Il locatore non ha diritto di chiedere al conduttore una somma per il godimento di una porzione non compresa nel contratto

23 Febbraio 2023

Il contratto di locazione contiene l'indicazione dei locali offerti in godimento al conduttore e che legittimano il locatore alla richiesta di pagamento del canone concordato. Ogni altra richiesta di pagamento del locatore afferente ad ulteriori porzioni dell'immobile locato, e non comprese nel contratto scritto, non possono giustificare nuove richieste di pagamento. All'esito di un'attenta disamina, la pronuncia del Tribunale scaligero in commento chiarisce i contenuti ed i limiti del contratto di locazione e delle obbligazioni sinallagmatiche da esso scaturenti.
Massima

In caso di godimento di un'ulteriore porzione dell'immobile locato ad uso diverso dall'abitativo, che non risulti in alcun contratto scritto e registrato, pur dovendosi ritenere - in forza di presunzioni gravi precise e concordanti - l'esistenza di un accordo al riguardo, la conseguenza è che il relativo accordo è da ritenersi nullo, in quanto in violazione della norma imperativa dettata dall'art. 1, comma 346, della l. n. 311/2004. Nonostante l'effettivo utilizzo del bene da parte del conduttore, non è possibile tuttavia accordare, con riferimento a tale voce, alla parte locatrice il diritto a trattenere tale somma.

Il caso

Con atto di intimazione di sfratto avente ad oggetto la domanda di risoluzione del contratto di locazione ad uso diverso dall'abitativo, relativo a due celle frigorifero agroalimentari site nell'immobile ad uso deposito di prodotti alimentari, parte attrice adduceva l'inadempimento della parte convenuta all'obbligo di pagamento dei canoni e oneri accessori (in particolare le spese di energia elettrica) con conseguente condanna al rilascio dell'immobile locato ed al pagamento dei canoni e oneri maturati e maturandi sino al rilascio.

Parte intimata si costituiva nella fase sommaria, contestando nel merito gli importi dedotti a fondamento della morosità relativi ai canoni, alle spese per consumi non documentate ed al corrispettivo di concessione in uso non concordato di attrezzature e di un magazzino; in via riconvenzionale, chiedeva la condanna di parte attrice al pagamento dell'indebito corrisposto per tali voci.

Con propria memoria integrativa, poi, parte attrice introduceva l'ulteriore domanda di pagamento anche degli importi dovuti per il corrispettivo della concessione in uso della porzione di magazzino non dedotta con l'atto di intimazione, ovvero di un ulteriore spazio adibito ad ufficio mediante allocazione di un container e movimentazione merci.

Emessa l'ordinanza provvisoria di rilascio dell'immobile locato e disposto il mutamento del rito, esperita infruttuosamente la mediazione delegata e il tentativo di conciliazione giudiziale ex art.185-bis c.p.c., la causa veniva istruita mediante produzione documentale, escussione dei testi di parte attrice e interpello del legale rappresentante pro tempore della convenuta.

Il Tribunale, accertata e dichiarata la risoluzione del contratto stipulato inter partes per inadempimento della convenuta, la condannava al pagamento dei canoni di locazione sino al rilascio e delle spese per consumi di energia rimasti insoluti; mentre, per quanto concerne gli importi addebitati a titolo di godimento dell'ulteriore porzione di magazzino non indicata in contratto, accoglieva parzialmente la domanda riconvenzionale di parte convenuta, condannando la proprietà alla restituzione delle somme versate, non dovute in forza di un contratto nullo.

La questione

Si trattava di verificare, in primo luogo, i presupposti che legittimavano la risoluzione del contratto di locazione per grave inadempimento del conduttore e, in seconda battuta, se fosse fondata la domanda riconvenzionale di parte convenutadi ottenere la restituzione degli importi corrisposti a titolo di oneri di locazione relativi ad uno spazio all'interno dell'immobile locato nei confronti della proprietà, non esistendo alcun contratto scritto, né tantomeno registrato inerente il godimento di tale ulteriore porzione adibita ad ufficio.

Le soluzioni giuridiche

Il Tribunale di Verona si sofferma, in primis, sulla richiesta avanzate da parte attrice ed afferente alla domanda di risoluzione del contrato per inadempimento della parte convenuta, ritenuta fondata.

