Le complicanze1. Bussole di inquadramentoIntendiamo per complicanza un evento che si verifica durante il decorso di una malattia o successivamente a un trattamento sanitario, tale da aggravare la situazione del paziente con l'insorgenza di uno stato morboso ulteriore, sebbene collegato dalla situazione patologica in atto o dalle cure praticate: le complicanze, quindi, sono eventi avversi nell'evoluzione del quadro clinico di un paziente, determinate dalla sua situazione patologica (complicanze spontanee) o dall'intervento medico (complicanze iatrogene), oppure da entrambi congiuntamente. Secondo la giurisprudenza, nelle prestazioni medico-chirurgiche routinarie, grava sul professionista l'onere di provare che le complicanze sono state causate da un evento imprevisto ed imprevedibile, secondo la diligenza qualificata in base alla conoscenza tecnico scientifiche del momento, per superare la presunzione contraria che dette complicanze sono ascrivibili ad una sua responsabilità. In ragione di ciò, non è sufficiente che venga accertata la sussistenza di «complicanze intraoperatorie» ma, per poter escludere la responsabilità del medico, il giudice è tenuto ad accertare che le stesse siano imprevedibili ed inevitabili, che non vi sia un nesso causale tra la metodologia di intervento impiegata dal sanitario e l'insorgenza delle complicanze, oltre che l'adeguatezza dei rimedi tecnici adoperati per far fronte alle complicanze medesime (Cass. n. 24074/2017). 2. Questioni e orientamenti giurisprudenziali
Domanda
Quid iuris in tema di complicanze?
L'orientamento prevalente La massima supra richiamata (Cass. n. 24074/2017) è stata pronunciata nel caso che segue. Subito un intervento di colecistomia, una donna lamenta di aver subito, a seguito dell'operazione, la lesione della via biliare principale, dovendosi perciò sottoporre ad un successivo intervento volto a rimediare alla lesione. Secondo i giudici di merito, la lesione iatrogena occorsa in seguito all'intervento costituiva una mera complicanza di un intervento eseguito correttamente, e per il quale era stato regolarmente acquisito il consenso informato della paziente. La S.C., investita della vicenda, è stata chiamata a stabilire se la configurazione della lesione susseguita ad un intervento chirurgico come mera complicanza contemplata dalla letteratura medica comporti che essa debba essere considerata alla stregua di una conseguenza inevitabile dell'intervento chirurgico, tale da escludere la responsabilità del medico. In proposito la Cassazione ha ribadito che, in caso di interventi routinari, si presume che le complicanze siano state determinate da negligenza professionale o imperizia del professionista, sul quale, pertanto, grava l'onere di provare che le stesse sono invece derivate da un evento imprevisto e imprevedibile, attraverso la diligenza qualificata, in base alle conoscenze scientifiche del momento. Perciò, il giudice, per escludere la responsabilità del medico, non può limitarsi ad accertare semplicemente l'insorgenza della complicanza, ma deve verificarne la relativa imprevedibilità ed inevitabilità in concreto, oltre che l'insussistenza del nesso di causalità tra l'intervento eseguito e il danno subito dal paziente nonché l'adeguatezza del rimedio scelto dal sanitario per far fronte alla patologia del paziente. La decisione si colloca sulla scia dell'orientamento secondo cui la complicanza, quale evento sfavorevole al paziente, statisticamente noto, non deve essere considerata in maniera astratta, come un evento prevedibile ed inevitabile di per sé, che, quindi, esclude la responsabilità del medico: occorre invece verificare in concreto se si sia trattato di un evento effettivamente imprevedibile o inevitabile (Cass. n. 17694/2010; Cass. n. 12516/2016). Secondo lo stesso indirizzo, inoltre, negli interventi di routine, il verificarsi della complicanza fa presumere la responsabilità del medico: difatti, in caso di intervento per il quale la lex artis ha già individuato un preciso standard curativo accreditato presso la comunità scientifica, che comporti nella normalità dei casi il raggiungimento del risultato sperato, sussiste la presunzione che le eventuali complicanze siano state determinate da colpa del medico. Trattasi di presunzione semplice che può essere superata ove il medico dimostri che l'evento avverso in concreto verificatosi sia stato imprevedibile in base alle conoscenze tecnico scientifiche del momento. Orientamento minoritario In senso diverso, nella giurisprudenza di merito (Trib. Pavia 17 settembre 2008; Trib. Bologna 20 novembre 2014), si è affermato che la complicanza è idonea ad escludere la responsabilità del medico che ha eseguito l'intervento, in quanto di per sé evento prevedibile, ma inevitabile, riguardo al quale non occorrerebbe verificare se il comportamento del medico, nel caso concreto, sia stato o no corretto. Ma la S.C. ha da tempo negato rilevanza al concetto di complicanza, quale evento astrattamente prevedibile, ma non evitabile (Cass. n. 13328/2015): difatti, qualora a seguito di un intervento le condizioni del paziente subiscano un peggioramento, si possono configurare due ipotesi, ossia che il peggioramento sia in concreto prevedibile ed evitabile e pertanto da ascrivere a colpa del medico, a prescindere dal fatto che la scienza medica lo classifichi quale complicanza, oppure che il peggioramento sia in concreto imprevedibile o inevitabile, nel qual caso la responsabilità non sussiste. Ciò vuol dire che la classificazione clinica di un evento avverso come complicanza non rileva sul piano giuridico, occorrendo verificare in concreto se l'evento dannoso integri gli estremi della causa non imputabile. Gli ultimi sviluppi giurisprudenziali Secondo la S.C., dunque, ciò che per la scienza medica costituisce un evento, insorto durante l'iter terapeutico, astrattamente prevedibile ma non evitabile, per il diritto si riduce ad un evento lesivo del bene salute, a seconda dei due possibili casi addebitabile o no al medico: e cioè, o il peggioramento delle condizioni del paziente è da ricondurre ad un fatto prevedibile ed evitabile, ed allora è ascrivibile alla condotta del medico, oppure è da ricondurre ad un fatto non prevedibile e non evitabile, ed allora ricorrono i caratteri della causa non imputabile. Su tali basi viene chiarito (Cass. n. 28985/2019) quando la complicanza possa dar luogo ad un danno suscettibile di autonoma considerazione nel caso oggetto del contendere, in particolare – questo l'aspetto su cui la giurisprudenza più recente si è soffermata – in relazione all'informazione dovuta dal medico circa il trattamento sanitario da effettuare. La complicanza – si osserva – fa parte del trattamento sanitario in quanto evento possibile e prevedibile, e ricade così nell'area della responsabilità, mentre solo nel caso di evento imprevedibile non è da addebitare al medico. Ciò con la precisazione che la complicanza concerne il momento dell'evento lesivo, e non del danno conseguenza: essa si colloca in una fase cronologicamente e logicamente precedente dello sviluppo della fattispecie illecita dannosa: 1) inadempimento della obbligazione/errore nella esecuzione della prestazione professionale; 2) determinazione o aggravamento dello stato patologico del paziente/evento lesivo della salute; 3) invalidità temporanea o permanente che ne è derivata/danno conseguenza (non patrimoniale). Occorre, infatti, distinguere la relazione eziologica tra condotta ed evento-lesivo, che deve essere indagata sul piano della cd. causalità materiale (che richiede la copertura di leggi scientifiche o statistiche, o della applicazione del principio di conseguenzialità logica espresso dalla teoria cd. della causalità adeguata articolata in base alla causa prevalente ovvero alla causa più probabile che non, e che trova fondamento normativo negli artt. 40 e 41 c.p. e nell'art. 1227 c.c., comma 1, dalla relazione eziologica tra evento-lesivo e conseguenze dannose, che va invece indagata sul piano della cd. causalità giuridica (ossia applicando il criterio di regolarità inteso come riconoscibilità della perdita di capacità o della perdita patrimoniale tra le ipotizzabili situazioni che possono attendersi – secondo un criterio di vicinanza fondato sull'id quod prelumque accidit – da quel determinato evento lesivo, e che trova fondamento giuridico nell'art. 1223 c.c., rimanendo quindi escluse quelle sole situazioni che si caratterizzano per l'assoluta abnormità o per la eccezionale sproporzione della loro dimensione, art. 1225 c.c., che pone a carico del responsabile anche queste ultime in caso di condotta dolosa. Ed infatti, la S.C. ricorda di avere avuto modo di precisare che un evento dannoso è da considerare causato sotto il profilo materiale da un altro se, ferme restando le altre condizioni, il primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo (cosiddetta teoria della conditio sine qua non): ma nel contempo non è sufficiente tale relazione causale per determinare una causalità giuridicamente rilevante, dovendosi, all'interno delle serie causali così determinate, dare rilievo a quelle soltanto che, nel momento in cui si produce l'evento causante, non appaiano del tutto inverosimili (cosiddetta teoria della causalità adeguata o della regolarità causale, la quale in realtà, oltre che una teoria causale, è anche una teoria dell'imputazione del danno). In tal senso viene in rilievo una nozione di prevedibilità che è diversa da quella delle conseguenze dannose, cui allude l'art. 1225 c.c., ed anche dalla prevedibilità posta a base del giudizio di colpa, poiché essa prescinde da ogni riferimento alla diligenza dell'uomo medio, ossia all'elemento soggettivo dell'illecito, e concerne, invece, le regole statistiche e probabilistiche necessarie per stabilire il collegamento di un certo evento ad un fatto (Cass. n. 11609/2005; Cass. n. 26042/2010); mentre solo successivamente il giudice deve procedere ad accertare il secondo segmento della fattispecie illecita dannosa, indagando il nesso di causalità giuridica che lega tale evento alle conseguenze dannose risarcibili, accertamento, quest'ultimo, da compiersi in applicazione dell'art. 1223 c.c., norma che pone essa stessa una regola eziologica (Cass. n. 21255/2013). Complicanze e prevedibilità La citata Cass. n. 28985/2019 si sofferma infine sulla nozione di prevedibilità contenuta nell'art. 1225 c.c., in relazione alle complicanze. Premesso che, per costante giurisprudenza della S.C., la norma in questione