La causalità commissiva ed omissiva1. Bussole di inquadramentoLa sussistenza del nesso di causalità, in materia di responsabilità civile, rileva sotto due distinti aspetti: per un verso al fine di verificare se e quale collegamento vi sia tra la condotta del danneggiante e la lesione dell'interesse tutelato in capo al danneggiato e, dunque, se i danni da quest'ultimo subiti possono essere addossati al danneggiante; per altro verso, al fine di stabilire quale sia il contenuto dell'obbligazione risarcitoria gravante sul danneggiante. La prima serie causale è quella della cd. causalità materiale o di fatto, attraverso la quale, indagando il collegamento materiale tra la condotta e l'evento, si individua il responsabile del danno. La seconda serie causale è quella della cd. causalità giuridica, attraverso la quale si determina il danno risarcibile. La causalità materiale può presentarsi quale condotta commissiva (p. es.: il chirurgo, nell'esecuzione dell'intervento, recide per colpa un'arteria cagionando la morte del paziente) o omissiva (p. es.: il medico, messo dinanzi al un quadro sintomatico univocamente significativo di una certa patologia ingravescente, non la riconosce, sicché le condizioni di salute del paziente peggiorano). L'accertamento del nesso di causalità, a seconda che la condotta sia commissiva od omissiva, muta, e segue regole diverse. 2. Questioni e orientamenti giurisprudenziali
Domanda
Quale differenza tra causalità commissiva e omissiva?
Nella causalità commissiva viene violato un divieto, in quella omissiva un comando In breve, può dirsi, con la giurisprudenza, che nella causalità commissiva viene violato un divieto, mentre in quella omissiva viene violato un comando. Se tale distinzione è ben netta in astratto, come negli elementari esempi fatti poc'anzi, non lo è altrettanto se misurata sulle fattispecie concrete, in cui ben possono combinarsi componenti di natura commissiva ed omissiva: in Cass. n. 4107/2009, ad esempio, è esaminato il caso di un uomo in gravi condizioni psichiche al quale un medico aveva rilasciato un certificato anamnestico utilizzato poi dall'uomo per ottenere il porto d'armi e munirsi di un'arma con la quale aveva ucciso diverse persone. Viene osservato, in tale decisione, che «in astratto, la distinzione tra causalità commissiva e causalità omissiva è del tutto chiara: nella prima viene violato un divieto; nella seconda è un comando ad essere violato. Non sempre agevole è però la distinzione in concreto tra le due forme di causalità. In particolare, nella responsabilità professionale medica ... viene frequentemente ritenuta omissiva una condotta che tale non è anche perché sono ben pochi i casi nei quali la condotta cui riferire l'evento dannoso è chiaramente attiva (il chirurgo ha inavvertitamente tagliato un vaso durante l'intervento) o passiva (il medico ha colposamente omesso di ricoverare il paziente). Nella stragrande maggioranza dei casi sono presenti condotte attive e passive che interagiscono tra di loro rendendo ancor più difficile l'accertamento della natura della causalità. È peraltro necessario evitare la confusione tra il reato omissivo e le componenti omissive della colpa: i casi del medico che adotta una terapia errata (e quindi omette di somministrare quella corretta) o che dimette anticipatamente il paziente (e quindi omette di continuare a curarlo in ambito ospedaliero) non rientrano nella causalità omissiva ma in quella attiva. Si è detto che i medici che hanno sbagliato diagnosi e terapia «non hanno violato un comando penale, bensì solo un divieto di cagionare (o contribuito a cagionare, si trattasse anche solo di accelerare) lesioni o morte con negligenza, imperizia o imprudenza». Causalità omissiva sarà dunque quella del medico che omette proprio di curare il paziente o che rifiuta di ricoverarlo. Al più potrebbe ritenersi condivisibile il più recente orientamento secondo cui, nell'ambito della responsabilità medica, avrebbe natura commissiva la condotta del medico che ha introdotto nel quadro clinico del paziente un fattore di rischio poi effettivamente concretizzatosi; sarebbe invece omissiva la condotta del sanitario che non abbia