La Cassazione torna a ribadire le differenze tra il regime del 41-bis e le misure di prevenzione personali

Lorenzo Cattelan
20 Marzo 2023

La questione affrontata dalla Suprema Corte involge il tema della natura giuridica del regime detentivo differenziato di cui all'art. 41-bis ord. penit. e alla conseguente individuazione dell'Autorità competente all'emanazione del relativo provvedimento di sottoposizione al regime in parola.
Massima

Il regime di detentivo differenziato di cui all'art. 41-bis legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà) è strutturalmente diverso da qualsiasivoglia tipologia di misura di prevenzione personale. L'art. 41-bis ord. penit., infatti, postula la ricorrenza di condizioni oggettive di emergenza e sicurezza pubbliche ed altre soggettive riguardanti il detenuto, oltre che la perdurante esistenza ed operatività dell'organizzazione cui egli appartiene. Diversamente, le misure di prevenzione vengono imposte per fronteggiare il rischio della commissione di reati nei confronti di chi sia ritenuto pericoloso in dipendenza, non necessariamente di condanne o di misure cautelari, ma dello stile di vita.

Il caso

M.D. subiva la restrizione carceraria in virtù di un'ordinanza applicativa di misura cautelare emessa dal G.i.p. del Tribunale di Palermo nel maggio 2018 per il delitto di partecipazione ad associazione di tipo mafioso, con ruolo apicale. In particolare, al detenuto veniva contestato di appartenere a cosa nostra e di rappresentare il vertice del nucleo mafioso operante a Mazara del Vallo.

Alla custodia cautelare seguiva, nel febbraio 2019, l'applicazione del regime di cui all'art. 41-bis ord. penit. Il provvedimento desumeva l'intraneità associativa del detenuto dal legame parentale con un affiliato coinvolto nell'attentato a Maurizio Costanzo nonché dalla sua presunta designazione quale capo mandamento da soggetti molto vicini a Totò Riina (che aveva trascorso proprio a Mazara del Vallo una parte considerevole della sua latitanza).

Avverso il decreto del Ministro della Giustizia, i legali del soggetto ristretto proponevano reclamo evidenziando l'infondatezza del provvedimento amministrativo e assumendo la mancanza di elementi certi a documentare il contestato ruolo di referente locale della cosca mafiosa.

Il Tribunale di sorveglianza di Roma respingeva le doglianze della difesa con ordinanza del giugno 2020. Successivamente, la Corte di cassazione rilevava una violazione del principio del contraddittorio ed annullava con rinvio la decisione restituendo gli atti al Tribunale di sorveglianza di Roma per un nuovo esame.

Per la seconda volta, quindi, l'adito Tribunale riteneva il provvedimento ministeriale immune da ogni eccezione.

Di qui il nuovo ricorso per cassazione che si concludeva con la sentenza oggetto del presente contributo.

La questione

Il regime di carcere duro ha funzione di aggravamento della pena oppure costituisce un esempio sostanziale di misura di prevenzione?

Ulteriori questioni collegate a quella principale:

La misura del 41-bis ord. penit. deve essere preceduta da un procedimento giurisdizionalizzato?

È conforme al dato costituzionale la norma sul regime detentivo speciale nella parte in cui assegna al Ministro della giustizia, e non all'autorità giudiziaria, la competenza a disporre la relativa applicazione o proroga?

Le soluzioni giuridiche

Un primo orientamento, a dire il vero minoritario (più volte confutato dalla giurisprudenza anche costituzionale), postula la piena equiparazione per natura giuridica, funzione e disciplina tra la sospensione dell'applicazione delle regole del regime detentivo ordinario e le misure di prevenzione personali. Conseguentemente «l'art. 41-bis ord. penit. violerebbe le norme di cui agli artt. 2, 3, 13, 24, 111 e 117 Cost., nella parte in cui assegna all'autorità ministeriale, e non a quella giudiziaria, la competenza ad emettere una misura che, per natura giuridica e finalità, oltre che per l'interpretazione della giurisprudenza di legittimità e dottrinale, rientra nel novero delle misure di prevenzione personale (cfr. ord. n. 2/56, n. 23/64, n. 68/64; ord. 12 novembre 1987 n. 384, ord. n. 499/1987). Il regime differenziato costituirebbe una "misura di "prevenzione", priva della funzione di aggravamento della pena e la disciplina positiva confermerebbe che il regime ex art. 41-bis ord. penit. presenta le caratteristiche ontologicamente proprie della misura di prevenzione personale. Quanto ai presupposti, richiede una forma di pericolosità sociale in soggetti che non devono necessariamente essere stati già definitivamente condannati, potendo essere sottoposti anche a sola misura cautelare custodiale, e negli effetti l'applicazione del regime detentivo differenziato limita i diritti di libertà personale del soggetto».

