Quantificazione giudiziaria dell'indennità di sopraelevazione, litisconsorzio facoltativo c.d. improprio e limiti al giudicato esterno

17 Marzo 2023

Il Supremo Collegio affronta una fattispecie particolare in tema di indennità ex art. 1127, comma 4, c.c., invocata da un condomino nei confronti di un altro condomino che aveva realizzato una sopraelevazione.
Massima

La quantificazione, in sede giudiziale, dell'indennità di sopraelevazione ex art. 1127 c.c. non fa stato nei confronti dei condomini che non abbiano partecipato al giudizio, né colui che ha eseguito la sopraelevazione può opporla ai condomini che non abbiano partecipato allo stesso giudizio, poiché il diritto di ciascun condomino a tale indennità è autonomo e si distingue da quello degli altri, sia per causa petendi (il diritto di proprietà delle singole unità immobiliari), sia per petitum (il quantum determinato per ciascuno), mentre la partecipazione di più condomini al medesimo processo rinviene la propria disciplina nel c.d. litisconsorzio facoltativo ex art. 103 c.p.c., che lascia impregiudicate le posizioni dei condomini non partecipanti al giudizio, i quali non possono vedersi opporre l'indennità così come calcolata, pena la violazione dell'art. 2909 c.c.

Il caso

La fattispecie, sottoposta di recente all'esame del Supremo Collegio, originava da una domanda, proposta da un condomino, proprietario di una bottega sita nel pianterreno di un edificio, nei confronti di un altro condomino, al fine di ottenere la condanna di quest'ultimo al pagamento dell'indennità di sopraelevazione di cui all'art. 1127, comma 4, c.c., sul rilievo che il convenuto aveva realizzato, nello stesso edificio, la costruzione di un secondo piano e di una mansarda.

Il Tribunale aveva accolto la domanda attorea, mentre la Corte d'Appello di Messina aveva accolto parzialmente il gravame proposto dal soccombente, riducendo l'ammontare dell'indennità determinata in primo grado e, quanto al resto, confermando la sentenza impugnata.

Il condomino, originariamente convenuto, aveva proposto ricorso per cassazione.

La questione

Si trattava di verificare se un precedente giudizio, con statuizione passata in giudicato, sempre in materia di pagamento dell'indennità di sopraelevazione, intercorso, però, tra un altro condomino ed il condomino, originariamente convenuto, che aveva posto in essere la sopraelevazione, potesse fare stato nei confronti del condomino, odierno attore, che non aveva partecipato a quel giudizio, nel senso che la quantificazione, in sede giudiziale, dell'importo allora liquidato vincolasse anche i successivi contendenti (nelle specie, ad avviso del ricorrente, con tale pronuncia, l'indennità di sopraelevazione era stata liquidata secondo un criterio che, applicato alla presente controversia, avrebbe determinato, in capo al convenuto, una cifra minore per talune voci e, quindi, una minore somma da corrispondere all'attore).

Le soluzioni giuridiche

I giudici di Piazza Cavour hanno ritenuto tale doglianza infondata.

In particolare, il ricorrente aveva invocato, in proprio favore, un lontano precedente dei giudici di legittimità (Cass. civ., sez. II, 18 maggio 1967, n. 1055); muovendo dalla premessa che l'indennità di sopraelevazione costituiva un diritto di ogni condomino autonomo rispetto al pari diritto degli altri (con i corollari della facoltà di farlo valere o di rinunziarvi in modo indipendente l'uno dall'altro), si era affermato che: a) nel giudizio relativo alla determinazione quantitativa dell'indennità, non è ravvisabile un'ipotesi di litisconsorzio necessario tra tutti i condomini; b) la sentenza emessa nei confronti di alcuni soltanto di costoro non è inutiliter data e non espone chi ha sopraelevato al pericolo di pagare l'indennità più volte (allo stesso condomino); c) chi ha sopraelevato deve pagare distintamente i condomini che non hanno partecipato al processo, ove e quando costoro gliene facciano richiesta; d) tuttavia, egli potrà opporre a costoro la quantificazione dell'indennità effettuata in sede giudiziale, poiché su di essa si è formato un giudicato che fa stato anche nei loro confronti.

I magistrati del Palazzaccio non hanno, però, inteso dare continuità a tale precedente, limitatamente al punto sub d), che era, appunto, quello invocato dalla parte ricorrente.

Infatti, tale punto, cioè l'affermazione che la quantificazione dell'indennità effettuata in sede giudiziale faccia stato anche nei confronti dei condomini che non hanno partecipato al processo - e così possa essere opposta a costoro da chi ha sopraelevato - non è coerente con la premessa fondamentale posta dalla stessa pronuncia degli ermellini, e cioè che l'indennità di sopraelevazione costituisca un diritto di ogni condomino “autonomo” rispetto al diritto degli altri condomini.