Essa inerisce al mancato pagamento del canone, delle somme dovute a titolo di spese accessorie indicate in atto di intimazione e di quelle successivamente maturate sino al rilascio effettivo dell'immobile, tutte circostanze che risultano pacifiche e non contestate.

Inoltre, il giudice scaligero evidenzia nel contratto stipulato inter partes la sussistenza di una clausola solve et repete e di una clausola risolutiva espressa.

Quanto alla prima, essa ha natura sostanziale ed è da interpretare come rinuncia convenzionale all'exceptio inadimpleti contractus, ovvero alla possibilità, per ciascuno dei contraenti, di rifiutarsi di adempiere la propria obbligazione, se l'altro non adempie o non offre di adempiere contemporaneamente la propria; ragione per cui la proposizione dell'eccezione o della domanda riconvenzionale proposta dal conduttore convenuto è da ritenersi non valutabile, stante l'inadempimento alla obbligazione di pagamento, anche in caso che questi abbia adempiuto successivamente o all'inizio del giudizio.

Quanto alla seconda, pur non avendo parte attrice manifestato l'intenzione di valersene in giudizio, tuttavia la clausola risolutiva espressa può fungere da parametro per la rilevanza della gravità dell'inadempimento e dell'interesse delle parti, così come l'inadempimento del conduttore protrattosi anche nel corso del giudizio.

Il Tribunale prosegue, poi, nel considerare dovute anche le spese accessorie, sia in termini contrattuali che normativi, in quanto i consumi relativi alla energia elettrica venivano determinati in base ad un meccanismo convenuto fra le parti e computato in forza di una procedura di rilevazione coerente e condivisa fra di esse.

La contestazione di parte convenuta - a distanza di due anni e dopo la regolare corresponsione degli importi precedentemente maturati - determina l'infondatezza della richiesta di accertamento dell'indebito.

Infine, per quanto concerne le somme addebitate a titolo di godimento della porzione di magazzino, il Tribunale rileva che, pur esistendo un accordo tra le parti al riguardo, esso non risulta in un contratto scritto e registrato, con la conseguenza che detto accordo è da ritenersi nullo.

Pertanto, parte attrice non ha il diritto di trattenere la somma ricevuta non avendo, peraltro, formulato una domanda di riconoscimento di una indennità di occupazione o altro a tale titolo.

Conseguentemente, deve essere meritevole di parziale accoglimento la domanda riconvenzionale di parte conduttrice e la richiesta di operare la compensazione dell'importo indebitamente corrisposto sul restante dovuto.

In considerazione dell'intervenuto rilascio dell'immobile, sulla domanda di condanna al rilascio deve ritenersi cessata la materia del contendere, mentre il prevalente accoglimento delle domande di parte attrice e il parziale accoglimento della domanda riconvenzionale di parte convenuta, determina i presupposti per la condanna di quest'ultima al pagamento delle spese di lite per la quota parte di 2/3.

Osservazioni

La sentenza in esame offre una riflessione sui presupposti della risoluzione del contratto di locazione per inadempimento del conduttore.

Il giudice, infatti, è chiamato a valutare la gravità dell'inadempimento non solo avendo a riguardo al mancato assolvimento delle obbligazioni di pagamento del canone e delle somme dovute a titolo di spese accessorie, circostanze peraltro pacifiche, documentate, non contestate, ma anche in base al contenuto dello stesso contratto di locazione che, nel caso di specie, contiene sia una clausola solve et repete sia una clausola risolutiva espressa.

Vediamole nel dettaglio.

Nell'àmbito dei contratti a prestazioni corrispettive, il principio della corrispettività costituisce la regola generale: una parte può rifiutare la propria prestazione se l'altra parte non adempie la sua (il principio dell'inadimplenti non est adimplendum ex art. 1460 c.c.).

Questo principio viene stabilito certamente nell'interesse delle parti che possono, perciò, anche rinunciarvi e non necessariamente far valere detto principio in caso di un inadempimento avverso.

Invece, una delle parti può anche salvaguardare i propri interessi inserendo nel contratto una particolare protezione ai fini dell'adempimento della prestazione ex adverso dedotta, mediante la clausola solve et repetein deroga al principio di corrispettività.

Quindi, approvando tale clausola, l'obbligato rinuncia al diritto di opporre eccezioni al fine di evitare o ritardare la prestazione da lui dovuta, salva la facoltà di proporle solo dopo aver eseguito la propria prestazione e di ripetere eventualmente quanto risultasse non dovuto.

