Per il condannato la libertà vigilata è la prosecuzione della pena originaria

Redazione Scientifica
12 Aprile 2023

La libertà vigilata, quando applicata al condannato ammesso alla liberazione condizionale, non è una misura di sicurezza e neppure una sanzione aggiuntiva, ma la prosecuzione, in forme meno afflittive, della pena già subìta in origine.

Lo ha affermato la Corte costituzionale con la sentenza nella quale si legge che «liberazione condizionale e libertà vigilata costituiscono infatti un tutt'uno, e si delineano, unitamente considerate, come una misura alternativa alla detenzione». La libertà vigilata è dunque una sorta di “prova in libertà” «finalizzata, analogamente alle altre modalità di esecuzione extra-muraria della pena, a favorire il graduale reinserimento del condannato nella società».

La Consulta ha dunque dichiarato infondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Tribunale di sorveglianza di Firenze in relazione agli artt. 177, comma 2 c.p. e 230, comma 1, n. 2), c.p. Il giudice a quo aveva sollevato questione di costituzionalità in relazione al principio di ragionevolezza e al principio della finalità rieducativa della pena in quanto: «prevedono l'obbligatoria applicazione della libertà vigilata al condannato all'ergastolo ammesso alla liberazione condizionale; ne stabiliscono la durata nella misura fissa di cinque anni; non consentono al magistrato di sorveglianza di far cessare anticipatamente l'esecuzione della misura».

La sentenza chiarisce che la disciplina censurata non determina alcun “automatismo irragionevole”. Il periodo di libertà vigilata ha infatti «l'obiettivo di verificare la tenuta della prognosi di “sicuro ravvedimento” già effettuata in sede di concessione della liberazione condizionale e consente l'espiazione, in forma meno afflittiva, della pena così sostituita. Non è irragionevole che ciò avvenga per un periodo fisso, poiché la pena originariamente inflitta è già stata commisurata, questa sì doverosamente, alle specificità della situazione concreta. Del resto, l'ammissione alla liberazione condizionale dischiude l'accesso alla definitiva estinzione della pena, una volta che ne sia decorsa l'intera durata. Per il condannato all'ergastolo, che può accedere alla libertà condizionale solo dopo aver trascorso in carcere 26 anni, il periodo di libertà vigilata non può che avere una durata prestabilita e fissa, ed è accompagnato da prescrizioni ed obblighi modulabili ad opera della magistratura di sorveglianza, alla luce delle peculiarità del caso concreto e del principio costituzionale di risocializzazione previsto dall'articolo 27 della Costituzione».

*Fonte: DirittoeGiustizia

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