Il primario

Mauro Di Marzio

1. Bussole di inquadramento

Va subito detto che la figura del primario è stata sostituita da quella di «dirigente di struttura complessa», ma la definizione tradizionale appare talmente radicata nel linguaggio comune che non pare costruttivo abbandonarla.

Fin da epoca remora era stabilito che il primario ospedaliero avesse la responsabilità dei malati della divisione, riguardo ai quali aveva l'obbligo di definire i criteri diagnostici e terapeutici, che gli aiuti e gli assistenti dovevano seguire (art. 7, d.P.R. 27 marzo 1969, n. 128): egli doveva dunque avere conoscenza delle situazioni cliniche dei singoli degenti, a prescindere dalle modalità di acquisizione di tale conoscenza (diretta, tramite visita, o indiretta, tramite gli altri operatori sanitari), al fine di vigilare sull'esatta impostazione ed esecuzione delle terapie, nonché di prevenire errori ed adottare in maniera tempestiva i provvedimenti richiesti da eventuali emergenze (Cass. n. 24144/2010).

2. Questioni e orientamenti giurisprudenziali

Domanda
Qual è la posizione giuridica del «primario»? 

Le previsioni normative in materia e l'orientamento della giurisprudenza

Si è poc'anzi fatto cenno alla più remota disciplina della figura del primario, il d.P.R. 27 marzo 1969, n. 128, recante disposizioni in tema di «ordinamento interno dei servizi ospedalieri». Dopo la riforma del servizio sanitario nazionale è intervenuto sulla materia il d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761, recante «stato giuridico del personale delle unità sanitarie locali». L'inquadramento dei medici, secondo le disposizioni dettate dai due menzionati decreti, seguiva un ordine gerarchico, articolato nelle figure dell'assistente, dell'aiuto e del primario, al quale spettavano le competenze individuate dall'art. 7, comma 3, del d.P.R. del 1969, tra cui la vigilanza sull'attività del personale subordinato, la definizione dei criteri diagnostici o terapeutici, il controllo sulla regolare compilazione e conservazione delle cartelle cliniche e, soprattutto, «la responsabilità dei malati». Con il successivo d.P.R. del 1979 è rimasta sostanzialmente ferma la suddivisione del personale medico in assistenti, aiuti e primari, attraverso l'individuazione di medici in posizione iniziale, intermedia e apicale, ai quali erano devolute funzioni di controllo, programmazione e direzione dell'unità affidatagli, ivi compreso l'esercizio di «funzioni di indirizzo e di verifica sulle prestazioni di diagnosi e cura». Il primario, inoltre, assegnava «a sé e agli altri medici i pazienti ricoverati», ed aveva il potere di «avocare casi alla sua diretta responsabilità, fermo restando l'obbligo di collaborazione da parte del personale appartenente alle altre posizioni funzionali», e sempre nel rispetto della «autonomia professionale operativa del personale dell'unità» (v. art. 63).

Sia in riferimento all'originario complesso normativo, quanto a quello ad esso subentrato, la giurisprudenza ha stabilmente mantenuto nei confronti dei primari un atteggiamento di particolare severità, conseguente alla posizione di garanzia ricoperta nei confronti dei pazienti ricoverati nella divisione (v. p. es. Cass. pen., n. 1126/1999): il che vuol dire che il primario era in buona sostanza giudicato tendenzialmente sempre responsabile della condotta colposa dei medici del reparto.

Una parziale modificazione del quadro normativo è intervenuta con il d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, di riordino della materia, che ha disposto l'abrogazione dell'art. 7 d.P.R. 27 marzo 1969, n. 128, che ha introdotto la figura del dirigente sanitario, posto, secondo il successivo art. 13 del d.lgs. 19 giugno 1999, n. 229, posta a capo di strutture definite semplici e complesse. Attraverso tali disposizioni il legislatore ha inteso contemperare l'impianto gerarchico derivante dalla pregressa disciplina con l'autonomia professionale dei medici addetti al reparto. In tal senso l'art. 15, comma 6, del d.lgs. del 1992, come modificato nel 1999, stabiliva che il dirigente di struttura esercitasse «funzioni di direzione e organizzazione della struttura, da attuarsi, nell'ambito degli indirizzi operativi e gestionali del dipartimento di appartenenza, anche mediante direttive a tutto il personale operante nella stessa», escluso il riferimento al potere-dovere di vigilanza in precedenza attribuito al primario.

