Il consenso informato di interdetti, inabilitati e beneficiari di amministrazione di sostegno1. Bussole di inquadramentoTutto o quasi tutto ormai si sa, dall'angolo visuale dei grandi principi, e con riguardo ai profili della responsabilità e del risarcimento, del consenso informato in medicina. Questa formula – non troppo perspicua, quale traduzione del corrispondente statunitense informed consent, giacché non è certo plausibile un consenso disinformato – richiama alla mente di chiunque, tra i giuristi, i principi degli artt. 13 e 32 Cost., il Trattato di Lisbona, la Convenzione di Oviedo ed il codice di deontologia medica, in forza dei quali il trattamento sanitario eseguito in mancanza di consenso informato è perciò stesso fonte di responsabilità sanitaria, quantunque nessun errore medico in senso proprio sia stato in effetti commesso; e ciò perché la mancanza del consenso informato costituisce violazione del diritto inviolabile all'autodeterminazione del paziente (v. in proposito già Cass. S.U., n. 26972/2008, in tema di danno non patrimoniale). Qui occorre soffermarsi sul particolare caso che il consenso informato debba essere prestato per l'esecuzione di interventi sanitari su interdetti, inabilitati e beneficiari di amministrazione di sostegno. 2. Questioni e orientamenti giurisprudenziali
Domanda
Chi deve prestare il consenso in caso di interdetti e inabilitati?
La materia è stata oggetto di una progressiva evoluzione, che ha condotto all'assetto normativo attualmente vigente In passato la S.C. aveva negato che al tutore spettasse un potere in ordine alla manifestazione del consenso informato: « È inammissibile il ricorso proposto dal tutore di un'interdetta, la quale versa da molti anni in stato meramente vegetativo, affinché le sia sospesa l'alimentazione artificiale, perché l'ordinamento non attribuisce al tutore un generale potere di rappresentanza nei riguardi degli atti personalissimi, per i quali occorre che sia nominato un curatore speciale, ai sensi dell'art. 78 c.p.c., quale necessario contraddittore nel giudizio » (Cass. n. 8291/2005). L'art. 3 l. 22 dicembre 2017, n. 219, rubricato: «Minori e incapaci», stabilisce che: «1. La persona minore di età o incapace ha diritto alla valorizzazione delle proprie capacità di comprensione e di decisione, nel rispetto dei diritti di cui all'articolo 1, comma 1. Deve ricevere informazioni sulle scelte relative alla propria salute in modo consono alle sue capacità per essere messa nelle condizioni di esprimere la sua volontà. ... 3. Il consenso informato della persona interdetta ai sensi dell'articolo 414 del codice civile è espresso o rifiutato dal tutore, sentito l'interdetto ove possibile, avendo come scopo la tutela della salute psicofisica e della vita della persona nel pieno rispetto della sua dignità. 4. Il consenso informato della persona inabilitata è espresso dalla medesima persona inabilitata. Nel caso in cui sia stato nominato un amministratore di sostegno la cui nomina preveda l'assistenza necessaria o la rappresentanza esclusiva in ambito sanitario, il consenso informato è espresso o rifiutato anche dall'amministratore di sostegno ovvero solo da quest'ultimo, tenendo conto della volontà del beneficiario, in relazione al suo grado di capacità di intendere e di volere. 5. Nel caso in cui il rappresentante legale della persona interdetta o inabilitata oppure l'amministratore di sostegno, in assenza delle disposizioni anticipate di trattamento (DAT) di cui all'articolo 4, o il rappresentante legale della persona minore rifiuti le cure proposte e il medico ritenga invece che queste siano appropriate e necessarie, la decisione è rimessa al giudice tutelare su ricorso del rappresentante legale della persona interessata o dei soggetti di cui agli artt. 406 ss. c.c. o del medico o del rappresentante legale della struttura sanitaria». Opportunamente, nulla precisa la nuova legge con riguardo al regime giuridico degli interdetti legali, giacché l'incapacità d'agire in forma sanzionatoria che li riguarda è parziale in quanto limitata «alla disponibilità e all'amministrazione dei beni» (art. 32, comma 4, c.p.), con la conseguenza che l'interdetto legale è capace di esprimere autonomamente consenso o dissenso al trattamento medico che lo concerne. Quanto all'interdetto o inabilitato, le disposizioni trascritte si collocano in armonia con la disciplina di interdizione e inabilitazione, anche se la frase che apre il comma 5 («Nel caso in cui il rappresentante legale della persona interdetta o inabilitata») contiene un errore, dal momento che l'inabilitato non ha un rappresentante legale: l'inabilitato vede limitata la sua capacità di