Appropriazione da parte del congiunto dei ratei pensionistici del defunto versati su un conto corrente bancario cointestato

FRANCESCA ROMANA FULVI

1. Bussole di inquadramento

L'appropriazione da parte del congiunto dei ratei pensionistici del defunto versati su un conto corrente bancario cointestato

Un'interessante questione sottoposta di recente all'esame della Cassazione ha ad oggetto la fattispecie penale configurabile nell'ipotesi in cui il congiunto del soggetto deceduto non abbia comunicato all'ente previdenziale di riferimento la scomparsa del pensionato e contestualmente abbia percepito indebitamente — cioè senza un valido titolo giuridico giustificante — i ratei pensionistici di pertinenza del defunto perché sono stati versati sul conto cointestato ad entrambi.

Come noto, il rateo è la somma delle rate o quote di pensione non riscosse dal pensionato (ad esempio tredicesima mensilità per le quote maturate o la quota parte dell'ultimo mese di pensione spettante) al momento della cessazione della pensione. Con il termine rateo pensionistico o ereditario si definiscono, infatti, tutte le competenze maturate e non percepite a titolo di pensione dal dante causa all'atto del decesso. La morte del titolare di un trattamento previdenziale a carico dell'Inps nel corso dell'anno fa sorgere sicuramente il diritto al rateo della tredicesima mensilità riscuotibile nel mese di dicembre degli eredi del de cuius. Quest'ultimi, inoltre, potrebbero anche aver diritto ad ulteriori competenze, come, ad es., ad arretrati dovuti a seguito di una riliquidazione della pensione spettante al defunto.

Nel caso di specie il Comune di residenza dell'agente era stato tempestivamente informato del decesso della madre e lo aveva comunicato regolarmente all'INPS per via telematica. Dopo aver ricevuto l'informazione l'INPS aveva interrotto il trattamento pensionistico, ma non aveva trasmesso la notizia del decesso all'ENASARCO, ente erogatore dei ratei di pensione oggetto di reato. Quest'ultimi, pertanto, sono stati accreditati per quattro anni circa sia sul conto cointestato e poi, su richiesta dell'agente, su altro conto bancario di sua esclusiva titolarità caratterizzato da plurime movimentazioni risalenti alla sua attività professionale.

Per determinare la fattispecie di reato applicabile al caso di specie è dirimente la corretta ricostruzione del quadro normativo degli obblighi di comunicazione in caso di decesso e l'individuazione dei soggetti su cui gravano.

La tesi della configurabilità dell'appropriazione indebita

Secondo un recentissimo orientamento giurisprudenziale il familiare che assolve all'obbligo di informare l'ente erogatore della pensione dell'avvenuto decesso del proprio congiunto e, contestualmente, si impadronisce consapevolmente e volontariamente dei ratei pensionistici del defunto confluiti su conto corrente bancario cointestato pone in essere il delitto di appropriazione indebita (Cass. VI, n. 20346/2021; Cass. VI, n. 28675/2021; Cass. VI, n. 14940/2018).

Come noto, il reato di cui all'art. 646 c.p. sanziona la condotta di colui che, per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, si appropria del denaro o della cosa mobile altrui di cui abbia, a qualsiasi titolo, il possesso.

La giurisprudenza ha individuato la ratio della succitata norma nella volontà del legislatore di sanzionare penalmente il fatto di chi, disponendo autonomamente della res, le dia una destinazione incompatibile con il titolo e le ragioni che giustificano il suo possesso, anche nel caso in cui si tratti di una somma di denaro (Cass. V, n. 46474/2014).

La condotta materiale del reato si sostanzia nell'appropriarsi del denaro o della cosa mobile altrui, invertendo il proprio possesso in proprietà. Trattasi di fattispecie a forma libera per cui non sono preindividuate dalla norma delle particolari modalità di commissione.

Nel caso di specie la condotta dell'agente — ovvero l'essersi impadronito dei ratei pensionistici di spettanza del congiunto attraverso il loro deposito presso il conto cointestato da parte dell'ente erogatore — può essere sussunta nell'ambito dell'appropriazione indebita non solo perché tale delitto può estrinsecarsi in una qualsiasi forma, omissiva o commissiva, ma anche perché si è consumata l'interversione nel possesso, ovvero una sorta di trasformazione (illecita) del possesso in proprietà. Secondo la giurisprudenza, infatti, l'interversione del possesso si manifesta quando l'autore si comporta uti dominus, non restituendo il bene di cui ha avuto la disponibilità̀ senza giustificazione, così da evidenziare in maniera incontrovertibile anche l'elemento soggettivo del reato (Cass. II, n. 25444/2017). Questo non significa naturalmente che il soggetto diventa realmente proprietario — sarebbe giuridicamente inammissibile — ma solo che si comporta come se lo fosse.