contrastato un rischio già presente nel quadro clinico del paziente». Così, si ha causalità commissiva se il medico somministra un farmaco altamente tossico senza adeguata ponderazione degli effetti negativi (Cass. n. 17499/2008). La causalità omissiva richiede un obbligo giuridico di attivarsi Nessuno ha mai dubitato che una condotta commissiva, di segno cioè positivo, quale ad esempio somministrare al paziente un farmaco in dose letale, costituisca causa dell'evento che ne consegue, nel caso considerato, la morte del paziente. Quanto alle condotte omissive, di segno negativo, la loro attitudine ad assurgere a causa di un evento susseguente è tutt'altro che pacifica, in riferimento ad una nozione scientifica di causalità: se può dirsi che una condotta omissiva è causa di un evento susseguente, ciò accade perché è la legge a stabilirlo. L'art. 40, comma 2, c.p. stabilisce infatti che: «Non impedire un evento, che si ha l'obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo». La norma equipara il «non fare» al «cagionare», ove sussista un obbligo giuridico di impedire l'evento, sicché non è sufficiente che l'agente abbia, con la propria omissione, cagionato l'evento, ma occorre che, in tal modo, egli si sia sottratto ad uno specifico obbligo giuridico di agire. In tal senso la S.C. ha stabilito che l'omissione di una condotta rileva, quale condizione determinativa del processo causale dell'evento dannoso, soltanto quando si tratti di omissione di un comportamento di cautela imposto da una norma giuridica specifica, ovvero da una posizione del soggetto che implichi l'esistenza di particolari obblighi di prevenzione dell'evento: perciò, una volta dimostrata in giudizio la sussistenza dell'obbligo di osservare la regola cautelare omessa ed una volta appurato che l'evento appartiene al novero di quelli che la norma mirava ad evitare attraverso il comportamento richiesto, non rileva, ai fini dell'esonero dalla responsabilità, che il soggetto tenuto a detta osservanza abbia provato la non conoscenza in concreto dell'esistenza del pericolo (Cass. n. 10285/2009). L'indagine sulla causalità omissiva deve dunque essere preceduta da quella sulla sussistenza di un obbligo, specifico o generico, di tenere la condotta omessa (Cass. n. 3876/2012; Cass. n. 10285/2009; Cass. n. 13957/2005). Naturalmente, nel caso del medico, il problema della doverosità dell'agire, e dell'agire in conformità delle leges artis, non richiede un particolare approfondimento, essendo connaturato all'attività che egli svolge. Il giudizio controfattuale Occorre ora stabilire come si accerta la sussistenza del nesso causale, a seconda che la condotta abbia carattere commissivo od omissivo. La tecnica è la medesima in entrambi i casi, ma con implicazioni diverse in ciascuno di essi. Poniamo che il medico abbia somministrato un veleno mortale ad un uomo affetto da una banalissima malattia, dalla quale egli sarebbe guarito, seppur più lentamente, anche senza l'assunzione di farmaci: in questo caso, in cui la condotta è evidentemente commissiva, è agevole, ovvio, ritenere che, se il veleno non fosse stato inoculato, il paziente non sarebbe morto per avvelenamento. Nella formulazione di un simile giudizio, si procede con la formulazione di un periodo ipotetico della irrealtà, eliminando, cioè, mentalmente, dalla serie causale la condotta effettivamente posta in essere dall'agente. Nel caso della condotta omissiva il congegno si complica. Non è sufficiente, infatti, sopprimere ipoteticamente ciò che l'agente ha fatto, ma bisogna collocare mentalmente al posto della condotta omessa la condotta che, in sua vece, avrebbe dovuto essere tenuta. Se il medico invece di rimanere inerte avesse disposto quel certo esame diagnostico, ad esempio, tale da far emergere anticipatamente quella certa patologia che pure era già in atto, che cosa sarebbe avvenuto? Il paziente sarebbe guarito o sarebbe morto lo stesso? Questo modo di procedere assume la definizione di «giudizio controfattuale». Si è fatta menzione, in un precedente capitolo, di Cass S.U., n. 30328/2002, ossia della decisione che, nel campo penale, ha segnato l'abbandono del criterio della probabilità