È penalmente rilevante la c.d. truffa processuale?1. Bussole di inquadramentoLa giurisprudenza (cfr., per tutte, Cass. S.U., n. 155/2012) ritiene che, ai fini della configurabilità del delitto di truffa, l'atto di disposizione patrimoniale, quale elemento costitutivo implicito della fattispecie incriminatrice, consiste in un atto volontario, causativo di un ingiusto profitto altrui a proprio danno e determinato dall'errore indotto da una condotta artificiosa: ne consegue che esso non deve necessariamente qualificarsi in termini di atto negoziale, ovvero di atto giuridico in senso stretto, ma può essere integrato anche da un permesso o assenso, dalla mera tolleranza o da una traditio, da un atto materiale o da un fatto omissivo, dovendosi ritenere sufficiente la sua idoneità a produrre un danno. Si pone conseguentemente il problema di stabilire se l'atto di disposizione patrimoniale, e con esso il reato di truffa, sia configurabile quando il soggetto tratto in inganno, che pone in essere l'atto da cui deriva l'ingiusto profitto per il deceptor ed il danno per la vittima, sia il giudice. 2. Questioni e orientamenti giurisprudenziali
Domanda
È configurabile la c.d. truffa processuale?
L'orientamento meno recente: si In epoca risalente, la giurisprudenza ha ammesso la configurabilità della c.d. truffa processuale, limitatamente ai casi in cui una delle parti in giudizio civile abbia ottenuto o tentato di ottenere una decisione a lei favorevole, e quindi un ingiusto profitto a danno dell'altra parte, mediante l'inganno del giudice con artifici o raggiri (Cass. III, n. 1345/1966): l'artificio o il raggiro non consisterebbero, quindi, soltanto in una particolare, sottile, astuta messa in scena, essendo sufficiente a concretarli qualsiasi subdolo espediente, o qualsiasi simulazione, o dissimulazione, anche processuale, posto in essere per indurre taluno, e quindi anche il giudice, in errore (Cass. V, n. 905/1967). L'orientamento ormai consolidato: no Ben presto, si formò, peraltro, un contrario orientamento: a partire da Cass. II, n. 125/1971, la giurisprudenza osservò che la frode nei confronti del giudice assume rilievo, per integrare una fattispecie di reato, solo nei casi espressamente previsti dalla legge (ad esempio, falso giuramento, falsa testimonianza, frode processuale), in quanto gli artifici e i raggiri, posti in essere nel processo per indurre il giudice in errore ed ottenere, con una decisione dello stesso, un ingiusto profitto con altrui danno, non integrano il reato di truffa per mancanza dell'atto di disposizione patrimoniale da parte di colui che viene ingannato, che costituisce un elemento essenziale di tale delitto: pur potendo verificarsi che il giudice sia tratto in errore dalla parte mediante raggiri nell'ambito del processo, tuttavia egli non esercita un potere di disposizione nei riguardi del patrimonio delle parti, bensì un potere giurisdizionale eminentemente pubblicistico, nettamente differenziato dall'atto di disposizione, che può promanare anche da un soggetto diverso dal titolare del patrimonio aggredito, purché sia da lui compiuto operando in luogo del titolare, il quale viene danneggiato dall'atto dispositivo. Successivamente, la giurisprudenza (Cass. II, n. 41127/2013; Cass. II, n. 52730/2014; Cass. II, n. 11969/2021) ha più volte ribadito l'orientamento secondo il quale la condotta di chi, inducendo in errore il giudice in un processo civile o amministrativo mediante artifici o raggiri, ottenga una decisione favorevole, non integra il reato di truffa per difetto dell'elemento costitutivo dell'atto di disposizione patrimoniale, poiché l'attività del giudice che abbia adottato un provvedimento giudiziale contenente una disposizione patrimoniale