Truffa e frode informatica aggravata e confisca: i presupposti del combinato disposto degli artt. 640-quatere 322-ter c.p.1. Bussole di inquadramentoLa possibilità di confisca cd. “per equivalente” nelle più gravi fattispecie di truffa e frode informatica Il legislatore, con l'art. 2 comma 2 della l. 29 settembre 2000 n. 39 ha introdotto nel nostro codice l'art. 640-quater c.p. il quale prevede l'applicabilità della confisca di cui all'art. 322-ter c.p., nei casi di cui agli artt. 640 comma 2 n. 1, 640-bis e 640-ter comma 2 (con esclusione dell'aggravante del fatto commesso con abuso di operatore di sistema). Con tale norma, il legislatore ha voluto fornire uno strumento “pratico” in più nella lotta contro alcuni dei più gravi reati contro il patrimonio. E ciò in quanto, come è agevole rilevare, indipendentemente o meno dalla punizione del colpevole di determinate condotte, la tutela del patrimonio è frustrata dall'impossibilità di ottenere il ristoro dei danni subìti. Attraverso l'estensione alle predette fattispecie della particolare modalità di confisca prevista dall'art. 322-ter c.p., nei casi in cui non sia possibile procedere a confiscare i beni costituenti il prezzo o il profitto del reato, sarà possibile disporre l'ablazione di beni del valore corrispondente a tale prezzo o profitto. Tale tipologia di confisca, è contraddistinta da presupposti molto più ampi di quella “tradizionale” (cfr. art. 240 c.p.) che consente di sottrarre i profitti del reato solo se è stato accertato che il bene da confiscare sia collegato da un nesso causale con lo stesso e pertanto costituisca il diretto frutto del reato oggetto del procedimento penale. Tale strumento di natura sanzionatorio tradizionalmente concernente i delitti contro la pubblica amministrazione e che può essere applicato anche in forma “cautelare” attraverso lo strumento del sequestro preventivo (cfr. art. 321 c.p.p.) finalizzato alla confisca per equivalente, con l'introduzione dell'art. 640-quater c.p., è stato esteso anche ai reati di: – truffa aggravata dall'essere commessa a danno dello Stato, o di un altro ente pubblico, o dell'Unione Europea, o col pretesto di fare esonerare taluno dal servizio militare (cfr. art. 640 comma 2 n. 1 c.p.); – truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche (cfr. art. 640-bis c.p.); – frode informatica commessa nei casi previsti dall'art. 640 comma 2, n. 1 c.p. (cfr. art. 640-ter comma 2 c.p.). In quest'ultimo caso, il legislatore ha previsto esplicitamente all'art. 640-quater c.p. che non possa procedersi ai sensi dell'art. 322-ter c.p. mel caso in cui la condotta di frode informatica si posta in essere nella forma aggravata prevista dal comma 2, ma solo per abuso della qualifica di operatore di sistema. Nonostante tale esplicita esclusione, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che nel caso in cui la suddetta aggravante concorra con quella prevista dall'art. 640 comma 2 n. 1 c.p., sarà ovviamente possibile procedere a confisca per equivalente anche nei confronti dell'operatore di sistema (Cass. VI, n. 8755/2009). Tale estensione, come accennato pocanzi, riguarda alcune delle più gravi fattispecie contro il patrimonio che afferiscono al patrimonio dello Stato, e di altri enti pubblici e che verranno, di seguito, sinteticamente analizzate, prima di tratteggiare i profili della confisca per equivalente prevista dall'art. 322-ter c.p. Le fattispecie previste dall'art. 640-quater c.p.: l'ipotesi di truffa aggravata ai sensi dell'art. 640 comma 2 n. 1 c.p. e dell'art. 640-bisc.p. La truffa è senz'altro una delle ipotesi di reato contro il patrimonio più rilevanti e frequentemente integrate. Tale fattispecie, come è noto, ai fini dell'integrazione richiede che vi sia un'induzione in errore della persona offesa, realizzata dall'agente attraverso artifizi e raggiri. Tale attività di induzione in errore deve essere finalizzata ad ottenere un indebito vantaggio patrimoniale con altrui danno. Si tratta, pertanto, di condotte che devono avere un necessario contenuto patrimoniale essendo la norma in parola posta a tutela del patrimonio e della libera e corretta formazione del consenso nella persona