Il danno morale

Mauro Di Marzio

1. Bussole di inquadramento

La S.C. ha stabilito ormai da molti anni che, in tema di quantificazione del danno non patrimoniale subito dalla vittima di un illecito, da cui siano scaturite lesioni fisiche, è arbitraria la automatica liquidazione del danno morale in misura percentuale del danno biologico, essendo in tal modo violato il principio informatore del risarcimento integrale del danno subito dal danneggiato, il quale ha diritto ad un'equità circostanziata e ponderata, attenta alle sue effettive condizioni umane post-sinistro (Cass. n. 5987/2007).

Per comprendere il rilievo di tale affermazione occorre riassumere per grandi linee il quadro complessivo in cui essa si colloca. Ancora dopo la pronuncia delle c.d. «sentenze gemelle» (Cass. n. 8828/2003; Cass. n. 8827/2003), fatte proprie poco dopo dal giudice delle leggi (Corte cost. n. 233/2003), il danno morale occupava, nel contesto del danno non patrimoniale, una posizione assai marginale ed eccentrica, che può essere così brevemente riassunta. Nel vigore del c.c, del 1865, la norma fondamentale in tema di responsabilità aquiliana, l'art. 1151, non conteneva alcuna limitazione alla risarcibilità del danno non patrimoniale. Di fronte al dilatarsi delle domande risarcitorie collocate da quel versante, tuttavia, la dottrina prima e la giurisprudenza poi furono indotte a negare in radice l'autonoma risarcibilità di quel pregiudizio, finendo per ammettere che esso potesse trovare ristoro soltanto nelle ipotesi di reato.

2. Questioni e orientamenti giurisprudenziali

Domanda
Quale è stata l'evoluzione della nozione di danno morale? 

Gli interventi legislativi

Il legislatore del 1942 nell'affiancare all'art. 2043 c.c. l'art. 2059 c.c. – secondo cui il danno non patrimoniale è risarcito solo nei casi determinati dalla legge, tra i quali anzitutto il caso del rilievo penale dell'illecito civile –, intese recepire l'insegnamento del diritto vivente, trasformandolo in diritto vigente. Ma l'equilibrio del disegno entrò presto in crisi per effetto dell'avvento della Costituzione, la quale esigeva che alla lesione dei diritti fondamentali da essa riconosciuti e garantiti seguisse quantomeno l'applicazione della tutela minima, che è quella risarcitoria.

Fu così che alcuni autori suggerirono di interpretare l'art. 2059 c.c. in chiave riduttiva, identificando il danno non patrimoniale con il solo danno morale, ossia con la sofferenza interiore, con il «turbamento dell'animo transeunte determinati da fatto illecito integrante reato», come ancora si esprimevano, sulla scia di numerosissime conformi, le citate «sentenze gemelle». Questa impostazione, recepita in pieno dalla giurisprudenza, ha goduto dell'avallo della Consulta, la quale, nella sentenza «Dell'Andro» (Corte cost. n. 184/1986), ha collocato la figura del danno biologico, nonostante la sua natura non patrimoniale, sotto l'egida dell'art. 2043 c.c. e non dell'art. 2059 c.c.

Ecco, quindi, che il danno morale, a seguito dell'incontro del c.c. con la Costituzione, ha finito per rimanere schiacciato – salvo che in ipotesi marginali qui non rilevanti – dall'identificazione con l'illecito penale. Ed in tal modo esso ha acquistato una significativa caratura sanzionatoria, che ha finito per marginalizzare quella compensativa, senz'altro prevalente nel sistema della responsabilità civile. Il danno morale, insomma, è stato addossato al danneggiante più per punire quest'ultimo che per risarcire il danneggiato. Ciò spiega perché l'entità del danno morale è stata sovente ancorata – non tanto all'entità del pregiudizio per la vittima – ma alla «gravità del reato» (Cass. n. 15568/2004; Cass. n. 14752/2000; Cass. n. 11741/1998; Cass. n. 2272/1998; Cass. n. 5944/1997; Cass. n. 5387/1980; Cass. n. 3114/1978; Cass. n. 3856/1977).