che considera la prevedibilità del danno come limite alla risarcibilità, ha per oggetto una mera astratta prevedibilità del danno-conseguenza poi concretamente verificatosi, essendo, quindi, a tal fine sufficiente che questo anche se non esattamente identificato ex ante, sia comunque virtualmente ricollegabile, alla stregua di dati obbiettivi, alla condotta contrattuale illecita da cui deriva, secondo l'incensurabile apprezzamento istituzionalmente demandato al giudice del merito (Cass. n. 3694/1983; Cass. n. 5778/1993; Cass. n. 18239/2003), in tal senso venendo ad operare l'imprevedibilità del danno conseguente all'inadempimento colpevole del debitore, di cui all'art. 1225 c.c., non come un limite all'esistenza del danno stesso, ma soltanto alla misura del suo ammontare (Cass. n. 15559/2004; Cass. n. 11189/2007; Cass. n. 16763/2011), viene osservato che il riferimento alla norma predetta si palesa inconferente in relazione alla complicanza, giacché essa non integra un danno-conseguenza derivato dall'evento lesivo ma si identifica con lo stesso evento-lesivo, e cioè con la lesione del diritto alla salute che è il necessario antecedente presupposto della produzione di danni-conseguenza risarcibili. 3. Azioni processualiUlteriori azioni processuali Per la fattispecie in esame è, in alternativa, esperibile il Ricorso ex art. 281-undecies c.p.c. (Procedimento semplificato di cognizione). Aspetti preliminari: mediazione e accertamento tecnico preventivo Mediazione Le cause di risarcimento del danno da responsabilità medico-sanitaria rientrano tra quelle elencate dall'art. 5 d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria» (Parte I – La responsabilità medica in generale). Accertamento tecnico preventivo diretto alla conciliazione della lite Con la legge Gelli-Bianco è stato inoltre previsto un diverso congegno volto alla definizione conciliativa della lite ed alternativo alla mediazione, ossia l'accertamento tecnico preventivo diretto alla composizione della lite, previsto dall'art. 696-bis c.p.c. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria» (Parte I – La responsabilità medica in generale). L'alternativa tra mediazione e consulenza tecnica preventiva Sia la consulenza tecnica preventiva che la mediazione perseguono lo stesso scopo, ossia la definizione conciliativa della lite, con conseguente effetto deflattivo sul contenzioso civile. Tra i due strumenti sussistono similitudini e diversità, che possono rendere preferibile l'uno o l'altro. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria» (Parte I – La responsabilità medica in generale). Competenza per territorio La legge Gelli Bianco ha inquadrato la responsabilità della struttura sanitaria nell'ambito della responsabilità contrattuale, il che va considerato ai fini dell'individuazione del giudice presso cui si radica la competenza territoriale per le cause in materia di responsabilità medica. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria» (Parte I – La responsabilità medica in generale). Competenza per valore La competenza per valore del giudice di pace si determina in base ai criteri indicati dall'art. 7, comma 1, c.p.c.. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria» (Parte I – La responsabilità medica in generale). Rito applicabile La domanda di risarcimento del danno per responsabilità medica può essere proposta con atto di citazione, nelle forme del procedimento ordinario di cognizione, ovvero con ricorso nelle forme del procedimento semplificato di cognizione. La scelta è libera, però, solo se si avvia la mediazione e questa non conduce alla soluzione della lite. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria» (Parte I – La responsabilità medica in generale). Legittimazione attiva e passiva Il paziente che si assume danneggiato, ovvero i suoi congiunti in caso di morte (ovvero gli ulteriori legittimati, unitamente al paziente), può agire in via risarcitoria nei confronti della struttura sanitaria, nei confronti dell'«esercente la professione sanitaria, nei confronti dell'impresa di assicurazione della struttura ovvero dell'esercente. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria» (Parte I – La responsabilità medica in generale). Contenuto dell'atto introduttivo Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria» (Parte I – La responsabilità medica in generale). 4. ConclusioniLa giurisprudenza adotta in tema di complicanze un atteggiamento assai chiaro, nell'intendere il fenomeno in una prospettiva diversa da quella adottata in campo medico. Mentre per i medici le complicanze sono eventi avversi che si verificano nonostante il medico abbia rispettato le leges artis, e dunque indipendentemente dalla sua responsabilità, per la S.C. le complicanze altro non sono che danni all'integrità psicofisica, le quali cadono come tali nel campo della responsabilità medica e della conseguente risarcibilità, salvo non si dimostri che, nel caso concreto, siano da ascrivere a causa non imputabile. Bisogna però interrogarsi, a fronte di tale orientamento, se esso sia armonico con l'attuale impianto dettato dalla legge Gelli-Bianco, che qualifica la responsabilità del medico operante all'interno della struttura sanitaria quale responsabilità extracontrattuale. |