L'educazione religiosa dei figli
27 Febbraio 2023
Quadro normativo
I genitori sono chiamati molteplici volte ad assumere decisioni relative ai loro figli, decisioni che possono essere semplici e quotidiane ma possono essere anche di estrema rilevanza.
In proposito la legge stabilisce che le scelte di maggior interesse per i figli, come quelle in materia di salute, istruzione, educazione, residenza abituale, devono essere assunte di comune accordo tra i genitori i quali devono tener conto delle capacità, dell'inclinazione naturale e dell'aspirazione dei minori, sia nel caso di affidamento condiviso e quindi quando entrambi esercitano la responsabilità genitoriale, sia nel caso di affidamento esclusivo (artt. 337-ter, 337-quater c.c.).
In nome del principio di bigenitorialità, che trae le sue origini dalla Convenzione di New York sui diritti del fanciullo e dalla L. 54/2006 in materia di affido condiviso, è necessario che i genitori siano coinvolti in maniera paritaria nella cura dei figli e nel progetto educativo, di crescita e di assistenza della prole, in modo da creare un rapporto equilibrato, una stabile consuetudine di vita e salde relazioni affettive con entrambi (Cass. 30191/2019). Secondo costante giurisprudenza infatti l'essenza dell'esercizio congiunto della responsabilità genitoriale consiste in una totale, paritetica corresponsabilità e compartecipazione alla cura, all'educazione ed all'istruzione del minore (Trib. Min Bologna, 6 febbraio 2007). Quando, dunque, i genitori sono in disaccordo su questioni di particolare importanza, è possibile ricorrere in giudizio.
In particolare, se la controversia sorge tra coniugi non separati o tra i quali non sia in corso procedimento di separazione l'art. 316 c.c. prevede la possibilità per ciascun genitore di rivolgersi al giudice senza formalità indicando i provvedimenti che ritiene più idonei. Nel caso in cui invece i genitori siano separati la norma applicabile è l'art. 337-ter c.c.che prevede che in caso di disaccordo sulle decisioni di maggiore interesse per i figli la decisione venga rimessa al giudice.
Quando poi vi è già un provvedimento sull'affidamento o sulla responsabilità genitoriale e sorgono delle controversie tra i genitori in ordine all'esercizio della responsabilità genitoriale o alle modalità dell'affidamento le parti possono rivolgersi al giudice per risolvere le difficoltà e i contrasti esistenti ai sensi dell'art. 709 ter c.p.c.
Molteplici sono le problematiche che vengono in tal modo portate all'attenzione della giurisprudenza, dalle prioritarie questioni di salute relative ad esempio alla scelta di terapie da seguire, vaccini cui sottoporre i figli, regimi alimentari più o meno impegnativi, a questioni relative alla scelta della residenza o del tipo di studi da seguire. In quest'ambito frequenti sono le discussioni tra i genitori in merito alla scelta dell'educazione religiosa da impartire ai figli. Da una parte infatti l'ordinamento garantisce una generale libertà, tutelata a livello costituzionale di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata (artt. 2 e 19 Cost.).
D'altro canto fino a che il minore è piccolo va accompagnato in questa scelta da madre e padre, i quali potrebbero peraltro non essere d'accordo tra loro. L'esponenziale aumento di coppie formate da persone provenienti da Paesi o da contesti culturali diversi comporta infatti che sia sempre più frequente una diversità di scelte religiose che si riversa sull'educazione stessa dei figli.
In questo contesto nei casi che arrivano in giudizio la giurisprudenza italiana sottolinea come il principio che deve essere seguito dai genitori o dal giudice nell'adozione nelle scelte relative al minore sia quello del suo superiore interesse. Si tratta, è stato più volte sottolineato, di un criterio guida da utilizzare nell'adozione delle scelte alle quali sono chiamati i genitori o, in determinati casi, il giudice, criterio peraltro lasciato alla discrezionalità dell'interprete. La posizione della giurisprudenza
In questa linea interpretativa più volte i giudici, hanno sottolineato come il perseguimento dell'interesse del minore può comportare l'adozione di provvedimenti contenitivi e restrittivi di diritti individuali di libertà dei genitori, purché intervengano all'esito di un accertamento in concreto, basato sull'osservazione e sull'ascolto del minore (Cass. 21916/2019).
E' stata così stabilita la legittimità del divieto di portare i figli minori, cresciuti in base ai dettami cattolici, agli incontri di gruppi religiosi ove la loro esteriorizzazione determini conseguenze pregiudizievoli per il figlio che vi presenzi, compromettendone la salute psico-fisica o lo sviluppo (Cass. 12954/2018). In tal senso la Cassazione ha specificato che la responsabilità genitoriale deve “costituire espressione di conveniente protezione del preminente diritto dei figli alla salute e ad una crescita serena ed equilibrata” e può assumere anche profili contenitivi dei diritti e delle libertà fondamentali individuali, ove le relative esteriorizzazioni determinino conseguenze pregiudizievoli per la prole (Cass. 9546/2012).
