Ricettazione e profitto non patrimoniale

ANGELO SALERNO

1. Bussole di inquadramento

L'elemento soggettivo del delitto di ricettazione

Il delitto ricettazione punisce le condotte di acquisto, ricezione od occultamento, in via diretta o in veste di intermediario, di danaro o cose provenienti da reato, quando la condotta sia stata realizzata «al fine di procurare a sé o ad altri un profitto».

Il reato in esame è dunque punito a titolo di dolo specifico, richiedendo il fine di trarre profitto dalle condotte di ricettazione, per il soggetto agente o per soggetti terzi.

Più nello specifico, come evidenziato dalla Corte di Cassazione, «il dolo del delitto di ricettazione, secondo la dottrina risalente, ma sempre valida, è misto, perché generico quanto alla coscienza e volontà di ricevere cose provenienti da delitto, e specifico quanto appunto al fine di trarne profitto per sé o per terzi» (Cass. II, n. 21596/2016).

La giurisprudenza di legittimità ha altresì implicitamente ritenuto compatibile con il dolo specifico di profitto la commissione del reato con dolo eventuale (Cass. S.U., n. 12433/2010), avendo riguardo al profilo della rappresentazione della provenienza da reato del danaro o della res e ammettendo la configurabilità del reato anche in assenza di certezza sul punto.

È pertanto possibile che il reo agisca senza la certezza che il danaro o il bene ricevuto provengano da un reato, versando tuttavia in uno stato di dubbio in ordine a tale presupposto del delitto di ricettazione e, ciò nonostante, determinandosi ad agire anche al costo di commettere il reato.

Tale atteggiamento volitivo ben può essere finalizzato al conseguimento di un profitto, che dunque non appare strutturalmente incompatibile con il dolo eventuale.

2. Questioni e orientamenti giurisprudenziali

Domanda
È necessario il conseguimento del profitto da parte del ricettatore? 

Orientamento maggioritario della Corte di Cassazione

Nel delitto di ricettazione il profitto è richiesto solo sotto il suo profilo soggettivo, non occorrendo che quel fine sia stato effettivamente realizzato

La giurisprudenza di legittimità ha costantemente escluso che, ai fini dell'integrazione del delitto di ricettazione sia necessario che il soggetto agente abbia effettivamente conseguito un profitto, purché la sua azione sia stata posta in essere a tal fine (Cass. II, n. 9997/1981).

La Corte di Cassazione ha infatti specificato che il conseguimento del profitto non è elemento essenziale del reato di ricettazione, giacché oggetto della tutela penale è quello di punire il possesso di una cosa proveniente da delitto nella consapevolezza di tale sua origine e con lo scopo di trarne una qualsiasi utilità, non già il conseguimento di quest'ultima.

Sul piano strutturale, il profitto si colloca dunque al di fuori della fattispecie tipica di ricettazione, che ha natura istantanea e si consuma nel momento in cui l'agente ottiene il possesso della cosa, a nulla rilevando, al fine di configurare differenti ipotesi di ricettazione in relazione allo stesso bene, la condotta successiva alla ricezione volta al conseguimento di un ingiusto profitto (Cass. II, n. 29561/2020).

Applicazioni

Sulla scorta delle esposte premesse, la Corte di Cassazione ha ravvisato gli estremi del delitto di ricettazione a fronte dell'acquisto o della ricezione di una carta elettronica di pagamento o prelievo contanti (c.d. “pagobancomat”) provento di furto, avvenuto con consapevolezza della sua illecita provenienza, ritenendo irrilevante l'effettivo conseguimento del profitto per l'impossibilità di operare sul conto da parte del soggetto agente.

In particolare, è stata esclusa configurabilità del reato impossibile a fronte della mancata conoscenza del codice PIN da parte del ricettatore, nonché del blocco della carta da parte del titolare, in quanto la Corte ha ritenuto di non poter escludere, ex ante, che il soggetto agente confidasse di poterne fare uso in qualche modo, così da ricavarne un vantaggio patrimoniale (Cass. II, n. 35239/2021).

Sulla scorta delle medesime considerazioni, è stato ritenuto sussistente il delitto di ricettazione di una chiavetta utilizzabile per l'accesso “online” su conto corrente (c.d. “token”) provento di furto, a prescindere dall'effettivo conseguimento del profitto per l'impossibilità di operare sul conto (Cass. II, n. 37369/2020).

