Rapporti tra esercizio arbitrario delle proprie ragioni ed estorsione.Il credito altrui riscosso dal terzo

SERGIO BELTRANI

1. Bussole di inquadramento

I rapporti tra esercizio arbitrario delle proprie ragioni ed estorsione.

Si pone con frequenza nelle aule dei Tribunali il problema di distinguere i reati di esercizio arbitrario delle proprie ragioni (artt. 392 ss. c.p.) e di estorsione (art. 629 c.p.):

– il primo, posto a tutela dell'amministrazione della giustizia, è integrato quando un soggetto, al fine di esercitare un preteso diritto, potendo ricorrere al giudice, si fa arbitrariamente ragione da sé medesimo, mediante violenza sulle cose (art. 392 c.p.: il secondo comma della disposizione precisa che, “agli effetti della legge penale, si ha violenza sulle cose allorché la cosa viene danneggiata o trasformata, o ne è mutata la destinazione”), ovvero usando violenza o minaccia alle persone (art. 393 c.p.): trattasi di delitti che possono avere in comune la materialità del fatto con diversi altri reati (ad esempio, con la violenza privata, la rapina, l'estorsione, il danneggiamento);

– il secondo, posto principalmente a tutela del patrimonio, ma avente natura di reato plurioffensivo, in quanto lede anche la libertà e l'integrità fisica e morale della vittima (Cass. II, n. 32224/2020, con la precisazione che è necessario considerare, ai fini del riconoscimento dell'attenuante del danno di speciale tenuità ex art. 62, comma primo, n. 4, c.p., sia il danno patrimoniale patito dalla vittima, sia gli effetti dannosi conseguenti alla lesione della persona contro la quale è stata esercitata la violenza o la minaccia).

2. Questioni e orientamenti giurisprudenziali

Domanda
L'esercizio arbitrario delle proprie ragioni è reato comune o reato proprio? 

Orientamento meno recente

Il reato è configurabile solo se commesso nell'interesse del creditore

La giurisprudenza meno recente riteneva che il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni fosse configurabile anche se il soggetto attivo avesse usato violenza per esercitare una pretesa giuridica accampata da altri, se ciò sia, però, avvenuto in nome ed in vece del titolare (come nel caso in cui si siano attivati mandatari, congiunti o dipendenti) e nel suo interesse esclusivo.

Ai fini dell'integrazione dei reati di cui agli artt. 392 e 393 c.p. si richiedeva sempre e comunque il coinvolgimento del titolare del preteso diritto azionato (cfr. Cass. VI, n. 8434/1985, per la quale soggetto attivo del delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni può essere anche colui che eserciti un diritto pur non avendone la titolarità, ma agendo per conto dell'effettivo titolare: nel caso esaminato, l'imputata aveva consumato il delitto esercitando, nella sua qualità di coniuge, una pretesa di natura reale vantata dal consorte e nell'interesse di questo ultimo; Cass. II, n. 8836/1991, per la quale «il reato di “ragion fattasi” di cui all'art. 393 c.p. non è escluso dalla circostanza che il preteso diritto appartenga a soggetto diverso dall'agente, se questi, nella qualità di negotiorum gestor e senza la necessità di investiture formali, operi nel di lui interesse, concorrendo, così, nella commissione del reato»; Cass. VI, n. 14335/2001, in fattispecie relativa all'arbitrario esercizio di un diritto del quale era titolare il coniuge del soggetto agente; Cass. VI, n. 1257/2004, in fattispecie nella quale la violenza sulle cose era stata attuata per esercitare il presunto diritto di proprietà di un figlio dell'agente; Cass. VI, n. 23322/2013, in fattispecie nella quale l'imputato, al fine di assicurare la somministrazione di energia elettrica al fondo del padre, aveva collocato nel fondo di un vicino dei pali perché l'Enel potesse esercitare la servitù di elettrodotto).

Orientamento delle Sezioni Unite

L'esercizio arbitrario delle proprie ragioni, in entrambe le sue configurazioni, costituisce “reato proprio”.

Secondo le Sezioni Unite (Cass. S.U., n. 29541/2020), i reati di esercizio arbitrario delle proprie ragioni (artt. 392 s. c.p.) hanno natura giuridica di reati propri.

Si è già osservato che l'esercizio arbitrario delle proprie ragioni assume rilevanza penale se commesso con violenza sulle cose (art. 392 c.p.) o con violenza o minaccia alle persone (art. 393 c.p.).