Ciò peraltro, si precisa, non costituisce una compressione della libertà di culto per l'adulto. Si sottolinea infatti come la libertà di professare il proprio credo religioso sia diritto autonomo, rispetto al diritto del minore ad una serena crescita. Tale divieto infatti, si sottolinea, non è in contrasto con il diritto del genitore di professare la propria fede religiosa (ex art. 19 Cost.) se e in quanto adottato a tutela di minori i quali, cresciuti in un contesto religioso differente, vengano giudicati incapaci, in ragione dell'età, di praticare una scelta confessionale veramente autonoma e, conseguentemente, di elaborare con la necessaria maturità uno stravolgimento di credo religioso (Cass. 24683/2013).
Si registrano peraltro provvedimenti segno opposto, fondati peraltro comunque sul principio dell'interesse del minore. In particolare la Cassazione ha cassato la decisione di merito che aveva inibito alla madre, d'impartire al figlio insegnamenti contrastanti con quelli della religione cattolica affermando che non si può impedire a un genitore di portare il figlio alle celebrazioni previste dal proprio credo, se tale partecipazione non ha ripercussioni negative sul percorso di crescita del minore (Cass. 14728/2016). Si è in questo senso anche sottolineato che ciascun genitore deve rispettare il credo dell'altro, consentendo e anzi permettendo al minore di partecipare ai riti, alle tradizioni e alle attività di entrambi i culti (Trib. Pesaro 7 luglio 2020).
Si sottolinea così come la possibilità per il giudice di adottare provvedimenti restrittivi in caso di conflitto tra i genitori sull'educazione da impartire al figlio non può fondarsi solo sull'astratta valutazione delle religioni cui aderiscono i genitori, né può limitarsi a dare rilievo all'iniziale trasmissione al figlio, da parte di entrambi i genitori, della fede cattolica come religione comune della famiglia.
Come precisa la dottrina, solo dopo aver accertato un “concreto pregiudizio” del diritto dei minori a una crescita sana e equilibrata è possibile adottare statuizioni e prescrizioni che comprimano la libertà educativa di uno dei genitori e che giungano anche a inibire l'insegnamento della dottrina religiosa normalmente professata da uno di essi (Fiorini M. Non solo audizione anche altri elementi servono alla decisione, Guida al Diritto, n. 40/2019).
Ne deriva che la possibilità da parte del giudice di adottare provvedimenti contenitivi o restrittivi dei diritti individuali di libertà dei genitori in tema di libertà religiosa e di esercizio del ruolo educativo è strettamente connessa e può dipendere esclusivamente dall'accertamento in concreto di conseguenze pregiudizievoli per il figlio che ne compromettano la salute psico-fisica e lo sviluppo (Cass. 21916/2019). Le scelte relative alla salute
Rilevanti conseguenze possono avere le scelte religiose anche in relazione a questioni di salute. Ben note sono infatti le vicende che hanno portato delle famiglie di fronte ai giudici a causa di gravi problemi di salute dei figli. Si trattava in particolare di casi in cui i genitori per motivi religiosi si opponevano a cure e terapie e in particolare a emotrasfusioni. In questi casi la giurisprudenza ha sempre imposto nell'interesse del minore la terapia richiesta dalle strutture sanitarie ed ha addirittura, a volte, sospeso la responsabilità genitoriale di madre e padre che vi si opponevano (Tribunale di Modena, decreto 8 febbraio 2022; Trib. min. Trento 30 dicembre 1996, n. 214). Strettamente collegata alla scelta dell'educazione religiosa è anche quella dell'istituto scolastico in cui iscrivere i figli. Vari contrasti sono sorti tra genitori sul tipo di scuola da scegliere, soprattutto se gestita da congregazioni religiose e dunque anche privata. In particolare la Cassazione, chiamata a dirimere un contrasto in merito, ha precisato che la diatriba sulla scuola "religiosa" o "laica" presso cui iscrivere i figli, deve essere risolto in considerazione dell'esigenza di tutelare il preminente interesse dei minori ad una crescita sana ed equilibrata, ed importa una valutazione di fatto, non sindacabile nel giudizio di legittimità, che può ben essere fondata sull'esigenza di non introdurre fratture e discontinuità che conseguirebbero alla frequentazione di una nuova scuola, assicurando ai figli minori la continuità ambientale nel campo in cui si svolge propriamente la loro sfera sociale ed educativa (Cass. 21553/2021). I giudici pertanto non “scelgono” la religione sostituendosi ai genitori, né consigliano un istituto scolastico piuttosto che un altro ma prediligono quella scelta che sia più consona a una crescita sana e equilibrata del fanciullo.
