Può integrare il reato di estorsione la minaccia di licenziamento?1. Bussole di inquadramentoSi pone con frequenza nelle aule dei Tribunali il problema di valutare se possa integrare il delitto di estorsione (art. 629 c.p.) la condotta del datore di lavoro che abbia costretto il lavoratore, al momento della stipula del contratto di lavoro, ad accettare condizioni contrattuali deteriori sotto la minaccia, anche larvata, di licenziamento, ovvero che abbia successivamente prospettato al lavoratore l'alternativa tra la rinunzia a parte della retribuzione e la perdita dell'occupazione. 2. Questioni e orientamenti giurisprudenziali
Domanda
Integrano il reato di estorsione la condotta del datore di lavoro che abbia costretto il lavoratore, al momento della stipula del contratto di lavoro, ad accettare condizioni contrattuali deteriori sotto la minaccia, anche larvata, di mancata assunzione e/o di successivo licenziamento, ovvero che, in un momento successivo a quello della stipula del contratto di lavoro, abbia prospettato al lavoratore l'alternativa tra la rinunzia a parte della retribuzione e la perdita dell'occupazione?
L'orientamento giurisprudenziale tradizionale e dominante: in entrambi i casi, è integrato il reato di estorsione Secondo il tradizionale orientamento della giurisprudenza, integra il delitto di estorsione la condotta del datore di lavoro il quale, approfittando della situazione del mercato del lavoro a lui favorevole per la prevalenza dell'offerta sulla domanda, costringa i lavoratori, con la minaccia larvata di licenziamento, ad accettare la corresponsione di trattamenti retributivi deteriori e non adeguati alle prestazioni effettuate, e più in generale condizioni di lavoro contrarie alle leggi ed ai contratti collettivi (Cass. II, n. 36642/2007), e comunque un trattamento economico inferiore a quello risultante dalle buste paga (Cass. II, n. 656/2010; Cass. II, n. 50074/2013). In un caso nel quale l'accertata coartazione era intervenuta nella fase genetica dei singoli rapporti di lavoro considerati, ed aveva riguardato l'accettazione di una retribuzione inferiore a quella indicata in busta paga, è stato configurato il reato di estorsione valorizzando l'iniziale accettazione di una retribuzione inferiore a quella spettante ed in apparenza percepita (i lavoratori sottoscrivevano buste paga attestanti la corresponsione di somme maggiori rispetto a quelle effettivamente ricevute, poiché al versamento della retribuzione “ufficiale” con assegno bancario seguiva, in un secondo momento, una parziale restituzione in contanti), nel timore, in costanza di rapporto, del licenziamento, non potendo attribuirsi rilevanza alla consapevole accettazione del trattamento deteriore, coartata dalla minaccia di non assunzione e/o di successivo licenziamento, in presenza di condizioni del mercato del lavoro di settore e di zona tali da far ritenere ben fondato, in caso contrario, il pericolo di una lunga disoccupazione (Cass. II, n. 677/2015). È stato configurato il reato di estorsione: – in un caso nel quale il datore di lavoro, nel momento dell'assunzione, aveva costretto i dipendenti, attraverso minacce implicite e larvate, a sottoscrivere lettere di dimissioni in bianco, ed aveva indotto taluni di essi ad accettare una retribuzione inferiore rispetto a quella indicata in busta paga (Cass. II, n. 11107/2017); – in un caso nel quale il datore di lavoro, in presenza di una aspettativa di assunzione, aveva costretto l'aspirante lavoratore ad accettare condizioni di lavoro contrarie alla legge e ai contratti collettivi, in particolare, facendo sottoscrivere ai lavoratori, al momento della conclusione del contratto, moduli di dimissioni “in bianco”, per garantirsi futuri illeciti “adempimenti”, costituiti dalla consegna di quote parti della retribuzione mensile e del trattamento di fine rapporto (Cass. II, n. 8477/2019); – in un caso nel quale gli imputati avevano costretto due dipendenti a prestare il proprio servizio oltre l'orario di lavoro, in maniera sostanzialmente ininterrotta (anche per venti ore al giorno), ed espletando compiti non inerenti alle loro mansioni, senza che venisse loro corrisposta la retribuzione delle ore lavorative effettivamente espletate: si era, infatti, accertato che la tolleranza di tali condizioni di lavoro non retribuite era posta come opzione alternativa alla prospettazione per i lavoratori della “libertà” di lasciare il proprio impiego, valutata quale minaccia larvata di licenziamento (Cass. II, n. 3724/2022). L'orientamento giurisprudenziale più