In tal modo il vero contenuto del danno morale è passato ineluttabilmente in secondo piano, confuso nell'opaca, sfumata, generica definizione corrente di «turbamento dell'animo transeunte». Nessun riflettore, insomma, puntato sul mondo della vittima, sulle effettive ripercussioni determinate dall'illecito, sui cambiamenti indotti nella vita del danneggiato. In che cosa concretamente consistesse quel turbamento, in altri termini, la giurisprudenza non usava chiedersi. E dunque nella medesima definizione finivano per confluire, senza distinzioni ed approfondimenti, episodi intuitivamente eterogenei: il dolore del proprietario che veda abusivamente occupato il proprio immobile (dolore in cui prevale il tono della rabbia), il dolore per la perdita del congiunto (dolore in cui emergono i tratti del lutto, del ripiegamento); il dolore per la falsa notizia del coinvolgimento in una scabrosa vicenda penale (dolore che si compone di rabbia, ma soprattutto di vergogna, di possibili derive suicide). E gli esempi potrebbero proseguire a lungo.

Per questa via, il danno morale, anche nelle controversie in tema di sinistri stradali, ha finito per essere liquidato – indipendentemente da ogni effettivo scrutinio del caso concreto e con tendenziale svuotamento del concetto – in percentuale del danno biologico: presso molti tribunali in misura compresa tra un quarto e la metà.

Le «sentenze gemelle» del 2003 e gli sviluppi successivi

Nel 2003, con le «sentenze gemelle» (Cass. n. 8827/2003; Cass. n. 8828/2003), tutto il sistema è stato profondamente scosso.

La S.C. ha ricollocato l'intero danno non patrimoniale, ivi compreso il danno biologico, sotto l'art. 2059 c.c., il quale è stato però reinterpretato in chiave costituzionale, nel senso che il risarcimento può trovare ingresso ogni qual volta la lesione vada a pregiudicare un interesse dotato di protezione costituzionale. In particolare, Cass. n. 8828/2007 si è soffermata su un caso di uccisione di un congiunto. Ed ha anzitutto osservato che la tradizionale identificazione – cui si è prima accennato – del danno non patrimoniale di cui all'art. 2059 c.c. con il danno morale, «non può essere ulteriormente condivisa». Viceversa – ecco il passaggio che ha determinato lo spostamento dei pezzi sulla scacchiera – «il danno non patrimoniale deve essere inteso come categoria ampia, comprensiva di ogni ipotesi in cui sia leso un valore inerente alla persona». Ma la regola stabilita dall'art. 2059 c.c. secondo cui il danno non patrimoniale, inteso nella menzionata ampia accezione, è risarcibile soltanto nei casi previsti dalla legge – ecco l'altro passaggio decisivo – non può operare qualora vengano in considerazione posizioni di rilievo costituzionale: «una lettura della norma costituzionalmente orientata impone di ritenere inoperante il detto limite se la lesione ha riguardato valori della persona costituzionalmente garantiti». E ciò perché, altrimenti, quei valori rimarrebbero privi di tutela risarcitoria, che costituisce la forma di tutela minima, incomprimibile, che l'ordinamento costituzionale garantisce.

In particolare, colui il quale – come nel caso sottoposto all'esame della Corte – lamenti la perdita del rapporto parentale non si duole né di un pregiudizio arrecato alla salute (dunque di un danno biologico), né alla sua integrità morale (dunque di un danno morale): l'interesse fatto valere nel caso di danno da uccisione di congiunto, invece, «è quello alla intangibilità della sfera degli affetti e della reciproca solidarietà nell'ambito della famiglia, alla inviolabilità della libera e piena esplicazione delle attività realizzatrici della persona umana».

Emerge, allora, che l'art. 2059 c.c. regola tre diverse voci «ontologicamente» distinte: non più il solo danno morale, nella consueta accezione di lesione del foro interno, ma anche il danno biologico ed un ulteriore danno – che la S.C. non definisce – derivante da lesione di altri interessi della persona (diversi dalla salute) costituzionalmente protetti.