Invero, da tale premessa, discende che si ha a che fare con diritti distinti sia per causa petendi (diritto di proprietà delle singole unità immobiliari) sia per petitum(il quantum determinato per ciascuno).

Il cumulo, in un solo processo, di più diritti all'indennità di sopraelevazione rinviene la propria disciplina nel c.d. litisconsorzio facoltativo improprio di cui all'art. 103 c.p.c. (“più parti possono agire o essere convenute nello stesso processo, quando tra le cause che si propongono … quando la decisione dipende, totalmente o parzialmente, dalla risoluzione di identiche questioni”).

Tale disciplina lascia impregiudicate le posizioni dei condomini non partecipanti al processo, che non possono vedersi opporre l'indennità di sopraelevazione così come calcolata in tale giudizio, pena la violazione dell'art. 2909 c.c. (“l'accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato fa stato a ogni effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa”).

Per completezza, in ordine alla quantificazione giudiziaria, il Supremo collegio ha esaminato anche la censura del ricorrente, secondo il quale la Corte territoriale avrebbe errato nel ritenere la natura di debito di valore dell'indennità di sopraelevazione, riconoscendo così alla parte attrice la rivalutazione monetaria e gli interessi a partire dal 1990, mentre si trattava, invece, di debito di valuta, che doveva determinarsi in valuta riferita al momento in cui era stata occupata l'area con la nuova costruzione.

Tale censura non coglieva, però, nel segno, atteso che l'indennità ex art. 1127, comma 4, c.c. - che è una specie di indennizzo da atto lecito - esprime un debito di valore, da determinarsi, anche con riferimento agli interessi legali, a far data dalla sopraelevazione, sicché è esclusa l'applicazione della regola - che l'art. 1224, comma 1, c.c. prevede per i debiti di valuta - secondo cui gli interessi legali sono dovuti dalla costituzione in mora (v., tra le altre, Cass. civ., sez. II, 12 marzo 2019, n. 7028).

Osservazioni

Il caso concreto affrontato dagli ermellini registrava, però, un'altra peculiarità, che poteva mettere in dubbio l'esistenza stessa del diritto, azionato dal condomino attore, a percepire l'indennità di sopraelevazione, atteso che il convenuto poteva vantare un titolo di acquisto, datato 1922, che lo esonerava dal pagamento di tale indennità, peraltro in linea con il vecchio testo dell'art. 564 del codice civile del 1865.

Nello specifico, il ricorrente sosteneva che aveva acquisito un diritto all'esonero dall'indennità di sopraelevazione, che sarebbe transitato dal vecchio al nuovo diritto attraverso il veicolo della catena degli atti di acquisto; ciò perché - invocando, peraltro, Cass. civ., sez. II, 19 dicembre 1975, n. 4192 - il diritto di sopraelevazione attribuito al proprietario dell'ultimo piano dal citato l'art. 564 c.c. abrogato era intrinsecamente diverso dal diritto di sopraelevazione assicurato al medesimo dall'art. 1127 c.c. vigente.

Contrariamente a quest'ultimo, esso era condizionato al consenso degli altri condomini e presupponeva necessariamente il trasferimento, da parte di costoro, del diritto di sfruttare l'intera potenzialità del suolo di essere gravato di ulteriori edificazioni (in particolare, entro lo spazio aereo soprastante l'edificio), conseguendone che il proprietario dell'ultimo piano, il quale, sotto il codice civile abrogato, avesse ottenuto dagli altri condomini dello stabile (o dall'originario proprietario esclusivo di questo), il permesso di edificare - come nel caso di specie, avendo il condomino ottenuto, in forza della catena degli atti di provenienza, “tutti i diritti spettanti al venditore sull'immobile venduto” - non era tenuto a pagare loro l'indennità prevista, per la prima volta, dall'art 1127 c.c., ove avesse sopraelevato dopo l'entrata in vigore del nuovo codice civile.

Infatti - secondo la tesi del ricorrente - al momento dell'esercizio del suo diritto di edificare già disponeva, nel suo patrimonio, della facoltà di sfruttare la residua edificabilità del suolo comune, la cui attuale appartenenza a tutti i condomini era, invece, il necessario presupposto dell'obbligo del pagamento della suddetta indennità.