recente Integra il reato di estorsione soltanto la condotta del datore di lavoro che, in un momento successivo a quello della stipula del contratto di lavoro, abbia prospettato al lavoratore l'alternativa tra la rinunzia a parte della retribuzione e la perdita dell'occupazione, non anche la condotta del datore di lavoro che abbia costretto il lavoratore, al momento della stipula del contratto di lavoro, ad accettare condizioni contrattuali deteriori sotto la minaccia, anche larvata, di mancata assunzione e/o successivo licenziamento. Secondo un successivo orientamento (Cass. II, n. 21789/2019), la condotta estorsiva può ritenersi integrata soltanto nel caso in cui il datore di lavoro, prospettando la minaccia della cessazione del rapporto di lavoro, abbia indotto i dipendenti a rinunziare a parte dello stipendio mensile pattuito e figurante nella busta paga, non anche in riferimento al momento genetico del rapporto di lavoro con le persone offese. La decisione, in riferimento ad un caso nel quale ai lavoratori era stata prospettata, al momento dell'assunzione, l'alternativa di dovere accettare di fornire una prestazione professionale sottopagata, ovvero di rimanere disoccupati, ha, in particolare, osservato che gli estremi del reato di estorsione «non possono essere riconosciuti nel momento genetico del rapporto di lavoro, bensì soltanto nelle modalità di svolgimento di questo, giacché il diritto al lavoro del cittadino non può essere confuso con il diritto all'assunzione da parte di una specifica ditta, né gravava [sul datore di lavoro] alcun obbligo giuridico di assumere le persone offese che, infatti, risultano essersi spontaneamente rivolte alla medesima società chiedendo l'assunzione». Se, pertanto, in tali casi «la pretesa di subordinare questa ad una rinuncia a parte dello stipendio comportava per la parte datoriale l'ingiusto profitto del conseguimento di prestazione d'opera sottopagata, non risulta la prova del danno ingiusto arrecato al lavoratore al momento dell'assunzione, giacché non vi è prova che il conseguimento di un lavoro, per quanto sottopagato, abbia arrecato [alle] quattro persone offese un danno rispetto alla situazione preesistente di mancanza di lavoro: conseguentemente, la sentenza impugnata va annullata perché il fatto non sussiste, limitatamente all'affermazione di responsabilità relativa alla condotta di assunzione delle persone offese». Diversamente, l'estorsione è stata ritenuta integrata dalla condotta tenuta dal datore di lavoro al momento della corresponsione dello stipendio mensile ai lavoratori in misura ridotta rispetto a quanto risultante in busta paga, realizzata con la prospettazione agli stessi dell'alternativa di essere altrimenti licenziati: si è, in proposito, osservato che, «avendo comunque diritto i lavoratori alla corresponsione integrale di quanto risultante dalla busta paga, quale compenso per il lavoro svolto, è evidente il danno loro arrecato con un pagamento in forma ridotta, imposto con la minaccia, altrimenti, di perdere il posto di lavoro acquisito, così come è evidente l'ingiusto profitto conseguito [dal datore di lavoro] con l'immediata restituzione di parte di quanto ricevuto dai lavoratori in busta paga: emerge, infatti, a tal proposito dalla sentenza impugnata che in epoca in cui i pagamenti dovevano essere “tracciabili” le persone offese venivano invitate a recarsi nell'istituto di credito vicino al luogo di lavoro, per riscuotere l'assegno corrispondente alla retribuzione indicata in foglio paga, ed a consegnarlo al ragioniere della società che li accompagnava, e che restituiva al lavoratore solo l'importo ridotto». L'orientamento è stato successivamente ribadito da Cass. VI, n. 6620/2022: secondo questa decisione, non integra il reato di estorsione la condotta del datore di lavoro che, al momento dell'assunzione, prospetti agli aspiranti dipendenti l'alternativa tra la rinunzia a parte della retribuzione e la perdita dell'opportunità di lavoro, in quanto, pur sussistendo un ingiusto profitto per il primo, costituito dal conseguimento di prestazioni d'opera sottopagate, ciò non significa che l'ottenimento di un impiego rechi un danno ai lavoratori rispetto alla preesistente situazione di disoccupazione. Si è, da ultimo, ribadito che è sempre integrato il delitto di estorsione nel caso in cui sia dimostrato che il datore di lavoro, con la minaccia di licenziamento, abbia costretto il lavoratore ad accettare condizioni contrattuali deteriori, previa simulazione di rapporti di lavoro regolari (Cass. II, n. 