Domanda
È configurabile il delitto di ricettazione se il soggetto agente persegue un vantaggio non patrimoniale?

Orientamento dominante della Corte di Cassazione

Il profitto, il cui conseguimento integra il dolo specifico del reato di ricettazione, può avere anche natura non patrimoniale

Secondo l'orientamento tradizionale e maggioritario della giurisprudenza di legittimità (Cass. II, n. 11083/2000; Cass. II, n. 44378/2010), il profitto, il cui conseguimento integra il dolo specifico del reato di ricettazione, può avere anche natura non patrimoniale.

La Corte di Cassazione ha infatti espressamente riconosciuto la possibilità di assegnare rilevanza a «qualsiasi utilità, anche non patrimoniale, che l'agente si proponga di conseguire», e dunque non solo al lucro in termini economici.

La casistica di riferimento è ampia: la Corte ha ravvisato, ad esempio, il delitto di ricettazione nella condotta di acquisto di prodotti falsificati, usati per arredare le vetrine del negozio, considerando sufficiente ad integrare il dolo specifico di profitto il vantaggio genericamente economico, conseguito attraverso l'abbellimento della vetrina, benché i beni falsificati ed usati per arredare la medesima fossero diversi dai beni commercializzati nel negozio (Cass. II, n. 11083/ 2000); del pari è stata affermata la responsabilità per ricettazione dell'imputato accusato di aver ricevuto una tessera sanitaria di provenienza illecita, al fine di accedere alle prestazioni del servizio sanitario nazionale (Cass. II, n. 45071/2021).

Emerge dunque l'accoglimento da parte della giurisprudenza di legittimità di una nozione ampia di profitto, non già legata all'accezione esclusivamente patrimoniale-aziendalistica del termine bensì comprensiva di ogni utilità perseguita dal soggetto agente.

Domanda
Integra il delitto di ricettazione l'acquisto per utilizzo personale di sostanze anabolizzanti?

L'orientamento meno recente della Corte di Cassazione

Non è sufficiente a integrare l'elemento soggettivo del delitto di ricettazione una mera utilità negativa

In relazione all'acquisto illegale, da parte degli imputati, di sostanze anabolizzanti, la Corte di Cassazione ha escluso la possibilità di ravvisare gli estremi del delitto di ricettazione, in relazione al dolo specifico, precisando che non è sufficiente a integrare l'elemento soggettivo del delitto di ricettazione una mera utilità negativa, in termini di autolesionismo, ovvero «immaginaria o fantastica» (Cass. II, n. 843/2013).

Secondo i giudici di legittimità, infatti, «si perverrebbe [altrimenti] ad una interpretazione abrogante del dolo specifico richiesto dalla norma, con la conseguenza che la condotta di acquisto o ricezione di cosa proveniente da delitto sarebbe punibile solo sulla base del dolo generico, vale a dire la semplice conoscenza dell'origine illecita della cosa».

In questo modo pertanto la Corte, ferma l'ampia accezione di profitto accolta nella costante giurisprudenza in materia, pone un argine all'applicazione della norma incriminatrice, scongiurando il rischio di una indiscriminata assegnazione di rilevanza penale a condotte che, pur consistendo nel consapevole acquisto, a qualunque titolo, di cose provenienti da reato, non siano accompagnate dall'intenzione di procurare per sé un apprezzabile vantaggio, quand'anche non patrimoniale (Cass. II, n. 843/2013; Cass. II, n. 28410/2013).

Sulla scorta di tali premesse, pertanto, non sarebbe ravvisabile il delitto di ricettazione in capo a chi acquisti sostanze stupefacenti per uso esclusivamente personale, stante l'assenza del dolo specifico di procurarsi un profitto, pur esteso ad ogni vantaggio non patrimoniale, cui si contrappone invece un effetto autolesionistico della condotta.

Orientamento più recente della Corte di Cassazione

Sussiste il delitto di ricettazione a fronte dell'acquisto illecito di sostanze anabolizzanti

In ordine alla sussistenza del dolo specifico di ricettazione nel caso di acquisto illegale di sostanze anabolizzanti, la Corte di Cassazione è pervenuta più di recente a conclusioni opposte (Cass. II, n. 15680/2016).

Criticando infatti l'orientamento precedente, che ha escluso la sussistenza del dolo specifico in mancanza di una utilità per l'acquirente, invero danneggiato dall'utilizzo della cosa di provenienza illecita, la Corte ha tuttavia evidenziato la necessità di tenere distinto il profitto, cui la condotta deve essere finalizzata, dal movente che abbia spinto il reo a delinquere.

