Il consenso informato in chirurgia estetica1. Bussole di inquadramentoTutto o quasi tutto ormai si sa, dall'angolo visuale dei grandi principi, e con riguardo ai profili della responsabilità e del risarcimento, del consenso informato in medicina. Questa formula – non troppo perspicua, quale traduzione del corrispondente statunitense informed consent, giacché non è certo plausibile un consenso disinformato – richiama alla mente di chiunque, tra i giuristi, i principi degli artt. 13 e 32 Cost., il Trattato di Lisbona, la Convenzione di Oviedo ed il codice di deontologia medica, in forza dei quali il trattamento sanitario eseguito in mancanza di consenso informato è perciò stesso fonte di responsabilità sanitaria, quantunque nessun errore medico in senso proprio sia stato in effetti commesso; e ciò perché la mancanza del consenso informato costituisce violazione del diritto inviolabile all'autodeterminazione del paziente (v. in proposito già Cass. S.U., n. 26972/2008, in tema di danno non patrimoniale). Vi sono però casi in cui il problema del consenso informato assume caratteristiche peculiari: uno di questi è quello della chirurgia estetica. 2. Questioni e orientamenti giurisprudenziali
Domanda
La chirurgia estetica presenta aspetti peculiari rispetto alla medicina in generale?
Orientamento della Suprema Corte Della chirurgia estetica si tornerà a parlare in un apposito paragrafo: qui, in vista della trattazione del tema del consenso informato, sarà sufficiente osservare che chirurgia estetica è compresa nel campo della chirurgia plastica: ma, mentre quest'ultima è diretta a ripristinare preesistenti condizioni di integrità fisica, colpita da malattie o altri eventi traumatici, la chirurgia estetica interviene in difetto di una preesistente lesione dell'integrità fisica (a meno di non voler considerare in tal senso eventi naturali come le rughe portate dal procedere degli anni o la caduta dei capelli) allo scopo di migliorare il proprio aspetto fisico. La chirurgia estetica, in giurisprudenza, è stata fatta oggetto dell'applicazione di regole talora distinte da quelle operanti in generale nell'ambito medico, in particolare distinguendo quanto a natura l'obbligazione gravante sul chirurgo estetico. Mentre le altre branche della medicina mirano difatti a preservare e tutelare la salute nella prospettiva segnata dall'art. 32 Cost., la chirurgia estetica non è diretta alla cura di una malattia, ma alla soddisfazione di un'esigenza talora addirittura frivola, tale, addirittura, da entrare potenzialmente in conflitto con il precetto dettato dall'art. 5 c.c., che vieta gli atti di disposizione del proprio corpo cagionino una diminuzione permanente della integrità fisica, o quando siano altrimenti contrari alla legge, all'ordine pubblico o al buon costume. Nel corso del tempo, tuttavia, la considerazione della chirurgia estetica è in gran parte mutata, il che è dipeso dall'affermarsi di una nozione iperdilatata ed ideologica di salute, identificata in uno «stato di completo benessere fisico, psichico e sociale della persona che non consiste soltanto ed esclusivamente nell'assenza di malattie o infermità»: il che finisce per rendere legittimo a qualunque età il desiderio di chiome fluenti, seni prosperosi, labbra turgide e quant'altro, aspirazione non di rado confinante con una ― essa sì ― malattia, che porta il nome di dismorfofobia. Ciò nondimeno, la S.C. ha osservato già oltre un quarto di secolo fa che la «la funzione tipica della professione medica, individuata nella cura del paziente al fine precipuo di vincere la malattia, di ridurne gli effetti pregiudizievoli o, quanto meno, di lenire le sofferenze che produce salvaguardando e tutelando la vita, non esclude la legittimità della chirurgia estetica che – a prescindere dalle turbe psicologiche che potrebbero derivare da una dilatata considerazione degli aspetti sgradevoli del proprio corpo – tende a migliorare esclusivamente l'estetica» (Cass. n. 10014/1994). Rimane fermo però che un conto è la malattia un conto gli inestetismi della cellulite e roba del genere; nel caso di una donna sottopostasi ad intervento chirurgico per correggere l'aspetto non gradito dell'addome, dorso, ginocchia, cosce, e seno, ed insomma per ottenere una sorta di ristrutturazione totale, la S.C. ha osservato che: «Non v'è dubbio che l'insulto estetico, tuttavia da rapportarsi all'età e alle pregressa condizione estetica della P.C., possa essere causa di responsabilità non patrimoniale, da fonte contrattuale ed extracontrattuale, ove ne sussistano tutte le condizioni. Esso, però, non può essere confuso con lo stato di malattia richiesto dalla legge penale perché resti integrato il delitto di lesioni» (Cass. pen., n. 47265/2012). Con la chirurgia estetica, insomma, «il paziente insegue un risultato non declinabile in termini di tutela della salute» (Cass. n. 12830/2014).
