla cosa e sulla vittima, la quale tenti di difendere ovvero di trattenere la cosa, sarà integrato il delitto di rapina (in questi termini si è espressa Cass. II, n. 21352/2005). Sicché, ove la violenza venga direttamente rivolta verso la vittima, al fine di vincere la resistenza che questa opponga, il delitto configurabile sarà quello di rapina. La medesima impostazione concettuale si ritrova in Cass. II, n. 34206/2006, a mente della quale l'azione violenta rivolta in via immediata verso la cosa non determina il trasmodare del fatto sotto l'egida normativa della rapina, allorquando si verifichi solo una ripercussione mediata sulla persona, quale conseguenza della stretta relazione fisica intercorrente fra quest'ultima e la cosa stessa (negli stessi termini, si segnala anche il dictum di Cass. II, n. 41464/2010). Un coefficiente – anche minimo – di violenza diretto a neutralizzare la vittima, al fine di sottrarre la cosa mobile avuta di mira, deporrebbe nel senso dell'integrazione del delitto di rapina. Difatti, ben potrebbe il soggetto passivo opporre una resistenza, tale da indurre lo scippatore ad aumentare il carico aggressivo della propria condotta. Cass. II, n. 45409/2018 ha affermato la configurazione del delitto di rapina nel caso in cui la violenza esercitata non sia volta a superare la forza di coesione inerente alla normale relazione fisica tra il possessore e la cosa sottratta, bensì piuttosto a vincere la resistenza. Applicazioni Attenendosi ai principi espressi da Cass. II, n. 16899/2019, deve reputarsi integrato il paradigma normativo ex art. 628 c.p., laddove l'azione violenta venga posta in essere al fine di stroncare l'opposizione della vittima; ciò è parimenti da ritenersi allorquando la cosa venga tenuta molto aderente al corpo del possessore, per cui la condotta aggressiva esplichi i propri effetti anche in danno della persona. L'agente ha infatti in tal caso la necessità di elidere in toto la resistenza del detentore del bene, piuttosto che quella di azzerare la forza di coesione derivante dalla ordinaria relazione fisica esistente fra quest'ultimo ed il possessore. In tale situazione, è la violenza stessa – piuttosto che lo strappo – a rappresentare il tramite per addivenire alla sottrazione. L'azione integrerà al contrario il reato di furto con strappo, nel caso in cui la condotta violenta si diriga in via immediata nei confronti della res; non incidono in tal caso, ai fini della qualificazione del fatto in termini di furto con strappo, le eventuali conseguenza fisiche che – in maniera evidentemente riflessa e indiretta – vadano a prodursi sul detentore del bene. Deve allora essere ricondotta sotto l'egida normativa del delitto di rapina la condotta del soggetto attivo che – accostatosi da dietro ad una anziana vittima – afferri il capo di questa e la blocchi con una attività di compressione, così riducendola nella impossibilità di muoversi per la frazione di tempo occorrente a sfilarle gli orecchini dai lobi delle orecchie.
Domanda
Di quale reato potrà esser chiamato a rispondere il c.d. palo, in caso di furto che degeneri in furto con strappo o in rapina?
