Comportamento colposo del paziente

Mauro Di Marzio

1. Bussole di inquadramento

L'art. 1227 c.c. stabilisce che: «Se il fatto colposo del creditore ha concorso a cagionare il danno, il risarcimento è diminuito secondo la gravità della colpa e l'entità delle conseguenze che ne sono derivate.

Il risarcimento non è dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l'ordinaria diligenza».

La norma, occorre subito rammentare, si applica anche nel campo aquiliano, poiché richiamata dall'art. 2056 c.c. In prevalenza, i due commi vengono considerati disgiuntamente: come affermativi, cioè, di due norme con sfere di applicazione differenti. Il comma 1 regola il concorso del soggetto leso nella determinazione dell'evento dannoso, predicando una ripartizione della responsabilità e, perciò, del risarcimento: e ciò perché l'evento lesivo è dovuto alla condotta di debitore e creditore, e quindi ad entrambi imputabile. Il comma 2 regola invece un momento successivo: verificatosi l'evento lesivo, il creditore subisce anche un ulteriore pregiudizio, che avrebbe potuto evitare tenendo una condotta diligente: di tali ulteriori danni il danneggiante non risponderebbe affatto, giacché la condotta del soggetto leso, come si suo dire, interrompe il nesso causale tra condotta lesiva imputabile al debitore e danno causato al creditore. Questa è l'interpretazione oggi ampiamente prevalente in dottrina e in giurisprudenza (Cass. S.U., n. 24406/2011; Cass. n. 545/1978; Cass. n. 564/2005; Cass. n. 2641/2013; Cass. n. 7777/2014).

Ora, pare intuitivo che, nel campo medico, abbia rilievo soprattutto il comma 2 dell'art. 1227 c.c., e non – almeno di regola – il comma 1, data la difficoltà di concepire un concorso del paziente nel determinare l'evento dannoso in concorso col medico. È viceversa facile pensare all'applicazione del comma 2 della stessa disposizione: si immagini l'ipotesi dell'intervento chirurgico perfettamente riuscito, ma che conduca poi ad una evoluzione peggiorativa dello stato del paziente che colposamente non abbia adempiuto specifiche prescrizioni impartitegli. E però, come subito si dirà, occorre in tal caso, appunto, che simili prescrizioni siano state chiaramente impartite.

2. Questioni e orientamenti giurisprudenziali

Domanda
Il medico deve informare il paziente della condotta da tenere ad intervento eseguito? 

Si, certamente

Il contenuto dell'informazione che il medico deve somministrare al paziente va riferito anche ai comportamenti che questi deve tenere successivamente all'intervento: ed in ciò il medico deve tener conto delle capacità di comprensione dell'interessato.

In un caso di intervento di vasectomia, cui era nondimeno seguito il concepimento di un bambino, a fronte dell'addebito al paziente di concorso di colpa, per non essersi sottoposto, dopo l'intervento, ad un esame di spermiografia consigliatogli dal medico, il giudice ha escluso il concorso di colpa del danneggiato per non avere indicato per iscritto al paziente la necessità di esecuzione di detto esame, al fine di verificare l'esito dell'operazione: secondo il giudice, il paziente non aveva – ovviamente – esperienza dell'intervento, il che «implicava la necessità di renderlo adeguatamente e, preventivamente, informato, e di prescrivere con chiarezza le indagini e gli esami necessari» (Trib. Milano 20 ottobre 1997, in Resp. civ. prev., 1998, 1144). Nell'occasione è stato precisato che «anche eventuali prescrizioni orali che fossero state date dal convenuto al paziente dovrebbero ritenersi del tutto inadeguate: non solo e non tanto per ciò che attiene al periodo di necessaria astinenza dopo l'intervento, quanto per l'indicazione in merito all'esame dello sperma»; ciò, in quanto «se il primo consiglio (...) appare di semplice comprensione da parte di chiunque, non altrettanto può dirsi per il secondo, che doveva essere necessariamente corredato da prescrizioni scritte», comprensive anche dell'indicazione dell'ente o della struttura presso cui eseguire l'esame.

Lo stesso principio, ma con esiti opposti, è stato affermato in un caso in cui una donna aveva subito un ictus cardioembolico: ha osservato la S.C. (Cass. n. 27612/2020) che la decisione di merito, la quale aveva rigettato la domanda avanzata dalla paziente di condanna della struttura sanitaria, era giudicata conforme ai principi relativi all'accertamento del nesso causale in tema di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria, secondo i quali «nei giudizi di risarcimento del danno da responsabilità medica, è onere del paziente dimostrare l'esistenza del nesso causale, provando che la condotta del sanitario è stata, secondo il criterio del più probabile che non, causa del danno, sicché, ove la stessa sia rimasta assolutamente incerta, la domanda deve essere rigettata» (Cass. n. 3704/2018; Cass. n. 18392/2017; Cass. n. 21008/2018; Cass. n. 26700/2018; Cass. n. 27606/2019; Cass. n. 28991/2019). Nella specie – ha ancora osservato la S.C. – la corte di appello, correttamente applicando i principi di diritto appena richiamati, ha escluso, in fatto, che la condotta dai sanitari che avevano in cura la donna potesse considerarsi causa dell'ictus cardioembolico. Ha infatti rilevato che la terapia anticoagulante prescritta dai medici era stata corretta, quanto meno fino all'ultimo controllo del 4 aprile 2007, e che la paziente aveva omesso di recarsi al controllo programmato per il 3 maggio 2007 allo scopo di verificare i suoi valori INR e di adeguare agli stessi la terapia. Essendo l'ictus cardio embolico sopravvenuto il 15 maggio 2007, ha concluso che l'evento era causalmente riconducibile esclusivamente all'omissione del suddetto controllo e quindi imputabile integralmente alla condotta della stessa paziente. Sempre in fatto, ha altresì ritenuto provato, in via presuntiva, che la paziente (in cura da oltre dieci anni presso il nosocomio e sempre sottoposta, in tutto tale periodo, a controlli almeno mensili) fosse stata adeguatamente informata dei rischi connessi all'omissione dei controlli in questione.

