Il medico in équipe

Mauro Di Marzio

1. Bussole di inquadramento

Accade sovente che più medici cooperino tra loro, talvolta intervenendo simultaneamente, altre volte in tempi diversi, per un medesimo scopo diagnostico o terapeutico, in vista della salvaguardia della salute del paziente. La cooperazione avviene però secondo uno schema duplice, con caratteristiche sensibilmente diverse:

– può accadere che diversi medici, gerarchicamente equiordinati ma con diverse specializzazioni, si suddividono i compiti orizzontalmente: ciascuno dei medici, in ragione della propria specializzazione, opera in piena autonomia e facendo applicazione delle leges artis del proprio settore;

– può accadere che diversi medici, collocati in ordine gerarchico (e così un primario, un aiuto e uno specializzando), si suddividono verticalmente il lavoro: nell'ambito del medesimo intervento chirurgico, ad esempio, il primario esegue le operazioni più delicate, l'aiuto quelle più ordinarie e lo specializzando, sotto controllo, le attività più semplici.

Può darsi ancora il caso, come accennato, che la collaborazione si realizzi attraverso un'organizzazione multidisciplinare diacronica, nella quale cioè i medici eseguano attività secondo un determinato ordine cronologico, quantunque unificate dal comune fine del buon esito del trattamento: eventualità, questa, evidentemente di vastissima portata, nell'attuale assetto, ad altissima specializzazione, della professione medica, che normalmente può comportare l'effettuazione di una pluralità di esami affidati a diversi specialisti. In senso stretto, tuttavia, per attività medico-chirurgica in équipe, si intende l'attività espletata da più medici, in posizione equiordinata o gerarchica, in un medesimo contesto spazio-temporale.

Nell'équipe, dunque, l'operato di ciascun medico si intreccia con quello degli altri componenti della squadra, di modo che l'interazione tra essi, in ragione delle loro competenze tecnico-scientifiche, persegue uno scopo unitario che, senza il concorso di ognuno, non potrebbe essere raggiunto. Da ciò consegue che, in caso di esito negativo dell'intervento, la responsabilità a carico di ciascuno dei componenti può scaturire non soltanto dalla violazione, da parte sua, delle leges artis alle quali egli deve attenersi in funzione della propria specializzazione, ma anche dall'inosservanza di un obbligo di vigilanza e controllo, non necessariamente scaturente dalla posizione apicale del medico e dirige l'operazione nel suo complesso.

2. Questioni e orientamenti giurisprudenziali

Domanda
Come si realizza la responsabilità nell'attività medica in équipe? 

Occorre verificare i compiti di ciascuno, ma ognuno dei componenti dell'equipe non può disinteressarsi degli altri

La responsabilità professionale del medico che opera in équipe si realizza, ovviamente, in presenza della violazione delle leges artis concernenti ciascun ambito di specializzazione, nel quadro del complessivo intervento affidato all'équipe.

La peculiarità della responsabilità del medico operante in équipe non discende da detto rilievo, ma risiede in ciò, che ciascuno dei componenti di essa può incorrere in responsabilità, in caso di esito negativo dell'intervento, pur essendosi egli attenuto all'osservanza delle leges artis che lo riguardano, qualora abbia omesso di vigilare sull'operato degli altri componenti. Ciascun membro dell'équipe, in ragione della posizione di garanzia che assume nei confronti del paziente, deve controllare l'attività dei propri colleghi, anche se appartenenti ad aree di specializzazione diverse dalla sua, così da verificare l'osservanza delle regole generali dell'attività medico-chirurgica, e rilevare eventuali errori riscontrabili anche da chi appartenga ad altra specializzazione.

Tale obbligo di controllo deve d'altro canto coordinarsi con il c.d. principio di affidamento, in forza del quale il medico non può conformare la propria condotta alla previsione che gli altri medici con i quali opera incorrano in condotte colpose, e può anzi confidare che essi agiscano nel rispetto delle regole di diligenza, prudenza e perizia esigibili. Ed il coordinamento tra il principio di affidamento ed il dovere di controllo si attua attribuendo prevalenza a quest'ultimo in due casi:

– ove si tratti del medico che nell'équipe rivesta la posizione apicale, con conseguente generale obbligo di vigilanza e controllo sull'operato degli altri, a lui gerarchicamente subordinati;

– ove ricorrano circostanze, rilevabili sulla base delle generiche competenze proprie della professione medica, tali da far pronosticare l'imminente verificarsi di un danno evento avverso.