offesa, intesa nella sua accezione “pubblicistica” del dovere id lealtà e di correttezza nella contrattazione. Ai fini della consumazione – è ovviamente ammesso il tentativo– è necessario che si verifichi l'evento previsto dalla norma e non basta la sola induzione in errore susseguente agli artifizi e/o ai raggiri, ma è richiesta anche una effettiva lesione del patrimonio altrui, conseguendo un ingiusto profitto. All'ipotesi base, punita da sei mesi a tre anni, si aggiungono diverse circostanze aggravanti previste dal comma 2 che importano un significativo aumento di pena (da uno a cinque anni). In particolare, l'art. 640 comma 2 n. 1 punisce con una pena maggiore le condotte che sono commesse a danno dello Stato, o di un altro ente pubblico, o dell'Unione Europea, o col pretesto di fare esonerare taluno dal servizio militare. In particolare, come chiarito dalla ormai unanime e consolidata giurisprudenza di legittimità, ai fini dell'applicazione della circostanza aggravante di cui all'art. 640, comma secondo, n. 1, cod. pen., anche gli enti a formale struttura privatistica devono qualificarsi come “pubblici”, in presenza dei seguenti requisiti: a) la personalità giuridica; b) l'istituzione dell'ente per soddisfare specificatamente esigenze di interesse generale aventi carattere non industriale o commerciale; c) il finanziamento della attività in modo maggioritario da parte dello Stato, degli enti pubblici territoriali o di altri organismi di diritto pubblico, oppure la sottoposizione della gestione al controllo di questi ultimi o la designazione da parte dello Stato, degli enti pubblici territoriali o di altri organismi di diritto pubblico, di più della metà dei membri dell'organo di amministrazione, di direzione o di vigilanza (Cass. II, n. 28085/2015). Il legislatore ha, quindi ritenuto di dover prevedere una pena più alta nel caso in cui la “vittima” della condotta induttiva sia costituita dallo Stato o altri enti pubblici. Una scelta ritenuta assolutamente legittima anche dalla Corte Cost., la quale ha dichiarato manifestamente infondata la questione di presunta violazione dell'art. 3 della Cost. in quanto si sono voluti maggiormente tutelare gli interessi generali di cui l'ente è portatore (Corte Cost. Ord. n. 135/1993). Allo stesso modo, anche la circostanza aggravante prevista dall'art. 640-bis c.p. è l'espressione di una scelta di punire in modo più severo (da due a sette anni) una particolare modalità di truffa. Si tratta di un reato comune, che può essere commesso da chiunque ponga in essere artifizi e raggiri volti a ottenere un indebito profitto derivante dall'ottenimento di un finanziamento, mutuo, contributo pubblico non dovuto. Si tratta di un reato posto a tutela del patrimonio pubblico e, contestualmente, del buon andamento della pubblica amministrazione e l'evento del danno patrimoniale si identifica non con il lucro cessante dell'ente, ma esclusivamente con il danno emergente sorto al momento della elargizione indebita. Il patrimonio in questo caso è “pubblico”, ovvero appartenente allo Stato, alle Comunità Europee, o ad altri enti pubblici, che non vengono ulteriormente specificati dalla norma e, pertanto, possono comprendere un gran numero di diverse entità. Al fine di discernere i soggetti passivi che possono essere destinatari della tutela accordata dalla norma, la Corte di legittimità ha infatti precisato che ai fini della sussistenza della circostanza aggravante di cui all'art. 640, comma secondo, n. 1 c.p. (che riguarda i medesimi soggetti passivi della norma in esame) può parlarsi di natura pubblicistica dell'ente concessionario se si accerta che l'affidamento da parte di un ente pubblico ad un soggetto esterno, da esso controllato, della gestione di un servizio pubblico, integra una relazione incentrata sull'inserimento del soggetto medesimo nell'organizzazione funzionale dell'ente pubblico, in modo che la società concessionaria si configuri come organo indiretto della p.a.. Ne consegue che, atteso il rapporto strumentale tra enti, non potrebbe parlarsi di danno all'ente partecipante quale mero effetto riflesso della partecipazione societaria (Cass. S.U., n. 6773/2014). La