L'odontoiatra1. Bussole di inquadramentoOperano nella branca dell'odontoiatria più figure professionali, da un lato i dentisti (che possono essere medici chirurghi od odontoiatri), dall'altro gli odontotecnici, che costruiscono dispositivi dentali, utilizzati poi dai dentisti sui pazienti, e che – è superfluo dire – non possono mai ed in nessun caso intervenire direttamente sul paziente, incorrendo altrimenti nel reato di esercizio abusivo della professione. È bene subito segnalare che il contenzioso in materia di responsabilità odontoiatrica è meno rilevante di quello che interessa altri settori della medicina, quali l'ortopedia, la ginecologia, l'oncologia: ma soltanto dal punto di vista dell'entità, mediamente minore, dei risarcimenti riconosciuti; dal punto di vista del peso quantitativo delle cause di responsabilità dei dentisti le cose stanno in termini molto diversi, giacché il numero di controversie è estremamente elevato, tanto da rasentare la misura del 10% delle cause di responsabilità professionale medica. Nel campo della responsabilità odontoiatrica, difatti, emergono più che in altri settori taluni fattori che incentivano il ricorso al contenzioso: un certo fenomeno che potremmo dire di consumismo terapeutico, che induce il paziente ad attendersi, in particolare nel campo delle cure dentarie, risultati ai limiti del miracoloso, che possano rendergli in tarda età quell'efficienza fisica propria della gioventù; pubblicità spesso fuorvianti sull'attitudine delle cure dentarie a migliorare le condizioni del paziente; costo delle cure, che, a differenza di quanto accade per le patologie a carico del Servizio Sanitario Nazionale, sono a carico del cliente: tant'è, riguardo a quest'ultima osservazione, che non di rado la domanda di risarcimento del danno nei confronti dell'odontoiatra viene avanzata in via riconvenzionale a fronte della domanda del professionista di pagamento, in tutto o in parte, del proprio compenso. Ciò detto, occorre distinguere, nella categoria dei dentisti, tra il libero professionista – che è nella pratica l'ipotesi di gran lunga più comune – e lo «strutturato», che opera all'interno di una struttura sanitaria. Non v'è dubbio, difatti, che, nella maggior parte dei casi, l'attività dell'odontoiatra sia organizzata come attività libero-professionale ed esercitata individualmente dal singolo professionista presso il suo studio privato. Ricorrono anche casi di esercizio dell'attività in forma di associazione professionale, ma anche in tal caso il rapporto intercorre comunque tra il professionista ed il cliente, nei cui confronti il primo è responsabile. Considerando l'attività dell'odontoiatra nella prospettiva dell'art. 7 l. 8 marzo 2017, n. 24, c.d. legge Gelli-Bianco, non v'è dubbio dunque che l'odontoiatra risponda nei confronti del paziente a titolo di responsabilità contrattuale, anche, eventualmente, dell'operato degli ausiliari, ai sensi dell'art. 1228 c.c., quale anzitutto l'odontotecnico del quale si sia servito per la costruzione delle protesi: il citato art. 7, infatti, fissa la regola della responsabilità contrattuale della struttura sanitaria ed extracontrattuale del medico che opera all'interno di essa, e della responsabilità contrattuale del medico con cui – come nel caso dell'odontoiatra libero professionista – il paziente stabilisce un diretto rapporto contrattuale. Anche nel campo dell'odontoiatria, però, emergono in misura sempre maggiore fenomeni di esercizio dell'attività in forma di organizzazione imprenditoriale, e talora attraverso l'impiego della figura della fondazione: strutture all'interno delle quali gli odontoiatri operano in base a rapporti di lavoro subordinato o convenzionali. Il che rende necessario anzitutto stabilire quale sia il regime di responsabilità in cui il professionista opera. 2. Questioni e orientamenti giurisprudenziali
Domanda
Come viene inquadrato l'odontoiatra dal punto di vista ordinamentale?