Fondamentale rilievo nella nuova costruzione è la sottolineatura consequenzialista. Se scomponiamo l'illecito aquiliano nei suoi diversi segmenti, possiamo, tra gli altri, isolarne due: da un lato l'interesse protetto, leso dalla condotta del danneggiante, dall'altro lato il danno da risarcire. Quando la condotta attinge l'interesse protetto, si realizza quello che con una nota formula si definisce come danno-evento. Ma la lesione dell'interesse, il danno-evento, non è ancora danno da risarcire. Quest'ultimo, invece, secondo la regola generale stabilita dall'art. 1223 c.c., è la perdita patrimoniale o non patrimoniale, ed inoltre il mancato guadagno, che la lesione dell'interesse determina: è la conseguenza di questa. Si sa che il giudice delle leggi, con la ricordata sentenza «Dell'Andro», ha ad un dato momento utilizzato la nozione di danno-evento per riconoscere la risarcibilità del danno biologico. Ma di quella finzione, ha opportunamente chiarito Cass. n. 8828/2003 riferendosi al danno non patrimoniale, non vi è ormai più bisogno: «Volendo far riferimento alla nota distinzione tra danno-evento e danno-conseguenza si tratta di danno-conseguenza».

Ebbene, il taglio consequenzialista, applicato dal versante del danno non patrimoniale, ivi compreso quello morale, consente di porre la vittima al centro dell'attenzione, di guardare alle concrete ricadute dell'illecito sulla persona. Ed in tale contesto – si legge ad esempio in Cass. n. 5987/2007 – la liquidazione effettuata «in automatico» non rispondeva alle osservazioni in proposito svolte dal danneggiato, il quale aveva «ampiamente dedotto le sue traversie, la discriminazione da parte del datore di lavoro ... le sofferenze patite». Il danneggiato, insomma, aveva fornito elementi circostanziati e significativi ai fini della dimostrazione della sofferenza subita, ed aveva dunque ragione di attendersi che il danno morale gli fosse liquidato in proporzione ad essi, e non in base ad un criterio fittizio.

Sulla nozione di danno morale, in particolare, la pronuncia ha confermato che esso «ha una sua propria autonomia, inerendo alla integrità morale della persona umana ed al valore universale della dignità, che comprende l'integrità morale». Il riferimento alla dignità, sottolineato dal giudice di legittimità, chiama in causa l'art. 61 della (futura) Costituzione europea, il quale stabilisce appunto che: «La dignità umana è inviolabile. Essa deve essere rispettata e tutelata». Principio, quest'ultimo, facile a coordinarsi – prosegue la decisione – con gli artt. 2 e 3 Cost.

Nel collocarsi sulla scia di Cass. n. 15760/2006, la S.C. è pervenuta a stabilire che, pur potendo avvalersi delle tabelle del danno biologico per la liquidazione del danno morale, non può in nessun caso sottrarsi al dovere di personalizzare la liquidazione, necessariamente equitativa. E ciò perché la mancanza di personalizzazione escluderebbe il carattere equitativo della liquidazione in favore di un automatismo non previsto dalla legge (Cass. n. 20323/2005; Cass. n. 13445/2004; Cass. n. 4186/2004; Cass. n. 11704/2003; Cass. n. 10996/2003; Cass. n. 11376/2002; Cass. n. 4852/1999).

La S.C., infatti, ha ormai sottolineato la incongruità della determinazione tabellare, incongruità che deriva «dalla pretesa ... di considerare il valore della salute e della sua perdita, come valore doppio rispetto alla integrità morale ed alla sua perdita, sia pure contestuale ad un fatto lesivo della salute». Le tabelle, allora, «possono avere un valore sussidiario, ma la vittima ha il pieno diritto di richiedere una equità circostanziata e ponderata, con un miglior sforzo di attenzione alle condizioni umane della vittima e dei suoi stretti congiunti» (Cass. n. 5987/2007). Insomma, una relazione tra le tabelle del danno biologico e la liquidazione del morale c'è, giacché è ragionevole ritenere che a maggior danno biologico corrisponda maggior danno morale. Ma nessun automatismo può essere più tollerato, mentre occorre commisurare la liquidazione alla reale natura ed entità del dolore patito dalla vittima.