I giudici di legittimità, più nello specifico, prendono atto dell'ampia nozione di profitto sposata dalla giurisprudenza della Corte e dalla dottrina maggioritaria, secondo cui «il profitto — che ha natura relativa e non assoluta — non consiste solo nell'utilità economica o in un altro vantaggio materiale ma anche in qualsiasi soddisfazione (morale o materiale) che l'agente si riprometta dall'impossessamento della cosa» (Cass. II, n. 15680/2016). Si rileva, a riguardo, che un'eccessiva estensione della nozione di profitto rischia di tradire l'intentio legis, così come tuttavia una ricostruzione di tale requisito in termini esclusivamente patrimoniali.

Viene pertanto condivisa l'interpretazione della norma operata dalla più recente dottrina, secondo cui «si ha “profitto” ogni qualvolta il patrimonio del soggetto agente, per effetto del reato (nella specie, la ricettazione), s'incrementa di un bene che abbia la capacità di soddisfare un bisogno umano (sia esso di natura economico o spirituale) che prima non aveva» (Cass. II, n. 15680/2016).

Sulla scorta di tali premesse, dunque, la Corte ha ritenuto sussistente il delitto nel caso di ricettazione di sostanze anabolizzanti, in quanto l'autore della condotta incrementa il proprio patrimonio, acquistando beni che non avrebbe potuto acquistare legalmente o che avrebbe potuto ottenere solo a condizioni diverse.

Secondo i giudici di legittimità, come anticipato, è infatti necessario tenere distinti i concetti profitto e movente: il primo, «va individuato nella ricezione di beni (sostanze dopanti) che prima non avevano e che non potevano acquistare in modo legale, beni che, avendo un valore economico, hanno incrementato il loro “patrimonio” potendo trarre da essi un vantaggio e, quindi, idonei a soddisfare un proprio bisogno (materiale o spirituale)». Diverso dal profitto è invece il “movente” del reato, che nel caso di specie coincide con «fini edonistici» perseguiti attraverso la ricettazione di anabolizzanti, per incrementare la massa muscolare, ma non assume rilevanza ai fini dell'integrazione del reato, incidendo sul solo piano del trattamento sanzionatorio ex art. 133, comma 2, n. 1, c.p.

La Corte perviene dunque ad una soluzione positiva in ordine alla rilevanza penale della condotta di acquisto illegale di sostanze anabolizzanti, nei termini sopra descritti, sulla scorta della quale ogni acquisto di sostanze illegali, ivi compresi gli stupefacenti, potrebbe dunque integrare il delitto in esame.

3. Azioni processuali

Ulteriori attività difensive

Per la fattispecie in esame si possono esperire le seguenti ulteriori attività difensive: Memoria difensiva al pubblico ministero (art. 367); Richiesta di riesame di un'ordinanza che applica una misura coercitiva (art. 309); Appello contro un'ordinanza in materia cautelare (art. 310); Ricorso per cassazione contro ordinanze cautelari personali (art. 311); Richiesta di riesame di un'ordinanza che applica una misura cautelare reale (artt. 322 e 324); Appello contro un'ordinanza in materia cautelare reale (art. 322-bis); Istanza di revoca del sequestro preventivo al pubblico ministero (art. 321, comma 3); Ricorso per cassazione contro ordinanze cautelari reali (art. 325); Richiesta di scarcerazione per estinzione della misura custodiale (art. 306); Mandato per svolgere attività investigativa preventiva a seguito di un sequestro (artt. 96, 327-bis e art. 391-nonies); Conferimento incarico al consulente tecnico a svolgere investigazioni difensive (art. 327-bis); Memoria difensiva al pubblico ministero (art. 367); Memoria difensiva (art. 419, comma 2); Richiesta di giudizio abbreviato (art. 438, comma 1).

ProcedibilitàIl delitto di ricettazione è sempre procedibile d'ufficio, a prescindere dal regime di procedibilità del reato presupposto, come sancito dall'art. 648, comma 5 c.p.

Improcedibilità delle impugnazioni (e prescrizione del reato)

A seconda della natura del reato presupposto, la diversa cornice edittale comporta un diverso termine di prescrizione per le condotte di ricettazione.