condotta sanzionata dalla norma è la medesima prevista dalla truffa, ma, ovviamente, si deve trattare di condotte fraudolente idonee ad indurre in errore l'ente accertatore al momento del controllo volto all'autorizzazione all'erogazione. Le fattispecie previste dall'art. 640-quater c.p.: l'ipotesi di frode informatica aggravata ai sensi del comma 2 dell'art. 640-ter c.p. La frode informatica aggravata rappresenta la terza fattispecie contemplata dall'art. 640-quater c.p. per la quale è possibile applicare la confisca cd. “per equivalente”. Costruita sulle “fondamenta” della truffa prevista dall'art. 640 c.p., ma costituente un'autonoma fattispecie di reato e non una sua circostanza aggravante (Cass. II, 17748/2011), la frode informatica è una fattispecie cd. “aperta”, come si intuisce dall'analisi del primo comma dell'art. 640-ter c.p. che delinea l'ipotesi “base” del reato. La frode informatica punisce la consapevole e volontaria (il reato è punito a titolo di dolo generico) alterazione del funzionamento di un sistema informatico o telematico, o l'intervento senza diritto con qualsiasi modalità su dati, informazioni o programmi contenuti in un sistema informatico o telematico o ad esso pertinenti, che procuri a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno. Pertanto è di tutta evidenza, da un lato, il contenuto prettamente patrimoniale della condotta – che deve tendere a realizzare un ingiusto profitto con altrui danno – dall'altro, le numerose possibilità di integrazione della fattispecie che può essere realizzata attraverso due categorie di azioni. La prima, è quella di “alterazione”, ossia di una vera e propria modifica di un programma, o di un database; la seconda è quello dell'intervento indebito, il quale ingloba ogni forma diversa dall'alterazione sul sistema. Per sistema informatico o telematico, in seguito alla convenzione di Budapest del 23 novembre 2001, si intende un complesso di dispositivi interconnessi o collegati con unità periferiche o dispositivi esterni (componenti hardware) mediante l'installazione di un software contenente le istruzioni e le procedure che consentono il funzionamento delle apparecchiature e l'esecuzione delle attività per le quali sono state programmate (Cass. VI, n. 28127/2012). Il profilo della “manipolazione”, ossia dell’intervento indebito è particolarmente complesso, avendo il legislatore scelto volontariamente di includere un numero particolarmente importante di condotte che possono integrare il reato. Come evidenziato dalla Corte di Cassazione, nella recente pronuncia Cass. II, n. 13713/2023, infatti, le modalità di “intervento indebito” possono essere molteplici, ritenendo integrato il delitto di cui all’art. 640-ter c.p. nella condotta di chi, servendosi di carte per l'erogazione di carburante in precedenza clonate, acceda ai sistemi informatici predisposti presso i relativi impianti, con successivo prelievo abusivo di carburante. Secondo la Corte, infatti, mentre nella condotta di “alterazione” comprende interventi in grado di modificare le modalità operative dei sistemi informatici o telematici, attraverso quella che è stata definita un'alterazione "estrinseca", che si attua mediante modifiche delle componenti hardware o software del sistema, quella di intervento indebita si realizza alterando gli esiti delle attività di elaborazione dei dati, attraverso disparate modalità di accesso e fruizione dei sistemi (e, dunque, rappresentando una classica ipotesi di condotta a forma libera) caratterizzate tutte dall'esser eseguite in difetto delle necessarie autorizzazioni per intervenire e interagire con il sistema. Tale fattispecie prevede, al secondo comma, una circostanza aggravante che comporta un considerevole aumento di pena che passa dalla forbice ricompresa tra sei mesi e tre anni e da €51 a €1032 (analogamente alla truffa) a quella che va da uno a cinque anni di reclusione e da €309 a €1549 per quanto attiene alla multa. Tale aggravante potrà essere integrata nel caso in cui le condotte di cui al primo comma siano poste in essere a danno dello Stato o di un altro ente pubblico o dell'Unione europea o col pretesto di far esonerare taluno