Come già osservato dalla giurisprudenza (Cass. VI, n. 15972/2001), nel reato previsto dall'art. 392 c.p. ricorrono sempre o quasi gli estremi del fatto di danneggiamento (art. 635 c.p.), mentre in quello previsto dal successivo art. 393 sono configurabili in ogni caso gli estremi del delitto di violenza privata (art. 610 c.p.): l'esercizio arbitrario delle proprie ragioni, in entrambe le sue configurazioni, è, tuttavia, punito meno gravemente dei delitti che in esso sono necessariamente contenuti (salvo che nel caso del danneggiamento non aggravato, trasformato in illecito civile dall'art. 4, comma 1, d. lgs. n. 7 del 15 gennaio 2016), nonostante il fatto che, rispetto al danneggiamento previsto dal testo attualmente vigente dell'art. 635 c.p. ed alla violenza privata, l'offesa dell'interesse all'amministrazione della giustizia si aggiunge alla lesione, rispettivamente, del patrimonio o della persona. Inoltre, nonostante comportino anche la lesione di un interesse pubblico, i reati di cui agli artt. 392 e 393 c.p. sono perseguibili non d'ufficio, ma a querela di parte, il che comporta che il danneggiamento e la violenza privata, ordinariamente procedibili d'ufficio, quando ledono una prerogativa dell'Autorità giudiziaria, oltre ad essere puniti meno gravemente, diventano procedibili a querela di parte.

Questa disciplina trova l'unica plausibile giustificazione nella considerazione che «il fatto di agire col convincimento di esercitare un diritto è sentito dalla coscienza sociale come un motivo di attenuazione della pena». In proposito, un pur risalente precedente (Cass. VI, n. 1835/1969) aveva osservato che, nei reati di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, l'agente opera con il convincimento di esercitare un suo diritto, il che è avvertito dalla coscienza sociale come motivo di attenuazione della pena ed importa che i delitti in oggetto vengano considerati dalla legge, nella loro essenza unitaria, come una forma attenuata di danneggiamento, nell'ipotesi di cui all'art. 392 c.p., o di violenza privata, in quella di cui all'art. 393: la medesima ratio può ritenersi suscettibile anche di affievolire l'interesse statale all'esercizio della pretesa punitiva, destinato ad insorgere soltanto a seguito della tempestiva iniziativa del presunto debitore/ querelante.

I reati di esercizio arbitrario delle proprie ragioni si caratterizzano, quindi, per il fatto che il soggetto che vanta la titolarità di un preteso diritto, e per tale ragione potrebbe “ricorrere al giudice”, acquisisce la c.d. legittimazione al reato in quanto la sua qualifica limita la meritevolezza di un trattamento processuale e sanzionatorio indiscutibilmente di favore; detto trattamento di favore non si pone in contrasto con il principio costituzionale di uguaglianza (art. 3 Cost.), trovando ragionevole giustificazione nella tutela di un interesse che lo legittima.

Si é anche evidenziato che non costituisce apprezzabile ostacolo alla qualificazione dei reati di esercizio arbitrario delle proprie ragioni come reati propri, l'indicazione, negli articoli 392 e 393 c.p., del soggetto attivo come “chiunque”, poiché in numerosi reati pacificamente “propri”, il soggetto attivo è normativamente indicato in “chiunque”: si pensi, per tutti, alla falsa testimonianza (art. 372 c.p.) ed addirittura all'incesto (art. 564 c.p.).

Il “chiunque” indicato dagli articoli 392 e 393 c.p. è, dunque, soltanto il soggetto che potrebbe ricorrere al giudice al fine di esercitare un preteso diritto.

Si è, infine, osservato che la qualificazione come esercizio arbitrario delle proprie ragioni (a seconda dei casi, con violenza sulle cose oppure con violenza o minaccia alle persone) delle condotte poste in essere di propria iniziativa da terzi non appartenenti al nucleo familiare del creditore (integrato unicamente dal coniuge, dai figli, dai genitori, come emerso nella casistica giurisprudenziale), senza previo concerto, o comunque non d'intesa con il creditore, comporterebbe l'immotivata applicazione ad essi del previsto regime favorable, che trova giustificazione, anche quanto al rispetto del principio di uguaglianza ex art. 3 Cost., proprio e soltanto nella contrapposizione tra un presunto creditore ed un presunto debitore, che risolvono la propria controversa senza adire le vie legali, pur potendo farlo (il creditore ricorrendo al giudice civile, il debitore sporgendo querela).

Nel caso in cui il presunto creditore sia del tutto estraneo all'iniziativa del terzo negotiorum gestor, non potrà, quindi, essere configurato un reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, ma ricorreranno quanto meno (e salvo quello che si osserverà in seguito con riguardo ai rapporti tra esercizio arbitrario delle proprie ragioni ed estorsione) gli estremi dei corrispondenti reati comuni (danneggiamento o violenza privata).

Domanda
L'esercizio arbitrario delle proprie ragioni è reato proprio esclusivo (o di mano propria)?

Orientamento giurisprudenziale in precedenza dominante

L'esercizio arbitrario delle proprie ragioni, in entrambe le sue configurazioni, costituisce “reato proprio esclusivo” (o di mano propria)

Secondo l'orientamento in precedenza dominante, l'esercizio arbitrario delle proprie ragioni, in entrambe le sue configurazioni, costituiva “reato proprio esclusivo” (o di mano propria).

