Designazione generica dei beneficiari dell'assicurazione sulla vita e disposizioni testamentarie

Gabriele Mercanti
28 Febbraio 2023

Se gli eredi legittimi o testamentari vengono indicati come beneficiari della polizza vita, essi devono essere liquidati applicando le regole successorie oi criteri ereditari servono solo ed esclusivamente per identificare gli interessati?
Massima

L'eventuale istituzione di erede per testamento compiuta dal contraente assicurato dopo aver designato i propri "eredi (legittimi)" quali beneficiari della polizza vita non rileva né come nuova designazione per attribuzione della somma assicurata né come revoca del beneficio agli effetti dell'art. 1921 c.c., ove non risulti una inequivoca volontà in tal senso, operando su piani diversi l'intenzione di disporre mortis causa delle proprie sostanze e l'assegnazione a terzi del diritto del contraente alla prestazione assicurativa.

Il caso

Il 29 aprile 2016 un amministrato di sostegno contraeva, grazie all'intervento del di lui amministratore, una polizza sulla vita ivi indicando come beneficiari gli «eredi per legge»; dopo la morte dell'interessato, il medesimo amministratore di sostegno - essendo stato nominato tale anche in relazione al fratello (ed unico erede legittimo) del contraente - riscuoteva, previa autorizzazione del Giudice Tutelate, la somma di euro 50.000 dovuta al beneficiario a sensi di polizza. Senonchè altro soggetto, qualificandosi erede testamentario in forza di un testamento redatto dal de cuius il 10 novembre 2013, conveniva in giudizio avanti al Giudice di Pace di Forlì l'amministratore di sostegno asserendo di essere beneficiario della citata polizza vita e per l'effetto chiedendo la restituzione a suo favore della relativa liquidazione.

Avverso la sentenza n. 445/2020 emessa dal Giudice di Pace di Forlì che accoglieva la domanda attorea, l'amministratore di sostegno promuoveva appello che il Tribunale di Forlì accoglieva, condannando la sedicente erede testamentaria a restituire la somma percepita in forza della pronuncia di primo grado e motivando la propria decisione sul duplice assunto: il primo che la designazione generica a favore degli eredi legittimi fosse sufficientemente chiara al fine di individuare nel fratello del de cuius il beneficiario; il secondo che, in ogni caso, la polizza vita dovesse essere del tutto scissa dalle dinamiche successorie così da espungere ogni ruolo dell'erede testamentario.

L'erede testamentario, allora, ricorreva in Cassazione fondando le proprie doglianze su un unico motivo costituito dalla violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1366 e 1369 c.c. (in tema di interpretazione del contratto) e 410 c.c. (in tema di raccordo tra i poteri spettanti all'amministratore di sostegno e le aspirazioni del beneficiario).

In particolare, a detta del ricorrente, il Tribunale: avrebbe dovuto considerare - nell'interpretazione della dicitura «eredi legittimi» - che la polizza in questione non era stata stipulata personalmente dall'assicurato, bensì dal di lui amministratore di sostegno che in quanto tale non avrebbe potuto effettuare scelte coinvolgenti la stretta sfera personale dell'assicurato (anche in considerazione del fatto che l'amministratore avrebbe ben potuto ignorare l'esistenza di una scheda olografa redatta anni prima dall'amministrato); non avrebbe adeguatamente indagato sulla volontà delle parti (o meglio, avrebbe del tutto omesso di farlo), poiché la stipulazione della polizza sarebbe stata finalizzata ad investire parte del patrimonio dell'amministrato e non certo ad escludere le somme in questione dall'asse ereditario. Ecco che, allora, la designazione degli «eredi legittimi» - a detta del ricorrente - si sarebbe dovuta interpretare non in senso prettamente letterale, ma a suo favore stanti le circostanze sopra esposte.

La questione

La vertenza in questione ruota attorno all'interpretazione delle clausole che indicano i beneficiari della polizza vita non in modo diretto con nome e cognome, bensì mediante il richiamo ad una qualifica soggettiva (nel caso in contestazione di «eredi legittimi»); in tale seconda eventualità, infatti, nasce un'interferenza tra l'interpretazione del contratto e le successive dinamiche successorie. Il dubbio, pertanto, è: se come beneficiari della polizza vita sono indicati «gli eredi legittimi» o «gli eredi testamentari», essi devono essere liquidati applicando le quote, ed in generale, le regole successorie ovvero i criteri ereditari servono solo ed esclusivamente per identificare gli interessati? Esemplificando: se la polizza indica come beneficiari «gli eredi legittimi» ed al momento della morte il defunto lascia coniuge e tre figli, la liquidazione deve avvenire applicando rigorosamente i criteri ereditari (cioè, un terzo a favore del coniuge e due terzi congiuntamente ai figli e se uno tra essi dovesse rinunciare all'eredità, a favore dei soggetti subentranti)? Oppure l'assicurazione dovrebbe procedere in altro modo (cioè liquidando in quattro parti uguali coniuge e figli sempre e comunque ed a prescindere da successive rinunce ereditarie, in quanto il richiamo al campo successorio servirebbe solo per identificare i soggetti beneficiari e nulla più)?

Le soluzioni giuridiche

Prima di entrare nel merito del problema, occorre ricordare che nell'assicurazione sulla vita sono da includere tutte quelle fenomenologie nelle quali i rischi assicurati sono costituiti, alternativamente, dalla morte dell'assicurato (c.d. assicurazioni caso morte) o dalla di lui sopravvivenza ad una certa data (c.d. assicurazioni caso vita) ovvero, cumulativamente, da entrambi (c.d. assicurazioni miste) (su tutti, A. Donati, G. Volpe Putzolu, Manuale di diritto delle assicurazioni, Milano, Giuffrè, 2009, 193). Emerge immediatamente la differenza economico-operativa rispetto al ramo danni: nelle assicurazione contro i danni, infatti, opera il rigoroso principio indennitario, la cui enunciazione si evince dagli artt. 1905 (per cui l'assicuratore è tenuto a risarcire il «danno sofferto»), 1908-1909 (per i quali nell'accertamento del danno non può attribuirsi alle cose un valore superiore a quello effettivo) e 1910-1911 (per i quali nel caso di pluralità di assicurazioni, l'assicurato non possa cumularne gli indennizzi in misura superiore al danno subito) c.c. - derivandone che l'assicurazione non possa mai essere strumento di arricchimento ma solo di reintegrazione del pregiudizio subito; diversamente, nelle assicurazioni sulla vita subentra una logica di investimento e/o previdenziale non essendo la prestazione dell'assicuratore correlata al danno oggettivamente patito dall'assicurato.

A livello strutturale si noti che, in base alla previsione di cui all'art. 1919 c.c., l'assicurazione può essere stipulata tanto sulla vita propria quanto su quella di un terzo, salvo che in questa seconda evenienza occorre che detto terzo presti il proprio consenso al fine di evitare che la prospettiva di ottenere la liquidazione diventi un incentivo alla di lui uccisione da parte del beneficiario. Inoltre, l'art. 1920, comma 1, c.c. ammette che sia valida l'assicurazione sulla vita a favore di un terzo, con la correlata necessità di effettuarne la designazione: al tal fine l'art. 1920, comma 2, c.c. sancisce che la designazione del beneficiario possa essere fatta in tre modi differenti e così nel contratto di assicurazione, con successiva dichiarazione scritta comunicata all'assicuratore ovvero anche per testamento. Occorre, però, chiarire che permane una differenza concettuale tra assicurazione sulla vita di un terzo (ai sensi dell'art. 1919 c.c.) ed assicurazione sulla vita a favore di terzo (ai sensi dell'art. 1920 c.c.), in quanto: nella prima tipologia il terzo è il soggetto esterno la cui vita è mero parametro delle prestazioni assicurative di spettanza dell'assicurato; nella seconda il terzo - pur rimanendo tecnicamente estraneo alla fattispecie contrattuale - è l'avente diritto alla liquidazione con evidente assimilazione della fattispecie al contratto a favore di terzo di cui all'art. 1411 c.c. (così, Cass., sez. III, 15 aprile 2021, n. 9948).

Inoltre, non deve fuorviare il fatto che la designazione del terzo, in seno all'ipotesi di cui all'art. 1920 c.c., possa avvenire per testamento: la prestazione a favore dello stesso, infatti, non avviene mortis causa bensì è solo differita (dopo la morte) nella sua esigibilità con la conseguenza che la giustificazione logico-causale dello spostamento patrimoniale in questione sarebbe ineluttabilmente ancorata al contratto di assicurazione e non all'evento morte (Cass., sez. un., 30 aprile 2021, n. 11421; Cass., sez. VI, 15 ottobre 2018, n. 25635; Cass. civ., sez. II, 21 dicembre 2016, n. 26606; Cass., sez. II, 23 marzo 2006, n. 6531; Cass., sez. III, 5 marzo 2001, n. 3160; Cass., sez. I, 14 maggio 1996, n. 4484, al fine di sancire che l'acquisto del terzo avvenga iure proprio e non iure successionis). Giova, però, segnalare autorevole posizione dottrinale (A. Palazzo, Istituti alternativi al testamento, in Trattato di diritto civile del Consiglio Nazionale del Notariato diretto da Pietro Perlingieri, VIII, 1, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1999, 16) che - per meglio inquadrare la peculiarità del fenomeno - ha invocato il concetto di negozio transmorte caratterizzato dal fatto che da un lato il terzo acquisti il proprio diritto per effetto del contratto e dall'altro che permanga in capo al contraente uno ius poenitendi (infatti, la revocabilità del beneficio è consacrata dall'art. 1921 c.c. ed è intrinsecamente connessa al negozio testamentario).

Passando al caso in commento, è fonte di tradizionale contrasto la sorte delle designazione del terzo beneficiario effettuata mediante la di lui generica qualifica di «erede legittimo» o «erede testamentario»: se è vero che l'eventualità in sè è ammessa dalla legge, grazie alla seconda parte del comma 2 dell'art. 1920 c.c. (in base al quale la designazione «è efficace anche se il beneficiario è determinato solo genericamente»), è discusso se il richiamo all'esterna fonte successoria debba essere totalizzante o se debba operare in via meramente soggettiva.

Al riguardo la giurisprudenza, in modo nettamente prevalente, ha stabilito - partendo dall'assunto che il diritto alla liquidazione competa al terzo iure proprio e non iure successionis - che il richiamo alle regole successorie non integri gli estremi di un rinvio alla disciplina materiale delle norme successorie bensì che costituisca un modo per individuare per relationem i beneficiari della prestazione assicurativa (Cass., sez. VI, 15 ottobre 2018, n. 25635; Cass., sez. II, 21 dicembre 2016, n. 26606; Cass., sez. II, 23 marzo 2006, n. 6531; Cass., sez. III, 5 marzo 2001, n. 3160; Cass., sez. I, 14 maggio 1996, n. 4484). Da ciò ne conseguono due corollari: il primo è che l'individuazione dei soggetti in questione sia “cristallizzata” al momento dell'apertura della successione, essendo dunque insensibile alle vicende evolutive del caso concreto (accettazione, rinuncia, accrescimento ecc.), di modo che il termine «erede» venga di fatto inteso come «chiamato all'eredità»; il secondo è che, una volta accertata la qualifica dei soggetti beneficiari, il riparto debba avvenire - presuntivamente, ma fatta salva la prova contraria - in parti uguali tra loro senza che cioè rilevi l'entità della quota ereditaria. Per rifarsi all'esempio già esposto del defunto che lascia coniuge e tre figli, la liquidazione dovrebbe avvenire in quattro parti uguali tra essi senza eccezioni. Nettamente minoritaria è, invece, la tesi per cui il rinvio al parametro successorio debba valere in modo integrale e, quindi, sia sul versante soggettivo sia su quello percentuale (Cass., Sez. III, 29 settembre 2015, n. 19210): sempre rifacendosi al medesimo caso, la liquidazione dovrebbe avvenire tra coloro che risulteranno concretamente (e non astrattamente) eredi legittimi del defunto ed in base alla quota ereditaria di effettiva spettanza. Sul punto le Sezioni Unite (Cass., sez. un., 30 aprile 2021, n. 11421) hanno recentemente ribadito la tesi maggioritaria salvo lasciare lo spiraglio, al fine di una differente distribuzione tra gli aventi diritto, di una «inequivoca volontà del contraente in senso diverso». La motivazione sottesa a tale decisione è duplice: da un lato occorre fissare dei parametri interpretativi il più possibili certi e stabili al fine di consentire alla compagnia assicurativa un univoco smobilizzo del capitale e dall'altro tutelare la presunta volontà del contraente che, indicando gli «eredi legittimi», non ipotizzava ragionevolmente di estendere la cerchia dei beneficiari a soggetti diversi rispetto ai prossimi congiunti al momento della conclusione del contratto, salvo - come detto sopra - che risulti una differente scelta dell'interessato.