dal servizio militare, o se i fatti sono commessi con abuso della qualità di operatore di sistema. Ovviamente, per la definizione di ente pubblico, ci si rifà a quanto osservato pocanzi nell'analisi di cui all'art. 640 comma 2 n. 1, mentre per quanto attiene all'”abuso della qualifica di operatore di sistema”, come precisato preliminarmente, quando tale condotta non concorre con le altri aggravanti previste dal n. 1, non è ammessa la possibilità di procedere a confisca per equivalente. La previsione dell'art. 322-ter c.p. Dopo aver esaminato brevemente le fattispecie contemplate dalla previsione di cui all'art. 640-quater c.p., si passa ora a tratteggiare la disciplina prevista per la particolare confisca “per equivalente” prevista dall'art. 322-ter c.p. Dall'esame della norma in parola si comprende che si tratta di una misura di natura sanzionatoria ed è assolutamente alternativa alla confisca diretta del profitto o del prezzo del reato, che consente l'ablazione in danno della parte ritenuta colpevole, di beni di cui lo stesso abbia la disponibilità, per un valore corrispondente al profitto o al prezzo del reato, nel caso in cui i beni che costituiscano il profitto o il prezzo non siano direttamente confiscabili, con la finalità, rilevata dalla Suprema Corte, di evitare che il responsabile possa in qualsiasi modo indebitamente avvantaggiarsi delle difficoltà che l'autorità dovesse incontrare nell'individuare beni che, costituendo il profitto o il prezzo del reato, sarebbero destinati alla confisca diretta (Cass. VI, n. 33675/2015). Ciò che è confermato dal rilievo che la misura non ricade direttamente sui beni costituenti il profitto o il prezzo del reato, ma ha per oggetto il loro controvalore. Caratteristica peculiare di questa forma di confisca è che, come ormai sancito da unanime orientamento di legittimità, non avendo natura di misura di sicurezza patrimoniale, ma sanzionatoria, non è necessaria, ai fini del sequestro preventivo funzionale alla confisca, la sussistenza di un rapporto di pertinenzialità tra la res e il reato (Cass. VI, n. 33765/2015). Pertanto, il sequestro finalizzato alla confisca per equivalente prescinde dalla prova del periculum oggettivo, inteso anche come incertezza sulla capacità economica della persona indagata di far fronte con il proprio patrimonio all'eventuale futura misura sanzionatoria, trattandosi, una volta accertata la confiscabilità dei beni sequestrati, di dato del tutto irrilevante ai fine della misura. Particolarmente rilevante, attesa proprio la sua natura di sequestro finalizzato alla confisca per “equivalente” riveste l'individuazione del “prezzo o profitto del reato”. Sul punto, la giurisprudenza è ormai concorde (Cass. II, n. 11808/2011) nel ritenere che per determinare il “profitto del reato” nel sequestro preventivo funzionale alla confisca c.d. per equivalente, assume rilievo la distinzione fra il “reato contratto”, cioè il caso in cui vi è una vera e propria immedesimazione del reato con il negozio giuridico, ed il “reato in contratto”, che si ha allorquando il comportamento penalmente rilevante non coincide con la stipulazione del contratto in sé, ma va ad incidere sostanzialmente sulla fase di formazione della volontà contrattuale o su quella di esecuzione del programma negoziale. Nel caso di “reato in contratto” il profitto tratto dall'agente non è interamente ricollegabile alla condotta penalmente sanzionata. Per cui, se il fatto penalmente rilevante ha inciso, ad esempio, sulla fase di individuazione dell'aggiudicatario di un pubblico appalto, ma poi l'appaltatore ha regolarmente adempiuto alle prestazioni nascenti dal contratto (in sé lecito), il profitto del reato non equivale all'intero prezzo dell'appalto, ma solo al vantaggio economico conseguito per il fatto di essersi reso aggiudicatario della gara pubblica. Tale vantaggio corrisponde, quindi, all'utile netto dell'attività d'impresa. Passando ad esaminare la misura sotto un profilo soggettivo, la natura sanzionatoria della confisca per equivalente fa sì che la stessa sia disposta in via principale nei confronti del soggetto che ha commesso il reato. Tuttavia, secondo quanto previsto dai