favorevole all'imputato non è equiparabile ad un libero atto di gestione di interessi altrui, non costituendo espressione di libertà negoziale ma esplicazione del potere giurisdizionale, di natura pubblicistica, finalizzato all'attuazione delle norme giuridiche ed alla risoluzione dei conflitti di interessi tra le parti (Cass. II, n. 29929/2007), con la conseguenza che gli artifici e raggiri di cui sia vittima il giudice rilevano penalmente soltanto nei casi tassativamente descritti dall'art. 374 c.p. Questo orientamento può ben dirsi ormai consolidato. Applicazioni: emissione del decreto ingiuntivo sulla base di falsa documentazione In adesione all'orientamento ormai consolidato della giurisprudenza, si esclude la configurabilità della truffa (a seconda dei casi, consumata o tentata) in presenza della condotta del soggetto che abbia ottenuto l'emissione di un decreto ingiuntivo esibendo documentazione falsa, poiché quest'ultima attività costituisce esercizio della funzione giurisdizionale, e, di conseguenza, il giudice, quando influisce negativamente sul patrimonio di una delle parti lo fa non perché compie un atto di disposizione espressivo dell'autonomia privata e della libertà di consenso, ma perché esercita il potere eminentemente pubblicistico, connesso all'esercizio della giurisdizione (Cass. II, n. 12021/1976: fattispecie nella quale erano state esibite copie di fatture già pagate; conforme, Cass. II, n. 39314/2009). Secondo Cass. II, n. 498/2012, non integra il reato di truffa l'induzione in errore di un giudice che, sulla base di una delibera falsificata, abbia adottato un provvedimento contenente una disposizione patrimoniale favorevole all'imputato, perché detto provvedimento non è equiparabile ad un libero atto di gestione di interessi altrui, costituendo esplicazione del potere giurisdizionale, di natura pubblicistica; il medesimo principio è stato ribadito da Cass. II, n. 35953/2022, in riferimento a fattispecie nella quale l'imputata, dopo aver ottenuto in modo fraudolento l'emissione di un decreto ingiuntivo avente ad oggetto somme di denaro che non le spettavano, aveva posto in essere una serie di condotte fraudolente necessarie a portare ad esecuzione il provvedimento giurisdizionale indebitamente ottenuto. 3. Azioni processualiUlteriori attività difensive Per la fattispecie in esame si possono esperire le seguenti ulteriori attività difensive: Istanza di revoca del sequestro preventivo al pubblico ministero (art. 321, comma 3); Richiesta di riesame di un'ordinanza che applica una misura cautelare reale (artt. 322 e 324); Appello contro un'ordinanza in materia cautelare reale (art. 322-bis); Ricorso per cassazione contro ordinanze cautelari reali (art. 325); Querela (art. 336); Memoria difensiva al pubblico ministero (art. 367); Richiesta di presentazione spontanea per rilasciare dichiarazioni (art. 374); Richiesta di documenti in possesso di privati (art. 391-bis); Memoria difensiva (art. 419, comma 2); Opposizione a decreto penale di condanna (art. 461); Istanza di sospensione del procedimento con messa alla prova (art. 464-bis, comma 1). Procedibilità Per il reato di truffa, prima della Riforma Cartabia, si procedeva, di massima, ai sensi dell'art. 640, comma 3, c.p., a querela della p.o.; si procedeva d'ufficio ove ricorresse una delle seguenti circostanze aggravanti: – aggravanti previste dall'art. 640, comma 2, c.p. (tra le quali rientra anche quelle di cui all'art. 61, comma 1, n. 5, c.p.); – aggravante prevista dall'art. 61, comma 1, n. 7, c.p. Ai sensi dell'art. 649-bis c.p., si procedeva, inoltre, di ufficio anche se: – ricorressero circostanze aggravanti ad effetto speciale (inclusa la recidiva nei casi di cui all'art. 99, commi secondo e seguenti: cfr. Cass. S.U. , n.3585/2021); – la persona offesa fosse incapace per età o per infermità; – il danno arrecato alla persona offesa fosse di rilevante gravità (con duplicazione sostanziale del riferimento ai casi di cui all'art. 61, comma 1, n. 7, c.p.). Si procedeva sempre d'ufficio per la truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche di cui all'art. 640-bis c.p. Diversamente, la c.d. “Riforma Cartabia” [art. 2, comma 1, lett. o) e lett. q), d.lgs. n. 150 del 2022, in vigore, come stabilito dal d.l. n. 162 del 2022, conv., in l. n. 199 del 2022, dal 30 dicembre 2022], modificando gli artt. 640, comma 3, e 649-bis c.p., prevede che si proceda a querela di parte anche: – per le truffe aggravate ai sensi dell'art. 61, comma 1, n. 7, c.p.; – per le truffe aggravate dalla recidiva nei casi di cui all'art. 99, commi secondo e seguenti. Secondo quanto stabilito dalle disposizioni transitorie ad hoc di cui all'art. 85, comma 1, d.lgs. n. 150 del 2022, e di quelle introdotte dalla l. n. 199 del 2022 (sostituendo nel corpo del predetto art. 85 il comma 2, ed introducendovi, inoltre, i nuovi commi 2-bis e 2-ter), le predette modifiche, immediatamente operanti per i reati commessi a partire dal 30/12/2022, data di vigenza della novella, opereranno, per i reati commessi fino al 29/12/2022, divenuti procedibili a querela di parte in forza delle nuove disposizioni, nei termini di seguito indicati: A) nei casi in cui non pende il procedimento penale: – se il soggetto legittimato a proporre querela ha avuto in precedenza notizia “del fatto costituente reato”, il termine per proporre querela (di mesi tre, ex art. 124 c.p., non toccato dall'intervento novellatore) decorre dal 30/12/2022, data di entrata in vigore della novella, e scade, pertanto, il 30/03/2023; – in forza della predetta disposizione, letta a contrario, se il soggetto legittimato a proporre querela non ha avuto in precedenza notizia “del fatto costituente reato”, il medesimo termine per proporre querela decorre, secondo la disciplina ordinaria, in parte qua non modificata, dal momento in cui ne abbia avuto conoscenza; B) nei casi in cui pende il procedimento penale: – avendo il soggetto legittimato a proporre querela necessariamente avuto in precedenza notizia “del fatto costituente reato”, il termine trimestrale per proporre querela decorre dal 30/12/2022, data di entrata in vigore della novella, e scade il 30/03/2023: diversamente rispetto a quanto previsto dall'originario comma 2 della disposizione, nessun onere di informare la p.o. di tale facoltà incombe sul giudice procedente, presumendosi, pertanto, che la p.o. debba avere conoscenza della novella. Ferma restando la predetta disciplina, si è anche stabilito che le misure cautelari personali in corso di esecuzione perdono efficacia se, entro venti giorni dalla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 150 del 2022, e quindi entro il 19/01/2022, l'autorità giudiziaria che procede non acquisisce la querela: a tal fine, l'a.g. procedente effettua ogni utile ricerca della p.o., anche avvalendosi della polizia giudiziaria. Durante la pendenza del predetto termine di venti giorni, i termini di cui all'art. 303 c.p.p. sono sospesi. Questa ultima disposizione non opera, peraltro, per il reato di truffa. Invero, per determinare la pena agli effetti dell'applicazione delle misure cautelari personali, ai sensi dell'art. 278 c.p.p., si tiene conto delle sole circostanza aggravanti ad effetto speciale, ma non anche della recidiva. Ciò comporta che soltanto alla truffa aggravata ex art. 640, comma 2, c.p., punita con pena edittale massima pari ad anni cinque di reclusione [e non anche alla truffa aggravata ex art. 61, comma primo, n. 7, c.p. (cui la norma