In merito al concetto di altruità la Cassazione ha precisato, infatti, che “le nozioni di appartenenza, possesso, appropriazione, disponibilità e simili, vanno infatti verificate alla luce della struttura delle singole fattispecie incriminatrici, senza la necessità che le stesse riposino su categorie normative di tipo civilistico. Avendo il legislatore espressamente previsto il denaro come possibile oggetto del delitto di appropriazione indebita, e poichè il titolo del possesso da parte dell'autore del fatto finisce per illuminare i poteri che sullo stesso gli sono stati riconosciuti dal dante causa, è evidente che qualsiasi condotta che comporti una destinazione del denaro diversa da quella che costituiva, appunto, il titolo del possesso, ontologicamente depone per una “interversione” del titolo, facendo virare la condotta da legittimamente dispositiva, in condotta illegittimamente appropriativa” (Cass. II, n. 31983/2015). Nel caso in analisi il soggetto agente indubbiamente ha dato al denaro — rectius ai ratei pensionistici — una destinazione diversa da quella voluta e concordata con la madre defunta, soprattutto nel momento in cui ha richiesto di operare l'accredito sul suo conto personale.

In relazione al possesso di somme di denaro — e, quindi, di ratei pensionistici — la Cassazione con orientamento risalente nel tempo ha, poi, affermato che la specifica indicazione del denaro, contenuta nell'art. 646 c.p., “rende evidente che il legislatore ha inteso espressamente precisare, allo scopo di evitare incertezze e di reprimere gli abusi e le violazioni del possesso del danaro, che anche questo può costituire oggetto del reato di appropriazione indebita, in conseguenza del fatto che anche il danaro, nonostante la sua ontologica fungibilità, può trasferirsi nel semplice possesso, senza che al trasferimento del possesso si accompagni anche quello della proprietà”. Pertanto “il denaro può essere oggetto di interversione nel possesso, e conseguente appropriazione indebita solo quando sia consegnato dal legittimo proprietario, ad altri con specifica destinazione di scopo che venga poi violata attraverso l'utilizzo personale da parte dell'agente” (Cass. II, n. 50672/2017).

In merito alla casistica oggetto di esame la Cassazione, inoltre, ha precisato che il congiunto del defunto non deve comunicare la morte all'Ente erogatore, essendo, invece, l'ufficiale di Stato civile tenuto a curare il successivo inoltro all'INPS che, a sua volta, informa i singoli enti erogatori del trattamento pensionistico.

La tesi della configurabilità dell'indebita percezione di erogazioni pubbliche

Una diversa impostazione ritiene che si configuri il reato di indebita percezione di erogazioni pubbliche (Cass. II, n. 48820/2013; Cass. II, n. 55525/2017; Cass. VI, n. 10790/2021). Tale fattispecie si realizza, nella forma non aggravata, quando un soggetto, mediante l'utilizzo o la presentazione di dichiarazioni o di documenti falsi o attestanti cose non vere, ovvero mediante l'omissione di informazioni dovute, consegue indebitamente, per sé o per altri, contributi, sovvenzioni, finanziamenti, mutui agevolati o altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati dallo Stato, da altri enti pubblici o dalle Comunità europee.

Specificamente la mancata ottemperanza agli obblighi di comunicazione del decesso del congiunto previsti dalla normativa in materia sostanzierebbe la seconda delle condotte elencate nel corpo del testo della norma, quella di omissione di informazioni dovute.

In merito ad una casistica differente, ma sempre relativa ad un obbligo di comunicare all'INPS il trasferimento della propria residenza all'estero — in quanto la residenza in Italia rappresenta uno dei presupposti costitutivi della prestazione previdenziale di natura non contributiva — la Cassazione ha rilevato che commette il reato di cui all'art. 316-ter, comma 1, c.p. il soggetto che, omettendo di comunicare all'Inps il proprio stabile trasferimento all'estero, percepisca indebitamente la pensione di invalidità civile (Cass. VI, n. 45917/2021; Cass. VI, n. 43554/2021).

Dall'omessa trasmissione dell'informazione prescritta deriva il conseguimento indebito — cioè non giustificato — dell'erogazione, ovvero dei ratei pensionistici.

2. Questioni e orientamenti giurisprudenziali

Domanda
Quale fattispecie di reato si configura nel caso in cui un soggetto si appropria dei ratei pensionistici del defunto versati su un conto corrente bancario cointestato dall'ente erogatore?

Orientamento meno recente della Corte di Cassazione

Un indirizzo meno recente (sintetizzato nella sentenza della Cass. II, n. 48820/2013 e ripreso dalla Cass. II, n. 55525/2017; Cass. VI, n. 10790/2021) riteneva che nel caso di specie si dovessero applicare i seguenti principi di diritto: secondo il primo “l'indebita percezione di ratei della pensione di pertinenza di soggetto — ormai deceduto — conseguita dal cointestatario del medesimo conto corrente che omette di comunicare all'Ente previdenziale il decesso del pensionato integra l'ipotesi criminosa dell'art. 316-ter c.p.”. Il secondo, invece, puntualizza che “Il reato ex art. 316-ter c.p. si consuma quando l'agente consegue la disponibilità concreta dell'erogazione, sicchè nel caso di erogazioni protratte nel tempo, il momento consumativo del reato ed il termine da prendere in esame ai fini della prescrizione, coincide con la cessazione dei pagamenti”.

