Straniero sottoposto a procedura di espulsione: la disciplina sanzionatoria è incostituzionale?

13 Marzo 2023

L'art. 650 c.p. non può costituire idoneo tertium comparationis rispetto alle disposizioni del testo unico sull'immigrazione che sanzionino violazioni commesse dallo straniero sottoposto a una procedura di espulsione, in ragione della particolare rilevanza per l'ordinamento del bene giuridico da esse tutelato rispetto al generico interesse al rispetto degli ordini dell'autorità.

Il caso. La pronuncia in commento trae origine dalla questione di legittimità costituzionale dell'art. 14, comma 1-bis, d.lgs. n. 286/1998 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), nella parte in cui prevede la multa da 3.000 a 18.000 euro anziché prevedere l'ammenda e nella misura inferiore, ritenuta congrua alla violazione suddetta. Nel giudizio a quo, il rimettente era chiamato a giudicare della responsabilità penale di un imputato al quale il pubblico ministero contestava la violazione dell'obbligo di firma impostogli dal questore nelle more del procedimento di allontanamento dal territorio nazionale, in conseguenza di un previo provvedimento prefettizio di espulsione. Il rimettente rileva che la sanzione pecuniaria prevista dalla menzionata disposizione è, nel massimo, più elevata di quella prevista dal comma 5-ter del medesimo art. 14 T.U. immigrazione, che, nell'ipotesi di espulsione, passa da un minimo di 6.000 euro ad un massimo di 15.000 euro, pur essendo tale delitto più grave del primo, oggetto dei dubbi di legittimità costituzionale.

Le censure del giudice a quo. La disposizione censurata configura come delitto una condotta costituita dalla mera inosservanza di un ordine dell'autorità, la quale costituisce ordinariamente una mera contravvenzione ai sensi dell'art. 650 c.p., suscettibile peraltro di estinzione per effetto di oblazione. Per il rimettente, ciò darebbe luogo a una violazione del principio di uguaglianza e del diritto di difesa, oltre che dei principi di proporzionalità e di gradualità della pena, in violazione anche della Dir. 2008/115/CE. Il giudice a quo censura, in sostanza, da un lato la manifesta eccessività della sanzione comminata dalla disposizione censurata in rapporto a quella prevista in due tertia comparationis – l'art. 14, comma 5-ter, T.U. immigrazione e l'art. 650 c.p. – con conseguente violazione dell'art. 3 Cost.; e dall'altro lato, denuncia la mancata possibilità di accesso dell'imputato all'oblazione con effetto estintivo del reato, che discende dalla configurazione del reato come delitto e non come contravvenzione, assumendo che ciò determini la violazione, altresì, dell'art. 24 Cost.

Sanzione eccessiva: per la Consulta no. Il Giudice delle leggi, con la pronuncia in commento, ritiene che le censure formulate dal rimettente siano manifestamente infondate.

Innanzitutto, l'allegata violazione dell'art. 3 Cost. è motivata unicamente sotto il profilo della irragionevole disparità di trattamento rispetto ai due tertia comparationis indicati. Secondo il rimettente, il primo – l'art. 14, comma 5-ter, T.U. immigrazione – prevedrebbe un trattamento sanzionatorio meno gravoso di quello stabilito dalla disposizione censurata, pur essendo più grave la condotta da esso punita. Tuttavia, il citato comma 5-ter commina effettivamente una sanzione meno elevata nel massimo (15.000 euro) rispetto a quella contemplata nella disposizione censurata (18.000 euro), ma stabilisce – al contempo – una sanzione più gravosa nel minimo (6.000 euro) rispetto a quella di 3.000 euro, prevista dal comma 1-bis. Pertanto, un eventuale accoglimento della questione sollevata con riferimento al primo tertium comparationis condurrebbe all'assurdo risultato di vincolarlo, nel giudizio a quo, all'irrogazione di una pena pari al doppio a quella minima oggi prevista dalla disposizione censurata, con conseguente aggravamento del vizio di manifesta sproporzionalità prospettato.

La Corte Costituzionale non può manipolare a piacimento le scelte sanzionatorie del legislatore. Quanto all'art. 650 c.p., la Consulta ha più volte escluso che esso possa costituire idoneo tertium comparationis rispetto alle disposizioni del testo unico sull'immigrazione che sanzionino violazioni commesse dallo straniero sottoposto a una procedura di espulsione, in ragione della particolare rilevanza per l'ordinamento del bene giuridico da esse tutelato – il controllo e la gestione dei flussi migratori – rispetto al generico interesse al rispetto degli ordini dell'autorità tutelato dall'art. 650 c.p. (Corte cost., n. 22/2007, Corte cost. n. 52/2008 e Corte cost. n. 354/2007). D'altra parte, lo stesso rimettente vorrebbe sostituire all'attuale trattamento sanzionatorio previsto dalla disposizione censurata, non già l'intera cornice contemplata dall'art. 650 c.p. (l'arresto fino a tre mesi o l'ammenda fino a 206 euro), bensì unicamente il segmento relativo alla pena pecuniaria, manipolando così arbitrariamente la stessa scelta sanzionatoria legislativa compiuta in relazione al tertium comparationis: con conseguente auspicata creazione, ad opera della Corte Costituzionale, di una cornice edittale del tutto nuova, non riconducibile ad alcuna soluzione “costituzionalmente adeguata” preesistente nell'ordinamento. Sulla base di tali considerazioni, la censura di irragionevole disparità di trattamento risulta infondata rispetto ad entrambi i tertia comparationis indicati dal rimettente. Peraltro, dall'evidenziata eterogeneità della contravvenzione di cui all'art. 650 c.p. discende, altresì, la manifesta infondatezza della censura formulata con riferimento all'art. 24 Cost., basata, a sua volta, unicamente sull'asserita irragionevole disparità di trattamento dell'imputato del delitto in esame rispetto a colui al quale sia contestata la contravvenzione ex art. 650 c.p., che ha la possibilità di ottenere una declaratoria di estinzione del reato previa oblazione.

*Fonte: DirittoeGiustizia

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