Domanda
Quali sono i caratteri del consenso informato in chirurgia estetica?
Si tratta di un consenso informato rafforzato Il chirurgo estetico deve preventivamente informare come d'ordinario il paziente di tutte le modalità attraverso le quali l'intervento si svolgerà, con le possibilità di successo. In più di un'occasione, però, la S.C. ha attribuito al consenso informato un rilievo particolare in chirurgia estetica. Già Cass. n. 9705/1997 aveva stabilito che, in tema di terapia chirurgica, il dovere di informazione che grava sul sanitario è funzionale al consapevole esercizio, da parte del paziente, del diritto, che la stessa Carta cost., agli art. 13 e 32, comma 2, a lui solo attribuisce (salvi i casi di trattamenti sanitari obbligatori per legge o di stato di necessità), alla scelta di sottoporsi o meno all'intervento terapeutico. In particolare, dalla peculiare natura del trattamento sanitario volontario scaturisce, al fine di una valida manifestazione di consenso da parte del paziente, la necessità che il professionista lo informi dei benefici, delle modalità di intervento, dell'eventuale possibilità di scelta tra diverse tecniche operatorie e, infine, dei rischi prevedibili in sede post operatoria, necessità, quest'ultima, da ritenersi particolarmente pregnante nel campo della chirurgia estetica (ove è richiesta la sussistenza di concrete possibilità, per il paziente, di conseguire un effettivo miglioramento dell'aspetto fisico che si ripercuota favorevolmente sulla sua vita professionale o di relazione), con la conseguenza che la omissione di tale dovere di informazione genera, in capo al medico, nel caso di verificazione dell'evento dannoso, una duplice forma di responsabilità, tanto contrattuale quanto aquiliana; in una coeva pronuncia era stato stabilito che, in tema di responsabilità professionale del medico il contenuto dell'obbligo di informazione gravante sul professionista chiamato ad un'operazione di chirurgia plastica, ha consistenza diversa a seconda che l'intervento miri al miglioramento estetico del paziente ovvero alla ricostituzione delle normali caratteristiche fisiche, negativamente alterate dallo stesso paziente mediante interventi consapevolmente praticati sulla propria persona, dei cui esiti egli intenda comunque liberarsi, ritenendoli non più accettabili. Infatti dal momento che mentre nel primo caso, a parte i possibili rischi del trattamento per la vita o l'incolumità personale, il professionista deve prospettare realisticamente le possibilità di ottenimento del risultato perseguito, nel secondo caso (in cui trattasi propriamente di chirurgia plastica cosiddetta ricostitutiva) ferma la necessaria informazione sui rischi anzidetti, egli assolve ai propri obblighi ove renda edotto il paziente di quegli eventuali esiti che potrebbero rendere vana l'operazione non comportando in sostanza un effettivo miglioramento rispetto alla situazione preesistente (Cass. n. 3046/1997, la quale ha cassato per difetto di motivazione la sentenza di merito che aveva affermato la responsabilità di un medico per gli esiti cicatriziali conseguenti ad una operazione, correttamente eseguita sotto il profilo tecnico, di asportazione di numerosi tatuaggi, dal contenuto osceno e ripugnante, che il paziente aveva deciso di far rimuovere dato l'insopportabile disagio psicologico derivantegli dalla loro presenza una volta abbandonato lo stile di vita del periodo al quale essi risalivano); secondo Trib. Roma 14 febbraio 1995: «Il medico chirurgo è responsabile del risultato peggiorativo di un intervento di chirurgia estetica qualora violi il dovere d'informazione collegato ad una attività preliminare di diagnosi e diretto ad ottenere un consapevole consenso del paziente». In Cass. n. 12830/2014 è ribadita la distinzione fra chirurgia funzionale