In merito a tale orientamento occorre osservare che differisce da quello più recente perchè si concentra sulla perimetrazione dell'ambito di applicazione del delitto di cui all'art. 316-ter rispetto a quello descritto all'art. 640-bis c.p. e non riporta un'analisi approfondita del quadro normativo degli obblighi di comunicazione in caso di decesso.

Più specificamente la Cassazione chiarisce che commette il reato sanzionato dall'art. 316 ter c.p. il soggetto che da un lato percepisce indebitamente la pensione di pertinenza di una persona deceduta perché quest'ultima viene versata sul conto corrente cointestato e dall'altro omette di comunicare all'Ente previdenziale il decesso del pensionato. Affinché si realizzi il reato di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche è, infatti, necessario ravvisare, oltre al silenzio sul decesso, anche un comportamento fraudolento (Cass. II, n. 21000/2011). I due delitti, infatti, si differenziano per le modalità esplicative: nel caso di quello descritto dall'art. 316-ter c.p. manca l'induzione in errore, presente, invece, in quello delineato dall'art. 640-bis c.p. (Cass. III, n. 2382/2011).

Come si evince dalla lettura dei lavori parlamentari, con l'introduzione nel nostro sistema penale dell'art. 316-ter c.p., il legislatore della l. n. 300/2000 ha voluto approntare per gli interessi dallo stesso protetti una tutela aggiuntiva e “complementare” rispetto a quella già offerta dall'art. 640-bis c.p., garantendo la copertura sanzionatoria anche a quelle condotte non incluse dal perimetro punitivo della truffa. L'ipotesi di cui all'art. 316-ter è, infatti, applicabile in tutti i casi in cui difettino la natura fraudolenta della condotta e l'induzione in errore. Al riguardo la Cass. S.U., n. 16568/2007 ha puntualizzato che “.... l'ambito di applicabilità dell'art. 316-ter c.p., si riduce così a situazioni del tutto marginali, come quelle del mero silenzio antidoveroso o di una condotta che non induca effettivamente in errore l'autore della disposizione patrimoniale”.

Pertanto la condotta antidoverosa della mancata comunicazione del decesso all'INPS costituisce un semplice comportamento omissivo e non un artificio o raggiro. Affinché possa configurare la truffa deve presentare un “quid pluris” che lo caratterizzi e lo qualifichi come un comportamento di natura fraudolenta. Deve, infatti, risultare che la percezione dei ratei pensionistici da parte dell'agente è avvenuta in forza di un comportamento attivo — segnatamente dietro la presentazione di documentazione falsa o di altra attestazione circa l'esistenza in vita del titolare della pensione — e non di un mero comportamento antidoveroso (id est dell'omessa comunicazione del decesso). Tale tipologia di condotta, infatti, è in grado di incidere sull'attività accertativa e di controllo affidata all'Ente previdenziale, ed è, dunque, idonea a determinare “l'induzione in errore” integrante il reato di truffa.

In tal senso la Cassazione ha rilevato che la fattispecie contemplata dall'art. 316-ter c.p. non richiede, ai fini della sua configurabilità, l'elemento costitutivo dell'induzione in errore, in quanto, nel detto reato, l'ente erogatore — a differenza che nella truffa aggravata — è chiamato solo a prendere atto dell'esistenza dei requisiti autocertificati e non a compiere un'autonoma attività di accertamento (Cass. II, n. 17423/2019).

Orientamento più recente della Corte di Cassazione

Secondo un recentissimo orientamento della Cassazione (Cass. VI, n. 20346/2021; Cass. VI, n. 28675/2021; Cass. VI, n. 14940/2018) si configura la fattispecie di appropriazione indebita.

Preliminarmente occorre ricordare un indirizzo consolidato della giurisprudenza di legittimità secondo il quale il cointestatario di un conto corrente bancario commette appropriazione indebita quando, pur essendo facoltizzato a compiere operazioni separatamente, dispone in proprio favore, senza il consenso espresso o tacito degli altri cointestatari, della somma in deposito in misura eccedente la quota parte da considerarsi di sua pertinenza. Secondo il criterio stabilito dagli artt. 1298 e 1854 c.c., infatti, le parti di ciascun concreditore solidale si presumono, fino a prova contraria, uguali (Cass. II, n. 166552010; Cass. V, n. 27035/2007; Cass. II, n. 17239/2006; Cass. II, n. 4018/1999).

Al fine di individuare la corretta fattispecie di reato da applicare al caso di specie la Corte (da ultimo Cass. VI, n. 20346/2021) svolge preventivamente due passaggi logici, fondamentali per lo sviluppo dell'iter argomentativo: il primo avente ad oggetto la condotta del reato di cui all'art. 316-ter — per escluderne l'applicazione — e il secondo la corretta ricostruzione del quadro normativo degli obblighi di comunicazione in caso di decesso di una persona.