giudici di legittimità, non deve sussistere un rapporto di necessaria pertinenzialità tra i beni oggetto della misura ablatoria ed il reato, essendo sufficiente che i beni di cui viene disposta la confisca, e preliminarmente il sequestro, corrispondano per valore al prezzo e al profitto del reato a nulla rilevando il fatto che tale profitto sia andato a beneficio di un soggetto diverso dall'autore dell'illecito. In tal senso, la Corte di Legittimità, nel contesto di un consolidato orientamento giurisprudenziale (Cass. III, n. 24816/2016) ha chiarito che quando il bene è formalmente intestato a terzi, pur se prossimi congiunti dell'indagato stesso, non opera alcuna presunzione di intestazione fittizia, ma incombe su pubblico ministero l'onere di dimostrare situazioni concrete da cui desumere l'esistenza di una discrasia tra intestazione formale e disponibilità effettiva del cespite, ossia la riconducibilità dello stesso alla disponibilità e alla sfera di interesse economico dell'indagato. Ulteriore elemento da prendere in considerazione, soprattutto in fattispecie come la corruzione, che prevedono un patto illecito concluso tra almeno due persone, è che l'importo oggetto del sequestro finalizzato alla confisca per equivalente, può essere disposto per l'intera cifra anche solo nei confronti di uno dei soggetti indagati. Su tale circostanza, la Corte di Cassazione si è pronunciata recentemente osservando che in tema di confisca per equivalente deve applicarsi il principio solidaristico che implica l'imputazione dell'intera azione e dell'effetto conseguente in capo a ciascun concorrente e pertanto, una volta perduta l'individualità storica del profitto illecito, la sua confisca e il sequestro preventivo ad essa finalizzato possono interessare indifferentemente ciascuno dei concorrenti anche per l'intera entità del profitto accertato, ma l'espropriazione non può essere duplicata o comunque eccedere nel quantum l'ammontare complessivo dello stesso; è dunque irrilevante quale sia la quota di profitto eventualmente incamerata dall'imputato o anche solo se egli abbia effettivamente ricavato una parte dello stesso a seguito della consumazione in concorso con altri (Cass. VI, n. 26621/2018). 2. Questioni e orientamenti giurisprudenziali
Domanda
Su quali beni può effettuarsi la confisca dei beni del preposto? La confisca è sempre possibile anche in caso di riparazione del danno?
Profili intertemporali Esaminate sinteticamente le fattispecie interessate dall'estensione dell'applicabilità dell'art. 640-quater c.p. e i principali caratteri della disciplina della confisca “per equivalente” dettata dall'art. 322-ter c.p., come osservato in sede di inquadramento, l'applicazione in concreto di tale norma, ha comportato il sorgere di alcune problematiche interpretative, in primis sotto un profilo intertemporale. In considerazione della natura della fattispecie, ci si è chiesti se le disposizioni contenute nell'art. 640-quater e nell'art. 322-ter c.p. (anche alla luce delle modifiche successive alla loro entrata in vigore) possano applicarsi anche a beni entrati nel patrimonio del soggetto precedentemente all'entrata in vigore della norma. Il principio generale tracciato dalla giurisprudenza di legittimità si sostanzia in una risposta negativa, sostenendo, anche in caso di reati a consumazione prolungata, che l'applicazione retroattiva non sarebbe possibile sia in considerazione del fatto che il comma 2 dell'art. 25 Cost. vieta l'applicazione retroattiva di una sanzione penale, come deve qualificarsi la confisca per equivalente, sia che la giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell'uomo ha ritenuto in contrasto con i principi sanciti dall'art. 7 della Convenzione l'applicazione retroattiva di una confisca di beni riconducibile proprio ad un'ipotesi di confisca per equivalente (Cass. III, n. 1569/2011). Si precisa, infatti, che in virtù della natura afflittiva di tale misura che la giurisprudenza ha ricondotto a vere e proprie sanzioni, poiché l'ablazione ha un carattere meramente compensativo a favore della collettività, imponendo all'imputato un sacrificio patrimoniale di valore corrispondente al vantaggio