Premesso che l'esercizio arbitrario delle proprie ragioni può essere commesso, ai sensi degli artt. 392 e 393 c.p. unicamente da “chiunque (...) si fa arbitrariamente ragione da sé medesimo”, si riteneva, valorizzando quest'ultima previsione, che i predetti reati avessero natura giuridica di “reati propri esclusivi” (o di mano propria), nei quali la condotta tipica deve essere posta in essere dal soggetto “qualificato”, ovvero, nel caso di specie, dal presunto creditore: di conseguenza, quando la condotta tipica di violenza o minaccia prevista dagli artt. 392 e 393 c.p. sia posta in essere da un soggetto diverso dal creditore, ovvero estraneo al rapporto obbligatorio che fonderebbe la pretesa azionata, non potrebbe ritenersi integrato l'esercizio arbitrario delle proprie ragioni.

L'assunto sarebbe risultato corroborato dalla particolare oggettività giuridica dei reati di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, posti a tutela anche dell'interesse statuale al ricorso obbligatorio alla giurisdizione (il c.d. monopolio giurisdizionale) nella risoluzione delle controversie, in riferimento al quale, se può – in determinati casi (ovvero in difetto della presentazione della querela da parte del soggetto a ciò legittimato) – essere tollerato che chi ne ha diritto si faccia ragione “da sé medesimo”, non può mai essere tollerata l'intromissione del terzo estraneo che si sostituisca allo Stato, esercitandone le inalienabili prerogative nell'amministrazione della giustizia (Cass. II, n. 46288/2016; nel medesimo senso, pur implicitamente, Cass. I, n. 6968/2018).

Nell'ambito di questo orientamento, Cass. II, n. 31725/2017 ha configurato il reato di cui all'art. 393 c.p. con riferimento ad una fattispecie nella quale l'imputato, un avvocato nell'esercizio del proprio mandato professionale, aveva inviato una missiva con richieste di rilevanti somme di denaro per chiudere la controversia, minacciando altrimenti denunce che avrebbero portato l'emissione di provvedimenti applicativi di misure cautelari nei confronti della controparte e del suo difensore, osservando, peraltro, che «il professionista che agisca nell'interesse di un cliente non può considerarsi “estraneo” alla contesa che opponga il proprio patrocinato ad un terzo (...): l'avvocato è una parte tecnica che si affianca alla parte sostanziale della contesa, nella conclusiva unitarietà di una parte complessa».

Orientamento delle Sezioni Unite

L'esercizio arbitrario delle proprie ragioni, in entrambe le sue configurazioni, non costituisce “reato proprio esclusivo” (o di mano propria)

Secondo le Sezioni Unite (Cass. S.U., n. 29541/2020), l'esercizio arbitrario delle proprie ragioni, in entrambe le sue configurazioni, non costituisce “reato proprio esclusivo” (o di mano propria).

Si è, in proposito, osservato che il riferimento, per integrare la descrizione della fattispecie tipica di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, alla necessità che il soggetto che vanta il preteso diritto si faccia ragione “da sé medesimo” ha un significato meramente pleonastico, e non consente di avvalorare l'orientamento che valorizza il predetto riferimento per argomentare la natura giuridica di reati propri esclusivi, o di mano propria, dei reati de quibus.

Domanda
Come si distinguono l'esercizio arbitrario delle proprie ragioni e l'estorsione? 

Orientamento tradizionale

L'esercizio arbitrario delle proprie ragioni e l'estorsione si distinguono avendo riguardo all'elemento intenzionale

La giurisprudenza tradizionale (Cass. II, n. 56400/2018; Cass. II, n. 46288/2016; Cass. II, n. 9121/1996; Cass. II, n. 6445/1989; Cass. II, n. 5589/1983) distingueva i delitti di cui agli articoli 393 e 629 c.p. essenzialmente in relazione all'elemento psicologico:

– nel primo, l'agente persegue il conseguimento di un profitto nella convinzione ragionevole, anche se in ipotesi infondata, di esercitare un suo diritto giudizialmente azionabile;

– nell'estorsione, invece, l'agente persegue il conseguimento di un profitto nella consapevolezza di non averne diritto.

Nell'ambito di questo orientamento, Cass. VI, n. 58087/2017 aveva anche ritenuto che il delitto di sequestro di persona a scopo di estorsione (art. 630 c.p.) si distingue da quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alla persona, posto in essere in concorso con il sequestro di persona, non già in base alla intensità della violenza che connota la condotta, bensì in ragione del fine perseguito dal suo autore che, nel primo caso, è volta al conseguimento di un profitto ingiusto, e, nell'altro, alla realizzazione, con modi arbitrari, di una pretesa giuridicamente azionabile: in tal caso, infatti, l'ingiusto profitto sussiste sia nel caso in cui il vantaggio ricercato dal reo coincida con il prezzo della liberazione, sia nel caso in cui detto vantaggio derivi dall'esecuzione di un pregresso rapporto illecito con la vittima del reato, trattandosi di una pretesa non tutelabile dinanzi all'autorità giudiziaria.