La soluzione sposata dalla decisione in commento, che a dire il vero ribadisce gli approdi di numerose pronunce della Corte di cassazione (Cass. pen., sez.I, 6 dicembre 2015, n. 18791, Caporrimo, Rv. 263508; Cass. pen., sez. I, n. 50723/2014; Cass. pen., sez. I, 27 novembre 2017, n. 3447, Tagliavia; Cass. pen., sez. I, 22 giugno 2020, n. 29143, Libri), individua invece plurimi profili di differenza tra gli istituti a raffronto quanto a presupposti giustificativi e funzioni. In sintesi:

- l'art. 41-bis ord. pen. postula la ricorrenza di condizioni oggettive di emergenza e sicurezza pubbliche ed altre soggettive riguardanti il detenuto, derivanti dalla condanna o dalla sottoposizione a misura coercitiva custodiale per reati di particolare gravità e motivo di allarme sociale, oltre che la perdurante esistenza ed operatività dell'organizzazione cui egli appartiene. Diversamente, le misure di prevenzione vengono imposte per fronteggiare il rischio della commissione di reati nei confronti di chi sia ritenuto pericoloso in dipendenza, non necessariamente di condanne o di misure cautelari, ma dello stile di vita.

- Il regime detentivo differenziato – selettivamente applicato a coloro di essi che presentino caratteristiche personali e specifiche di pericolosità – riguarda l'esecuzione della pena nei confronti di quei detenuti che manifestino capacità di mantenere collegamenti con le associazioni di appartenenza e di trasmettere ordini e direttive all'esterno del carcere, e comporta una limitazione dei diritti soggettivi, non già la loro radicale privazione.

Proprio alla luce di tale considerazione va escluso che la norma di cui all'art. 41-bis si ponga in contrasto con i principi di cui agli artt. 2 e 3 Cost. e che sussista una riconoscibile e censurabile disparità di trattamento, rispetto al sistema delle misure di prevenzione, sotto il profilo dell'adozione del provvedimento impositivo di tale regime o della sua proroga da parte dell'autorità amministrativa, anziché per decisione giudiziale come, invece, previsto per le misure di prevenzione.

- Non sussiste nemmeno il denunciato contrasto tra l'art. 41-bis ord. penit. ed i parametri costituzionali di cui agli artt. 111 e 117 Cost. poiché, sebbene il regime detentivo differenziato sia imposto con provvedimento amministrativo, lo stesso, anche se sia autorizzata la proroga, deve essere supportato da autonoma e congrua motivazione in ordine alla permanenza dei pericoli per l'ordine e la sicurezza pubblica e la possibilità del suo riesame in funzione della tutela del sottoposto, ammesso ad esercitare il diritto di difesa senza limitazioni. Tale tutela è assicurata in sede giurisdizionale mediante la previsione dell'istituto del reclamo innanzi all'autorità giudiziaria ordinaria, che provvede all'esito della procedura camerale partecipata.

Sul piano processuale, la Cassazione, con la sentenza in commento, prende anche l'occasione per evidenziare che le questioni di legittimità costituzionale ben possono essere proposte anche in sede di giudizio di rinvio. Nel caso di specie la Suprema Corte aveva disposto l'annullamento senza rinvio per ragioni processuali ed in particolare per violazione della regola del contraddittorio di cui all'art. 666, comma 4, c.p.p., essendo la decisione del Tribunale di Sorveglianza stata operata in assenza del difensore non ritualmente citato per l'udienza in camera di consiglio.