In primo luogo, infatti, la Corte ricorda che l'indebita percezione di erogazioni pubbliche sanzionata dall'art. 316-ter è un delitto a forma vincolata che presenta, sotto il profilo dell'elemento oggettivo, una duplice struttura alternativa. Il fatto punito dalla predetta norma può essere, infatti, realizzato tanto mediante una condotta di tipo commissivo, quanto attraverso una di tipo omissivo. La prima modalità esecutiva si pone in essere mediante l'utilizzo o comunque la presentazione, ai pubblici funzionari incaricati di effettuare i connessi controlli e verifiche, di dichiarazioni o di documenti falsi o attestanti cose non vere, mentre la seconda mediante l'omissione di informazioni dovute. In quest'ultimo caso, pertanto, il soggetto attivo percepisce l'erogazione pubblica perché non ha fornito delle informazioni che aveva l'obbligo di comunicare all'ente pubblico (nel caso in esame all'ente previdenziale).

La condotta omissiva può esplicarsi sia nella forma dell'inerzia sia in quello del silenzio, purchè si qualifichino come “antidoverosi”, cioè che corrispondano al mancato adempimento di un obbligo di comunicazione e che ad essi si correli l'erogazione non dovuta (cioè sine titulo) da parte dello Stato o dell'ente pubblico (Cass. VI, n. 14940/2018).

In secondo luogo la Corte definisce il quadro normativo concernente gli obblighi di riferire all'INPS la notizia della scomparsa del parente in capo al congiunto, funzionale a verificare se sussiste o meno la doverosità della comunicazione tipica della sopra descritta condotta omissiva. Dalla lettura della normativa in materia si deduce che nel nostro ordinamento non è previsto uno specifico obbligo avente ad oggetto tale contenuto e gravante sul familiare cointestatario del conto corrente su cui vengono accreditate le somme della pensione del defunto (Cass. VI, n. 14940/2018).

Specificamente l'art. 72 del d.P.R. n. 396/2000 sancisce che il “congiunto” o la “persona convivente con il defunto” (o di un loro delegato) o — in mancanza — la persona “informata” del decesso hanno l'obbligo di comunicare la morte di una qualunque persona, non oltre le ventiquattro ore dal suo decesso, all'ufficiale dello stato civile del luogo dove questa è avvenuta o, nel caso in cui tale luogo si ignori, del posto dove il cadavere è stato deposto. Nell'ipotesi in cui la persona muoia in ospedale, casa di cura o di riposo, collegio, istituto o qualsiasi altro stabilimento, tale obbligo è posto a carico in capo al direttore o a chi sia stato a ciò delegato.

Gli artt. 34 della l. n. 903/1965 e 31, comma 19, della l. n. 289/2002 stabiliscono che il responsabile dell'Ufficio Anagrafe del Comune deve trasmettere la notizia della morte dell'assicurato all'ente di previdenza (la mancata ottemperanza a tale obbligo è punita con una sanzione amministrativa pecuniaria dall'art. 46 del d.l. n. 269/2003 convertito in l. n. 326/2003). L'art. 31, comma 19, della l. n. 289/2002 prevede, inoltre, che a seguito delle comunicazioni dei Comuni relative ai decessi di cui al precitato art. 34 “l'INPS, sulla scorta dei dati del Casellario delle pensioni, comunica e informazioni ricevute dai comuni agli enti erogatori di trattamenti pensionistici per gli adempimenti di competenza. Il Casellario delle pensioni mette a disposizione dei comuni le proprie banche dati”. Con la l. 23 dicembre 2014, n. 190 (art. 1), poi, un analogo obbligo di comunicazione è stato posto a carico anche del medico necroscopo, con la previsione della comminatoria — per il caso di inosservanza — di una sanzione amministrativa pecuniaria.

Infine, l'art. 1, comma 304, della l. n. 190/2014 disciplina, tra l'altro, che le prestazioni in denaro versate dall'INPS per il periodo successivo alla morte dell'avente diritto su un conto corrente devono essere restituite dai soggetti che ne hanno avuto la disponibilità sul conto corrente bancario o postale, anche per ordine permanente di accredito sul proprio conto.

La corretta esegesi dei succitati disposti normativi comporta che l'unico incombente informativo posto a carico dei congiunti (o della persona convivente) del defunto consiste nella comunicazione dell'evento, entro ventiquattro ore, all'Ufficio Anagrafe del Comune ai sensi dell'art. 72 del d.P.R. n. 396/2000. Non è possibile ravvisare un obbligo ulteriore concernente il medesimo contenuto di trasmettere la notizia all'ente erogatore dei ratei di pensione oggetto di imputazione. Quest'ultimo è previsto in capo ad altri soggetti istituzionali (il Comune e, sulla base del Casellario delle pensioni, l'INPS).

Di conseguenza nell'ipotesi in cui non fosse stata eseguita la succitata comunicazione prescritta si configura la fattispecie di indebita percezione di erogazioni pubbliche, perché sarebbe possibile ravvisare la sussistenza di uno dei suoi elementi costitutivi, rappresentato dall'omissione di informazioni dovute.