L'orientamento contrario, per il quale l'esercizio arbitrario delle proprie ragioni e l'estorsione si distinguono in primis con riguardo alla materialità del fatto

Altro orientamento ha, al contrario, valorizzato, ai fini della distinzione, la materialità del fatto, affermando che, nel delitto di cui all'art. 393 c.p. la condotta violenta o minacciosa non è fine a sé stessa, ma risulta strettamente connessa alla finalità dell'agente di far valere il preteso diritto, rispetto al cui conseguimento si pone come elemento accidentale, per cui non può mai consistere in manifestazioni sproporzionate e gratuite di violenza: di conseguenza, quando la minaccia o la violenza si estrinsechino in forme di forza intimidatoria e sistematica pervicacia tali da eccedere ogni ragionevole intento di far valere un diritto, la coartazione dell'altrui volontà è finalizzata a conseguire un profitto che assume ex se i caratteri dell'ingiustizia ed, in determinate circostanze e situazioni, anche la minaccia dell'esercizio di un diritto, di per sé non ingiusta, può diventare tale, se le modalità in cui essa risulti formulata denotino una prava volontà ricattatoria che le facciano assumere connotazioni estorsive (Cass. V, n. 35563/2019; Cass. II, n. 33712/2017; Cass. VI, n. 11823/2017; Cass. I, n. 32795/2014).

Nell'ambito di questo orientamento, alcune decisioni hanno anche ritenuto che il delitto di estorsione sarebbe configurabile quando la condotta minacciosa o violenta, anche se finalisticamente orientata al soddisfacimento di un preteso diritto, si estrinsechi nella costrizione della vittima attraverso l'annullamento della sua capacità volitiva; sarebbe, invece, configurabile il delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni quando un diritto giudizialmente azionabile venga soddisfatto attraverso attività violente o minatorie che abbiano un epilogo “non costrittivo”, ma “più blandamente persuasivo” (Cass. II, n. 11453/2016; Cass. II, n. 36928/2018).

Orientamento delle Sezioni Unite

L'esercizio arbitrario delle proprie ragioni e l'estorsione si distinguono avendo riguardo all'elemento psicologico

Secondo le Sezioni Unite (Cass. S.U., n. 29541/2020), intervenute a dirimere il contrasto, il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza o minaccia alle persone e quello di estorsione si differenziano tra loro in relazione all'elemento psicologico.

Si è, in proposito, osservato che la materialità dei reati di esercizio arbitrario delle proprie ragioni e di estorsione è esattamente sovrapponibile, poiché soltanto ai fini dell'integrazione della fattispecie tipica di estorsione è normativamente richiesto il verificarsi di un effetto di “costrizione” della vittima, conseguente alla violenza o minaccia, queste ultime costituenti elemento costitutivo comune ad entrambi i reati (art. 392 c.p.: “mediante violenza sulle cose”; art. 393 c.p.: “usando violenza o minaccia alle persone”; art. 629 c.p.: “mediante violenza o minaccia”). Cionondimeno, la possibile valenza dimostrativa di tale disomogeneità strutturale può agevolmente essere ridimensionata, ove si pensi che l'effetto costrittivo della condotta estorsiva appare consustanziale proprio alla diversa finalità dell'agente, che mira ad ottenere una prestazione non dovuta, dalla quale l'agente trae profitto ingiusto, e la vittima un danno; diversamente, nell'esercizio arbitrario delle proprie ragioni la violenza o minaccia mira ad ottenere dal debitore proprio e soltanto la prestazione dovuta, come in astratto giudizialmente esigibile.

D'altro canto, il riferimento all'effetto “costrittivo” della condotta appare, nella sistematica codicistica, piuttosto finalizzato a distinguere il reato di estorsione, previsto e punito dall'art. 629 c.p., da quello di rapina, previsto e punito dal precedente art. 628: come chiarito dalla stessa Relazione del Guardasigilli al Re sul Libro I del Progetto del codice penale del 1930 (pag. 450), «premesso che in entrambe tali ipotesi delittuose la spogliazione in danno della vittima di consuma mercé violenza o minaccia, il Progetto coglie la nota differenziale dei due delitti negli effetti della coercizione usata, riscontrando la rapina, se l'agente s'impossessa egli stesso della cosa altrui, e l'estorsione, se la persona, a cui la violenza o la minaccia è diretta, è obbligata a consegnare la cosa».