È opportuno individuare quali siano i requisiti necessari per il legittimo svolgimento dell'attività di odontoiatra In tema di esercizio abusivo della professione, di cui all'art. 348 c.p., lo svolgimento dell'attività di odontoiatra, disciplinata dalla l. 24 luglio 1985, n. 409, in via ordinaria, è consentito solo a colui che, dopo il conseguimento della laurea in odontoiatria e protesi dentaria, abbia superato l'esame di Stato e sia iscritto al relativo albo, nonché, limitatamente al regime transitorio previsto dall'art. 20 della medesima legge, ai laureati in medicina e chirurgia, iscritti all'albo degli odontoiatri, qualora sussista una delle seguenti condizioni: a) immatricolazione al relativo corso di laurea prima del 28 gennaio 1980; b) immatricolazione negli anni compresi tra il 1980-81 ed il 1984-85 con superamento delle prove attitudinali previste per l'iscrizione all'Albo degli odontoiatri di cui al d.lgs. 13 ottobre 1998, n. 386; c) conseguimento della specializzazione in campo odontoiatrico da parte di un soggetto immatricolato negli anni compresi tra il 1980-81 ed il 1984-85, esonerato dalle prove attitudinali (Cass. pen., n. 2691/2017). La l. 24 luglio 1985, n. 409, rubricata «Istituzione della professione sanitaria di odontoiatria e disposizioni relative al diritto di stabilimento ed alla libera circolazione di servizi da parte dei dentisti cittadini di stati membri delle Comunità europee», stabilisce che possono esercitare la professione di dentista coloro i quali siano «in possesso del diploma di laurea in odontoiatria e protesi dentaria e della relativa abilitazione all'esercizio professionale, conseguita a seguito del superamento di apposito esame di Stato». Sorge perciò la questione del rapporto tra la figura del medico-chirurgo e quella dell'odontoiatra. In linea generale l'iscrizione di un medico all'albo lo abilita all'esercizio dell'intera attività medico-chirurgica, non essendo richiesto anche il possesso del diploma di specializzazione per operare nei diversi settori della chirurgia (Cass. n. 50012/2015). Tale regola non può però operare in presenza di una specifica disposizione che richieda per l'esercizio di una particolare attività, quale quella di odontoiatra, particolari titoli elimina testo. Sicché la SC, nella pronuncia poc'anzi richiamata, ha ritenuto sussistere la penale responsabilità del medico-chirurgo per il reato di cui all'art. 348 c.p., dinanzi allo svolgimento di un'attività medico-odontoiatrica per la quale è necessaria una legittimazione all'esercizio data dal superamento del relativo esame di Stato e dalla conseguente iscrizione all'albo.
Domanda
Che responsabilità ha l'odontoiatra nel sistema?
Si tratta di responsabilità analoga a quella del medico La responsabilità professionale in odontoiatria, al di là di alcune peculiarità, collegate a possibili ricadute dell'intervento sull'aspetto estetico del paziente, è retta dalle medesime regole che disciplinano nel complesso la responsabilità medica. Come si è poc'anzi osservato dette regole, oltre che dal codice civile e, per quanto riguarda la responsabilità penale, da quello penale, sono oggi poste dalla legge Gelli-Bianco, che differenzia la posizione della struttura sanitaria, la quale risponde a titolo di responsabilità contrattuale, anche della condotta dei propri ausiliari, per il tramite dell'art. 1228 c.c., da quella del medico strutturato, che risponde a titolo di responsabilità extracontrattuale; secondo il comma 3 del citato art. 7, l'esercente la professione sanitaria, difatti, risponde del proprio operato ai sensi dell'art. 2043 c.c., «salvo che abbia agito nell'adempimento di obbligazione contrattuale assunta con il paziente»: ed è proprio questa la disposizione che colloca nel campo contrattuale la responsabilità dell'odontoiatra, che, come si è evidenziato, ha normalmente un diretto rapporto contrattuale con il paziente. Ma, naturalmente, la regola generale secondo cui il medico risponde a titolo di responsabilità extracontrattuale troverà applicazione ogni qual volta l'odontoiatra abbia operato non come libero professionista legato al paziente da un diretto rapporto contrattuale, ma come operante all'interno della struttura sanitaria con la quale il paziente abbia intrattenuto il rapporto contrattuale. In precedenza, si è avuto modo di evidenziare come la legge Gelli-Bianco, nello scrutinio della condotta del medico dal punto di vista soggettivo, affidi il giudizio – sebbene non ai fini dell'an debeatur, ma soltanto del quantum – alle linee guida e buone pratiche. Nel campo che stiamo esaminando, è stato istituito il Gruppo tecnico sull'odontoiatria, con decreto dirigenziale 24 maggio 2012, seguito da ulteriori provvedimenti che hanno prorogato l'operatività del Gruppo. Naturalmente, perché sia fondato l'addebito di responsabilità nei confronti dell'odontoiatra occorre riscontro di una condotta colpevole a suo carico nonché della sussistenza del nesso di causalità tra la sua condotta e l'evento lesivo. Perciò deve essere escluso il risarcimento in favore del paziente, che lamentava l'esecuzione di cure dentarie malamente eseguite, allorché sia emerso in corso di causa che la causa del danno non era da individuarsi nell'opera del medico, ma nelle condizioni pregresse del paziente, e che il medico aveva correttamente informato il paziente, segnalandogli i possibili rischi dell'intervento (Cass. n. 17405/2016).