non riconosce quoad poenam alcun “effetto speciale”, e che, pertanto, resta punita con pena edittale massima pari ad anni tre di reclusione), ovvero dalla recidiva nei casi di cui ai commi secondo e seguenti], sono applicabili misure cautelari coercitive (artt. 281/286-bis c.p.p.), poiché l'art. 280, comma 1, c.p.p. consente l'applicazione delle predette misure ai soli delitti per i quali la legge stabilisce la pena della reclusione superiore nel massimo a tre anni; alla truffa aggravata ex art. 640, comma 2, c.p. è applicabile anche la misura della custodia cautelare in carcere, poiché l'art. 280, comma 2, c.p.p. consente l'applicazione della predetta misura coercitiva ai soli delitti per i quali la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni. Durante la pendenza del termine per proporre querela, si applica quanto disposto dall'art. 346 c.p.p. in tema di atti compiuti in mancanza di condizioni di procedibilità. Alcune questioni che la nuova disciplina potrà proporre sono già state risolte dalla giurisprudenza in relazione a precedenti interventi novellatori dello stesso tenore: – l'inammissibilità del ricorso per cassazione esclude che possano porsi questioni riguardanti l'eventuale esercizio del diritto di querela (Cass. S.U. ,n. 40150/2018: fattispecie riguardante i reati divenuti perseguibili a querela per effetto del d.lgs. 10 aprile 2018 n. 36 ed i giudizi pendenti in sede di legittimità); – non possono porsi questioni riguardanti l'eventuale esercizio del diritto di querela quando la persona offesa abbia già manifestato la volontà di punizione del reo, costituendosi parte civile e persistendo in tale costituzione nei successivi gradi di giudizio (Cass. II, n. 28305/2019 e Cass. V, n. 44114/2019: fattispecie riguardante i reati divenuti perseguibili a querela per effetto del d.lgs. n. 36 del 2018); – la remissione della querela, pur intervenuta in un momento nel quale vigeva un regime di procedibilità d'ufficio, comporta l'obbligo di dichiarare la non procedibilità ai sensi dell'art. 129 c.p.p., ove disposizioni sopravvenute abbiano comportato la procedibilità di ufficio: la natura mista, sostanziale e processuale, della procedibilità a querela, comporta, infatti, la necessità di applicare la sopravvenuta disciplina più favorevole nei procedimenti pendenti (Cass. II, n. 225/2019: fattispecie riguardante la modifica del regime di procedibilità per i delitti di cui agli artt. 640 e 646 c.p., introdotta dal d. lgs. 10 aprile 2018, n. 36). (In motivazione la Corte ha richiamato la natura mista, sostanziale e processuale, della procedibilità a querela, dalla quale discende la necessità di applicare la sopravvenuta disciplina più favorevole nei procedimenti pendenti); – non costituisce causa di revoca della sentenza di condanna ai sensi dell'art. 673 c.p.p. una modifica legislativa per effetto della quale un reato procedibile d'ufficio divenga procedibile a querela, in caso di mancata proposizione di questa, atteso che il regime di procedibilità non è elemento costitutivo della fattispecie e conseguentemente la sopravvenuta previsione della procedibilità a querela è inidonea a determinare un fenomeno di abolitio criminis (Cass. I, n. 1628/2020: fattispecie relativa al delitto di appropriazione indebita aggravato art. 61, comma 1, n. 11, c.p., divenuto procedibile a querela a seguito del d.lgs. 10 aprile 2018, n. 36); – la sopravvenuta procedibilità a querela del reato di appropriazione indebita per effetto del d.lgs. 15 maggio 2018, n. 36 non costituisce prova nuova ai sensi dell'art. 630, comma 1, lett. c), c.p.p. nel caso in cui la modifica normativa sia intervenuta successivamente al passaggio in giudicato della sentenza della quale si chiede la revisione: in