conseguito tramite il reato, non si può ritenere che detta misura svolga una funzione preventiva e pertanto non può essere consentita un'applicazione retroattiva. Al contrario, tale principio non è stato ritenuto applicabile alle successive modifiche che sono state introdotte con la l. n. 190/2012 e che, secondo la Corte di legittimità, non hanno carattere innovativo rispetto al combinato disposto dall'art. 640-quater con l'art. 322-ter c.p., in quanto, anche prima della novella, la misura ablatoria disposta per uno dei reati previsti dall'art. 640-quater poteva avere ad oggetto beni per un valore equivalente non solo al prezzo, ma anche al profitto del reato (Cass. II, n. 31299/2014). In applicazione del principio, la Cassazione ha ritenuto legittimamente adottato un provvedimento di sequestro, preventivo del profitto del reato di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche commesso in epoca antecedente all'entrata in vigore della L. n. 190/2012. In virtù di tale principio, si è ritenuto che il sequestro preventivo funzionale alla confisca disposta nelle forme per equivalente in relazione al reato di cui all'art. 640-bis c.p. può avere ad oggetto anche i beni acquisiti al patrimonio dell'indagato in epoca precedente all'entrata in vigore della l. 29 settembre 2000 n. 300, che introducendo l'art. 640-quater c.p., ha esteso la confisca prevista dall'art. 322-ter c.p. anche alle ipotesi più gravi di truffa (Cass. II, n. 17584/2013). La Corte ha precisato che la confisca per equivalente assolve ad una funzione ripristinatoria della situazione economica determinatasi a seguito del fatto illecito ed è finalizzata a sottrarre al patrimonio del reo beni per un valore corrispondente al profitto del reato, sicché è irrilevante l'epoca di acquisto dei beni oggetto della misura ablatoria. Riparazione del danno erariale e confisca per equivalente Ulteriore questione, sempre relativa alla natura “sanzionatoria” e “afflittiva” della confisca per equivalente applicata ai sensi dell'art. 640-quater c.p. nei casi previsti dall'art. 640-bis c.p., è quella riguardante la compatibilità della predetta misura in caso di restituzione integrale del danno erariale. E ciò in quanto, laddove la confisca va a colpire quello che costituisce “il prezzo” del reato, una sua applicazione contestuale o successiva alla riparazione del danno erariale, costituirebbe un'autonoma forma di sanzione ulteriore rispetto alla finalità ripristinatoria della stessa individuata dalla giurisprudenza di legittimità. E in tal senso, la Suprema Corte ha escluso tale possibilità, affermando che in tema di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, la, confisca del profitto non può essere disposta nel caso di restituzione integrale all'erario della somma anticipata dallo Stato, giacché tale comportamento elimina in radice l'oggetto della misura ablatoria che, se disposta, comporterebbe uria duplicazione sanzionatone contrastante i principi dettati dagli articoli 3,23 e 25 Cost. ai quali l'interpretazione dell'art. 640-quater c.p., deve conformarsi (Cass. IIII, n. 44446/2013). In applicazione di detto principio, la giurisprudenza ha altresì affermato che, in tema di responsabilità degli enti, l'utilità economica ricavata dalla persona giuridica a seguito della consumazione di una truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, non può essere confiscata come profitto del reato, nemmeno per equivalente, quando la stessa sia stata già restituita al soggetto danneggiato (Cass. II, n. 29512/2015). 3. Azioni processualiUlteriori attività difensive Per la fattispecie in esame si possono esperire le seguenti ulteriori attività difensive: Memoria difensiva al pubblico ministero (art. 367); Richiesta di presentazione spontanea per rilasciare dichiarazioni (art. 374); Richiesta di giudizio abbreviato (art. 438, comma 1); Dichiarazione di nomina del consulente tecnico (art. 327-bis c.p.p.); Richiesta di perizia (art. 220) Procedibilità Tutti i reati menzionati dall'art. 640-quater c.p. (cfr. artt. 640 comma 2 n. 1, 640-bis e 640-ter, comma 2, c.p.) sono perseguibili d'ufficio e il loro regime di procedibilità non è mutato in