statistica e l'adozione di quello dell'«elevata credibilità razionale». Tale sentenza, pronunciata proprio in un caso di causalità omissiva, chiarisce in qual modo il giudizio controfattuale debba essere effettuato. Esso richiede un'operazione bifasica. Nella prima fase occorre individuare la legge scientifica di copertura che, in relazione alla vicenda esaminata, stabilisca un rapporto di probabilità statistica tra la condotta del medico e l'evento verificatosi: ad esempio accertando che, a fronte di una determinata malattia, dalla quale il paziente è affetto, e che dopo l'intervento del medico è peggiorata, la somministrazione di un certo farmaco, che non è stato invece impiegato, mentre ne è stato impiegato uno diverso inappropriato, produce la remissione della malattia in una percentuale x, poniamo molto elevata. Nella seconda fase occorre verificare il complessivo materiale probatorio disponibile, così da trarne la certezza logica – nel penale in ossequio al criterio dell'oltre ogni ragionevole dubbio, nel civile del criterio del più probabile che non – che la mancata somministrazione del farmaco appropriato ha determinato il peggioramento della situazione: ad esempio verificando che il paziente godeva per il resto di buona salute, che non risulta l'intervento causale di circostanze estranee, e così via. Si osserva allora in Cass. S.U., n. 30328/2002 che «non deve chiedersi al giudice di spiegare l'intero meccanismo dell'evento; il nesso di condizionamento deve ritenersi infatti provato non solo (caso assai improbabile) quando venga accertata compiutamente la concatenazione causale che ha dato luogo all'evento ma, altresì, in tutti quei casi nei quali, pur non essendo compiutamente descritto o accertato il complessivo succedersi di tale meccanismo, l'evento sia comunque riconducibile alla condotta colposa dell'agente sia pure con condotte alternative: e purché sia possibile escludere l'efficienza causale di diversi meccanismi eziologici». In definitiva, sussiste il nesso causale tra il comportamento omissivo del medico e il danno subito dal paziente, in sede civile, qualora, attraverso un giudizio necessariamente probabilistico, il giudizio appunto controfattuale, formulato alla stregua del criterio del «più probabile che non», si accerti che l'opera del professionista, se posta in essere nei tempi e nei modi fissati dalle leges artis, avrebbe impedito il verificarsi del pregiudizio. Dunque, in tema di responsabilità civile (sia essa legata alle conseguenze dell'inadempimento di obbligazioni o di un fatto illecito aquiliano), la verifica del nesso causale tra la condotta omissiva e il fatto dannoso si sostanzia nell'accertamento della probabilità (positiva o negativa) del conseguimento del risultato idoneo ad evitare il rischio specifico di danno, riconosciuta alla condotta omessa, da compiersi mediante un giudizio controfattuale, che pone al posto dell'omissione il comportamento dovuto e che va effettuato sulla scorta del criterio del «più probabile che non», conformandosi ad uno standard di certezza probabilistica, che, in materia civile, non può essere ancorato alla determinazione quantitativa-statistica delle frequenze di classi di eventi (c.d. probabilità quantitativa o pascaliana), la quale potrebbe anche mancare o essere inconferente, ma va verificato riconducendo il grado di fondatezza all'ambito degli elementi di conferma (e, nel contempo, di esclusione di altri possibili, alternativi) disponibili nel caso concreto (c.d. probabilità logica o baconiana) (Cass. n. 8114/2022, in fattispecie di paziente traumatizzato e poi deceduto per omessa somministrazione di farmaco anticoagulante). Naturalmente, il giudizio in questione va effettuato ex ante, con l'impiego della tecnica della c.d. prognosi postuma: e cioè compiendo la valutazione, sulla base degli elementi di cui disponeva il medico al momento del suo intervento. 