Domanda
Di che natura è l'obbligazione dell'odontoiatra?
La giurisprudenza non è univoca L'obbligazione gravante sull'odontoiatra è stata frequentemente ritenuta di risultato (App. Genova 18 luglio 2005; Trib. Firenze 18 ottobre 1998, n. 2932; Pret. Modena 16 settembre 1993, in Giur. it., I, 2, 1033). In senso opposto si è però pronunciata la S.C., in un caso di responsabilità professionale di un odontoiatra denunciata da un paziente il quale invocava nei suoi confronti l'applicazione dell'art. 2226 c.c., concernente la responsabilità del prestatore d'opera per vizi e difetti della medesima. Nell'occasione è stato esaminato il quesito se detta norma sia applicabile alla prestazione d'opera intellettuale, e si è rammentato che: «La giurisprudenza più antica di questa Corte ha dato al quesito risposta negativa ... Successivamente si è andata affermando l'opinione che ritiene applicabile l'art. 2226 c.c. quando la prestazione intellettuale dia origine ad un opus di entità materiale, rispetto a cui siano configurabili, da un lato, vizi o difformità riconoscibili al momento dell'accettazione e, dall'altro, un'attività di consegna, costituente il momento iniziale della prescrizione ... Il dibattito giurisprudenziale si è allora spostato in ordine a quando si sia in presenza di un opus materiale ... Nella questione viene spesso richiamata la distinzione tra obbligazioni di mezzo ed obbligazioni di risultato, per affermare che soltanto per le seconde è concepibile l'applicazione dell'art. 2226. Ma, in realtà, tale distinzione (rilevante per l'accertamento della responsabilità del debitore) non è decisiva ai fini dell'applicazione dell'art. 2226, potendo la prestazione intellettuale consistere anche in un risultato diverso da un opus di entità materiale ... è qui sufficiente rilevare che è giuridicamente corretta la conclusione alla quale è pervenuta la Corte di appello in ordine alla inapplicabilità dell'art. 2226 alla prestazione del medico dentista. Ed invero tale prestazione non dà mai origine ad un opus materiale. Anche nel caso di installazione di una protesi, assume rilievo assorbente l'attività, riservata al medico, di diagnosi della situazione del paziente, di scelta della terapia idonea, di successiva applicazione della protesi, di controllo sulla stessa. Una entità materiale, perciò, non è mai individuabile nell'opera del dentista, neanche con riferimento alla protesi che può considerarsi un'opera materiale ed autonoma solo in quanto oggetto della prestazione dell'odontotecnico (Cass. n. 10741/2002). Sicché può condividersi il responso di un giudice di merito secondo cui Allorquando si instaura un rapporto di cura tra odontoiatra e paziente viene a realizzarsi tra i due protagonisti un contratto di cura in base al quale il professionista si impegna ad adottare la massima diligenza per raggiungere il risultato predicibile, senza tuttavia che questo possa essere garantito (sempre che non trattasi di un trattamento di semplice esecuzione o a finalità esclusivamente estetiche od, anche, se l'ottenimento dell'esito terapeutico sperato dal paziente è assicurato dal professionista). Si tratta cioè di una obbligazione di mezzi e di comportamenti (Trib. Napoli 22 maggio 2020, n. 3612).
Domanda
Come si acquisisce il consenso informato in odontoiatria?