Orientamento consolidato della Corte di Cassazione Il soggetto che svolga il ruolo di palo risponde a titolo di concorso ordinario ai sensi dell'art. 110 c.p. (e non già a titolo di concorso anomalo ex art. 116 c.p.), ove il furto avvenga con modalità violente sulla cosa, tale da integrare la condotta di strappo. Difatti il furto con strappo, al pari della rapina, costituisce uno sviluppo normale e prevedibile del furto semplice. In aderenza ai sopra enucleati principi di diritto, deve allora ritenersi punibile a titolo di concorso ordinario colui che offra il proprio contributo causale alla perpetrazione del delitto di furto con strappo – accettando di espletare la funzione di palo, ossia aspettando gli esecutori materiali all'interno di una vettura, pronto ad assicurarne la fuga – laddove al contrario i correi, nella fase più strettamente esecutiva del fatto furtivo, realizzino una rapina. L'adozione di una condotta violenta in danno della persona costituisce infatti – nel dipanarsi concreto dell'iter criminis – uno sviluppo ampiamente ipotizzabile e prevedibile dell'azione voluta in origine voluta, costituita dalla violenza sulla cosa. Risultano allora integrati non gli estremi del concorso anomalo di cui all'art. 116, ma una ordinaria vicenda di concorso di persone ex art. 110 (Cass. II, n. 48330/2015). Applicazioni Giova sul punto ricordare come Cass. II, n. 46588/2011 abbia anche escluso la riconoscibilità della circostanza attenuante della partecipazione di minima importanza ad un soggetto che – durante le fasi esecutive di un delitto di rapina – abbia svolto il ruolo di palo ed abbia in seguito garantito la fuga degli autori materiali del gesto criminoso, ponendosi alla guida della vettura da questi adoperata all'uopo. 3. Azioni processualiPrincipale attività difensiva: Memoria difensiva al pubblico ministero Ulteriori attività difensive Per la fattispecie in esame si possono esperire le seguenti ulteriori attività difensive: Richiesta di riesame di un'ordinanza che applica una misura coercitiva (art. 309); Appello contro un'ordinanza in materia cautelare (art. 310); Ricorso per cassazione contro ordinanze cautelari personali (art. 311); Richiesta di presentazione spontanea per rilasciare dichiarazioni (art. 374); Memoria difensiva (art. 419, comma 2); Richiesta di giudizio abbreviato nei procedimenti a citazione diretta (art. 555). Condizioni di procedibilità Procedibilità Sia il reato di rapina – si presenti questo nella declinazione di rapina propria o di rapina impropria, sia esso semplice o aggravato da qualsivoglia forma di manifestazione – sia il reato ex art. 624-bis c.p. sono sempre procedibili d'ufficio. Improcedibilità delle impugnazioni (e prescrizione del reato) La pena edittale prevista per il reato di rapina semplice è la reclusione da un minimo di cinque a un massimo di dieci anni e la multa ha un ammontare variabile da € 927,00 a € 2.500,00; in tal caso, la prescrizione ordinaria è quindi pari ad anni dieci (cfr. art. 157 c.p.). Tale termine può essere aumentato – in presenza di atti interruttivi – fino ad un massimo di anni dodici e mesi sei (cfr. artt. 160 e 161 c.p.), oltre i periodi di sospensione (cfr. artt. 159 e 161 c.p.). Al ricorrere delle circostanze aggravanti ad effetto speciale dettate dal terzo comma dell'art. 628 c.p. (il trattamento sanzionatorio presenta in tal caso una forbice edittale detentiva da sei a venti anni di reclusione), si avrà una prescrizione ordinaria pari ad anni venti e un termine massimo, utile al consolidamento di tale causa estintiva, corrispondente ad anni venticinque. Alcune delle aggravanti previste dal terzo comma dell'art. 628 c.p. – segnatamente, quelle tipizzate dai nn. 3, 3-bis, 3-ter e 3-quater – hanno come detto natura di aggravanti privilegiate: non possono quindi essere computate con il criterio della equivalenza o della subvalenza, rispetto alle circostanze attenuanti diverse da quelle indicate dall'art. 98 c.p.; in ragione di ciò, le diminuzioni di pena conseguenti all'applicazione di circostanze attenuanti diverse da quelle ex art. 98 c.p. andranno computate sulla quantità di pena risultante dall'applicazione delle sopra dette aggravanti. Il furto con strappo prevede ordinariamente la pena della reclusione da quattro a sette anni di reclusione e la multa da € 927,00 a € 1.500,00,00 (forbice edittale così inasprita dall'art. 5, comma 1, lett. a) l. 26 aprile 2019, n. 36); al ricorrere di una o più delle circostanze aggravanti indicate dal primo comma dell'art. 625, ovvero di una o più delle circostanze dettate dall'art. 61 c.p., la fattispecie delittuosa ex art. 624-bis c.p. prevede la pena della reclusione da