Il nuovo dato normativo, tuttavia, non ha prodotto cospicue ricadute sull'atteggiamento giurisprudenziale al quale si è fatto cenno, ed anzi la S.C. è talora giunta ad affermare che, pur dopo le nuove disposizioni degli anni '90, «l'eliminazione del primario è solo questione terminologica» (Cass. pen., n. 47145/2005). Pur nella consapevolezza dell'allentamento del vincolo gerarchico, la pronuncia ha ritenuto che l'intervento riformatore non avesse introdotto elementi tali da determinare una netta soluzione di continuità tra l'impianto precedente e quello successivo, letti, anzi, in una prospettiva di sostanziale continuità, spettando al medico in posizione apicale un «potere-dovere di fornire direttive generiche e specifiche, nonché di vigilanza e di verifica dell'attività autonoma o delegata dei medici, per così dire, subordinati, con residuale facoltà di avocazione della propria gestione», ed in definitiva «la cura di tutti i malati affidati alla compagine da lui diretta». Soltanto in tempi più recenti la S.C. ha mostrato consapevolezza dell'intervenuto mutamento del quadro normativo, negando che il medico in posizione apicale risponda automaticamente della cura di tutti malati ricoverati nel proprio reparto (Cass. n. 18334/2018).

La dirigenza sanitaria è stata ulteriormente disciplinata oltre che dal d.lgs. n. 502/92, come modificato dal d.lgs. n. 229/99, dalle disposizioni generali di cui al d.lgs. 165/2001 e successive modifiche, dalla cd. legge Brunetta e dal cd. decreto Balduzzi, che ha rimesso al legislatore regionale la disciplina dei criteri e delle procedure di nomina dei dirigenti, nonché infine dalle disposizioni della CCNL, che individuano la figura del «dirigente di struttura complessa»: anche quest'ultimo, secondo la giurisprudenza, mantiene «una posizione di vigilanza, indirizzo e controllo sull'operato dei delegati» (Cass. pen., n. 50619/2019).

Domanda
La responsabilità del primario nella giurisprudenza civile 

L'atteggiamento è severo

Anche nella giurisprudenza civile in materia di responsabilità del primario, rimane sostanzialmente stabile un orientamento alquanto rigoroso concernente la responsabilità dei primari: viene cioè riconosciuto, nell'ambito delle funzioni strettamente direttive, organizzative e gestionali, la sussistenza di un dovere di vigilanza sull'operato dei collaboratori, ivi compresa la tenuta delle cartelle cliniche.

Si afferma in proposito che al primario spetta la puntuale conoscenza delle situazioni cliniche che riguardano tutti i degenti affidati ai propri collaboratori e la vigilanza sull'attività del personale sanitario; infatti, «anche allorché il paziente sia stato assegnato ad altro medico, la responsabilità del primario può tuttavia ricollegarsi alla violazione del dovere di dare istruzioni e direttive adeguate per il trattamento del caso e/o di verificarne la puntuale attuazione» (Cass. n. 6318/2000; analogamente Cass. n. 6822/2001; Cass. n. 13979/2005; Cass. n. 24144/2010; Cass. n. 22338/2014), quantunque venga riconosciuto che «non può certo affermarsi che il primario sia responsabile di tutto quanto accade nel suo reparto, non essendo esigibile un controllo continuo e analitico di tutte le attività terapeutiche che vi si compiono» (Cass. n. 6318/2000).

È stata riconosciuta in capo al primario la responsabilità per i danni derivati dall'inadeguatezza della struttura sanitaria che dirige, qualora non sia in grado di dimostrare di aver adempiuto a tutti gli obblighi imposti dalla legge fra cui la sentenza evidenzia quello di acquisire informazioni sulle condizioni dei malati e di predisporre adeguate istruzioni al personale per le la gestione delle emergenze (Cass. n. 22338/2014).

Oltre a dover conoscere le situazioni cliniche riguardanti i degenti nel proprio reparto (conoscenza che può essere sia diretta che indiretta mediante gli altri operatori sanitari presenti in reparto), al fine di vigilare sull'esatta impostazione ed esecuzione delle terapie, di prevenire errori e di adottare tempestivamente i provvedimenti richiesti da eventuali emergenze, il primario deve assumere precise informazioni sulle iniziative intraprese dagli altri medici a cui il paziente sia stato affidato, indipendentemente dalla diretta responsabilità degli stessi (Cass. n. 24144/2010).

La responsabilità del primario non è peraltro una responsabilità oggettiva: quindi non può essere ritenuto responsabile solo per il ruolo che ricopre dei danni subiti da un paziente ricoverato e sottoposto a un intervento mentre era in ferie (Cass. n. 6438/2015). Con tale decisione la S.C. ha evidenziato che la responsabilità del primario deve essere riscontrata in relazione alla sua possibilità di intervenire direttamente sul paziente. Quindi, il primario non è responsabile tout court per il solo fatto del ruolo che riveste, ma solo nel caso in cui egli sia presente in reparto e in grado di intervenire sugli eventi che ivi si verificano.