Bisogna rispettare le regole proprie dell'acquisizione del consenso informato in campo medico In un'occasione un giudice di merito ha ritenuto correttamente acquisito il consenso informato quantunque dall'esame della documentazione sottoposta al consulente tecnico d'ufficio non risultasse alcuna manifestazione di un consenso informato scritto. Tuttavia dalla presenza in atti di prospetti terapeutici (sia pure alcuni non completi) il giudice ha ritenuto lecito ipotizzare che l'odontoiatra avesse trasmesso alla paziente informazioni sufficienti, anche in merito ad eventuali rischi (Trib. Roma 9 gennaio 2018). Bisogna però osservare, indipendentemente dalla condivisibilità dell'accertamento di fatto seguito nel caso di specie, che l'acquisizione del consenso informato in campo odontoiatrico non prevede alcuna semplificazione, né tantomeno alcun alleggerimento dell'obbligo del medico di previa acquisizione del consenso all'esecuzione del trattamento: sicché valgono in proposito le regole generali che sono state a suo tempo ampiamente esaminate nei capitoli dedicati alla materia. Piuttosto, occorrerà semmai porre l'accento sull'esigenza di particolare specificità che deve connotare l'acquisizione del consenso informato da parte dell'odontoiatra, nella misura in cui, in alcuni casi, il suo intervento possa presentarsi come finalizzato al raggiungimento di un risultato di carattere anche estetico, dovendosi in tal caso fare applicazione delle particolari regole di cui si è dato conto discorrendo della figura del chirurgo estetico. 3. Azioni processualiUlteriori azioni processuali Per la fattispecie in esame è, in alternativa, esperibile il Ricorso ex art. 281-undecies c.p.c. (Procedimento semplificato di cognizione). Aspetti preliminari: mediazione e accertamento tecnico preventivo Mediazione Le cause di risarcimento del danno da responsabilità medico-sanitaria rientrano tra quelle elencate dall'art. 5 d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28, che prevede come obbligatoria condizione di procedibilità il preventivo espletamento del procedimento di mediazione, solo dopo il fallimento del quale può essere adito il giudice. L'ampia dizione impiegata dal legislatore – «Chi intende esercitare in giudizio un'azione relativa ad una controversia in materia di ... risarcimento del danno derivante ... da responsabilità medica e sanitaria... è tenuto ... preliminarmente a esperire il procedimento di mediazione ai sensi del presente decreto ... L'esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale» – rende manifesto che il previo accesso al procedimento di mediazione riguarda qualunque causa di risarcimento del danno cagionato nell'esercizio dell'attività medica, indipendentemente dalla circostanza che la domanda venga proposta nei confronti del medico, o di altro personale sanitario, o della struttura sanitaria, ed altresì indipendentemente dalla natura del pregiudizio lamentato, sia che esso concerna l'integrità psicofisica del paziente, sia che abbia ad oggetto il suo diritto di autodeterminazione nelle scelte attinenti alla sfera sanitaria, come accade nell'ipotesi di intervento operato in mancanza del necessario consenso informato. Con riguardo all'odontoiatra, non sembra potersi dubitare che la dicitura adottata dal legislatore, appena ricordata, «risarcimento del danno derivante ... da responsabilità medica e sanitaria», sia riferita anche a tale figura professionale, sebbene l'odontoiatra possa non avere la qualifica di medico-chirurgo, secondo quanto si è in precedenza rammentato. Accertamento tecnico preventivo diretto alla conciliazione della lite Con la legge Gelli-Bianco è stato inoltre previsto un diverso congegno volto alla definizione conciliativa della lite ed alternativo alla mediazione, ossia l'accertamento tecnico preventivo diretto alla composizione della lite, previsto dall'art. 696-bis c.p.c. La materia è regolata dall'art. 8 l. 8 marzo 2017, n. 24, il quale fa peraltro «salva la possibilità di esperire in alternativa il procedimento di mediazione ai sensi dell'art. 5, d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28», cui si è poc'anzi fatto cenno. Rimane dunque rimesso alla scelta dell'attore se avvalersi dell'una o dell'altra procedura conciliativa. Il ricorso per accertamento tecnico preventivo ai fini della conciliazione della lite deve contenere gli elementi previsti dall'art. 125 c.p.c., che menziona l'ufficio giudiziario, le parti, l'oggetto, le ragioni della domanda e le conclusioni o l'istanza. Non è tuttavia indispensabile indicare l'oggetto della futura domanda di merito, dal momento che il procedimento non riveste natura