agire, perché può compiere da solo gli atti di ordinaria amministrazione, mentre per gli atti di straordinaria amministrazione deve essere assistito da un curatore, non da un tutore che abbia veste di rappresentante legale. Poiché l'inabilitato subisce limitazioni di capacità di tipo soltanto patrimoniale, la sua capacità di prestare personalmente il consenso al trattamento sanitario non è pregiudicata: sicché ben si spiega il precetto secondo cui: «Il consenso informato della persona inabilitata è espresso dalla medesima persona inabilitata». Egualmente, l'attribuzione del potere di prestare il consenso informato al tutore si conforma alla previsione dell'art. 357 c.c., richiamato dall'art. 424 c.c. per l'interdizione, secondo il quale il tutore «ha la cura della persona» incapace. In passato, la giurisprudenza riteneva che l'interruzione di trattamenti salvavita richiedesse la preventiva autorizzazione del giudice, al fine di verificare la corrispondenza della scelta del rappresentante all'interesse dell'incapace (Cass. n. 21748/2007, secondo cui «l'intervento del giudice esprime una forma di controllo della legittimità della scelta nell'interesse dell'incapace; e, all'esito di un giudizio effettuato secondo la logica orizzontale compositiva della ragionevolezza, la quale postula un ineliminabile riferimento alle circostanze del caso concreto, si estrinseca nell'autorizzare o meno la scelta compiuta dal tutore»; Trib. Cagliari 16 luglio 2016): preventiva autorizzazione che oggi non è prevista in presenza di disposizioni anticipate di trattamento.
Domanda
Chi deve prestare il consenso in caso di beneficiari di amministrazione di sostegno?
L'orientamento della giurisprudenza Con riguardo al consenso al trattamento sanitario del beneficiario di amministrazione di sostegno, si è affermata la soluzione, già patrocinata dalla giurisprudenza (Trib. Modena 18 marzo 2016; App. Roma 12 aprile 2007, n. 1721; Trib. Modena 28 giugno 2004; Trib. Milano 11 marzo 2005; Trib. Cosenza 28 ottobre 2004; Trib. Roma 19 marzo 2004), in forza della quale il consenso informato compete anche dall'amministratore di sostegno, nei limiti in cui il decreto di nomina lo preveda. Ove l'amministratore di sostegno abbia compiti di assistenza nella prestazione del consenso al trattamento sanitario, occorre, in applicazione della norma vigente, che beneficiario e amministratore manifestino posizioni concordi, mentre, in caso di contrasto, si rende necessario il ricorso al giudice tutelare ai sensi dell'ultimo comma della disposizione già citata. Ove l'amministratore di sostegno sia titolare di un potere di autonoma decisione in materia, egli deve nondimeno tener conto delle eventuali residue capacità del beneficiario dell'amministrazione, sia in applicazione dell'art. 3, comma 1, già citato, sia in forza della norma di base che regola la materia, ossia l'art. 410 c.c., secondo cui l'amministratore di sostegno «deve tener conto dei bisogni e delle aspirazioni del beneficiario», con conseguente facoltà del beneficiario, del pubblico ministero e degli altri soggetti di cui all'art. 406 c.c. di ricorrere al giudice tutelare. Quanto al procedimento di cui all'art. 3, comma 5, manca ogni indicazione di carattere processuale, sicché occorre far riferimento alla ampia giurisprudenza, in buona parte di merito, formatasi in materia di amministrazione di sostegno. Una notazione, tuttavia, merita l'omissione dell'indicazione, tra i soggetti legittimati ad adire il giudice tutelare ai sensi dell'art. 3, comma 5, della parte dell'unione civile. Per la verità è difficile credere che si sia trattato di una scelta razionale dovuta alla volontà del legislatore di escludere tali soggetti dal numero dei legittimati, tanto più ove si consideri che la norma richiama i soggetti indicati dall'art. 406 c.c., che a propria volta rinvia all'art. 417 c.c. e dunque indirettamente elenca la «persona stabilmente convivente». Sicché, in un modo o nell'altro, bisogna pervenire ad un'interpretazione correttiva della norma, che sarebbe altrimenti sospettabile di incostituzionalità: il modo più semplice di farlo sembra essere il ricorso all'art. 1, comma 20, l. n. 76/2016, secondo cui: «le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e le disposizioni contenenti le parole “coniuge”, “coniugi” o termini equivalenti, ovunque ricorrono nelle leggi... si applicano anche ad ognuna delle parti dell'unione civile». È ben vero che la norma prosegue stabilendo che essa «non si applica alle norme del codice civile non richiamate espressamente nella presente legge»: ma, in effetti, in questo caso non si interviene sul codice civile, ma su una legge speciale.