Opera insomma nella materia il principio di «affidamento temperato» fra gli operatori di un'équipe medica. Il principio di affidamento nell'ambito della responsabilità medica non è cioè inteso in senso assoluto, ma è sempre temperato dalla ricorrenza di contingenze fattuali che rendano esigibile l'intervento del singolo, a prescindere da quello di altro specialista nella medesima o in altra branca della medicina (Cass. n. 7682/2015, che ha confermato la responsabilità di un aiuto primario di ostetricia il quale, accertato il grave stato di sofferenza del feto sulla base delle inequivocabili risultanze dell'esame del tracciato cardiotocografico e di quello amnioscopico, a dispetto dell'estrema urgenza dell'intervento, ometteva di procedere – in attesa dell'arrivo del primario – all'esecuzione del parto cesareo, di per sé eseguibile anche da un solo medico con l'ausilio di uno strumentista).

I componenti dell'équipe responsabili del danno subito dal paziente ne rispondono in via solidale, in applicazione dell'art. 2055 c.c., fermo restando il diritto di regresso riconosciuto al singolo che lo abbia risarcito integralmente nei confronti degli altri membri corresponsabili. Il paziente potrà quindi agire anche nei riguardi di uno solo di essi, in conformità a un principio generale di esclusione del litisconsorzio necessario in presenza di un'obbligazione solidale fra più debitori (Cass. n. 8105/2006). Il medico citato in giudizio come membro di un'équipe potrà, altresì, chiamare in causa i sanitari corresponsabili, ovvero esercitare l'azione di regresso nei loro confronti in separata sede processuale. In quest'ultima ipotesi, però, trattandosi di un giudizio successivo, le colpe ascrivibili ai singoli membri dell'équipe medica potranno essere discusse nei limiti in cui non abbiano formato oggetto di contraddittorio fra le parti nel precedente giudizio (Cass. n. 5882/2000).

Domanda
Quale responsabilità grava sul capo dell'équipe medica? 

Sul dirigente di una struttura ospedaliera grava un obbligo di sorveglianza e controllo sull'operato dei medici del proprio reparto (Cass. n. 24144/2010)

Il primario ospedaliero «deve avere puntuale conoscenza delle situazioni cliniche che riguardano tutti i degenti, a prescindere dalle modalità di acquisizione di tale conoscenza (con visita diretta o interpello degli altri operatori sanitari), ed è perciò obbligato ad assumere informazioni precise sulle iniziative intraprese dagli altri medici cui il paziente sia stato affidato, indipendentemente dalla responsabilità degli stessi, tanto al fine di vigilare sulla esatta impostazione ed esecuzione delle terapie, di prevenire errori e di adottare tempestivamente i provvedimenti richiesti da eventuali emergenze. Trattandosi, dunque, del capo dell'équipe operatoria, il primario è chiamato a rispondere dei danni cagionati al paziente dalla mancata riuscita dell'intervento, a meno che questa non sia ascrivibile ad un agente patogeno non prevedibile né altrimenti evitabile. Viceversa, la responsabilità potrà essere esclusa solamente qualora sia dimostrata non solo un'adeguata articolazione del programma dell'intervento e dei compiti assegnati a ciascun membro dell'équipe da parte sua, ma anche una altrettanto adeguata vigilanza sul loro esatto adempimento. Inoltre, la responsabilità del capo del gruppo operatorio sussiste anche qualora costui non abbia fronteggiato opportunamente le situazioni emergenziali o impreviste, eventualmente sopraggiunte nel corso dell'intervento per effetto di condotte negligenti, o comunque inadeguate, degli altri operatori, assumendo tutte le iniziative richieste dal caso concreto, compresa l'eventuale sostituzione di uno o più componenti dell'équipe con altri soggetti competenti a realizzare il risultato clinico atteso (Cass. n. 4508/2005). In caso di danni riportati da un neonato a seguito del parto, ne risponde anche il ginecologo che non fosse fisicamente presente, se abbia indirizzato la partoriente presso una struttura sanitaria privata carente delle necessarie attrezzature di assistenza e rianimazione neonatale, per aver omesso di adottare un programma di adeguato monitoraggio cardiotocografico, nonostante l'esistenza di sintomi di sofferenza fetale, e per aver omesso di vigilare sulla tempestività delle cure somministrate al neonato dal neonotalogo-pediatra e dall'anestesista rianimatore, presenti al parto (Cass. n. 2334/2011).