Detta clausola viene definita, giustappunto, dal codice civile all'art. 1462 come una “clausola limitativa della proponibilità di eccezioni” ed è regolata nella sezione dedicata alla risoluzione per inadempimento, come l'exceptio inadimpleti contractus.

Il Tribunale veronese precisa chiaramente in motivazione che la clausola in oggetto deve essere intesa proprio come una rinuncia concordata fra le parti all'exceptio inadimpleti contractus legittimando la parte adempiente ad ottenere una pronuncia di condanna - senza esame (e con riserva) delle eccezioni del convenuto - in tutti i casi in cui l'esistenza e persistenza del credito sia pacifica e il convenuto adduca il mancato o inesatto adempimento dell'altra parte.

Nella giurisprudenza della Corte di Cassazione, viene apoditticamente affermato che: “La disciplina del solve et repete (art. 1462 c.c.), se ha indubbie conseguenze nel campo del processo, ha, però, un contenuto fondamentale di diritto sostanziale, come è reso manifesto non solo dalla collocazione della norma nel codice civile, ma soprattutto dagli interessi che essa tutela (assicurare al creditore il soddisfacimento della sua pretesa, senza il ritardo imposto dall'esame delle eccezioni del debitore). Il preventivo adempimento non può essere perciò considerato come un presupposto processuale, la cui mancanza impedisca l'instaurazione di un regolare rapporto processuale e non possa essere rimossa nel corso del processo stesso. La clausola limitativa di cui all'art. 1462 c.c., pertanto, è destinata ad operare solo sul piano dell'adempimento, cosicché non può rinvenirsi alcun ostacolo all'esame dell'eccezione o della domanda riconvenzionale, quando, sia pure in corso di giudizio (nella specie nel corso dell'opposizione a decreto ingiuntivo proposta dal debitore), sia avvenuto il soddisfacimento della prestazione” (Cass. civ., sez. I, 27 febbraio 1995, n. 2227)

Secondariamente, il Tribunale scaligero menziona la presenza nel contratto di una clausola risolutiva espressa, in forza della quale le parti possono convenire che un certo inadempimento possa assurgere a motivo risolutivo del contratto, sempreché la parte interessata dichiari che intende avvalersi di essa.

Precisamente, l'art. 1456 c.c. dispone che: “I contraenti possono convenire espressamente che il contratto si risolva nel caso che una determinata obbligazione non sia adempiuta secondo le modalità stabilite. In questo caso, la risoluzione si verifica di diritto quando la parte interessata dichiara all'altra che intende avvalersi della clausola risolutiva”; in termini generali, quindi, la clausola risolutiva espressa è un patto accessorio al contratto principale mediante il quale le parti assumono un determinato inadempimento a condizione risolutiva del contratto.

Per la configurabilità della clausola risolutiva espressa, le parti devono avere previsto la risoluzione del rapporto per effetto dell'inadempimento di uno o più obbligazioni determinate, costituendo invece una clausola di stile quella che si richiama genericamente all'inadempimento di tutte le obbligazioni contenute nel contratto (Cass. civ., sez. III, 29 settembre 2015, n. 19230; Cass. civ., sez. III, 6 aprile 2001, n. 5147).

Orbene, il giudice di prime cure ha puntualizzato, non senza prestare il fianco a critica, che nonostante la parte attrice non abbia manifestato l'intenzione di valersi proprio della clausola risolutiva espressa per la richiesta risoluzione del contratto, essa può in ogni caso assurgere a parametro per valutare la gravità dell'inadempimento della parte, in questo caso conduttrice, interpretando l'interesse manifestato dalle parti nel contenuto del contratto.

Il Tribunale prosegue così nel ribadire due fondamentali principi di diritto.

Il primo sancisce che la rinuncia ad avvalersi della clausola risolutiva espressa non deve essere una ragione impeditiva al riconoscimento della gravità del mancato adempimento dell'obbligazione richiesta, stante l'importanza originaria che le parti intendono conferire al contenuto di quella particolare obbligazione, inserendola per l'appunto nella clausola medesima (v., ex multis, Cass. civ., sez. III, 18 settembre 2015, n.18320).