Riassumendo, il riconoscimento della sussistenza della responsabilità professionale del medico non implica, per ciò solo, l'automatica esclusione di un'eventuale responsabilità del paziente rilevante ai sensi dell'art. 1227 c.c., potendosi configurare una responsabilità concorrente del paziente nella causazione dell'evento lesivo laddove sia accertata l'effettuazione da parte dell'interessato di controlli clinici ad intervalli temporali ben più ampi di quelli consigliati dal tipo di terapia in corso di svolgimento (Cass. n. 11637/2014).

Domanda
È necessaria l'eccezione?

Gli orientamenti della giurisprudenza

In tema di risarcimento del danno, l'ipotesi del fatto colposo del creditore che abbia concorso al verificarsi dell'evento dannoso (di cui all'art. 1227 c.c., comma 1) va distinta da quella (disciplinata dal comma 2 della medesima norma) riferibile ad un contegno dello stesso danneggiato che abbia prodotto il solo aggravamento del danno senza contribuire alla sua causazione, giacché – mentre nel primo caso il giudice deve procedere d'ufficio all'indagine in ordine al concorso di colpa del danneggiato, sempre che risultino prospettati gli elementi di fatto dai quali sia ricavabile la colpa concorrente, sul piano causale, dello stesso – la seconda di tali situazioni forma oggetto di un'eccezione in senso stretto, in quanto il dedotto comportamento del creditore costituisce un autonomo dovere giuridico, posto a suo carico dalla legge quale espressione dell'obbligo di comportarsi secondo buona fede (Cass. n. 534/2011; Cass. n. 19218/2018).

3. Azioni processuali

Ulteriori azioni processuali

Per la fattispecie in esame è, in alternativa, esperibile il Ricorso ex art. 281-undecies c.p.c. (Procedimento semplificato di cognizione).

Aspetti preliminari: mediazione e accertamento tecnico preventivo

Mediazione

Le cause di risarcimento del danno da responsabilità medico-sanitaria rientrano tra quelle elencate dall'art. 5 d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria» (Parte I – La responsabilità medica in generale).

Accertamento tecnico preventivo diretto alla conciliazione della lite

Con la legge Gelli-Bianco è stato inoltre previsto un diverso congegno volto alla definizione conciliativa della lite ed alternativo alla mediazione, ossia l'accertamento tecnico preventivo diretto alla composizione della lite, previsto dall'art. 696-bis c.p.c. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria» (Parte I – La responsabilità medica in generale).

L'alternativa tra mediazione e consulenza tecnica preventiva

Sia la consulenza tecnica preventiva che la mediazione perseguono lo stesso scopo, ossia la definizione conciliativa della lite, con conseguente effetto deflattivo sul contenzioso civile. Tra i due strumenti sussistono similitudini e diversità, che possono rendere preferibile l'uno o l'altro. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria» (Parte I – La responsabilità medica in generale).

Competenza per territorio

La legge Gelli Bianco ha inquadrato la responsabilità della struttura sanitaria nell'ambito della responsabilità contrattuale, il che va considerato ai fini dell'individuazione del giudice presso cui si radica la competenza territoriale per le cause in materia di responsabilità medica. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria» (Parte I – La responsabilità medica in generale).

Competenza per valore

La competenza per valore del giudice di pace si determina in base ai criteri indicati dall'art. 7, comma 1, c.p.c. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria» (Parte I – La responsabilità medica in generale).

Rito applicabile

La domanda di risarcimento del danno per responsabilità medica può essere proposta con atto di citazione, nelle forme del procedimento ordinario di cognizione, ovvero con ricorso nelle forme del procedimento semplificato di cognizione. La scelta è libera, però, solo se si avvia la mediazione e questa non conduce alla soluzione della lite. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria» (Parte I – La responsabilità medica in generale).

Legittimazione attiva e passiva

Il paziente che si assume danneggiato, ovvero i suoi congiunti in caso di morte (ovvero gli ulteriori legittimati, unitamente al paziente), può agire in via risarcitoria nei confronti della struttura sanitaria, nei confronti dell'«esercente la professione sanitaria, nei confronti dell'impresa di assicurazione della struttura ovvero dell'esercente. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria» (Parte I – La responsabilità medica in generale).

Contenuto dell'atto introduttivo

Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria» (Parte I – La responsabilità medica in generale).

4. Conclusioni

Con la responsabilità del medico può concorrere quella del paziente secondo due diverse prospettive: sia incidendo sull'an della responsabilità (art. 1227, comma 1, c.c.), sia incidendo sul quantum della responsabilità (art. 1227, comma 2, c.c.), per i danni che il danneggiato avrebbe potuto evitare con uno sforzo di diligenza ordinario. È essenziale tenere a mente che il comma 1 della disposizione è oggetto di applicazione officiosa da parte del giudice, dal momento che attiene al momento stesso di individuazione della responsabilità del preteso danneggiante, mentre l'applicazione del comma 2 esige l'applicazione dell'eccezione di parte.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario