Giudizio abbreviato e restituzione in termine per ottenere la riduzione premiale: occorre chiarezza

03 Marzo 2023

Dopo l'entrata in vigore della Riforma Cartabia si iniziano a palesare le prime questioni applicative sui diversi e tanti profili, processuali e sostanziali, “toccati” dalla novella. Fra questi si annovera, in sede di merito, in assenza di una specifica disciplina transitoria, quella dell'applicabilità del trattamento favorevole (la pena inflitta è ulteriormente ridotta di un sesto dal giudice dell'esecuzione) introdotto dal nuovo comma 2-bis dell'art. 442 c.p.p. in caso di mancata impugnazione dell'imputato e del suo difensore contro la sentenza di condanna pronunciata all'esito del giudizio abbreviato.

Fin dalle prime riflessioni l'avvocatura ha guardato con favore a tale nuovo regime e sollevato la possibilità che tale beneficio possa essere applicato anche alle situazioni “pendenti” all'atto dell'entrata in vigore del d.lgs. n. 150 del 2022 ovvero ai processi in corso o alle impugnazioni già presentate, avanzando la rinuncia onde giungere ad un effetto analogo alla non impugnazione.

Così se sotto quest'ultimo aspetto si potrebbe tendere ad una soluzione di ordine positivo tenendo conto della lettura complessiva della novella volta proprio a ridurre il carico pendente in sede d'appello, nel primo caso si è già verificato un contrasto giurisprudenziale.

Ha subito destato interesse la decisione del Tribunale di Perugia che ha concesso la restituzione in termini, richiesta dall'imputato in sede dibattimentale, sul rilievo che, secondo la giurisprudenza consolidata, le riduzioni di pena connesse al rito abbreviato hanno natura di norme penali sostanziali, come tali soggette al principio di applicazione della lex mitior: «il trattamento sanzionatorio, anche laddove collegato alla scelta del rito, finisce sempre con avere ricadute sostanziali ed è, dunque, soggetto alla complessiva disciplina di cui all'art. 2 c.p. e quella dell'art. 7 CEDU. A rafforzare la raggiunta conclusione soccorrerebbe il fatto che art. 442, comma 2-bis c.p.p. prevede, invero, l'effetto di favore sulla pena irrogata a seguito di una scelta processuale dell'imputato avente ricadute sostanziali: di qui, ai sensi dell'art. 2 c.p. l'accoglimento con ordinanza dell'istanza di restituzione nei termini per proporre richiesta di rito alternativo formulata nel corso di un dibattimento penale». A conforto soccorre l'analoga decisione del Tribunale di Latina che ha, del pari, accolto la richiesta di restituzione nel termine per chiedere il giudizio abbreviato muovendo dal rilievo che l'introduzione, ad opera della c.d. riforma Cartabia, del comma 2-bis all'interno dell'art. 442 c.p.p. (secondo il quale «quando né l'imputato, né il suo difensore hanno proposto impugnazione contro la sentenza di condanna, la pena inflitta è ulteriormente ridotta di un sesto dal giudice dell'esecuzione») ha indubbia valenza sostanziale, atteso che il trattamento sanzionatorio, anche laddove collegato alla scelta del rito, ha ricadute sostanziali quindi deve essere soggetto alla disciplina dell'art. 2 c.p., che impone l'applicazione retroattiva della legge sopravvenuta più favorevole al reo» evidenziando, al tempo stesso, come, qualora non si consentisse all'imputato di essere rimesso in termini, «quest'ultimo vedrebbe definitivamente precluso l'accesso alla ulteriore riduzione di pena prevista dall'art. 442 comma 2-bis c.p.p.».