In particolare, per effetto della riforma del 2021, la ricettazione di danaro o cose provenienti da delitto è destinata ad estinguersi nel termine di otto anni a decorrere dall'ultimo atto interruttivo, con un termine massimo, ai sensi dell'art. 161 c.p., di dieci anni a decorrere dalla consumazione del delitto, salvo che non sussistano aggravanti ad effetto speciale come la recidiva aggravata e reiterata, contestata e riconosciuta nei confronti del reo.

Diversamente, qualora il danaro o la res provengano da contravvenzione, il termine di prescrizione c.d. breve sarà pari a sei anni, in quanto la pena edittale detentiva massima è stabilita in quattro anni di reclusione; il termine massimo di prescrizione è invece pari a sette anni e sei mesi. Anche in questo caso eventuali circostanze aggravanti ad effetto speciale ovvero la recidiva aggravata o reiterata sono destinate ad incidere sul termine di prescrizione.

Occorre precisare, al riguardo, due profili, relativi all'individuazione del dies a quo della prescrizione e al calcolo del relativo termine nelle ipotesi di ricettazione di particolare tenuità.

Con riferimento al primo profilo, deve evidenziarsi che la giurisprudenza di legittimità, facendo applicazione del principio del favor rei, ha costantemente affermato che, qualora «manchi prova certa della data di acquisizione del bene da parte dell'imputato, il momento consumativo del reato deve essere individuato, in applicazione del principio del favor rei, in prossimità della data di commissione del reato presupposto» (Cass. II, n. 44322/2021; Cass. II, n. 31946/2016).

Riguardo invece alle ipotesi di ricettazione di particolare tenuità, punite meno severamente dal comma quarto dell'art. 648 c.p., anche in caso di provenienza delittuosa del danaro o della res, occorre mettere in evidenza che, come più volte ribadito dalla Corte di Cassazione, la norma citata disciplina una circostanza attenuante e non già un'autonoma fattispecie penale.

Ne discende che il termine di prescrizione, anche nei casi di particolare tenuità, dovrà essere calcolato con riferimento alle pene sancite dal comma primo (Cass. II, n. 14767/2017).

Deve infine precisarsi che, in forza del disposto dell'ultimo comma dell'art. 648 c.p., l'eventuale estinzione per intervenuta prescrizione del reato presupposto non incide sulla punibilità del delitto di ricettazione, stante il principio di autonomia che regola il rapporto tra le due fattispecie.

A partire dal 1° gennaio 2020 (cfr. art. 2, comma 3, l. n. 134/2021), per tutti i casi di ricettazione costituiscono causa di improcedibilità dell'azione penale ex art. 344-bis c.p.p., la mancata definizione:

— del giudizio di appello entro il termine di due anni;

— del giudizio di cassazione entro il termine di un anno;

salva proroga per un periodo non superiore ad un anno nel giudizio di appello ed a sei mesi nel giudizio di cassazione quando il giudizio d'impugnazione risulta particolarmente complesso in ragione del numero delle parti o del numero o della complessità delle questioni di fatto o di diritto da trattare;

salva sospensione nei casi previsti dall'art. 344-bis, comma 6, c.p.p.;

salva diversa modulazione dei predetti termini in applicazione della normativa transitoria (cfr. art. 2, commi 4 e 5, l. n. 134/2021).

Misure precautelari e cautelari

Arresto e fermo

Con riguardo al delitto di ricettazione, nell'ipotesi aggravata ai sensi dell'art. 648, comma 1, c.p., secondo periodo («quando il fatto riguarda denaro o cose provenienti da delitti di rapina aggravata ai sensi dell'articolo 628, terzo comma, di estorsione aggravata ai sensi dell'articolo 629, secondo comma, ovvero di furto aggravato ai sensi dell'articolo 625, primo comma, n. 7-bis)», ossia «se il fatto è commesso su componenti metalliche o altro materiale sottratto ad infrastrutture destinate all'erogazione di energia, di servizi di trasporto, di telecomunicazioni o di altri servizi pubblici e gestite da soggetti pubblici o da privati in regime di concessione pubblica»), l'arresto in flagranza di reato è obbligatorio (art. 380, comma 1, lett. f-bis c.p.p.).