Sempre a detta della Suprema Corte, in una pronuncia più recente anche se afferente ad una situazione in parte differente, è stato affermato che: “nei contratti con prestazioni corrispettive, laddove ciascuna parte è tenuta alla sua prestazione solo in quanto l'altra adempia contemporaneamente la propria, tranne che, o per pattuizione espressa o per la natura del contratto, non sussiste l'esigenza di un diverso regolamento temporale per l'adempimento delle due prestazioni, in caso di denuncia di inadempienze reciproche (come avvenuto nella specie), è necessario comparare il comportamento di ambo le parti per stabilire quale di esse, con riferimento ai rispettivi interessi ed alla oggettiva entità degli inadempimenti, si sia resa responsabile delle trasgressioni maggiormente rilevanti ed abbia causato il comportamento della controparte, nonchè della conseguente alterazione del sinallagma. Tale accertamento, fondato sulla interpretazione del testo negoziale e sulla valutazione dei fatti e delle prove, rientra nei poteri del giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se non nei limiti dell'art. 360, comma 1, n. 5), c.p.c.” (Cass. civ., sez. II, 13 settembre 2018, n. 22372; conformi Cass. civ., sez. II, 30 maggio 2017, n. 13627; Cass. Civ., sez. III, 1° giugno 2004, n. 10477).

Il secondo principio di diritto consolidato, invece, afferisce ai contratti di durata per i quali, per la valutazione dell'adempimento da parte del giudicante e in presenza di una domanda di parte sul punto (ad esempio, il pagamento dei canoni a scadere sino al rilascio dell'immobile locato), ai fini della pronuncia risolutiva deve ritenersi rilevante anche l'inadempimento protrattosi nel corso del giudizio (Cass. civ., sez. II, 26 ottobre 2012, n. 18500).

Quindi, con una coerente ed analitica esposizione delle argomentazioni rilevanti per individuare e includere le ragioni, in fatto e in diritto, della decisione oggi in esame, il Tribunale di Verona ha così operato una valutazione comparativa delle reciproche inadempienze, in relazione alla successione logica oltre che cronologica degli accadimenti.

Da ultimo, appurato che la parte conduttrice convenuta si è resa inadempiente in termini contrattuali, per quanto concerne gli importi addebitati a titolo di godimento di una porzione dell'immobile locato, in motivazione si legge che, pur essendo frutto di una intesa fra le parti, non essendo detto accordo trasfuso in un contratto scritto e registrato, esso è da intendersi nullo in violazione della norma imperativa prevista dall'art. 1, comma 346, della l. n. 311/2004 secondo il quale: “I contratti di locazione, o che comunque costituiscono diritti relativi di godimento, di unità immobiliari ovvero di loro porzioni, comunque stipulati, sono nulli se, ricorrendone i presupposti non sono registrati”, con divieto della parte locatrice di trattenere le somme percepite a tale titolo per due ragioni fondamentali.

La prima è l'inapplicabilità dell'art. 2034 c.c. in tema di obbligazione naturali in quanto, come affermato dalla giurisprudenza di legittimità: “il pagamento effettuato in esecuzione di una pattuizione contrattuale successivamente dichiarata nulla è ripetibile, perché non può qualificarsi come adempimento di un'obbligazione naturale in quanto non è possibile rinvenire il presupposto della spontaneità né quello dell'esecuzione di un dovere morale o sociale” (Cass. civ., sez. I, 27 giugno 2017, n. 15954); la seconda, più pragmatica, è che la parte locatrice non ha comunque proposto nel giudizio la relativa domanda né una richiesta di pagamento di una indennità di occupazione o altra diversa ma comunque riguardante l'utilizzo del cespite.

Queste ultime considerazioni hanno determinato il Tribunale ad accogliere, sia pure parzialmente, la domanda riconvenzionale formulata dalla parte convenuta, condannando parte attrice alla restituzione delle somme versate e non dovute.

Riferimenti

Bianca, Diritto civile. La responsabilità, Milano, 2012, 340;

Bravo, La clausola solve et repete tra autonomina privata e giustizia contrattuale, Padova, 2021, 120;

Masoni, L'estinzione del rapporto di locazione, Milano, 2011;

Roma, Locazioni ad uso non abitativo: morosità e valutazione della gravità dell'inerente adempimento, in Rass. loc. e cond., 2000, 576;

Scarpa, Lo scioglimento della locazione per effetto di clausola risolutiva espressa nell'ambito del procedimento per convalida di sfratto, in Giur. merito, 2007, 977.

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