seguito alla cd. “Riforma Cartabia” dettata dal d.lgs. n. 150/2022, entrato in vigore, in seguito al rinvio del d.l. n. 162/2022, con la l. n. 199/2022 del 30.12.2022. Tale riforma ha modificato, in generale, il regime di procedibilità delle fattispecie base previste dagli artt. 640 e 640-ter c.p. In particolare, oggi si prevede che: – il delitto di cui all'art. 640 c.p. sia perseguibile a querela salvo che siano contestate le aggravanti previste dall'art. 640, comma secondo, c.p. (tra le quali rientra anche quelle di cui all'art. 61, comma primo, n. 5, c.p.). Al contrario, in seguito all'approvazione della riforma, si procederà sempre a querela di parte anche in caso di danno di particolare gravità ex art. 640 n. 7 c.p.; – il delitto di cui all'art. 640-ter sia procedibile a querela, salvo che ricorrano le aggravanti previste dai commi secondo e terzo, o, in seguito all'approvazione del d.lgs n. 150/2022 (decreto attuativo della cd. Riforma Cartabia), qualora ricorra la circostanza prevista dall'art. 61, primo comma, numero 5, limitatamente all'aver approfittato di circostanze di persona, anche in riferimento all'età. Con la riforma, invece, è stata esclusa la procedibilità d'ufficio nel caso di danno di particolare rilevanza ex art. 61 comma 1 n. 7 c.p., una soluzione coerente con l'impianto della riforma. In virtù della disposizione dell'art. 649-bis c.p., entrambi i delitti sono altresì perseguibili d'ufficio quando ricorrono circostanze aggravanti ad effetto speciale, ma in seguito all'entrata in vigore della più volte menzionata “Riforma Cartabia”, tra tali circostanze non figura più la recidiva. Quanto alle modifiche al regime di procedibilità, è stata introdotta una riforma disciplina transitoria modificata, in sede di conversione, dalla l. n. 199 del 2022. In particolare, l'art. 85 prevede: – l'immediata applicazione delle nuove norme per quanto attiene ai reati commessi a far data dal 30.12.2022; – che il soggetto legittimato a proporre querela che abbia avuto in precedenza notizia “del fatto costituente reato”, possa sporgere querela nel termine ordinario di tre mesi dall'entrata in vigore della novella, e quindi dal 30.12.2022. In considerazione di tali disposizioni e dell'abrogazione, in sede di conversione, di alcune delle disposizioni previste dall'originaria disciplina transitoria dettata dal d.lgs. n. 150/2022, si ricava che: – se il soggetto legittimato a proporre querela non ha avuto in precedenza notizia “del fatto costituente reato”, il termine per sporgere querela segue le regole ordinarie e si computa da momento in cui il soggetto ha avuto conoscenza del fatto di reato; – nei casi in cui è già pendente procedimento penale, avendo il soggetto legittimato conoscenza del fatto costituente reato, in forza della modifica al regime di procedibilità, questi dovrrà presentare querela entro tre mesi dal 30.12.2022. Si precisa che, in virtà delle ultime modifiche alla disciplina transitoria disposte in sede di conversione, nessun onere di informare la p.o. di tale facoltà incombe sul giudice procedente, presumendosi, pertanto, che la p.o. debba avere conoscenza della novella. Infine, il summenzionato art. 85 prevede che, in considerazione della modifica del regime di procedibilità del reato, in caso di applicazione di misure cautelari personali in corso di esecuzione, queste perdano di efficacia se, entro venti giorni dalla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 150 del 2022 (e quindi entro il 19/01/2023) l'autorità giudiziaria non acquisisca la querela. A tal fine è previsto che la predetta Autorità effettui ogni utile ricerca della p.o., anche avvalendosi della polizia giudiziaria. Durante la pendenza del predetto termine di venti giorni, i termini di cui all'art. 303 c.p.p. sono sospesi. Durante la pendenza del termine per proporre querela, si applica quanto disposto dall'art. 346 c.p.p. in tema di atti compiuti in mancanza di condizioni di procedibilità. Improcedibilità delle impugnazioni (e prescrizione del reato) Per le condotte punite dall'art. 640 comma 2 n. 1 c.p. e dall'art. 640-ter, comma 2 il termine-base di prescrizione (cfr. art. 157 c.p.) è pari a sei anni, essendo