Come già evidenziato dalla giurisprudenza (Cass. II, n. 46288/2016; Cass. II, n. 51433/2013), sia l'art. 393, comma terzo, c.p. che l'art. 629, comma secondo, c.p. (in quest'ultimo caso, mediante richiamo dell'art. 628, comma terzo, n. 1 c.p.) prevedono che la pena è aumentata «se la violenza o minaccia è commessa con armi», senza legittimare distinzioni tra armi bianche ed armi da fuoco: è quindi normativamente prevista la qualificazione come esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza o minaccia alle persone, aggravato dall'uso di un'arma, anche di condotte poste in essere con armi tali da rendere la violenza o la minaccia di particolare gravità, ovvero “costrittiva”, e comunque “sproporzionata”, rispetto al fine perseguito. Detto riferimento appare decisivo, atteso che, secondo il contrario orientamento, siffatta condotta dovrebbe sempre integrare gli estremi del più grave delitto di estorsione, il che, per espressa previsione di legge, non è.

La stessa Relazione del Guardasigilli al Re sul progetto del Codice penale, pur in estrema sintesi (pag. 158), osserva che la fattispecie tipica di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza o minaccia alle persone è «comprensiva d'ogni specie di violenza, fisica o morale», senza attribuire, quindi, alcuna rilevanza al quantum di violenza esercitata oppure alla gravità della minaccia profferita.

La giurisprudenza (Cass. VI, n. 45064/2014) aveva già evidenziato che «le norme sostanziali poste a confronto non contengono alcuna gradazione (né “verso l'alto” né “verso il basso”) delle modalità espressive della condotta violenta o minacciosa, e che le fattispecie si distinguono in base al solo finalismo della condotta medesima, che in un caso è mirata al conseguimento di un profitto ingiusto, e nell'altro allo scopo, soggettivamente concepito in modo ragionevole, di realizzare, pur con modi arbitrari, una pretesa giuridicamente azionabile. In questa prospettiva, il livello offensivo della coercizione finisce con l'incidere sulla gradazione della pena, ma non sulla qualificazione del fatto»: risulta, pertanto, evidente la «carenza di tipicità che si connette all'enucleazione, in assenza di qualsiasi segnale linguistico, di una sottofattispecie delle nozioni di violenza e minaccia, così “gravemente intimidatorie” da connotare ex se di ingiustizia qualunque finalismo, e dunque sostanzialmente da annullare la funzione definitoria del corrispondente riferimento alla specifica connotazione del profitto perseguito dall'estorsore».

Si è, pertanto, concluso che i delitti di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza o minaccia alla persona e di estorsione, pur caratterizzati da una materialità non esattamente sovrapponibile, si distinguono in relazione all'elemento psicologico:

– nel primo, l'agente persegue il conseguimento di un profitto nella convinzione non meramente astratta ed arbitraria, ma ragionevole, anche se in concreto infondata, di esercitare un suo diritto, ovvero di soddisfare personalmente una pretesa che potrebbe formare oggetto di azione giudiziaria: pur non richiedendosi che si tratti di pretesa fondata, ovvero che il diritto oggetto dell'illegittima tutela privata sia realmente esistente, deve, peraltro, trattarsi di una pretesa non del tutto arbitraria, ovvero del tutto sfornita di una possibile base legale, poiché il soggetto attivo deve agire nella ragionevole opinione della legittimità della sua pretesa, ovvero ad autotutela di un suo diritto in ipotesi suscettibile di costituire oggetto di una contestazione giudiziale avente, in astratto, apprezzabili possibilità di successo (come già chiarito in precedenza da Cass. II, n. 24478/2017);

– nel secondo, invece, l'agente persegue il conseguimento di un profitto nella piena consapevolezza della sua ingiustizia.

Ai fini della distinzione tra i reati di cui agli artt. 393 e 629 c.p. assume, pertanto, decisivo rilievo l'esistenza o meno di una pretesa in astratto ragionevolmente suscettibile di essere giudizialmente tutelata:

– nel primo, il soggetto agisce con la coscienza e la volontà di attuare un proprio diritto, a nulla rilevando che il diritto stesso sussista o non sussista, purché l'agente, in buona fede e ragionevolmente, ritenga di poterlo legittimamente realizzare;

– nell'estorsione, invece, l'agente non si rappresenta, quale impulso del suo operare, alcuna facoltà di agire in astratto legittima, ma tende all'ottenimento dell'evento di profitto mosso dal solo fine di compiere un atto che sa essere contra ius, perché privo di giuridica legittimazione, per conseguire un profitto che sa non spettargli.

Domanda
Come si accerta l'elemento psicologico per distinguere i casi di esercizio arbitrario delle proprie ragioni dai casi di estorsione?

L'orientamento consolidato

L'elemento psicologico del reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone e quello del reato di estorsione vanno accertati secondo le ordinarie regole probatorie: alla speciale veemenza del comportamento violento o minaccioso potrà, pertanto, riconoscersi valenza di elemento sintomatico del dolo di estorsione (Cass. S.U., n. 29541/2020).

La prova del dolo, in assenza di esplicite ammissioni da parte dell'imputato, ha, infatti, natura indiretta, dovendo essere desunta da elementi esterni ed, in particolare, da quei dati della condotta che, per la loro non equivoca potenzialità offensiva, siano i più idonei ad esprimere il fine perseguito dall'agente (Cass. I, n. 35006/2013; Cass. I, n. 11928/2019).