e chirurgia estetica quanto al contenuto del necessario consenso informato, ed è posta la distinzione tra interventi necessari non necessari. Gli interventi non necessari sono quelli miranti all'eliminazione d'inestetismi e non già alla cura di stati patologici dell'individuo derivanti da traumi oppure da malattie: in tal caso occorre un'informazione puntuale e dettagliata in ordine ai concreti effetti migliorativi del trattamento proposto, informazione funzionale alla scelta del paziente di accettare l'intervento pur se consapevole del rischio del peggioramento del suo aspetto. E dunque responsabile il chirurgo che, pur attenendosi alle leges artis nell'esecuzione dell'intervento, non abbia adeguatamente informato il paziente del possibile verificarsi di un persistente inestetismo (un'estesa cicatrice) in conseguenza di un intervento di chirurgia estetica volto, anche in questo caso, alla rimozione di un tatuaggio. In breve, la pronuncia ribadisce la distinzione fra intervento di chirurgia ricostruttiva e chirurgia estetica prevedendo, nel secondo caso, un dovere informativo maggiormente intenso in capo al chirurgo: poiché gli interventi estetici sono diretti a procurare un miglioramento dell'aspetto fisico, e non la guarigione da una malattia, occorre adeguare l'approfondimento dell'informazione, altrimenti limitato ai possibili rischi ed effetti dell'intervento prospettato, estendendolo alla realistica conseguibilità di un miglioramento effettivo dell'aspetto fisico. In caso di interventi necessari, dunque, spetta al paziente dimostrare che, se adeguatamente informato, avrebbe negato il consenso all'intervento e, solo in tale caso, egli potrà reclamare il risarcimento del danno patito; in caso di interventi non necessari la sola violazione del dovere informativo consente al paziente di pretendere il risarcimento del danno, poiché in detti interventi si presume che il consenso non sarebbe stato prestato se l'informazione fosse stata offerta in modo adeguato. Ancora un tatuaggio da rimuovere è oggetto di una decisione di legittimità che ha cassato la pronuncia di merito, la quale aveva ritenuto che il chirurgo non avesse adeguatamente informato il paziente: «Dalle risultanze processuali emerge che il paziente ... ha reso le seguenti dichiarazioni: “rispetto alla dermoabrasione tale cicatrice era esteticamente migliore ... Il dottor P. indicò con il proprio dito l'andamento dell'intervento, figurandolo sul mio deltoide; successivamente, con un pennarello, disegnò il taglio che con il bisturi avrebbe dovuto fare”. Pertanto il controricorrente, in sede di interrogatorio formale, ha riconosciuto di avere avuto con l'odierno ricorrente un dialogo specifico sul tema, ricevendo spiegazioni tecniche sui due diversi tipi di intervento al fine di valutare quello preferibile e ciò con riferimento specifico all'esito cicatriziale di entrambi. In sostanza, il paziente ha dichiarato di avere concordato, insieme al medico, l'intervento escludendo la dermoabrasione e preferendo la rimozione chirurgica, proprio in funzione del miglior esito cicatriziale (“tale cicatrice era esteticamente migliore”) e ricevendo indicazioni attraverso un disegno (“successivamente con un pennarello disegnò il taglio ... indicò con il proprio dito l'andamento dell'intervento figurandolo sul mio deltoide”). La decisione impugnata, al contrario, omette di considerare il riferimento specifico agli esiti cicatriziali» (Cass. n. 9806/2018). Così, anche nella giurisprudenza di merito è stato affermato che: «quando ad un intervento di chirurgia estetica consegua un inestetismo più grave di quello che si mirava ad eliminare o ad attenuare, all'accertamento che di tale possibile esito il paziente non era stato compiutamente e scrupolosamente informato, consegue ordinariamente la responsabilità del medico per il danno derivatone, quand'anche l'intervento sia stato correttamente eseguito» (Trib. Bari 19 febbraio 2018, n. 753). 