In questa linea interpretativa spesso è richiamato in giurisprudenza il principio di continuità che, si precisa, deve presiedere l'educazione religiosa del minore al fine di evitare allo stesso turbamenti e confusione in una fase di ricerca e sviluppo della propria identità. In altre parole, quello che viene incidere nelle decisioni dei giudici italiani è non tanto la scelta di un credo religioso piuttosto che un altro, quanto l'introduzione di una pratica religiosa diversa da quella vissuta nell'ambiente familiare e sociale in cui minore è nato e cresciuto. Nella maggior parte dei casi sottoposti alla giurisprudenza infatti i contrasti erano sorti in seguito a un cambiamento di fede di uno dei due genitori, cambiamento che avrebbe potuto portare conseguenze negative per i figli. La giurisprudenza europea
Il principio della continuità è stato affermato anche dalla Corte europea dei diritti umani che in materia ha affermato che la decisione dei giudici italiani di vietare a un uomo di condurre il figlio a manifestazioni pubbliche collegate al suo credo religioso non è in contrasto con la Convenzione europea dei diritti dell'uomo quando la decisione è adottata al fine di consentire la libertà di scelta del minore e assicurare il suo interesse superiore (Corte europea dei diritti dell'Uomo - Sezione I - Sentenza 19 maggio 2022 – T. c. Italia, Ricorso n. 54032/18in Ius Famiglie (IUS.giuffrefl.it) con nota di Pizzolante G.).
Nella specie, in particolare, i giudici europei hanno riscontrato un'ingerenza nel diritto alla vita familiare del ricorrente in quanto il tribunale italiano aveva posto delle limitazioni al suo rapporto con il figlio, ciò peraltro, si sottolinea, non costituisce automaticamente una violazione delle norme convenzionali. E' vero, precisa la Corte EDU, che le modalità pratiche di esercizio della responsabilità genitoriale sui figli, così come stabilite dai tribunali nazionali non possono violare la libertà dei cittadini di manifestare la propria religione, ma va ricordato che l'obiettivo prioritario è quello di tener conto dell'interesse superiore dei minori, che consiste nel conciliare le scelte educative dei genitori e nel cercare di raggiungere un giusto bilanciamento tra gli interessi di madre e padre (CEDU , F.L. c. Francia, 3 novembre 2005 n. 61162/00).
Non è invece stata ritenuta legittima la decisione che affida i figli a uno solo dei genitori a causa delle scelte religiose dell'altro. In tal senso si è espressa sempre la Corte EDU, nei confronti dell'Austria stabilendo il principio secondo il quale la libertà di educare i figli nella propria fede religiosa rientra tra le libertà e i diritti garantiti dalla Convenzione Europea dei diritti dell'uomo e che pertanto nell'affidamento dei figli ogni discriminazione tra coniugi in ragione della loro differente appartenenza religiosa deve considerarsi illegittima (CEDU, H. c. Austria del 23 giugno 1993, n. 12875/1987). Allo stesso modo nei confronti della Francia la Corte ha affermato che la decisione delle autorità di affidare i bambini al padre, basata essenzialmente sul motivo della fede religiosa abbracciata dalla madre, costituisce una discriminazione, poiché manca una causa oggettiva e ragionevole e uno scopo legittimo (P.M. c. Francia, del 16 dicembre 2003, n. 64927/01).
Nello stesso ordine di idee i giudici europei hanno stabilito che la decisione dello Stato che nega a un padre il diritto di visita dei figli, perché appartenente a una Congregazione religiosa alla quale viene attribuita una visione del mondo irrazionale, viola gli articoli 8 e 14 della Convenzione Europea, poiché la decisione di impedire al padre di incontrare i propri figli non è ragionevole, né proporzionata all'interesse da proteggere, cioè alla protezione del supremo interesse dei minori (CEDU, V. c. Ungheria, 12 febbraio 2013, n. 29617/2007). Conclusioni
Prioritario nella scelta della religione da far seguire a un figlio è sempre il superiore interesse del minore. Di conseguenza, come precisato dalla giurisprudenza italiana ed europea, la tutela del superiore interesse del minore deve in ogni caso prevalere sulla tutela della libertà religiosa dell'adulto e sulla sua libertà di educare il figlio. L'appartenenza religiosa del genitore può avere peraltro rilevanza solo se influisce negativamente sulla crescita fisica e psicologica dei bambini. Si evidenzia inoltre come, nella prassi, un'attenzione particolare viene posta, come si desume dalla giurisprudenza esaminata, non tanto alle differenze di credo dei genitori quanto all'adesione da parte di uno dei due a confessioni religiose estremiste e troppo intransigenti o ad atteggiamenti di fanatismo religioso.
In questo contesto rilevante è anche il fondamentale principio, derivante anch'esso dalla Convenzione europea sull'esercizio dei diritti del fanciullo, dell'ascolto del minore. Fondamentale infatti in questi casi è lasciar spazio alla volontà del fanciullo che spesso, anche se è piccolo, ossia anche se non ha ancora raggiunto i 12 anni, quando considerato capace di discernimento, può esprimere una sua preferenza verso un certo credo religioso, magari spinto dall'esigenza di socialità e di essere pienamente inserito nel contesto in cui vive. Lo stesso Legislatore attribuisce infatti rilevanza alle scelte del minore relative all'insegnamento della religione cattolica nel contesto dell'istruzione scolastica superiore. |