Nel caso, invece, in cui il congiunto ha assolto all'obbligo informativo di cui al succitato art. 72 si realizza il delitto di cui all'art. 646 c.p. perché l'appropriazione da parte del soggetto agente dei ratei della pensione erogata dall'ENASARCO in favore della madre defunta mediante versamento nel conto corrente bancario cointestato, risulta certamente indebita, in quanto sine titulo.

Mancata comunicazione del decesso di una persona per approfittare della sua pensione e sussistenza del reato di truffa

 

Orientamento più recente

In riferimento ad una ipotesi parzialmente differente (la nipote della defunta aveva omesso di comunicare all'INPS il decesso della zia e nei successivi 13 anni aveva percepito i ratei della pensione in virtù di una procura speciale che le consentiva di operare delle movimentazioni sul conto corrente della familiare) la Cassazione ha ravvisato, invece, la sussistenza del reato di truffa (Cass. II, n. 24487/2023).

La Corte ha ritenuto, infatti, che l'approccio ermeneutico riportato nel paragrafo precedente non influisse ai fini della decisione sul diverso caso sottoposto alla sua attenzione. Nello specifico ha individuato il comportamento truffaldino della nipote da un lato nel silenzio serbato sulla mancanza della persistenza del presupposto della erogazione periodica – ovvero la sussistenza in vita della percettrice della pensione - e dall'altro nell'esercizio di poteri derivanti dal rilascio di una procura che ai sensi dell'art. 1722 c.c. era venuta meno a seguito del decesso della familiare. L'esercizio di tali poteri ha, infatti, indotto in errore l'INPS sull'esistenza in vita della pensionata in quanto fatto idoneo ad influire causalmente sulla determinazione e sul mantenimento dell'obiettiva difformità tra la situazione reale e quella conosciuta dall'ente previdenziale. Quest'ultimo, in conseguenza della sopra descritta falsa rappresentazione della realtà, ha continuato ad eseguire il pagamento della pensione, non più dovuto in seguito all'estinzione del relativo rapporto per il venir meno della titolare, accreditando sul conto i relativi ratei e compiendo, in tal modo, l'atto di disposizione del proprio patrimonio di cui la nipote ha profittato ingiustamente. La Corte ha anche chiarito che l'illegittimo esercizio dei succitati poteri non costituisce un post factum non rilevante, perchè la truffa, secondo l'orientamento di legittimità consolidato, si consuma nel momento in cui l'autore della condotta fraudolenta ottiene l'ingiusto profitto, ovvero quando incassa il denaro.

Individuazione del momento consumativo del reato di cui all'art. 316-ter

Orientamento più risalente

Secondo un'impostazione più risalente il reato di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato si consuma nel momento e nel luogo in cui l'ente pubblico eroga i contributi, i finanziamenti, i mutui agevolati, disponendone l'accredito sul conto corrente del soggetto che ne abbia indebitamente fatto richiesta, perché è con quell'atto che si verifica la dispersione del denaro pubblico. In applicazione del principio, la Corte ha individuato la competenza per territorio nel luogo dove ha sede l'ente pubblico erogante il contributo, considerando, invece, irrilevante la località dove era stata presentata la documentazione da parte del richiedente (Cass. VI, n. 12625/2013).

Orientamento più recente

Per un indirizzo giurisprudenziale più recente, invece, l'indebita percezione di erogazioni pubbliche commessa mediante la riscossione dei ratei pensionistici di un genitore defunto, in seguito al mancato assolvimento dell'obbligo di comunicare all'Ente previdenziale l'avvenuto decesso, si consuma al momento della cessazione delle riscossioni, che segna il dies a quo del termine prescrizionale. Ciò in quanto tale delitto ha natura di reato a consumazione prolungata (Cass. VI, n. 10790/2021; Cass. II, n. 48820/2013).

3. Azioni processuali

Ulteriori attività difensive

Per la fattispecie in esame si possono esperire le seguenti ulteriori attività difensive: Querela (art. 336); Istanza di sequestro conservativo della parte civile (art. 316); Memoria difensiva al pubblico ministero (art. 367); Richiesta di presentazione spontanea per rilasciare dichiarazioni (art. 374); Memoria difensiva (art. 419, comma 2); Richiesta di giudizio abbreviato (art. 438, comma 1).

Procedibilità

L'indebita percezione di erogazione pubbliche è un reato procedibile d'ufficio.

L'appropriazione indebita, ai sensi dell'art. 646, comma 1, c.p. è sanzionata a querela della persona offesa. A tale fattispecie si applica il disposto dell'art. 649 c.p., che sancisce la non punibilità per fatti commessi a danno di congiunti elencati al primo comma, a meno che non ricorrano una delle situazioni esplicitate al comma 2 (fatto commesso a danno del coniuge legalmente separato, ecc.). Se ricorre una delle predette ipotesi si procede a querela della persona offesa.