3. Azioni processualiUlteriori azioni processuali Per la fattispecie in esame è, in alternativa, esperibile il Ricorso ex art. 281-undecies c.p.c. (Procedimento semplificato di cognizione). Aspetti preliminari Mediazione Le cause di risarcimento del danno da responsabilità medico-sanitaria rientrano tra quelle elencate dall'art. 5 d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria» (Parte I – La responsabilità medica in generale). Accertamento tecnico preventivo diretto alla conciliazione della lite Con la legge Gelli-Bianco è stato inoltre previsto un diverso congegno volto alla definizione conciliativa della lite ed alternativo alla mediazione, ossia l'accertamento tecnico preventivo diretto alla composizione della lite, previsto dall'art. 696-bis c.p.c. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria» (Parte I – La responsabilità medica in generale). L'alternativa tra mediazione e consulenza tecnica preventiva Sia la consulenza tecnica preventiva che la mediazione perseguono lo stesso scopo, ossia la definizione conciliativa della lite, con conseguente effetto deflattivo sul contenzioso civile. Tra i due strumenti sussistono similitudini e diversità, che possono rendere preferibile l'uno o l'altro. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria» (Parte I – La responsabilità medica in generale). Competenza per territorio La legge Gelli Bianco ha inquadrato la responsabilità della struttura sanitaria nell'ambito della responsabilità contrattuale, il che va considerato ai fini dell'individuazione del giudice presso cui si radica la competenza territoriale per le cause in materia di responsabilità medica. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria» (Parte I – La responsabilità medica in generale). Competenza per valore La competenza per valore del giudice di pace si determina in base ai criteri indicati dall'art. 7, comma 1, c.p.c. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria» (Parte I – La responsabilità medica in generale). Rito applicabile La domanda di risarcimento del danno per responsabilità medica può essere proposta con atto di citazione, nelle forme del procedimento ordinario di cognizione, ovvero con ricorso nelle forme del procedimento semplificato di cognizione. La scelta è libera, però, solo se si avvia la mediazione e questa non conduce alla soluzione della lite. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria» (Parte I – La responsabilità medica in generale). Legittimazione attiva e passiva Il paziente che si assume danneggiato, ovvero i suoi congiunti in caso di morte (ovvero gli ulteriori legittimati, unitamente al paziente), può agire in via risarcitoria nei confronti della struttura sanitaria, nei confronti dell'«esercente la professione sanitaria, nei confronti dell'impresa di assicurazione della struttura ovvero dell'esercente. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria» (Parte I – La responsabilità medica in generale). Contenuto dell'atto introduttivo Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria» (Parte I – La responsabilità medica in generale). 4. ConclusioniNel campo della chirurgia estetica l'acquisizione del consenso informato assume un rilievo particolarmente pregnante, in relazione alla sussistenza di concrete possibilità, per il paziente, di conseguire un effettivo miglioramento dell'aspetto fisico che si ripercuota favorevolmente sulla sua vita professionale o di relazione, con la conseguenza che la omissione di tale dovere di informazione genera, in capo al medico, nel caso di verificazione dell'evento dannoso, una duplice forma di responsabilità, tanto contrattuale quanto aquiliana. |