Con specifico riferimento al tema in esame, si è inoltre osservato che «il dolo può essere tratto solo da dati esteriori, che ne indicano l'esistenza, e servono necessariamente a ricostruire anche il processo decisionale alla luce di elementi oggettivi, analizzati con un giudizio ex ante», e, di conseguenza, «le forme esteriori della condotta, e quindi la gravità della violenza e l'intensità dell'intimidazione veicolata con la minaccia, non sono momenti del tutto indifferenti nel qualificare il fatto in termini di estorsione piuttosto che di esercizio arbitrario ai sensi dell'art. 393 c.p.», ben potendo quindi costituire indici sintomatici di una volontà costrittiva, di sopraffazione, piuttosto che di soddisfazione di un diritto effettivamente esistente ed azionabile (Cass. II, n. 44476/2015).

Domanda
È configurabile l'esercizio arbitrario delle proprie ragioni o l'estorsione nel caso in cui la violenza o minaccia sia posta in essere in danno di un terzo estraneo al rapporto obbligatorio azionato?

Orientamento meno recente

Si, è configurabile

Un risalente orientamento della giurisprudenza (Cass. VI, n. 1835/1969), premesso che per la sussistenza del delitto di cui all'art. 393 c.p. la legge richiede soltanto l'uso della violenza o minaccia alla persona, aveva ritenuto non necessario che la persona rimasta vittima della violenza o della minaccia fosse quella in conflitto d'interessi con l'agente, poiché si dovrebbe avere riguardo non tanto e non solo alla persona verso la quale si indirizza la violenza o la minaccia, «ma al nesso di mezzo al fine che tra il fatto violento o la minaccia e il proposito di farsi ragione da sé deve ricorrere», con l'ulteriore conseguenza che il reato, sempre che un tale nesso sia riscontrabile, sarebbe completo in tutti i suoi elementi anche se la violenza o minaccia siano dirette non contro l'antagonista del soggetto attivo, ma contro altra e diversa persona.

Orientamento delle Sezioni Unite

No, non è configurabile

L'orientamento non era condivisibile, e può ritenersi ormai superato: a parere delle Sezioni Unite (Cass. S.U., n. 29541/2020), infatti, proprio in considerazione del fatto che la sussistenza del requisito della tutelabilità dinanzi all'autorità giudiziaria del preteso diritto cui l'azione del reo è diretta va verificata preliminarmente (poiché commette il reato di cui all'art. 393 c.p. “chiunque” possa ricorrere al giudice al fine di esercitare un preteso diritto), risulta evidente che l'agente non potrebbe azionare in giudizio la sua pretesa chiamando in causa, in garanzia, e senza titolo alcuno, i terzi estranei al rapporto obbligatorio in ipotesi azionabile in cui danno siano state poste in essere la violenza o le minacce.

Si è, pertanto, ritenuto che è configurabile il delitto di estorsione nei casi in cui l'agente abbia esercitato la pretesa con violenza e/o minaccia in danno di un terzo assolutamente estraneo al rapporto obbligatorio esistente inter partes, dal quale scaturisce la pretesa azionata, per costringere il debitore ad adempiere (Cass. II, n. 5092/2018; conforme, Cass. II, n. 33870/2014: fattispecie in cui il creditore ed i coimputati avevano rivolto nei confronti del debitore gravi minacce in danno del figlio e della moglie), poiché essa non sarebbe tutelabile dinanzi all'Autorità giudiziaria, risultando in concreto diretta a procurarsi un profitto ingiusto, consistente nell'ottenere il pagamento del debito da un soggetto estraneo al sottostante rapporto contrattuale (Cass. II, n. 45300/2015, in fattispecie nelle quali era stata usata violenza in danno del padre del debitore, per costringerlo ad adempiere il debito del figlio).

Domanda
In presenza del “metodo mafioso”, è sempre configurabile l'estorsione, o può configurarsi anche l'esercizio arbitrario delle proprie ragioni?

Orientamento tradizionale

È sempre estorsione

Secondo l'orientamento tradizionale, integra sempre gli estremi dell'estorsione aggravata dal c.d. “metodo mafioso” (già art. 7 d.l. n. 152/1991, conv. in l. n. 203/1991, ed ora art. 416-bis.1 c.p.), e non dell'esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza o minaccia alle persone ugualmente aggravato, la condotta consistente in minacce di morte o gravi lesioni personali formulate dal presunto creditore e da un terzo estraneo al rapporto obbligatorio in danno della persona offesa, estrinsecatesi nell'evocazione dell'appartenenza di entrambi ad una organizzazione malavitosa di tipo mafioso, per l'estrema incisività della forza intimidatoria esercitata, costituente indice del fine di procurarsi un profitto ingiusto, esorbitante rispetto al fine di recupero di somme di denaro sulla base di un preteso diritto (Cass. II, n. 34147/2015).