cautelare anticipatoria, ma appunto conciliativa. Quando la domanda giudiziale sia stata proposta senza farla precedere dalla consulenza tecnica preventiva o dalla mediazione obbligatoria, il giudice, su eccezione del convenuto o a seguito di rilievo d'ufficio non oltre la prima udienza, dispone che si dia ingresso, o se del caso si prosegua, il procedimento di consulenza conciliativa. L'alternativa tra mediazione e consulenza tecnica preventiva Sia la consulenza tecnica preventiva che la mediazione perseguono lo stesso scopo, ossia la definizione conciliativa della lite, con conseguente effetto deflattivo sul contenzioso civile. L'efficacia della conciliazione raggiunta in sede di mediazione è sostanzialmente sovrapponibile a quella dell'accordo raggiunto sulla base della consulenza tecnica preventiva: entrambi gli accordi sono riconducibili sul terreno negoziale alla disciplina dell'art. 1372 c.c., e su quello esecutivo, esecutivo alla previsione dell'art. 474, comma 2, n. 1, e comma 3, c.p.c. Non mancano però rilevanti diversità tra i due istituti relative, non solo in ragione non sovrapponibilità dell'attività svolta dal mediatore e dal consulente tecnico, ma soprattutto in considerazione del rilievo istruttorio che detta attività assume, dal momento che la relazione tecnica redatta dal consulente nominato dal giudice va fisiologicamente a far parte del corredo istruttorio della causa di merito, mentre le risultanze dell'attività svolta nel procedimento di mediazione può al più costituire prova atipica rimessa al prudente apprezzamento del giudice. Competenza per territorio La legge Gelli-Bianco ha inquadrato la responsabilità della struttura sanitaria nell'ambito della responsabilità contrattuale, il che va considerato ai fini dell'individuazione del giudice presso cui si radica la competenza territoriale per le cause in materia di responsabilità medica. In generale, la competenza territoriale si individua alla luce delle previsioni dettate dagli artt. 18-20 c.p.c.: foro del convenuto, forum contractus e forum destinatae solutionis, con l'avvertenza che forum contractus (per l'azione contrattuale contro la struttura) e forum commissi delicti (per l'eventuale azione extracontrattuale contro il medico) si radicano nel luogo in cui si è svolta l'attività sanitaria, che normalmente è quello in cui sorge per facta concludentia il contratto. Il forum destinatae solutionis di cui alla seconda parte dell'art. 20 c.p.c., trattandosi di obbligazione risarcitoria per sua natura illiquida, coincide con il foro del convenuto di cui agli artt. 18 e 19 c.p.c. Sorge però il quesito, come si è già avuto modo di rammentare nel caso 1, se l'attore nel giudizio volto al risarcimento del danno da responsabilità medica possa avvalersi del foro del consumatore ai sensi dell'art. 66-bis del Codice del consumo (d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206), secondo cui la competenza spetta al giudice del luogo di residenza o di domicilio del consumatore, se ubicati nel territorio dello Stato. La questione assume un particolare rilievo, con riguardo all'attività dell'odontoiatra, dal momento che questi opera sovente come libero professionista, al di fuori di una struttura sanitaria pubblica ovvero operante in regime di convenzione con il servizio sanitario nazionale, e semmai all'interno di strutture private. Come si è visto, solo con riguardo alle strutture pubbliche o convenzionate, non opera il foro del consumatore, sia perché, pur essendo l'organizzazione sanitaria imperniata sul principio di territorialità, l'assistito può rivolgersi a qualsiasi azienda sanitaria presente sul territorio nazionale, sicché se il rapporto si è svolto al di fuori del luogo di residenza del paziente tale circostanza è frutto di una sua libera scelta, che fa venir meno la ratio sottesa all'individuazione del foro del consumatore, sia perché la struttura sanitaria non opera per fini di profitto, e non può quindi essere qualificata come imprenditore o professionista. La disciplina di cui al Codice del consumo è dunque inapplicabile ai rapporti tra pazienti e strutture ospedaliere pubbliche o convenzionate (Cass. n. 18536/2016; Cass. n. 8093/2009; Cass. n. 16767/2021). Ma le conclusioni vanno ribaltate in caso di odontoiatra operante come libero professionista, con il quale il cliente abbia instaurato un diretto rapporto contrattuale, come pure in ipotesi di rapporto contrattuale stabilito con una struttura privata, all'interno della quale l'odontoiatra operi. Competenza per valore La competenza per valore si determina in base ai criteri indicati dall'art. 7, comma 1, c.p.c. sulla competenza del