Le sentenze di San Martino (2008)

Su tale scia si è inserita la S.C., la quale ha nello stesso senso ribadito, ai fini della quantificazione equitativa del danno morale, l'utilizzo del metodo del rapporto percentuale rispetto alla quantificazione del danno biologico individuato nelle tabelle in uso.

Dopodiché, Cass. S.U., n. 26972/2008; Cass. S.U., n. 26973/2008; Cass. S.U., n. 26974/2008; Cass. S.U., n. 26975/2008, note come «sentenze di San Martino», perché pronunciate l'11 di novembre, hanno sintetizzato gli orientamenti precedenti nella massima secondo cui: «Il danno non patrimoniale da lesione della salute costituisce una categoria ampia ed omnicomprensiva, nella cui liquidazione il giudice deve tenere conto di tutti i pregiudizi concretamente patiti dalla vittima, ma senza duplicare il risarcimento attraverso l'attribuzione di nomi diversi a pregiudizi identici. Ne consegue che è inammissibile, perché costituisce una duplicazione risarcitoria, la congiunta attribuzione alla vittima di lesioni personali, ove derivanti da reato, del risarcimento sia per il danno biologico, sia per il danno morale, inteso quale sofferenza soggettiva, il quale costituisce necessariamente una componente del primo (posto che qualsiasi lesione della salute implica necessariamente una sofferenza fisica o psichica), come pure la liquidazione del danno biologico separatamente da quello c.d. estetico, da quello alla vita di relazione e da quello cosiddetto esistenziale».

Il nuovo «decalogo»

Secondo Cass. n. 901/2018: «In tema di risarcimento del danno non patrimoniale conseguente alla lesione di interessi costituzionalmente protetti, il giudice di merito, dopo aver identificato la situazione soggettiva protetta a livello costituzionale, deve rigorosamente valutare, sul piano della prova, tanto l'aspetto interiore del danno (c.d. danno morale), quanto il suo impatto modificativo in peius con la vita quotidiana (il danno c.d. esistenziale, o danno alla vita di relazione, da intendersi quale danno dinamico-relazionale), atteso che oggetto dell'accertamento e della quantificazione del danno risarcibile ― alla luce dell'insegnamento della Corte costituzionale (sent. n. 235 del 2014) e del recente intervento del legislatore (artt. 138 e 139 C.d.A., come modificati dalla legge annuale per il Mercato e la Concorrenza del 4 agosto 2017 n. 124) ― è la sofferenza umana conseguente alla lesione di un diritto costituzionalmente protetto, la quale, nella sua realtà naturalistica, si può connotare in concreto di entrambi tali aspetti essenziali, costituenti danni diversi e, perciò, autonomamente risarcibili, ma solo se provati caso per caso con tutti i mezzi di prova normativamente previsti». Nella menzionata decisione, e nella successiva Cass. n. 7513/2018, c.d. «ordinanza decalogo» (forse con qualche leggera sopravvalutazione) si afferma che: «Il danno non patrimoniale non derivante da una lesione della salute, ma conseguente alla lesione di altri interessi costituzionalmente tutelati, va liquidato, non diversamente che nel caso di danno biologico, tenendo conto tanto dei pregiudizi patiti dalla vittima nella relazione con se stessa (la sofferenza interiore e il sentimento di afflizione in tutte le sue possibili forme, id est il danno morale interiore), quanto di quelli relativi alla dimensione dinamico-relazionale della vita del soggetto leso. Nell'uno come nell'altro caso, senza automatismi risarcitori e dopo accurata ed approfondita istruttoria».

Il danno non patrimoniale, a fronte della lesione dell'interesse della persona costituzionalmente rilevante, consiste dunque: nel pregiudizio concernente la sfera esteriore (danno dinamico-relazionale, danno biologico, danno esistenziale, che dir si voglia); nel pregiudizio concernente la sfera interiore (danno morale soggettivo).

Quanto al danno «dinamico relazionale», afferma il «decalogo», «la lesione della salute può avere le conseguenze dannose più diverse, ma tutte inquadrabili teoricamente in due gruppi: conseguenze necessariamente comuni a tutte le persone che dovessero patire quel particolare tipo di invalidità; conseguenze peculiari del caso concreto, che abbiano reso il pregiudizio patito dalla vittima diverso e maggiore rispetto ai casi consimili. Tanto le prime che le seconde conseguenze costituiscono un danno non patrimoniale; la liquidazione delle prime, tuttavia, presuppone la mera dimostrazione dell'esistenza dell'invalidità; la liquidazione delle seconde esige la prova concreta dell'effettivo (e maggior) pregiudizio sofferto».