Nelle altre ipotesi di ricettazione di cui ai commi primo e secondo dell'art. 648 c.p., nonché nel caso di ricettazione di particolare tenuità di danaro o cose provenienti da delitto è consentito l'arresto facoltativo in flagranza di reato (art. 381, comma 1, c.p.p.); non può invece procedersi ad arresto facoltativo in flagranza di reato quando il danaro o la cosa oggetto di ricettazione di particolare tenuità provengano da contravvenzione, in quanto la pena edittale massima non supera i tre anni di reclusione (art. 381, comma 1, c.p.p.).

Solo in relazione alle condotte di cui al comma primo dell'art. 648 c.p. è consentito il fermo (art. 384 c.p.p.).

Misure cautelari personali

Per determinare la pena agli effetti dell'applicazione delle misure cautelari personali, ai sensi dell'art. 278 c.p.p., si tiene conto delle circostanze ad effetto speciale disciplinate dal comma quarto dell'art. 648 c.p. rispettivamente per le condotte di ricettazione di cui al comma primo (cose o danaro provenienti da delitto) e al comma secondo (cose o danaro provenienti da contravvenzione) dell'articolo.

Pertanto, potrà essere applicata una misura cautelare personale coercitiva (artt. 281-286-bis c.p.p.) per le sole condotte di cui ai commi primo e secondo, nonché per i casi di ricettazione di particolare tenuità di danaro o cose provenienti da delitto, in quanto la pena detentiva edittale massima supera i tre anni di reclusione.

Solo le condotte di ricettazione aventi ad oggetto danaro o cose provenienti da delitto, quand'anche in caso di particolare tenuità, consentono l'applicazione della misura cautelare della custodia in carcere, poiché l'art. 280, co. 2, c.p.p. consente l'applicazione della predetta misura ai soli delitti per i quali la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni.

Nessuna misura cautelare personale può invece essere applicata per le condotte di particolare tenuità aventi ad oggetto danaro o cose provenienti da contravvenzione, in quanto punite con la pena detentiva della reclusione non superiore a tre anni (artt. 280, comma 1, e 287 c.p.p.).

Competenza, forme di citazione a giudizio e composizione del tribunale

Competenza

In tutti i casi di ricettazione, così come in caso di ricettazione reale, è competente per materia il tribunale (cfr. art. 6 c.p.p.), che decide in composizione monocratica (cfr. artt. 33-bis e 33-ter c.p.p.).

Citazione a giudizio

In tutti i casi di ricettazione si procede con citazione diretta a giudizio del Pubblico Ministero, ex art. 550, comma 2, c.p.p.

Composizione del tribunale

Il processo per il delitto di ricettazione si svolgerà sempre dinanzi al tribunale in composizione monocratica.

4. Conclusioni

Il delitto di ricettazione è caratterizzato dall'elemento soggettivo di dolo specifico, che delimita l'ambito operativo della fattispecie penale, richiedendo che le relative condotte siano finalizzate al conseguimento di un profitto.

A fronte tuttavia della ratio restrittiva dell'area penalmente rilevante che persegue il dolo specifico di profitto, la giurisprudenza ha dato alla norma incriminatrice una interpretazione estensiva.

È stato in primo luogo affermato che non è necessario che il profitto sia stato effettivamente realizzato, rappresentando il fine cui mira il soggetto agente, senza assumere rilievo quale elemento costitutivo del reato.

La giurisprudenza di legittimità ha inoltre accolto un'accezione ampia di profitto, estendendola ad ogni vantaggio perseguito dal soggetto agente, mediante le condotte di ricettazione, quand'anche di natura non patrimoniale.

Tale soluzione è stata invero criticata da parte della dottrina, che ha rilevato come la collocazione del delitto tra i reati contro il patrimonio e la nozione stessa di profitto, a differenza di quella di vantaggio o utilità, imporrebbe una lettura restrittiva, che limiti l'applicazione dell'art. 648 c.p. ai soli casi in cui il reo persegua un tornaconto di natura patrimoniale.

Ciò nonostante la giurisprudenza della Corte di Cassazione è compatta nell'adottare un'accezione ampia di profitto, sottolineando che in ogni caso l'acquisto o la ricezione di beni di provenienza criminosa nel patrimonio del soggetto agente comporta sempre e comunque un incremento patrimoniale e quindi un profitto. I giudici di legittimità hanno inoltre messo in evidenza la distinzione tra la finalità di profitto perseguita dal reo e il movente sotteso alla commissione del reato, riconducendo alla fattispecie di ricettazione anche condotte realizzate per assecondare bisogni finanche autolesionistici (come nel caso di acquisto di sostanze dopanti).

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