Prima della riforma Cartabia nei casi in cui o si verificavano i fatti previsti dall'art. 646, comma 2, c.p. o i fatti di appropriazione indebita erano aggravati dalle circostanze di cui all'art. 61, comma 1, numero 11, c.p. si procedeva, inoltre, di ufficio ai sensi dell'art. 649-bis c.p. se:

– ricorrevano circostanze aggravanti ad effetto speciale (inclusa la recidiva nei casi di cui all'art. 99, commi secondo e seguenti: cfr. Cass. S.U. n. 3585/2021);

– la persona offesa era incapace per età o per infermità;

– il danno arrecato alla persona offesa era di rilevante gravità (con duplicazione sostanziale del riferimento ai casi di cui all'art. 61, comma 1, n. 7, c.p.).

Diversamente, la c.d. “Riforma Cartabia” [art. 2, comma 1, lett. q), d.lgs. n. 150/2022, in vigore, come stabilito dal d.l. n. 162/2022, convertito in l. n. 199/2022, dal 30 dicembre 2022], modificando l'649-bis c.p., prevede che si proceda d'ufficio se:

– ricorrono circostanze aggravanti ad effetto speciale diverse dalla recidiva;

– la persona offesa era incapace per età o per infermità.

Le disposizioni transitorie contenute nell'art. 85, comma 1, d.lgs. n. 150/2022, e nella l. n. 199/2022 (che sostituisce il disposto riportato dal comma 2 del predetto art. 85 ed introduce i commi 2-bis e 2-ter) individuano le tempistiche di entrata in vigore delle predette modifiche. Quest'ultime, infatti, sono immediatamente operative per i reati commessi a partire dal 30/12/2022, data di vigenza della novella, mentre in riferimento ai reati commessi fino al 29/12/2022, divenuti procedibili a querela di parte in forza delle nuove disposizioni, operano secondo lo schema di seguito riportato,

A) Casi in cui non pende il procedimento penale:

– se il soggetto legittimato a proporre querela ha avuto in precedenza notizia “del fatto costituente reato” il termine per proporla è di mesi tre, ex art. 124 c.p., (disposto non toccato dall'intervento novellatore), decorre dal 30/12/2022, data di entrata in vigore della novella, e scade, pertanto, il 30/03/2023;

– se il soggetto legittimato a proporre querela non ha avuto in precedenza notizia “del fatto costituente reato” il medesimo termine per proporla decorre, secondo la disciplina ordinaria, in parte qua non modificata, dal momento in cui ne abbia avuto conoscenza. Tale tempistica si deduce dalla lettura “a contrario” della succitata disposizione.

B) Casi in cui pende il procedimento penale:

– il termine trimestrale per proporre querela decorre dal 30/12/2022, data di entrata in vigore della novella, e scade il 30/03/2023 in quanto il soggetto legittimato a proporla ha necessariamente avuto in precedenza notizia “del fatto costituente reato”. Inoltre, diversamente rispetto a quanto previsto dall'originario comma 2 del succitato art. 85, sul giudice procedente non grava alcun onere di informare la parte offesa di tale facoltà. Si presume, infatti, che la parte offesa debba avere conoscenza della novella.

Ferma restando la predetta disciplina, l'art. 85 al comma 2 prevede che le misure cautelari personali in corso di esecuzione perdono efficacia se, entro venti giorni dalla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 150/2022, e quindi entro il 19/01/2022, l'autorità giudiziaria che procede non acquisisce la querela. A tal fine, l'autorità giudiziaria procedente effettua ogni utile ricerca della parte offesa, anche avvalendosi della polizia giudiziaria. Durante la pendenza del predetto termine di venti giorni, i termini di cui all'art. 303 c.p.p. sono sospesi.

Infine, durante la pendenza del termine per proporre querela, si applica quanto disposto dall'art. 346 c.p.p. in tema di atti compiuti in mancanza di condizioni di procedibilità.

Alcune questioni che la nuova disciplina potrà proporre sono già state risolte dalla giurisprudenza in relazione a precedenti interventi novellatori dello stesso tenore:

– l'inammissibilità del ricorso per cassazione esclude che possano porsi questioni riguardanti l'eventuale esercizio del diritto di querela (Cass. S.U.n. 40150/2018, in tema di reati divenuti perseguibili a querela per effetto del d.lgs. 10 aprile 2018 n. 36 e di giudizi pendenti in sede di legittimità);

– non possono porsi questioni riguardanti l'eventuale esercizio del diritto di querela quando la persona offesa abbia già manifestato la volontà di punizione del reo, costituendosi parte civile e persistendo in tale costituzione nei successivi gradi di giudizio (Cass. II, n. 28305/2019 e Cass. V, n. 44114/2019: fattispecie riguardante i reati divenuti perseguibili a querela per effetto del d. lgs. 10 aprile 2018, n. 36);