29047/2023). La configurazione della circostanza aggravante di cui all'art. 61, n. 11, c.p. Nel caso in cui si ritenga che la predetta condotta integri il reato di estorsione, secondo la giurisprudenza è anche integrata la circostanza aggravante di cui all'art. 61, comma primo, n. 11 c.p., poiché nell'ambito delle «relazioni di prestazione d'opera» rientra senz'altro l'ipotesi del rapporto o contratto di lavoro, a maggior ragione in presenza della sussistenza di un vincolo di subordinazione o dipendenza, pur non assolutamente indispensabile e, d'altro canto, in siffatte situazioni il soggetto agente abusa strumentalmente della sua posizione di datore di lavoro (Cass. II, n. 7260/1982; Cass. II, n. 677/2015). 3. Azioni processualiUlteriori attività difensive Per la fattispecie in esame si possono esperire le seguenti ulteriori attività difensive: Memoria difensiva al pubblico ministero (art. 367); Richiesta di riesame di un'ordinanza che applica una misura coercitiva (art. 309); Ricorso per cassazione contro ordinanze cautelari personali (art. 311); Richiesta di riesame di un'ordinanza che applica una misura cautelare reale (artt. 322 e 324); Appello contro un'ordinanza in materia cautelare reale (art. 322-bis); Istanza di revoca del sequestro preventivo al pubblico ministero (art. 321, comma 3); Ricorso per cassazione contro ordinanze cautelari reali (art. 325); Memoria difensiva al pubblico ministero (art. 367); Richiesta di presentazione spontanea per rilasciare dichiarazioni (art. 374); Richiesta di documenti in possesso di privati (art. 391-bis); Richiesta di giudizio abbreviato (art. 438, comma 1). ProcedibilitàPer il reato di estorsione si procede sempre di ufficio. Prescrizione del reato ed improcedibilità delle impugnazioni Per l'estorsione, il termine-base di prescrizione è pari ad anni dieci (cfr. art. 157 c.p.), aumentabile, in presenza del sopravvenire di eventi interruttivi, fino ad un massimo di anni dodici e mesi sei (cfr. artt. 160 e 161 c.p.), oltre i periodi di sospensione (cfr. artt. 159 e 161 c.p.); il termine è ancora maggiore in presenza delle circostanze aggravanti specifiche previste dall'art. 629, comma 2, c.p. Per i reati commessi a partire dal 1° gennaio 2020 (cfr. art. 2, comma 3, legge 27 settembre 2021, n. 134), costituisce causa di improcedibilità dell'azione penale ex art. 344-bis c.p.p., la mancata definizione: – del giudizio di appello entro il termine di due anni; – del giudizio di cassazione entro il termine di un anno; salva proroga per un periodo non superiore ad un anno nel giudizio di appello ed a sei mesi nel giudizio di cassazione quando il giudizio d'impugnazione risulta particolarmente complesso in ragione del numero delle parti o del numero o della complessità delle questioni di fatto o di diritto da trattare, ovvero essendo contestata la circostanza aggravante di cui all'art. 416-bis.1 c.p.; salva sospensione nei casi previsti dall'art. 344-bis, comma 6, c.p.p.; salva diversa modulazione dei predetti termini in applicazione della normativa transitoria (cfr. art. 2, commi 4 e 5, legge 27 settembre 2021, n. 134). Misure precautelari e cautelari Arresto e fermo L'arresto in flagranza è obbligatorio per l'estorsione; il fermo è sempre consentito. Intercettazioni È sempre consentita l'effettuazione di intercettazioni. Misure cautelari personali È sempre consentita l'applicazione di misure cautelari personali. Competenza, forme di citazione a giudizio e composizione del tribunale La competenza e la citazione a giudizio Per il reato di estorsione è sempre competente il tribunale in composizione collegiale e si procede sempre con citazione a giudizio all'esito dell'udienza preliminare. Causa di non punibilità di cui all'art. 131-bis c.p. Per il reato di estorsione non è mai applicabile la causa di non punibilità di cui all'art. 131-bis c.p. 4. ConclusioniPuò concludersi che integra il delitto di estorsione la condotta del datore di lavoro che, approfittando della situazione del mercato del lavoro a lui favorevole per la prevalenza dell'offerta sulla domanda, costringe i lavoratori già assunti, con la minaccia larvata di licenziamento, ad accettare la corresponsione di trattamenti retributivi deteriori e non adeguati alle prestazioni effettuate, in particolare consentendo a sottoscrivere buste paga attestanti il pagamento di somme maggiori rispetto a quelle effettivamente versate. Residua il contrasto, in giurisprudenza, sulla rilevanza penale, o meno, sub specie di estorsione delle condotte poste in essere prima della formale assunzione. |