la pena massima prevista per detti reati pari a cinque anni di reclusione. Per quanto attiene al delitto di cui all'art. 640-bis c.p., il termine-base di prescrizione è pari ad anni sette (cfr. art. 157 c.p.) essendo la pena massima prevista, oggi, pari ad anni sette. In tutti i casi, pur trattandosi di ipotesi di reato aggravate da circostanze speciali, comportando un aumento della pena superiore ad un terzo, l'aumento ulteriore deve essere considerato in virtù di quanto previsto dall'art. 157 comma 2 c.p. Il termine prescrizionale, in presenza di eventuali atti interruttivi, può essere aumentato fino ad un massimo di otto anni e nove mesi per l'ipotesi di cui all'art. 640-bis c.p. e a sette anni e sei mesi per quelle di cui agli artt. 640 comma 1 n. 2 e 640-ter comma 2 c.p. (cfr. artt. 160 e 161 c.p.), al netto dei periodi di sospensione (cfr. artt. 159 e 161 c.p.). A partire dal 1° gennaio 2020 (cfr. art. 2, comma 3, l. n. 134/2021), per tutte le ipotesi previste dalla norma in parola, costituiscono causa di improcedibilità dell'azione penale ex art. 344-bis c.p.p., la mancata definizione: – del giudizio di appello entro il termine di due anni; – del giudizio di cassazione entro il termine di un anno. Tali termini possono essere ulteriormente estesi quando il giudizio d'impugnazione risulta particolarmente complesso in ragione del numero delle parti o del numero o della complessità delle questioni di fatto o di diritto da trattare. In ogni caso, la proroga potrà essere disposta per un periodo non superiore ad un anno nel giudizio di appello ed a sei mesi nel giudizio di cassazione, salva la sospensione prevista dall'art. 344-bis, comma 6, c.p.p. e quanto previsto dalla normativa transitoria (cfr. art. 2, commi 4 e 5, l. n. 134/2021). Misure precautelari e cautelari Arresto e fermo Con riguardo a tutte le fattispecie contemplate dall'art. 640-quater c.p.: – è consentito esclusivamente l'arresto facoltativo in flagranza di reato (art. 381, co. 2, c.p.p.). Per quanto attiene al fermo di indiziato di delitto (art. 384 c.p.p.), è consentito solo nel caso di cui all'art. 640-bis c.p. Misure cautelari personali Per tutte le ipotesi di reato contemplate dall'art. 640-quater c.p., in considerazione del limite edittale pari a sette (per i casi puniti dall'art. 640-bis c.p.) e a cinque (per le ipotesi disciplinate dagli artt. 640 comma 2 n. 1 e 640-ter comma 2 c.p.) anni di reclusione, sono applicabili misure cautelari coercitive (artt. 281-286-bis c.p.p.), consentendo l'art. 280, comma 1, c.p.p. di applicare dette misure ai soli delitti per i quali la legge stabilisce la pena della reclusione superiore nel massimo a tre anni; sarà altresì possibile applicare anche la custodia cautelare in carcere essendo previsto dall'art. 280, comma 2, c.p.p., l'applicazione di detta misura in caso di delitti per i quali la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni. Competenza, forme di citazione a giudizio e composizione del tribunale Competenza Per quanto attiene ai reati di cui agli att. 640 comma 2 n. 1, 640-bis e 640-ter comma 2 c.p., è competente per materia il tribunale (cfr. art. 6 c.p.p.), che decide in composizione monocratica (cfr. artt. 33-bis e 33-ter c.p.p.). Udienza preliminare Essendo la pena massima prevista pari a sette (per i casi puniti dall'art. 640-bis c.p.) e a cinque (per le ipotesi disciplinate dagli artt. 640 comma 2 n. 1 e 640-ter comma 2 c.p.) anni di reclusione, si procede con udienza preliminare. Composizione del tribunale Per tutti i reati contemplati dall'art. 640-quater c.p., il processo si svolgerà sempre dinanzi al tribunale in composizione monocratica. 4. ConclusioniLe misure ablative come la confisca appena esaminata, rappresentano tra gli strumenti più utilizzati e che si rivelano essere più efficaci nel contrasto a fenomeni particolarmente radicati nel tessuto sociale e dagli effetti deflagranti. L'esame della giurisprudenza di legittimità consente di risolvere i problemi intertemporali che abbiamo appena esaminato, così come rivela un approccio comunque sostanziale nella scelta di non punire ulteriomente chi, volontariamente, ha deciso di riparare il danno erariale. |