– la remissione della querela, pur intervenuta in un momento nel quale vigeva un regime di procedibilità d'ufficio, implica l'obbligo di dichiarare la non procedibilità ai sensi dell'art. 129 c.p.p., ove disposizioni sopravvenute abbiano comportato la procedibilità di ufficio: la natura mista, sostanziale e processuale, della procedibilità a querela, determina, infatti, la necessità di applicare la sopravvenuta disciplina più favorevole nei procedimenti pendenti (Cass. II, n. 225/2019: fattispecie riguardante la modifica del regime di procedibilità per i delitti di cui agli artt. 640 e 646 c.p., introdotta dal d.lgs. n. 36/2018. Nella motivazione la Corte ha richiamato la natura mista, sostanziale e processuale, della procedibilità a querela, dalla quale discende la necessità di applicare la sopravvenuta disciplina più favorevole nei procedimenti pendenti);

– non costituisce causa di revoca della sentenza di condanna ai sensi dell'art. 673 c.p.p. una modifica legislativa per effetto della quale un reato procedibile d'ufficio divenga procedibile a querela, in caso di mancata proposizione di quest'ultima. Ciò in quanto il regime di procedibilità non è elemento costitutivo della fattispecie e, conseguentemente, la sopravvenuta previsione della procedibilità a querela è inidonea a determinare un fenomeno di abolitio criminis (Cass. I, n. 1628/2020: fattispecie relativa al delitto di appropriazione indebita aggravato art. 61, comma primo, n. 11, c.p., divenuto procedibile a querela a seguito del d.lgs. n. 36/2018);

– la sopravvenuta procedibilità a querela del reato di appropriazione indebita per effetto del d.lgs. n. 36/2018 non costituisce prova nuova ai sensi dell'art. 630, comma 1, lett. c), c.p.p. nel caso in cui la modifica normativa sia intervenuta successivamente al passaggio in giudicato della sentenza della quale si chiede la revisione: in ragione della natura mista – sostanziale e processuale – dell'istituto della querela, la sopravvenuta disciplina più favorevole deve, infatti, essere applicata nei procedimenti pendenti, salva l'insuperabile preclusione costituita dalla pronuncia di sentenza irrevocabile, ai sensi dell'art. 2, comma 4, c.p., se non derogata da una disposizione transitoria ad hoc (Cass. II, n. 14987/2020).

Illustrati gli orientamenti della giurisprudenza di legittimità pacifici occorre segnalare che sussiste un contrasto sulla possibile valenza della querela tardiva o comunque, per altro verso, irrituale, sporta quando vigeva un regime di procedibilità d'ufficio:

– un orientamento ritiene privo di rilievo il fatto che la persona offesa abbia, in precedenza, manifestato la volontà di punizione oltre il termine di cui all'art. 124 c.p. Ciò in quanto la valutazione in ordine alla condizione di procedibilità è ancorata al momento dell'entrata in vigore del nuovo regime normativo che prevede la procedibilità a querela. Non rileverebbero eventuali irregolarità della querela afferenti ad un momento procedimentale anteriore, in cui la querela stessa non era richiesta ai fini della procedibilità (Cass. II, n. 25341/2021; Cass. II, n. 11970/2020; Cass. S.U. , n. 5540/1982);

– altro orientamento considera preclusa la possibilità di esercitare il diritto di sporgere querela per la parte offesa che abbia in precedenza già manifestato la volontà di punizione oltre il termine di cui all'art. 124 c.p., poiché, diversamente, l'avviso si risolverebbe in una rimessione in termini. Tale indirizzo precisa, inoltre, che l'onere di tempestività a carico della parte che si ritenga persona offesa dal reato, sussiste indipendentemente dalla procedibilità del reato di ufficio o a querela di parte (Cass. II, n. 8823/2021; Cass. II, n. 12420/2020).

Quest'ultimo orientamento appare all'evidenza non condivisibile, pretendendo di valorizzare, al fine di precludere alla parte offesa l'esercizio della facoltà di sporgere querela, vizi della medesima intervenuti quando l'atto era irrilevante, vigendo un regime di procedibilità officiosa.

Improcedibilità delle impugnazioni (e prescrizione del reato)

Il termine-base di prescrizione è pari ad anni sei (cfr. art. 157 c.p.) sia per l'indebita percezione di erogazioni pubbliche, sia per l'appropriazione indebita.

A partire dal 1° gennaio 2020 (cfr. art. 2, comma 3, l. n. 134/2021), per l'appropriazione indebita costituiscono causa di improcedibilità dell'azione penale ex art. 344-bis c.p.p., la mancata definizione:

— del giudizio di appello entro il termine di due anni;

— del giudizio di cassazione entro il termine di un anno.

Tali cause di improcedibilità ricorrono a meno che non intervenga:

— la proroga per un periodo non superiore ad un anno nel giudizio di appello ed a sei mesi nel giudizio di cassazione quando il giudizio d'impugnazione risulta particolarmente complesso in ragione del numero delle parti o del numero o della complessità delle questioni di fatto o di diritto da trattare;

— la sospensione nei casi previsti dall'art. 344-bis, comma 6, c.p.p.;

— la diversa modulazione dei predetti termini in applicazione della normativa transitoria (cfr. art. 2, commi 4 e 5, l. n. 134/2021).