cinque a dieci anni e la multa da € 1.000,00 a € 2.500,00 (trattamento sanzionatorio modulato da successivi interventi legislativi, sussunti rispettivamente nell'art. 1, comma 6, lett. b) l. 23 giugno 2017, n. 103 e nell'art. 5, comma 1, lett. b) l. 26 aprile 2019, n. 36. In relazione alla fattispecie semplice, la prescrizione ordinaria è quindi pari ad anni sette (cfr. art. 157 c.p.); in presenza delle circostanze a effetto speciale sopra dette, il termine diviene pari anni dieci. Tale termine può essere aumentato – in presenza di atti interruttivi – fino ad un massimo di anni otto e mesi nove in relazione al furto con strappo semplice e di anni dodici e mesi sei (cfr. artt. 160 e 161 c.p.) al ricorrere delle aggravanti come sopra detto, oltre i periodi di sospensione (cfr. artt. 159 e 161 c.p.). A partire dal 1° gennaio 2020 (cfr. art. 2, comma 3, l. n. 134/2021), per tutti i casi di rapina (semplice o aggravata) costituiscono causa di improcedibilità dell'azione penale ex art. 344-bis c.p.p., la mancata definizione: – del giudizio di appello entro il termine di due anni; – del giudizio di cassazione entro il termine di un anno; salva proroga per un periodo non superiore ad un anno nel giudizio di appello ed a sei mesi nel giudizio di cassazione quando il giudizio d'impugnazione risulta particolarmente complesso in ragione del numero delle parti o del numero o della complessità delle questioni di fatto o di diritto da trattare; salva sospensione nei casi previsti dall'art. 344-bis, comma 6, c.p.p.; salva diversa modulazione dei predetti termini in applicazione della normativa transitoria (cfr. art. 2, commi 4 e 5, l. n. 134/2021). Misure precautelari e cautelari Arresto e fermo Con riguardo al reato di rapina, sia essa propria o impropria, nonché semplice o aggravata: – l'arresto in flagranza è previsto come obbligatorio; – il fermo di indiziato di delitto è consentito. Per il delitto di furto con strappo si prevedono parimenti: – l'arresto obbligatorio in flagranza, salvo che ricorra la circostanza attenuante ex art. 62 co. 1 n. 4 c.p.; – il fermo di indiziato di delitto. Misure cautelari personali In relazione ad entrambe le fattispecie delittuose, è consentita l'adozione di tutte le misure cautelari. Competenza, forme di citazione a giudizio e composizione del tribunale Competenza In tutti i casi di rapina è competente per materia il tribunale (cfr. art. 6 c.p.p.). Per il reato di furto con strappo è parimenti competente per materia il tribunale. Citazione a giudizio Per il reato di rapina – semplice o circostanziato che sia – è sempre necessaria la celebrazione dell'udienza preliminare (cfr. art. 550 c.p.p.); in relazione al reato di cui all'art. 624-bis c.p. – nonostante il mancato inserimento testuale di tale figura tipica fra quelle che, a norma dell'art. 550 c.p.p., prevedono tale modalità di instaurazione della fase processuale – la giurisprudenza di legittimità ha sempre ritenuto necessario procedere mediante la citazione diretta a giudizio. Sul punto, ricordiamo da ultimo il dictum di Cass. V, n. 28694/2022, che ha attribuito lo stigma dell'atto abnorme (in quanto causativo di una indebita regressione ed irreversibile stasi del processo), al provvedimento adottato dal giudice del dibattimento che, a fronte del corretto esercizio dell'azione penale nelle forme della citazione diretta a giudizio per il delitto di furto con strappo, restituisca gli atti al p.m. perché questi formuli la richiesta di rinvio a giudizio. Composizione del tribunale Il dibattimento per il reato di rapina – aggravato o meno – si svolge sempre dinanzi al tribunale. Questo decide in composizione monocratica in presenza di rapina semplice; diviene invece competente il tribunale in composizione collegiale, al ricorrere dei casi indicati al terzo e al quarto comma (cfr. artt. 33-bis e 33-ter c.p.p.). Il delitto ex art. 624-bis c.p. viene invece giudicato dal tribunale in composizione monocratica. 4. ConclusioniLa linea di confine fra le due figure tipiche sopra sviscerate deve porsi in base alla direzione finalistica assunta dall'azione violenta perpetrata dal soggetto attivo. Trattasi di fattispecie criminose che, nella pratica applicazione, risultano molto spesso di ardua differenziazione fra loro. Stando all'interpretazione ormai sostanzialmente concorde dei Giudici di legittimità, non potrà discorrersi di furto con strappo allorquando la violenza venga posta in essere per elidere ogni forma di opposizione della vittima, piuttosto che per vincere la naturale resistenza del bene avuto di mira; la sottrazione si concretizza infatti qui mediante la violenza alla persona e non grazie all'azione di strappo. |