È stato così affermato che non spetta al primario di chirurgia il controllo diretto sul sangue, la corretta tenuta dei registri o la verifica della preventiva sottoposizione a tutti i test sierologici richiesti dalla legge delle sacche di sangue trasfuse, poiché si tratta di accertamenti di competenza del centro trasfusionale, che trasmette al reparto richiedente le dette sacche regolarmente etichettate. In particolare, solo il responsabile dell'acquisizione del sangue (il primario di ematologia, che dirige il citato centro trasfusionale) può rispondere della non completa compilazione della scheda di ciascuna sacca, della mancata esecuzione, da parte di tale centro, dei controlli di legge o dell'omessa annotazione sulle sacche in esame delle indicazioni imposte dalla normativa. (Cass. n. 25764/2019, che ha escluso la responsabilità del primario del reparto di ostetricia e ginecologia di un ospedale per le lesioni patite da una donna dal medesimo operata in conseguenza della trasfusione di sangue infetto proveniente dal centro trasfusionale interno della struttura interessata, del quale esisteva un apposito responsabile).

Il capo dell'equipe risponde anche dell'operato dell'infermiere, tenuto al riconteggio delle garze: Cass. pen., n. 392/2022 ha affermato in un caso in cui il primario assumeva che nessun rimprovero potesse rivolgerglisi, in qualità di primo operatore dell'équipe chirurgica che aveva effettuato un intervento di isteroannessiectomia radicale, posto che, da un lato, il compito di riconteggio delle garze, secondo le previsioni di cui alla Raccomandazione Ministeriale n. 2/2008 dei Ministero della Salute, è affidato in modo esclusivo al personale infermieristico, dall'altro, il riconteggio aveva, nel caso di specie, dato un esito di parità fra le garze introdotte e quelle estratte dal campo operatorio, sicché l'errore compiuto dal personale infermieristico non era riconoscibile e quindi non imponeva al chirurgo quelle attività previste dalla Raccomandazione per l'ipotesi di discordanza del riconteggio.

3. Azioni processuali

Ulteriori azioni processuali

Per la fattispecie in esame è, in alternativa, esperibile il Ricorso ex art. 281-undecies c.p.c. (Procedimento semplificato di cognizione).

Aspetti preliminari: mediazione e accertamento tecnico preventivo

Mediazione

Le cause di risarcimento del danno da responsabilità medico-sanitaria rientrano tra quelle elencate dall'art. 5 d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria» (Parte I – La responsabilità medica in generale).

Accertamento tecnico preventivo diretto alla conciliazione della lite

Con la legge Gelli-Bianco è stato inoltre previsto un diverso congegno volto alla definizione conciliativa della lite ed alternativo alla mediazione, ossia l'accertamento tecnico preventivo diretto alla composizione della lite, previsto dall'art. 696-bis c.p.c. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria» (Parte I – La responsabilità medica in generale).

L'alternativa tra mediazione e consulenza tecnica preventiva

Sia la consulenza tecnica preventiva che la mediazione perseguono lo stesso scopo, ossia la definizione conciliativa della lite, con conseguente effetto deflattivo sul contenzioso civile. Tra i due strumenti sussistono similitudini e diversità, che possono rendere preferibile l'uno o l'altro. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria» (Parte I – La responsabilità medica in generale).

Competenza per territorio

La legge Gelli Bianco ha inquadrato la responsabilità della struttura sanitaria nell'ambito della responsabilità contrattuale, il che va considerato ai fini dell'individuazione del giudice presso cui si radica la competenza territoriale per le cause in materia di responsabilità medica. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria» (Parte I – La responsabilità medica in generale).

Competenza per valore

La competenza per valore del giudice di pace si determina in base ai criteri indicati dall'art. 7, comma 1, c.p.c. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria» (Parte I – La responsabilità medica in generale).

Rito applicabile

La domanda di risarcimento del danno per responsabilità medica può essere proposta con atto di citazione, nelle forme del procedimento ordinario di cognizione, ovvero con ricorso nelle forme del procedimento semplificato di cognizione. La scelta è libera, però, solo se si avvia la mediazione e questa non conduce alla soluzione della lite. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria» (Parte I – La responsabilità medica in generale).

Legittimazione attiva e passiva

Il paziente che si assume danneggiato, ovvero i suoi congiunti in caso di morte (ovvero gli ulteriori legittimati, unitamente al paziente), può agire in via risarcitoria nei confronti della struttura sanitaria, nei confronti dell'«esercente la professione sanitaria, nei confronti dell'impresa di assicurazione della struttura ovvero dell'esercente. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria» (Parte I – La responsabilità medica in generale).

Contenuto dell'atto introduttivo

Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria» (Parte I – La responsabilità medica in generale).

4. Conclusioni

Nonostante l'evoluzione della disciplina concernente l'inquadramento della posizione del primario (nelle successive denominazioni che detto ruolo ha assunto), la giurisprudenza, sia civile che penale, sembra incline a riconoscere la sussistenza di un generale potere-dovere di controllo sui medici operanti nel reparto, sicché egli viene perlopiù giudicato responsabile per tutto quanto accade all'interno di esso, salvo che non sia al momento sostanzialmente impossibilitato ad effettuare l'attività di vigilanza che altrimenti gli spetta.

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