3. Azioni processualiUlteriori azioni processuali Per la fattispecie in esame è, in alternativa, esperibile il Ricorso ex art. 281-undecies c.p.c. (Procedimento semplificato di cognizione). Aspetti preliminari: mediazione e accertamento tecnico preventivo Mediazione Le cause di risarcimento del danno da responsabilità medico-sanitaria rientrano tra quelle elencate dall'art. 5 d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria» (Parte I – La responsabilità medica in generale). Accertamento tecnico preventivo diretto alla conciliazione della lite Con la legge Gelli-Bianco è stato inoltre previsto un diverso congegno volto alla definizione conciliativa della lite ed alternativo alla mediazione, ossia l'accertamento tecnico preventivo diretto alla composizione della lite, previsto dall'art. 696-bis c.p.c. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria» (Parte I – La responsabilità medica in generale). L'alternativa tra mediazione e consulenza tecnica preventiva Sia la consulenza tecnica preventiva che la mediazione perseguono lo stesso scopo, ossia la definizione conciliativa della lite, con conseguente effetto deflattivo sul contenzioso civile. Tra i due strumenti sussistono similitudini e diversità, che possono rendere preferibile l'uno o l'altro. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria» (Parte I – La responsabilità medica in generale). Competenza per territorio La legge Gelli Bianco ha inquadrato la responsabilità della struttura sanitaria nell'ambito della responsabilità contrattuale, il che va considerato ai fini dell'individuazione del giudice presso cui si radica la competenza territoriale per le cause in materia di responsabilità medica. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria» (Parte I – La responsabilità medica in generale). Competenza per valore La competenza per valore del giudice di pace si determina in base ai criteri indicati dall'art. 7, comma 1, c.p.c.. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria» (Parte I – La responsabilità medica in generale). Rito applicabile La domanda di risarcimento del danno per responsabilità medica può essere proposta con atto di citazione, nelle forme del procedimento ordinario di cognizione, ovvero con ricorso nelle forme del procedimento semplificato di cognizione. La scelta è libera, però, solo se si avvia la mediazione e questa non conduce alla soluzione della lite. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria» (Parte I – La responsabilità medica in generale). Legittimazione attiva e passiva Il paziente che si assume danneggiato, ovvero i suoi congiunti in caso di morte (ovvero gli ulteriori legittimati, unitamente al paziente), può agire in via risarcitoria nei confronti della struttura sanitaria, nei confronti dell'«esercente la professione sanitaria, nei confronti dell'impresa di assicurazione della struttura ovvero dell'esercente. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria» (Parte I – La responsabilità medica in generale). Contenuto dell'atto introduttivo La collocazione della responsabilità della struttura sanitaria dal versante contrattuale sposta il fuoco degli oneri gravanti sull'attore dal campo probatorio a quello assertivo. L'attore deve provare l'esistenza del contratto, il che è agevole, giacché il contratto si perfeziona per fatti concludenti per il fatto stesso dell'ingresso del paziente nella struttura sanitaria, e deve dedurre l'inadempimento. Si è già avuto modo di rammentare, nel commento al primo caso, che la giurisprudenza della S.C. richiede la deduzione di un «inadempimento qualificato», ossia astrattamente idoneo a cagionare il danno. È ora da aggiungere che, essendo il paziente attore assoggettato all'onere della prova del nesso di causalità, secondo l'indirizzo giurisprudenziale che si è affermato, l'onere di deduzione ― che precede quello probatorio ― deve essere rapportato anche ad esso. 4. ConclusioniLa causalità che sta alla base dell'attribuzione di responsabilità al medico può avere natura commissiva od omissiva, a seconda che il medico ponga in essere una condotta che non avrebbe dovuto compiere oppure, al contrario, non ponga in essere una condotta alla quale si sarebbe dovuto attenere. La verifica della sussistenza del nesso di causalità va effettuata con la tecnica del giudizio controfattuale, e cioè collocando mentalmente, in luogo della condotta tenuta oppure omessa, quella che avrebbe dovuto invece adottarsi. |