giudice di pace: perciò sono devolute alla competenza del giudice di pace tutte le domande di risarcimento dei danni che l'attore quantifichi in misura contenuta nei limiti della sua competenza per valore. Quando invece tale soglia sia superata o l'attore non quantifichi il credito azionato, chiedendo il risarcimento di tutti i danni patiti, la competenza apparterrà al tribunale. Rito applicabile La domanda di risarcimento del danno per responsabilità medica può essere proposta con atto di citazione, nelle forme del procedimento ordinario di cognizione, ovvero con ricorso nelle forme del procedimento sommario di cognizione. Di tale argomento si è già parlato nel caso 1 ed è sufficiente qui rinviare alla precedente trattazione, rammentando in sintesi che a scelta è libera solo se si avvia la mediazione e questa non conduce alla soluzione della lite, mentre, se si parte con la consulenza conciliativa, a ciò segue il procedimento che ha sostituito il rito sommario di cognizione, ossia il rito semplificato di cognizione di cui all'art. 210-decies ss. c.p.c.. Legittimazione attiva e passiva. Le regole generali fissate dalla legge Gelli-Bianco si possono così riassumere Il paziente che si assume danneggiato, ovvero i suoi congiunti in caso di morte, può agire in via risarcitoria: – nei confronti della struttura sanitaria che, «nell'adempimento della propria obbligazione», si sia avvalsa «dell'opera di esercenti la professione sanitaria, anche se scelti dal paziente e ancorché non dipendenti della struttura stessa», la quale «risponde, ai sensi degli artt. 1218 e 1228 c.c., delle loro condotte dolose o colpose» (art. 7, comma 1, legge Gelli-Bianco); ciò anche in caso di «prestazioni sanitarie svolte in regime di libera professione intramuraria ovvero nell'ambito di attività di sperimentazione e di ricerca clinica ovvero in regime di convenzione con il Servizio sanitario nazionale nonché attraverso la telemedicina» (art. 7, comma 2, legge Gelli-Bianco); – nei confronti dell'«esercente la professione sanitaria di cui ai commi 1 e 2», il quale «risponde del proprio operato ai sensi dell'art. 2043 del codice civile» (art. 7, comma 3, legge Gelli-Bianco); – nei confronti dello stesso esercente nell'ipotesi in cui «abbia agito nell'adempimento di obbligazione contrattuale assunta con il paziente» (art. 7, comma 3, legge Gelli-Bianco); – nei confronti dell'impresa di assicurazione della struttura ovvero dell'esercente, «entro i limiti delle somme per le quali è stato stipulato il contratto di assicurazione» (art. 12, comma 1, legge Gelli-Bianco). Deve al riguardo considerarsi la posizione dell'odontoiatra, a seconda che si tratti di un libero professionista con cui il paziente ha instaurato un diretto rapporto contrattuale, di un odontoiatra operante all'interno di una struttura privata o di un odontoiatra operante in una struttura pubblica o convenzionata. Contenuto dell'atto introduttivo La responsabilità dell'odontoiatra è in generale destinata ad essere fatta valere per via contrattuale: sia che si agisca nei confronti della struttura, tanto pubblica, quanto privata, sia che si agisca ei confronti del professionista con cui il paziente abbia instaurato un diretto rapporto contrattuale, quantunque sussista in astratto la possibilità che, in caso di odontoiatra operante in una struttura pubblica o convenzionata, il paziente adotti la soluzione, evidentemente sconveniente, di agire nei suoi confronti ex art. 2043 c.c.. Intrapresa l'azione contrattuale, il fuoco degli oneri gravanti sull'attore si indirizza all'aspetto assertivo. Si è già ripetuto che l'attore deve dedurre l'inadempimento. A tale ultimo riguardo la giurisprudenza richiede la deduzione di un «inadempimento qualificato», come si è già visto fin dall'esame del caso 1. Con riguardo all'odontoiatra, in particolare, occorre considerare la particolare conformazione della sua obbligazione, che è stata riguardata talora come obbligazione di risultato. 4. ConclusioniAll'odontoiatra, in applicazione della legge Gelli-Bianco, si applica perlopiù la disciplina della responsabilità contrattuale, ogni qualvolta si tratti di un libero professionista che abbia instaurato un diretto rapporto contrattuale con il paziente, e, dunque, a meno che l'odontoiatra non operi in veste di ausiliario all'interno dell'organico di una struttura sanitaria. Per il resto, le regole da applicare all'odontoiatra non divergono sensibilmente da quelle operanti in generale in materia di responsabilità professionale medica, pur dovendosi considerare che la prestazione dell'odontoiatra può talora avvicinarsi sensibilmente a quella del chirurgo estetico. |