Il capo dell'equipe risponde anche dell'operato dell'infermiere, tenuto al riconteggio delle garze: Cass. pen., n. 392/2022 ha affermato in un caso in cui il primario assumeva che nessun rimprovero potesse rivolgerglisi, in qualità di primo operatore dell'équipe chirurgica che aveva effettuato un intervento di isteroannessiectomia radicale, posto che, da un lato, il compito di riconteggio delle garze, secondo le previsioni di cui alla Raccomandazione Ministeriale n. 2/2008 dei Ministero della Salute, è affidato in modo esclusivo al personale infermieristico, dall'altro, il riconteggio aveva, nel caso di specie, dato un esito di parità fra le garze introdotte e quelle estratte dal campo operatorio, sicché l'errore compiuto dal personale infermieristico non era riconoscibile e quindi non imponeva al chirurgo quelle attività previste dalla Raccomandazione per l'ipotesi di discordanza del riconteggio. Insomma, il chirurgo è responsabile anche se l'errore è dell'infermiere.

Domanda
In quali casi si configura la responsabilità concorrente del medico per omessa informazione all'equipe chirurgica

Bisogna guardare al complesso dell'intervento operato

Anche nelle ipotesi in cui non si configuri una responsabilità medica dell'équipe, la sequenza degli atti terapeutici e chirurgici da cui sia scaturito un danno per il paziente deve essere presa in considerazione nel suo complesso dal giudice, al fine di accertare le responsabilità dei singoli.

Pertanto, delle conseguenze dannose di un intervento chirurgico eseguito in modo imperito possono essere chiamati a rispondere non solo i sanitari che l'hanno effettuato, ma anche il medico curante del paziente il quale abbia dapprima prescritto la cura i cui effetti abbiano reso necessario l'intervento chirurgico, e poi abbia omesso di informare i colleghi chirurghi del particolare tipo di cure cui era stato sottoposto il paziente, e delle peculiarità che tali cure comportavano (Cass. n. 4029/2013, concernente un caso in cui il medico di fiducia il quale aveva prescritto una cura contro l'infertilità, da cui era poi derivato un ingrossamento delle ovaie della paziente, tale da indurre altri sanitari a rimuoverle chirurgicamente, è stato ritenuto responsabile, insieme a questi ultimi, del danno finale).

L'acquisizione del consenso informato

In caso di trattamento medico – chirurgico svolto in équipe l'obbligo di informazione si estende alla esplicitazione dei compiti assegnati ai diversi specialisti che vi prendano parte, al fine di assicurare al paziente la piena cognizione delle varie fasi dell'intervento e dei soggetti ai quali ne è affidata l'esecuzione. Tuttavia, in caso di intervento sanitario chirurgico (anche solo relativamente) urgente, il consenso consapevole in ordine ai rischi che esso comporta si considera implicitamente esteso anche alle operazioni «complementari» (qual è quella di sostegno, durante l'intervento, delle risorse ematiche del paziente) assolutamente necessarie, non sostituibili con tecniche più sicure (Cass. n. 20832/2006).

I trapianti d'organo

Viene in questione, qui, un'ipotesi di cooperazione diacronica: quella volta al trapianto d'organo, attraverso la partecipazione non solo di una pluralità di medici, ma anche di strutture diverse, presso le quali si realizza prima l'espianto degli organi dal donatore e poi il trapianto. (Cass. pen., n. 2325/2000). La S.C. inclina a estendere anche alle attività diacroniche le regole elaborate per gli interventi chirurgici in équipe, per quanto attiene alla distribuzione delle responsabilità dei diversi operatori. Trova così applicazione il principio di affidamento temperato. Tutte le attività sono tra loro interdipendenti e debbono essere coordinate verso l'esito finale della guarigione: sicché le varie fasi non sono l'una autonoma rispetto all'altra, ma si integrano, concretando un apporto collaborativo interdisciplinare che, stante l'unicità del fine, può configurarsi come attività unica.

Anche in tal caso viene perciò riconosciuta la posizione di protezione di tutti i sanitari che partecipano al trapianto d'organi, dal momento che ognuno di essi assume la tutela della salute del paziente trapiantato.

3. Azioni processuali

Ulteriori azioni processuali

Per la fattispecie in esame è, in alternativa, esperibile il Ricorso ex art. 281-undecies c.p.c. (Procedimento semplificato di cognizione).

Aspetti preliminari: mediazione e accertamento tecnico preventivo

Mediazione

Le cause di risarcimento del danno da responsabilità medico-sanitaria rientrano tra quelle elencate dall'art. 5 d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria» (Parte I – La responsabilità medica in generale).

Accertamento tecnico preventivo diretto alla conciliazione della lite

Con la legge Gelli-Bianco è stato inoltre previsto un diverso congegno volto alla definizione conciliativa della lite ed alternativo alla mediazione, ossia l'accertamento tecnico preventivo diretto alla composizione della lite, previsto dall'art. 696-bis c.p.c. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso 1, «La responsabilità della struttura sanitaria».