L'argomento defensionale, “ancorché proposto con notevole sagacia e abilità”, non ha convinto la Suprema Corte, e, anzi, il richiamo al lontano precedente del 1975 ha rivelato il suo punto debole, anziché conferirgli forza persuasiva, ossia l'idea che il principio dell'irretroattività della legge, così come codificato dall'art. 11 delle preleggi, coincida con il principio del rispetto dei diritti quesiti.

Infatti, la giurisprudenza di legittimità ha accolto compattamente ormai da molti decenni - salvo episodiche deviazioni - la teoria contrapposta a quella che predica la protezione dei diritti acquisiti, ossia la concezione del “fatto compiuto” (v., da ultimo, Cass. civ., sez. II, 14 aprile 2022, n. 12196).

Il rispetto dei diritti quesiti implica logicamente l'ultrattività delle vecchie norme - come, infatti, pretende la parte ricorrente, con notevole coerenza, evocando la violazione dell'art. 564 del codice civile abrogato - ma ciò non è conciliabile con il principio dell'efficacia immediata delle norme.

Quando l'art. 11 delle preleggi prescrive che la legge non dispone che per l'avvenire, prescrive, per l'appunto, che la nuova legge può disporre degli effetti giuridici che rinvengono la loro fonte in un “fatto generatore” del passato, ma che si producono o continuano a prodursi nel presente.

In via di approssimazione, l'intento della teoria del fatto compiuto è di sottolineare che solo “il fatto compiuto”, ossia il fatto che ha completato il suo ciclo di vita giuridico entro il tempo del diritto anteriore, che ha cioè compiutamente esaurito i suoi effetti giuridici (costitutivi, impeditivi, modificativi, estintivi), rimane al riparo dallo ius superveniens.

Tuttavia, esistono, e sono la maggior parte, le situazioni giuridiche pendenti, nate sotto il vigore del vecchio diritto, che sono in corso di svolgimento al momento dell'entrata in vigore delle nuove norme, e tale è la situazione sottesa al caso di specie, se si accoglie la prospettazione della parte ricorrente sulla durevole esenzione dall'obbligo di pagare l'indennità di sopraelevazione.

Tali situazioni rientrano nel dominio del nuovo diritto per quanto attiene alla disciplina del tratto di situazione, e quindi degli interessi inerenti a quest'ultima, che si svolge sotto il vigore di quest'ultimo; in tal caso, non sussiste retroattività “quando la nuova norma disciplini status, situazioni e rapporti che, pur costituendo lato sensu effetti di un pregresso fatto generatore (previsti e considerati nel quadro di una diversa normazione), siano distinti ontologicamente e funzionalmente (indipendentemente dal loro collegamento con detto fatto generatore), in quanto suscettibili di una nuova regolamentazione mediante l'esercizio di poteri e facoltà non consumati sotto la precedente disciplina: il che si verifica mediante la sopravvenuta introduzione di nuovi presupposti, condizioni e facoltà per il riconoscimento di diritti e obblighi inerenti al pregresso fatto generatore, ovvero mediante la sopravvenuta soppressione o limitazione dei presupposti, condizioni e facoltà per il riconoscimento suddetto, se ancora non avvenuto definitivamente”.

Nel caso di specie, si trattava della disciplina degli effetti della sopraelevazione intrapresa sotto il vigore dell'art. 1127 c.c., per cui, dalla teoria del fatto compiuto, discende pianamente che l'obbligo di corrispondere l'indennità di sopraelevazione si applica indistintamente a tutte le sopraelevazioni successive all'entrata in vigore del codice civile del 1942, poiché il nuovo diritto disciplina queste ultime in sé e per sé considerate, indipendentemente da ciò che dispongano o non dispongano gli “atti di provenienza” anteriori.

Riferimenti

Bova, Il diritto di sopraelevazione e l'indennità ex art. 1127 c.c., in Rass. dir. civ., 2010, 1054;

Cusmai - Gregoraci, Condominio: diritto di sopraelevazione e relativa indennità, in Ventiquattrore avvocato, 2009, fasc. 12, 43;

Izzo, L'indennità di sopraelevazione spetta anche per l'aumento della superficie o della volumetria dell'intervento edilizio effettuato dal condomino dell'ultimo piano, in Corr. giur., 2008, 654;

Cusano, Il diritto all'indennità di sopraelevazione in condominio, in Arch. loc. e cond., 2007, 251;

Tamma, Diritto di sopraelevazione ed indennità ex art. 1127 c.c., in Notariato, 2006, 483;

Ferorelli, Proprietà della colonna d'aria soprastante e indennità di sopraelevazione, in Giur. it., 2005, 1600;

Bianco, Osservazioni sul diritto di sopraelevazione e relativa indennità, in Giur. it., 1989, I, 1, 549.

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