Una impostazione di segno negativo è stata, invece, avallata dal Tribunale di Milano e di Vasto e, dalla parte della dottrina (Fragasso, Mancata impugnazione nel giudizio abbreviato e riduzione di un sesto della pena a seguito della riforma Cartabia: i tribunali di Milano e di Vasto escludono la rimessione, in sistemapenale.it., 14.2.2023) anche la più autorevole (G. Spangher, Riforma Cartabia, rito abbreviato ammesso nel corso della fase dibattimentale previa remissione in termini, in altalex, 10.2.2023): il diniego muove, in questi casi, non soltanto dalla carenza di una previsione transitoria esplicita, quanto piuttosto dal rilievo che il nuovo comma 2-bis dell'art. 442 c.p.p. appare certo una norma avente natura sostanziale, in quanto relativa al trattamento sanzionatorio dell'imputato che soggiace pacificamente al regime di retroattività previsto dall'art. 2, comma 4, c.p. ma, tuttavia, la cui efficacia è subordinata alla corretta instaurazione del giudizio abbreviato, requisito non ricorrente, peraltro, nei casi sottoposti all'attenzione dei due tribunali. A differenza delle norme che regolano il beneficio sanzionatorio (art. 442, commi 2 e 2-bis, c.p.p.), le disposizioni che disciplinano le modalità, i presupposti e i termini per l'accesso al rito speciale hanno, infatti, natura processuale e, di conseguenza, sono soggette al principio del tempus regit actum. Si è negato l'accoglimento della richiesta richiamando il consolidato orientamento giurisprudenziale in base al quale «la natura sostanziale delladiminuente premiale per il rito abbreviatogià indicata dalla CEDU con la sentenza Scoppola c/o Italia, non comporta il mutamento della natura processuale di tutta l'ulteriore normativa concernente i presupposti, i termini e le modalità di accesso al rito, aspetti rimessi alla scelta del legislatore nazionale e non immutati dalla giurisprudenza comunitaria». Le disposizioni de quibus sono soggette al principio deltempus regit actum: una volta intervenuta la preclusione, e in assenza di una disciplina transitoria, l'imputato non potrà più accedere al giudizio abbreviato, anche se da quest'ultimo potrebbe derivare (in caso di mancata impugnazione dell'eventuale sentenza di condanna) un trattamento sanzionatorio più mite. La restituzione nel termine per proporre il giudizio abbreviato, concesso dalle altre autorità, sarebbe funzionale a garantire un beneficio puramente ipotetico, condizionato alla scelta dell'imputato di non impugnare la sentenza.

Infine, altra decisione (Trib. Reggio Calabria) ha negato l'istanza presentata affermando che possa essere ammessa solo per coloro che già abbiano richiesto il giudizio abbreviato: ora, com'è intuibile la questione andrebbe prontamente risolta dal legislatore. Non pare, infatti, possibile attendere che il problema giuridico giunga innanzi al giudice di Cassazione. Intuibili sono, infatti, le iniquità a cui l'una piuttosto che l'altra soluzione conducono sul piano del trattamento penale. La sperequazione e la disparità di trattamento a cui si sta assistendo appare eccessivamente gravosa, tanto da invocare da subito la necessità di fare chiarezza, escludendo l'operatività del nuovo meccanismo per le situazioni pendenti, data la loro varietà. Se occorre, invero, tener fermo il già evocato principio del tempus regit actum, va, del pari, rilevato come l'applicazione dell'istituto sta evidenziando un'altra aporia. Si è, al riguardo, constatata l'a-sistematicità di un opzione processuale che, dopo il passaggio in giudicato, potrebbe comportare l' esecuzione al titolo di condanna, se superiore a 4 anni, in attesa dal calcolo della diminuente da parte del giudice dell'esecuzione, a cui la novella assegna la competenza a verificare la mancata impugnazione e calcolare la pena ridotta, statuendo quella “effettiva” : di qui l'avvio di una prassi tesa a fare in modo che venga rilasciato l'atto di rinuncia alle impugnazioni allo stesso giudice che ha statuito la condanna a seguito di giudizio abbreviato, affinché sia lui stesso a calcolare la pena definitiva. Indubbiamente in tal caso si pongono problemi interni di non poco conto, quanto alla competenza “tabellare” per il giudice ad essere (o meno) giudice dell'esecuzione (si pensi al giudice monocratico che, finora, non teneva l'udienza predibattimentale). Una tale pratica, per quanto lontana dal dettato normativo, appare improntata ad un “sano pragmatismo” capace di favorire l'accesso alla riduzione premiale, a realizzare l'economia sottesa al nuovo strumento e, in generale, a quella razionalizzazione su cui riposa l'intera novella del 2022. Residua, naturalmente, sullo sfondo, tuttavia, la possibilità che sia invece il Procuratore Generale ad impugnare la sentenza.

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