Orientamento delle Sezioni Unite

Non vi è incompatibilità assoluta con l'esercizio arbitrario delle proprie ragioni.

Secondo le Sezioni Unite (Cass. S.U., n. 29541/2020), l'orientamento tradizionale non può essere condiviso, poiché la formulazione dell'art. 416-bis.1 c.p. non consente di affermare che la circostanza aggravante in oggetto sia assolutamente incompatibile con il reato di cui all'art. 393 c.p.

Residua al più la possibilità di valorizzare l'impiego del c.d. “metodo mafioso”, unitamente ad altri elementi, quale elemento sintomatico del dolo di estorsione.

Domanda
Come si configura il concorso di persone nei reati di esercizio arbitrario delle proprie ragioni e di estorsione?

L'orientamento tradizionale

La giurisprudenza di questa Corte ha tradizionalmente affermato che, per configurare il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni in luogo di quello di estorsione, nel caso in cui la condotta tipica sia posta in essere da un terzo a tutela di un diritto altrui, occorre che il terzo abbia commesso il fatto al solo fine di esercitare il preteso diritto per conto del suo effettivo titolare, dal quale abbia ricevuto incarico di attivarsi, e non perché spinto anche da un fine di profitto proprio, ravvisabile ad esempio nella promessa o nel conseguimento di un compenso per sé, anche se di natura non patrimoniale (Cass. II, n. 11282/1985); qualora il terzo agente – seppure inizialmente inserito in un rapporto inquadrabile ex art. 110 c.p. nella previsione dell'art. 393 stesso codice – inizi ad agire in piena autonomia per il perseguimento dei propri interessi, deve ritenersi che tale condotta integri gli estremi del concorso nel reato di estorsione exartt. 110 e 629 c.p. (Cass. II, n. 8836/1991; Cass. V, n. 22003/2013).

L'orientamento delle Sezioni Unite

Le Sezioni Unite (Cass. S.U., n. 29541/2020) hanno condiviso e ribadito l'orientamento tradizionale, muovendo da due punti fermi:

– il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni ha natura di reato proprio non esclusivo;

– il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con minaccia o violenza alle persone e quello di estorsione si differenziano tra loro in relazione all'elemento psicologico.

Ciò premesso, si è osservato che, se, ai fini della distinzione tra i reati de quibus, alla partecipazione al reato di terzi concorrenti non creditori (abbiano, o meno, posto in essere la condotta tipica) non è possibile attribuire rilievo decisivo, risulta, al contrario, determinante il fatto che i terzi eventualmente concorrenti ad adiuvandum del preteso creditore abbiano, o meno, perseguito (anche o soltanto) un interesse proprio. Ove ciò sia accaduto, i terzi (ed il creditore) risponderanno di concorso in estorsione; in caso contrario, ove cioè i concorrenti nel reato abbiano perseguito proprio e soltanto l'interesse del creditore, nei limiti in cui esso sarebbe stato in astratto giudizialmente tutelabile, tutti risponderanno di concorso in esercizio arbitrario delle proprie ragioni.

Domanda
In presenza della “finalità mafiosa”, è sempre configurabile l'estorsione, o può configurarsi anche l'esercizio arbitrario delle proprie ragioni?

L'orientamento delle Sezioni Unite

Secondo le Sezioni Unite (Cass. S.U., n. 29541/2020), nei casi in cui ricorra la circostanza aggravante della c.d. “finalità mafiosa” [art. 416-bis.1 c.p.: essere “i delitti punibili con pena diversa dall'ergastolo commessi (...) al fine di agevolare l'attività delle associazioni previste” dall'art. 416-bis c.p.], la finalizzazione della condotta alla soddisfazione di un interesse ulteriore (anche se di per sé di natura non patrimoniale) rispetto a quello di ottenere la mera soddisfazione del diritto arbitrariamente azionato, comporta la sussumibilità della fattispecie sempre e comunque nella sfera di tipicità dell'art. 629 c.p., con il concorso dello stesso creditore, per avere agevolato il perseguimento (anche o soltanto) di una finalità (anche soltanto lato sensu) di profitto di terzi.

D'altro canto, la giurisprudenza aveva già chiarito che non è configurabile il reato di ragion fattasi, bensì quello di estorsione (in concorso con quello di partecipazione ad associazione per delinquere), allorché si sia in presenza di una organizzazione specializzata in realizzazione di crediti per conto altrui, la quale operi, in vista del conseguimento anche di un proprio profitto, mediante sistematico ricorso alla violenza o ad altre forme di illecita coartazione nei confronti dei soggetti indicatile come debitori (Cass. II, n. 1556/1992; Cass. II, n. 12982/2006).