In base quanto brevemente sopra esposto, la vicenda sembrerebbe di piana risoluzione: viaggiando i diritti contrattuali derivanti dalla polizza e le vicende successorie su piani tra loro non intersecantesi, parrebbe scontato il rigetto di ogni diritto assicurativo in capo all'erede testamentario. Tuttavia a detta della S.C. non può essere ignorata la presenza di una designazione testamentaria di un soggetto diverso rispetto all'erede legittimo, in quanto se è vero che secondo l'insegnamento delle sopra citate Sezioni Unite «l'eventuale istituzione di erede per testamento compiuta dal contraente assicurato dopo aver designato i propri "eredi (legittimi)" quali beneficiari della polizza vita non rileva né come nuova designazione per attribuzione della somma assicurata né come revoca del beneficio agli effetti dell'art. 1921 c.c.», è la Corte stessa a far salvi gli effetti una differente volontà, purchè inequivoca. Ecco che per gli Ermellini «il Tribunale non ha svolto alcuna indagine secondo i criteri di cui sopra, al fine di verificare chi rivestisse la qualità di erede in forza della delazione ex art. 457 c.c. al momento della morte del contraente e se l'istituzione di erede per testamento compiuta dal contraente fosse avvenuta prima (secondo quanto espone la ricorrente) o dopo la designazione degli "eredi per legge" quali beneficiari della polizza, con ogni eventuale e conseguenziale accertamento sull'inequivoca volontà di revoca della designazione in ipotesi di istituzione testamentaria successiva, nei termini precisati dalla citata sentenza delle Sezioni Unite». Stante quanto sopra, la Cassazione ha accolto il ricorso rinviando la causa al Tribunale di Forlì (in diversa composizione monocratica) al fine di espletare l'accertamento sopra detto.

Osservazioni

La pronuncia de quo affronta un classico del contenzioso assicurativo tradizionalmente alimentato dalla clausola con la quale i beneficiari della polizza vita sono indicati genericamente con la dicitura di «eredi» (nel caso di specie legittimi, ma i termini generali il tema non muta ove il riferimento sia a quelli testamentari). Stavolta, però, il contrasto non sorge preventivamente con la compagnia assicurativa che, infatti, non rifiuta la liquidazione alle condizioni richiestegli, bensì successivamente tra una pluralità di asseriti aventi titolo alla prestazione: il dato è significativo, poiché testimonia come in prima battuta la clausola di designazione indicata nel contratto non avesse sollevato contestazioni da parte del debitore attenutosi all'ormai consolidato orientamento cementato dalle Sezioni Unite. Ma, allora, il punto è un altro: l'inequivoca volontà di abbinare le sorti della designazione a quelle dell'evoluzione successoria, deve desumersi dalla clausola testamentaria e/o contrattuale o può anche evincersi da elementi esterni? La sentenza in commento pare avallare, a differenza delle citate Sezioni Unite che tacciono totalmente al riguardo, una tesi fortemente ampliata in seno alla quale la sola coesistenza della designazione contrattuale con una previa disposizione testamentaria è tale da far dubitare sulla incontrovertibilità della volontà del contraente (di beneficiare l'erede legittimo a discapito del testamentario). La cesura concettuale degli Ermellini è duplice: in prima battuta, partendo dall'assunto in base al quale il testamento successivo non può di per sé determinare la revocazione della designazione contrattuale, affermano - quasi, presuntivamente, invertendo l'onere probatorio - che sia mancato nel giudizio di merito un accertamento sulla volontà contrattuale; in seconda battuta, ignorano completamente il fatto che il testamento fosse antecedente (e non successivo) alla stipula del contratto. Questa forte scelta di campo deve, però, essere - a parere di chi scrive - contestualizzata, in quanto la polizza in oggetto era stata perfezionata non personalmente dal de cuius ma dal di lui amministratore di sostegno: tale scissione, seppur legittima dal punto di vista effettuale, può aver indotto il Collegio a reputare più pressante la necessità di indagare sulla «inequivoca volontà del contraente in senso diverso». Sarà molto interessante monitorare come il Giudice di merito effettuerà la prescritta indagine sull'eventuale interferenza tra la disposizione testamentaria e quella contrattuale.

Riferimenti

N. Chiricallo, La designazione dei terzi beneficiari nel contratto di assicurazione sulla vita: il significato dell'espressione “legittimi eredi” e la questione della ripartizione dell'indennizzo, in Studium iuris, 2021, 12, 1523;

E. Guarnieri, L'Assicurazione vita a favore degli “eredi legittimi”, in www.giustiziacivile.com in data 6 ottobre 2021;

R. Mazzariol, Contratto di assicurazione sulla vita e designazione degli «eredi» quali beneficiari, in Nuova giur. civ. comm., 2021, 5, 1094;

A. Torroni, L'assicurazione sulla vita: aspetti controversi e casistica, in www.federnotizie.it in data 8 luglio 2022.

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