Tanto esposto, i giudici hanno confermato la decisione del Tribunale di Sorveglianza, che ben ha motivato in punto di pericolosità qualificata e collegamenti attuali col contesto mafioso di appartenenza. In questi termini, peraltro, già il decreto ministeriale evidenziava: il ruolo di vertice ricoperto dal ricorrente nella cosca mafiosa operante nel territorio di Mazara del Vallo di intensità tale da riproporsi anche in ambiente carcerario, i rapporti con esponenti criminali vicini a Salvatore Riina, nonché la rete locale di affiliati che ha peraltro favorito la latitanza di Matteo Messina Denaro.

Osservazioni

Sono di particolare rilevanza alcuni aspetti sottesi al ragionamento delle Cassazione nella decisione in esame:

  • la natura “ibrida” dell'istituto del regime ex art. 41-bis ord. penit.;
  • la legittimità dell'intervento del Ministro in ordine alla fase applicativa del regime differenziato, attesa la ratio di fornire un trattamento penitenziario individualizzato già potenzialmente ricompreso nel quantum di privazione della libertà personale conseguente allo stato di detenzione;
  • la legittimità complessiva del regime previsto dall'art. 41-bis ord. penit.

In relazione a tali argomenti, possono svolgersi alcune precisazioni a margine.

Come noto, il nucleo di disposizioni di cui agli artt. 4-bis, 41-bis, 58-quater ord. penit. rappresentano “simbolicamente” gli strumenti normativi con cui lo Stato ha deciso di combattere la criminalità organizzata, come se cercasse dall'esecuzione penitenziaria, ormai ex post, risposte che, a livello istituzionale, il diritto penitenziario non è in grado di fornire e non dovrebbe nemmeno essere chiamato a dare (C. Fiorio).

In relazione al regime del 41-bis ord. penit., sia la giurisprudenza costituzionale sia quella europea si sono mostrate prudenti, astenendosi dal prendere una decisione definitiva in merito alla legittimità del regime ed evitando di dichiarare non conforme agli standard di tutela dei diritti umani la previsione di restrizioni così limitative della libertà personale.

Ad una lettura complessiva della giurisprudenza europea emergono alcuni punti fermi. Se, infatti, con il leading case Labita c. Italia, la Corte di Strasburgo conferma l'astratta compatibilità del regime di detenzione speciale rispetto all'art. 3 CEDU, si richiede, in ogni caso, il rispetto della dignità del detenuto e della sua salute psico-fisica. Un altro punto fermo concerne il tipo di valutazione che deve essere effettuata dalla Corte: l'accertamento della compatibilità del regime viene, infatti, effettuata in relazione al singolo caso concreto e sulla base delle caratteristiche fisiche e psichiche del detenuto, alla tipologia e alla durata delle restrizioni imposte, alla loro funzionalità rispetto agli obiettivi di prevenzione, alle conseguenze che esso produce sulla persona che vi è sottoposta. Con riguardo, inoltre, all'esame della disciplina trattamentale, la Corte EEDU si è soffermata sulle previsioni che presentano degli automatismi applicativi, il leading case è dato dalla sentenza pilota pronunciata nei confronti della Bulgaria (nel caso Harakchiev e Tolumov c. Bulgaria, dell'8 luglio 2014), con cui la Corte ha ordinato di rimuovere l'automatismo applicativo del regime di detenzione speciale per i condannati all'ergastolo e di limitare l'utilizzazione del regime ai soli detenuti che presentino una pericolosità concretamente accertata.

In definitiva, a rileggere le argomentazioni della Cassazione, l'istituto del 41-bis può essere considerato un “ibrido”, collocato a metà strada tra le misure di prevenzione personali, con cui condivide le istanze preventive di sicurezza e difesa sociale, e le misure di sicurezza, attesa la necessaria ricorrenza di condizioni oggettive di emergenza e sicurezza pubbliche ed altre soggettive riguardanti il detenuto, derivanti dalla pericolosità sociale dell'autore, indice della permanenza di collegamenti con la consorteria criminale di appartenenza.

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