Una più recente decisione (Cass. II, n. 5622/2022) ha ribadito che si configura il reato di estorsione, e non quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, allorché il terzo incaricato dell'esazione di un credito agisca con condotta della quale sia stata accertata la finalità di agevolare anche l'attività di un'associazione di tipo mafioso, stante il perseguimento di un interesse ulteriore (che di per sé ben può avere natura non patrimoniale) rispetto al diritto illecitamente azionato.

Domanda
È configurabile il concorso formale tra i reati di esercizio arbitrario delle proprie ragioni e di estorsione?

Orientamento delle Sezioni Unite

No, non è configurabile

Così focalizzata la distinzione tra il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza o minaccia alle persone ed il reato di estorsione, appare evidente, a parere delle Sezioni Unite (Cass. S.U., n. 29541/2020) che non residua alcuno spazio per ipotesi di concorso formale, risultando le due fattispecie, proprio in relazione all'elemento psicologico, alternative: nei casi di concorso in estorsione, l'eventuale fine di soddisfazione di un diritto del preteso creditore resta, infatti, assorbito nel concorrente fine di profitto illecito dei terzi concorrenti.

3. Azioni processuali

Ulteriori attività difensive

Per la fattispecie in esame si possono esperire le seguenti ulteriori attività difensive: Memoria difensiva al pubblico ministero (art. 367); Richiesta di riesame di un'ordinanza che applica una misura coercitiva (art. 309); Ricorso per cassazione contro ordinanze cautelari personali (art. 311); Richiesta di riesame di un'ordinanza che applica una misura cautelare reale (artt. 322 e 324); Appello contro un'ordinanza in materia cautelare reale (art. 322-bis); Istanza di revoca del sequestro preventivo al pubblico ministero (art. 321, comma 3); Ricorso per cassazione contro ordinanze cautelari reali (art. 325); Memoria difensiva al pubblico ministero (art. 367); Richiesta di presentazione spontanea per rilasciare dichiarazioni (art. 374); Memoria difensiva (art. 419, comma 2); Richiesta di giudizio abbreviato (art. 438, comma 1).

ProcedibilitàPer il reato di estorsione si procede sempre di ufficio.

Prescrizione del reato ed improcedibilità delle impugnazioni

Per l'estorsione, il termine-base di prescrizione è pari ad anni dieci (cfr. art. 157 c.p.), aumentabile, in presenza del sopravvenire di eventi interruttivi, fino ad un massimo di anni dodici e mesi sei (cfr. artt. 160 e 161 c.p.), oltre i periodi di sospensione (cfr. artt. 159 e 161 c.p.); il termine è ancora maggiore in presenza delle circostanze aggravanti specifiche previste dall'art. 629, comma 2, c.p.

Per i reati commessi a partire dal 1° gennaio 2020 (cfr. art. 2, comma 3, l. 27 settembre 2021, n. 134), costituisce causa di improcedibilità dell'azione penale ex art. 344-bis c.p.p., la mancata definizione:

– del giudizio di appello entro il termine di due anni;

– del giudizio di cassazione entro il termine di un anno;

salva proroga per un periodo non superiore ad un anno nel giudizio di appello ed a sei mesi nel giudizio di cassazione quando il giudizio d'impugnazione risulta particolarmente complesso in ragione del numero delle parti o del numero o della complessità delle questioni di fatto o di diritto da trattare, ovvero essendo contestata la circostanza aggravante di cui all'art. 416-bis.1 c.p.;

salva sospensione nei casi previsti dall'art. 344-bis, comma 6, c.p.p.;

salva diversa modulazione dei predetti termini in applicazione della normativa transitoria (cfr. art. 2, commi 4 e 5, legge 27 settembre 2021, n. 134).

Misure precautelari e cautelari

Arresto e fermo

L'arresto in flagranza è obbligatorio per l'estorsione; il fermo è sempre consentito.

Intercettazioni

È sempre consentita l'effettuazione di intercettazioni.

Misure cautelari personali

È sempre consentita l'applicazione di misure cautelari personali.

Competenza, forme di citazione a giudizio e composizione del tribunale

La competenza e la citazione a giudizio

Per il reato di estorsione è sempre competente il tribunale in composizione collegiale e si procede sempre con citazione a giudizio all'esito dell'udienza preliminare.

Causa di non punibilità di cui all'art. 131-bis c.p.

Per il reato di estorsione non è mai applicabile la causa di non punibilità di cui all'art. 131-bis c.p.

4. Conclusioni

Può, in sintesi, concludersi che:

– i reati di esercizio arbitrario delle proprie ragioni hanno natura di reato proprio non esclusivo;

– il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza o minaccia alle persone e quello di estorsione si differenziano tra loro in relazione all'elemento psicologico, da accertarsi secondo le ordinarie regole probatorie;

– il concorso del terzo nel reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza o minaccia alle persone è configurabile nei soli casi in cui questi si limiti ad offrire un contributo alla pretesa del creditore, senza perseguire alcuna diversa ed ulteriore finalità.

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