L'alternativa tra mediazione e consulenza tecnica preventiva

Sia la consulenza tecnica preventiva che la mediazione perseguono lo stesso scopo, ossia la definizione conciliativa della lite, con conseguente effetto deflattivo sul contenzioso civile. Tra i due strumenti sussistono similitudini e diversità, che possono rendere preferibile l'uno o l'altro. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria» (Parte I – La responsabilità medica in generale).

Competenza per territorio

La legge Gelli Bianco ha inquadrato la responsabilità della struttura sanitaria nell'ambito della responsabilità contrattuale, il che va considerato ai fini dell'individuazione del giudice presso cui si radica la competenza territoriale per le cause in materia di responsabilità medica. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria» (Parte I – La responsabilità medica in generale).

Competenza per valore

La competenza per valore del giudice di pace si determina in base ai criteri indicati dall'art. 7, comma 1, c.p.c.. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria» (Parte I – La responsabilità medica in generale).

Rito applicabile

La domanda di risarcimento del danno per responsabilità medica può essere proposta con atto di citazione, nelle forme del procedimento ordinario di cognizione, ovvero con ricorso nelle forme del procedimento semplificato di cognizione. La scelta è libera, però, solo se si avvia la mediazione e questa non conduce alla soluzione della lite. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria» (Parte I – La responsabilità medica in generale).

Legittimazione attiva e passiva

Il paziente che si assume danneggiato, ovvero i suoi congiunti in caso di morte (ovvero gli ulteriori legittimati, unitamente al paziente), può agire in via risarcitoria nei confronti della struttura sanitaria, nei confronti dell'«esercente la professione sanitaria, nei confronti dell'impresa di assicurazione della struttura ovvero dell'esercente. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria» (Parte I – La responsabilità medica in generale).

Contenuto dell'atto introduttivo

Non è superfluo ripetere, data l'importanza e la peculiarità del tema della responsabilità dell'equipe, che l'assetto della responsabilità medica dopo la legge Gelli-Bianco, la quale stabilisce che la struttura sanitaria pubblica o privata, ove convenzionata, risponde a titolo di responsabilità contrattuale, mentre il medico strutturato risponde per responsabilità aquiliana, è volta a rendere preferibile per il danneggiato intraprendere l'azione risarcitoria nei confronti della sola struttura. In questa prospettiva la collocazione della responsabilità della struttura sanitaria dal versante contrattuale sposta il fuoco degli oneri gravanti sull'attore dal campo probatorio a quello assertivo.

L'attore deve provare l'esistenza del contratto, il che è agevole, giacché il contratto si perfeziona normalmente per fatti concludenti per il fatto stesso dell'ingresso del paziente nella struttura sanitaria, e deve dedurre l'inadempimento. Come si è avuto modo di ricordare (si veda il caso «La responsabilità della struttura sanitaria»), la S.C. ritiene che l'onere di allegazione gravante sul paziente non richieda di individuare specificamente gli aspetti tecnici in cui la responsabilità professionale si concreta, essendo sufficiente la contestazione dell'aspetto colposo dell'attività medica secondo quelle che si ritengono essere, in un dato momento storico, le cognizioni ordinarie di un non-professionista che, espletando la professione di avvocato, conosca comunque (o debba conoscere) l'attuale stato dei profili di responsabilità del sanitario (Cass. n. 9471/2004). Questo è un aspetto fondamentale nella redazione dell'atto introduttivo della domanda di risarcimento del danno da responsabilità medica: la S.C., cioè, richiede per questa via non già la deduzione del puro e semplice inadempimento, inteso come peggioramento delle condizioni di salute, o anche come inalterazione delle medesime, ma la deduzione di un «inadempimento qualificato», ossia astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato (p. es. Cass. n. 20547/2014). Si tenga presente che l'esigenza di deduzione di un «inadempimento qualificato» va commisurata alle peculiarità del caso concreto e dell'obbligazione gravante sul sanitario: così, con riguardo al caso dell'equipe, vanno precisati i comportamenti ritenuti rilevanti nella loro reciproca interazione, tenendo presente che nel caso considerato possono concorrere normalmente condotte commissive ma anche condotte omissive.

4. Conclusioni

Il medico che opera in equipe si trova esposto ad un particolare regime di responsabilità: da un lato risponde, come di norma, per la violazione delle leges artis che lo riguardano; dall'altro lato risponde secondo il congegno dell'affidamento temperato della condotta dei medici con cui coopera, sui quali deve esercitare un'attività di controllo parametrata alla sua posizione, a seconda che si tratti di un medico in posizione apicale o in posizione equiordinata.

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