La prova del danno dinamico-relazionale «normale» è insita nell'accertamento medico-legale, e la liquidazione di tale danno è standardizzata. Il danno dinamico-relazionale individualizzato richiede invece una specifica allegazione e prova. Così pure, per la S.C., il danno morale soggettivo. inoltre:

– «In presenza d'un danno alla salute, non costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione d'una somma di denaro a titolo di risarcimento del danno biologico, e d'una ulteriore somma a titolo di risarcimento dei pregiudizi che non hanno fondamento medico-legale, perché non aventi base organica ed estranei alla determinazione medico-legale del grado percentuale di invalidità permanente, rappresentati dalla sofferenza interiore (quali, ad esempio, il dolore dell'animo, la vergogna, la disistima di sé, la paura, la disperazione»;

– «Ove sia correttamente dedotta ed adeguatamente provata l'esistenza d'uno di tali pregiudizi non aventi base medico-legale, essi dovranno formare oggetto di separata valutazione e liquidazione».

Ora, le stesse decisioni appena menzionate hanno provato a sostenere che i principi con esse affermati sarebbero armonici con le sentenze di San Martino del 2008: ma evidentemente ― bene o male che sia ― non è così: nelle pronunce del 2008 si escludeva «la congiunta attribuzione alla vittima di lesioni personali, ove derivanti da reato, del risarcimento sia per il danno biologico, sia per il danno morale, inteso quale sofferenza soggettiva, il quale costituisce necessariamente una componente del primo (posto che qualsiasi lesione della salute implica necessariamente una sofferenza fisica o psichica)»; nelle decisioni del 2018 si afferma il contrario, e cioè che i singoli pregiudizi «dovranno formare oggetto di separata valutazione e liquidazione».

Il danno morale e l'art. 138 del codice delle assicurazioni

Un lettore ingenuo potrebbe chiedersi come mai la liquidazione del danno morale soggettivo sia affidata alle montagne russe della giurisprudenza, quando il legislatore ha previsto fin dal 2005 l'elaborazione di una tabella volta alla liquidazione del danno non patrimoniale cagionato da sinistri stradali, ed applicabile anche al campo della responsabilità professionale medica per il rinvio fattone dalla legge Gelli-Bianco. La risposta è facile: perché le tabelle, dal 2005, non sono state ancora elaborate. Ed è sorprendente constatare che la norma che prevede l'introduzione della tabella è stata reiteratamente novellata (l'ultima volta nel 2021: d.l. 30 dicembre 2021, n. 228, art. 3-ter, comma 1, lett. a) prima ancora di entrare in vigore. Grazie alla condotta del legislatore abbiamo avuto ben oltre 15 anni di contrasti giurisprudenziali, e per dirla chiara una liquidazione del danno randomizzata, con quanto tutto ciò costa in definitiva all'intero paese, che si sarebbero potuti tranquillamente evitare.

Ricordiamo che l'art. 138 d.lgs. 7 settembre 2005, n. 209, sotto la rubrica: «Danno non patrimoniale per lesioni di non lieve entità», stabilisce che: «1. Al fine di garantire il diritto delle vittime dei sinistri a un pieno risarcimento del danno non patrimoniale effettivamente subito e di razionalizzare i costi gravanti sul sistema assicurativo e sui consumatori, con due distinti decreti del Presidente della Repubblica, da adottare entro il 1° maggio 2022, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, il primo, di cui alla lettera a), su proposta del Ministro della salute, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali e con il Ministro della giustizia, e il secondo, di cui alla lettera b), su proposta del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro della giustizia, sentito l'IVASS, si provvede alla predisposizione di specifiche tabelle uniche per tutto il territorio della Repubblica:

a) delle menomazioni all'integrità psico-fisica comprese tra dieci e cento punti;

b) del valore pecuniario da attribuire a ogni singolo punto di invalidità comprensivo dei coefficienti di variazione corrispondenti all'età del soggetto leso.