ragione della natura mista – sostanziale e processuale – dell'istituto della querela, la sopravvenuta disciplina più favorevole deve, infatti, essere applicata nei procedimenti pendenti, salva l'insuperabile preclusione costituita dalla pronuncia di sentenza irrevocabile, ai sensi dell'art. 2, comma quarto, cod. pen., se non derogata da una disposizione transitoria ad hoc (Cass. II, n. 14987/2020). Fin qui, gli orientamenti della giurisprudenza di legittimità sono pacifici; vi è, al contrario, contrasto sulla possibile valenza della querela tardiva o comunque, per altro verso, irrituale, sporta quando vigeva un regime di procedibilità d'ufficio: – un orientamento ritiene privo di rilievo il fatto che la persona offesa abbia, in precedenza, manifestato la volontà di punizione oltre il termine di cui all'art. 124 c.p., atteso che la valutazione in ordine alla condizione di procedibilità è ancorata al momento dell'entrata in vigore del nuovo regime normativo che prevede la procedibilità a querela, a nulla rilevando eventuali irregolarità della querela afferenti ad un momento procedimentale anteriore, in cui la querela stessa non era richiesta ai fini della procedibilità (Cass. II, n. 25341/2021; Cass. II, n. 11970/2020; Cass. S.U. , n. 5540/1982); – altro orientamento ritiene preclusa la possibilità di esercitare il diritto di sporgere querela per la p.o. che abbia in precedenza già manifestato la volontà di punizione oltre il termine di cui all'art. 124 c.p., poiché, diversamente, l'avviso si risolverebbe in una rimessione in termini, precisando che l'onere di tempestività a carico della parte che si ritenga persona offesa dal reato, sussiste indipendentemente dalla procedibilità del reato di ufficio o a querela di parte (Cass. II, n. 8823/2021; Cass. II, n. 12420/2020). Quest'ultimo orientamento appare all'evidenza non condivisibile, pretendendo di valorizzare, al fine di precludere alla p.o. l'esercizio della facoltà di sporgere querela, vizi della medesima intervenuti quando l'atto era irrilevante, vigendo un regime di procedibilità officiosa. Improcedibilità delle impugnazioni e prescrizione del reato Per tutti i casi di truffa (commessa, o meno, on-line, e, quindi, aggravata, o meno, ex art. 61, comma 1, n. 5, c.p.), il termine-base di prescrizione è pari ad anni sei (cfr. art. 157 c.p.), aumentabile, in presenza del sopravvenire di eventi interruttivi, fino ad un massimo di anni sette e mesi sei (cfr. artt. 160 e 161 c.p.), oltre i periodi di sospensione (cfr. artt. 159 e 161 c.p.). A partire dal 1° gennaio 2020 (cfr. art. 2, comma 3, l. n. 134/2021), per tutti i casi di truffa (commessa, o meno, on-line, e, quindi, aggravata, o meno, ex art. 61, comma 1, n. 5, c.p.) costituiscono causa di improcedibilità dell'azione penale ex art. 344-bis c.p.p., la mancata definizione: – del giudizio di appello entro il termine di due anni; – del giudizio di cassazione entro il termine di un anno; salva proroga per un periodo non superiore ad un anno nel giudizio di appello ed a sei mesi nel giudizio di cassazione quando il giudizio d'impugnazione risulta particolarmente complesso in ragione del numero delle parti o del numero o della complessità delle questioni di fatto o di diritto da trattare; salva sospensione nei casi previsti dall'art. 344-bis, comma 6, c.p.p.; salva diversa modulazione dei predetti termini in applicazione della normativa transitoria (cfr. art. 2, commi 4 e 5, l. n. 134/2021). Misure precautelari e cautelari Arresto e fermo Con riguardo al reato di truffa, comunque circostanziato: – non è mai consentito l'arresto obbligatorio in flagranza di reato (art. 380 c.p.p.); – è sempre consentito l'arresto facoltativo in flagranza di reato (art. 381, co. 2, c.p.p.); – non