Domanda
Quali regole processuali si applicano in caso di contrasto tra legale rappresentante e medico?
Orientamenti giurisprudenziali In un provvedimento organizzativo del tribunale di Mantova del 13 aprile 2018, si afferma che all'incidente concernente il contrasto tra legale rappresentante e medico sulle cure da praticare all'incapace (art. 3, comma 5, l. n. 219/2017), si applicano le forme camerali (artt. 737 e ss. c.p.c.). La decisione conclusiva è trasfusa in un decreto (art. 43 disp. att. c.c.), reclamabile al tribunale in formazione collegiale (art. 45 disp. att. c.c.). Dal punto di vista della competenza territoriale, il ricorso va depositato innanzi al giudice del luogo dove ha domicilio il rappresentato; non è prevista la partecipazione obbligatoria del p.m.; va assicurato il rispetto del principio del contraddittorio, sebbene non sia necessaria la fissazione di un'udienza. 3. Azioni processualiUlteriori azioni processuali Per la fattispecie in esame è, in alternativa, esperibile il Ricorso ex art. 281-undecies c.p.c. (Procedimento semplificato di cognizione). Aspetti preliminari Mediazione Le cause di risarcimento del danno da responsabilità medico-sanitaria rientrano tra quelle elencate dall'art. 5 d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria» (Parte I – La responsabilità medica in generale). Accertamento tecnico preventivo diretto alla conciliazione della lite Con la legge Gelli-Bianco è stato inoltre previsto un diverso congegno volto alla definizione conciliativa della lite ed alternativo alla mediazione, ossia l'accertamento tecnico preventivo diretto alla composizione della lite, previsto dall'art. 696-bis c.p.c. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria» (Parte I – La responsabilità medica in generale). L'alternativa tra mediazione e consulenza tecnica preventiva Sia la consulenza tecnica preventiva che la mediazione perseguono lo stesso scopo, ossia la definizione conciliativa della lite, con conseguente effetto deflattivo sul contenzioso civile. Tra i due strumenti sussistono similitudini e diversità, che possono rendere preferibile l'uno o l'altro. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria» (Parte I – La responsabilità medica in generale). Competenza per territorio La legge Gelli Bianco ha inquadrato la responsabilità della struttura sanitaria nell'ambito della responsabilità contrattuale, il che va considerato ai fini dell'individuazione del giudice presso cui si radica la competenza territoriale per le cause in materia di responsabilità medica. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria» (Parte I – La responsabilità medica in generale). Competenza per valore La competenza per valore del giudice di pace si determina in base ai criteri indicati dall'art. 7, comma 1, c.p.c. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria» (Parte I – La responsabilità medica in generale). Rito applicabile La domanda di risarcimento del danno per responsabilità medica può essere proposta con atto di citazione, nelle forme del procedimento ordinario di cognizione, ovvero con ricorso nelle forme del procedimento semplificato di cognizione. La scelta è libera, però, solo se si avvia la mediazione e questa non conduce alla soluzione della lite. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria» (Parte I – La responsabilità medica in generale). Legittimazione attiva e passiva Il paziente che si assume danneggiato, ovvero i suoi congiunti in caso di morte (ovvero gli ulteriori legittimati, unitamente al paziente), può agire in via risarcitoria nei confronti della struttura sanitaria, nei confronti dell'«esercente la professione sanitaria, nei confronti dell'impresa di assicurazione della struttura ovvero dell'esercente. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria» (Parte I – La responsabilità medica in generale). Contenuto dell'atto introduttivo Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria» (Parte I – La responsabilità medica in generale). 4. ConclusioniOve l'amministratore di sostegno abbia compiti di assistenza nella prestazione del consenso al trattamento sanitario, occorre che beneficiario e amministratore manifestino posizioni concordi, mentre, in caso di contrasto, si rende necessario il ricorso al giudice tutelare. Anche nel caso in cui l'amministratore di sostegno sia titolare di un potere di autonoma decisione in materia, egli deve nondimeno tener conto delle eventuali residue capacità del beneficiario dell'amministrazione. |