Misure precautelari e cautelari

Arresto e fermo.

In relazione al reato di indebita percezione di erogazioni pubbliche:

— non è mai consentito l'arresto obbligatorio in flagranza di reato (art. 380 c.p.p.);

— è consentito l'arresto facoltativo in flagranza di reato solo nelle ipotesi aggravate di cui al secondo e al terzo periodo del primo comma dell'art. 316-ter (art. 381 c.p.p.);

— non è mai consentito il fermo (art. 384 c.p.p.).

Con riguardo al reato di appropriazione indebita:

— non è mai consentito l'arresto obbligatorio in flagranza di reato (art. 380 c.p.p.);

— è consentito l'arresto facoltativo in flagranza di reato (art. 381, comma 2, c.p.p.);

— è consentito il fermo (art. 384 c.p.p.).

In riferimento all'arresto facoltativo in fragranza di reato l'art. 381, comma 3, c.p.p. dispone che se si tratta di delitto perseguibile a querela, può essere eseguito se la querela viene proposta, anche con dichiarazione resa oralmente all'ufficiale o all'agente di polizia giudiziaria presente nel luogo. Se l'avente diritto dichiara di rimettere la querela, l'arrestato è posto immediatamente in libertà.

Misure cautelari personali

Nel caso di indebita percezione di erogazioni pubbliche non è consentita la custodia cautelare in carcere ed altre misure cautelari personali (art. 278 e ss. c.p.p.) poiché l'art. 280, comma 1, c.p.p. prevede l'applicazione delle predette misure ai soli delitti per i quali la legge stabilisce la pena della reclusione superiore nel massimo a tre anni. Nelle ipotesi aggravate previste nel secondo e nel terzo periodo del primo comma dell'art. 315-ter sono applicabili le altre misure cautelari personali (non la custodia cautelare in carcere). Si applica, altresì, il disposto di cui all'art. 289, comma 2, c.p.p.

Nel caso del delitto di appropriazione indebita è consentita, invece, l'applicazione delle misure cautelari personali (custodia cautelare in carcere ed altre misure cautelari personali art. 278 e ss. c.p.p.). In relazione al predetto delitto si applica il disposto dell'art. 391, comma 5, c.p.p. che contempla l'applicazione di misure cautelari coercitive soltanto in caso di arresto in flagranza, stabilendo che, in tali casi, “l'applicazione della misura è disposta anche al di fuori dei limiti di pena previsti dagli articoli 274, comma 1, lett. c), e 280”.

Competenza, forme di citazione a giudizio e composizione del tribunale

Competenza

Nei casi di indebita percezione di erogazione pubbliche è competente per materia il tribunale (cfr. art. 6 c.p.p.), che decide in composizione collegiale (cfr. artt. 33-bis e 33-ter c.p.p.).

In quelli di appropriazione indebita è competente per materia il tribunale (cfr. art. 6 c.p.p.), che decide in composizione monocratica (cfr. artt. 33-bis e 33-ter c.p.p.).

Citazione a giudizio

Per entrambe le fattispecie di reato, l'indebita percezione di erogazione pubbliche e l'appropriazione indebita, invece, si procede con udienza preliminare, in luogo della citazione diretta del P.M. a giudizio.

Composizione del tribunale

Il processo per il reato di indebita percezione di erogazione pubbliche si svolgerà dinanzi al tribunale in composizione collegiale, mentre quello per appropriazione indebita dinanzi al tribunale in composizione monocratica ai sensi dell'art. 33-ter, comma 2, c.p.p. (che detta regole riguardanti le attribuzioni del tribunale in composizione monocratica).

4. Conclusioni

Nel caso in esame per delimitare l'ambito di applicazione delle fattispecie di appropriazione indebita e di quella di indebita percezione di erogazione pubbliche è necessario operare una preventiva ricostruzione del complesso di norme che disciplinano gli obblighi di comunicazione del decesso ed individuano i soggetti su cui gravano.

Dall'analisi della normativa emerge che nel nostro ordinamento non è previsto uno specifico obbligo di comunicare all'INPS il decesso dell'assicurato in capo al cointestatario del conto corrente su cui vengano accreditate le somme della pensione del defunto.

Il soggetto che abbia la semplice veste di cointestatario del conto corrente, sul quale sia periodicamente accreditata la pensione spettante ad una persona deceduta e che non renda noto all'Inps l'avvenuta scomparsa del contitolare del conto, non commette né il delitto ex art. 316-ter né quello ex art. 646 c.p. Se è incluso nell'elenco delle persone individuate dall'art. 72 d.P.R. n. 369/2000 (congiunti, conviventi o — laddove questi manchino — persona informata del decesso) è ex lege obbligato a dare comunicazione del decesso. Di conseguenza se assolve a tale obbligo realizzerà appropriazione indebita e se, invece, non provvede commetterà indebita percezione di erogazioni pubbliche.

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