è mai consentito il fermo (art. 384 c.p.p.). Misure cautelari personali Per determinare la pena agli effetti dell'applicazione delle misure cautelari personali, ai sensi dell'art. 278 c.p.p., si tiene conto della circostanza aggravante di cui all'art. 61, comma 1, n. 5, c.p. Ciò comporta che soltanto alla truffa aggravata ex art. 61, co. 1, n. 5, c.p., punita con pena edittale massima pari ad anni cinque di reclusione, e non anche alla truffa non aggravata, punita con pena edittale massima pari ad anni tre di reclusione, sono applicabili misure cautelari coercitive (artt. 281-286-bis c.p.p.), poiché l'art. 280, comma 1, c.p.p. consente l'applicazione delle predette misure ai soli delitti per i quali la legge stabilisce la pena della reclusione superiore nel massimo a tre anni; alla truffa aggravata de qua è applicabile anche la misura della custodia cautelare in carcere, poiché l'art. 280, co. 2, c.p.p. consente l'applicazione della predetta misura ai soli delitti per i quali la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni. In ordine al reato di truffa non aggravata, per il quale è sempre consentito l'arresto facoltativo in flagranza di reato (art. 381, comma 2, lett. i), c.p.p.), l'art. 391, comma 5, c.p.p. consente l'applicazione di misure cautelari coercitive soltanto in caso di arresto in flagranza, stabilendo che, in tali casi, “l'applicazione della misura è disposta anche al di fuori dei limiti di pena previsti dagli articoli 274, comma 1, lett. c), e 280”. Competenza, forme di citazione a giudizio e composizione del tribunale Competenza In tutti i casi di truffa (commessa, o meno, on-line, e, quindi, aggravata, o meno, ex art. 61, comma 1, n. 5, c.p.), è competente per materia il tribunale (cfr. art. 6 c.p.p.), che decide in composizione monocratica (cfr. artt. 33-bis e 33-ter c.p.p.). Citazione a giudizio Per la truffa non aggravata si procede con citazione diretta a giudizio del P.M., ex art. 550, comma 1, c.p.p. Si procede con udienza preliminare, in luogo che con citazione diretta del P.M. a giudizio, soltanto se la circostanza aggravante di cui all'art. 61, co. 1, n. 5, c.p. sia configurabile (cfr. artt. 550, comma 1, c.p.p. e 640, comma 2, n. 2-bis, c.p.). Composizione del tribunale Della configurabilità o meno della circostanza aggravante della c.d. “minorata difesa”, di cui all'art. 61, comma 1, n. 5, c.p., con riguardo al reato di truffa, si deve tenere conto agli effetti previsti dall'art. 33, comma 2, c.p.p. (che detta regole riguardanti le attribuzioni del tribunale in composizione monocratica): il processo per il reato di truffa, aggravata o meno, si svolgerà sempre dinanzi al tribunale in composizione monocratica. Causa di non punibilità di cui all'art. 131-bis c.p. Per il reato di truffa è sempre applicabile la causa di non punibilità di cui all'art. 131-bis c.p., a meno che non ricorrano le condizioni di cui all'art. 131-bis, comma secondo, c.p. (cfr. amplius Caso “Le truffe on line”). 4. ConclusioniNei casi in cui il legislatore ha inteso punire gli elementi di falsità introdotti nel giudizio civile, lo ha fatto espressamente, attraverso l'espressa incriminazione della falsa testimonianza (art. 372 c.p.), della falsa perizia o interpretazione (art. 373 c.p.), della frode processuale (art. 374 c.p.); violerebbe, pertanto, il divieto di analogia in malam partem ritenere che integri la c.d. truffa processuale la condotta di chi, inducendo in errore il giudice in un processo civile o amministrativo mediante artifici o raggiri, ottenga una decisione a sé o ad altri favorevole, in difetto dell'elemento costitutivo dell'atto di disposizione patrimoniale, poiché l'emissione della decisione costituisce esercizio della funzione giurisdizionale. |