2. Le tabelle uniche nazionali di cui al comma 1 sono redatte, tenuto conto dei criteri di valutazione del danno non patrimoniale ritenuti congrui dalla consolidata giurisprudenza di legittimità, secondo i seguenti principi e criteri:

a) agli effetti delle tabelle, per danno biologico si intende la lesione temporanea o permanente all'integrità psico-fisica della persona, suscettibile di accertamento medico-legale, che esplica un'incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla sua capacità di produrre reddito;

b) la tabella dei valori economici si fonda sul sistema a punto variabile in funzione dell'età e del grado di invalidità;

c) il valore economico del punto è funzione crescente della percentuale di invalidità e l'incidenza della menomazione sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato cresce in modo più che proporzionale rispetto all'aumento percentuale assegnato ai postumi;

d) il valore economico del punto è funzione decrescente dell'età del soggetto, sulla base delle tavole di mortalità elaborate dall'ISTAT, al tasso di rivalutazione pari all'interesse legale;

e) al fine di considerare la componente del danno morale da lesione all'integrità fisica, la quota corrispondente al danno biologico stabilita in applicazione dei criteri di cui alle lettere da a) a d) è incrementata in via percentuale e progressiva per punto, individuando la percentuale di aumento di tali valori per la personalizzazione complessiva della liquidazione;

f) il danno biologico temporaneo inferiore al 100 per cento è determinato in misura corrispondente alla percentuale di inabilità riconosciuta per ciascun giorno.

3. Qualora la menomazione accertata incida in maniera rilevante su specifici aspetti dinamico-relazionali personali documentati e obiettivamente accertati, l'ammontare del risarcimento del danno, calcolato secondo quanto previsto dalla tabella unica nazionale di cui al comma 1, lettera b), può essere aumentato dal giudice, con equo e motivato apprezzamento delle condizioni soggettive del danneggiato, fino al 30 per cento.

4. L'ammontare complessivo del risarcimento riconosciuto ai sensi del presente articolo è esaustivo del risarcimento del danno conseguente alle lesioni fisiche».

Al momento in cui quest'opera è licenziata, sta di fatto che la tabella ancora non c'è. Orbene, la S.C. (Cass. n. 2788/2019), ha affermato che: «L'art. 138 ... recita testualmente: “al fine di considerare la componente del danno morale da lesione dell'integrità fisica, la quota corrispondente al danno biologico è incrementata in via percentuale e progressiva per punto, individuando la percentuale di aumento di tali valori per la personalizzazione progressiva della liquidazione”. Il sopravvenuto intervento chiarificatore, da parte del legislatore, nell'art. 138 della fenomenologia del danno alla persona induce a escludere una rimessione della questione alle Sezioni Unite di questa Corte, posta, cioè, l'esistenza di una chiara volontà normativa affermativa della distinzione strutturale tra danno morale e danno dinamico relazionale». Questo indirizzo è stato confermato (Cass. n. 28989/2019; Cass. n. 25164/2020; Cass. n. 10579/2021).

Che quanto precede sia vero o non sia vero, certo è che l'art. 138 prevede che le tabelle siano elaborate, «tenuto conto dei criteri di valutazione del danno non patrimoniale ritenuti congrui dalla consolidata giurisprudenza di legittimità»: ed in fin dei conti il consolidamento ormai c'è stato.

3. Azioni processuali

Ulteriori azioni processuali

Per la fattispecie in esame è, in alternativa, esperibile il Ricorso ex art. 281-undecies c.p.c. (Procedimento semplificato di cognizione).

Aspetti preliminari: mediazione e accertamento tecnico preventivo

Mediazione

Le cause di risarcimento del danno da responsabilità medico-sanitaria rientrano tra quelle elencate dall'art. 5 d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28, che prevede come obbligatoria condizione di procedibilità il preventivo espletamento del procedimento di mediazione, solo dopo il fallimento del quale può essere adito il giudice. L'ampia dizione impiegata dal legislatore ― «Chi intende esercitare in giudizio un'azione relativa ad una controversia in materia di ... risarcimento del danno derivante ... da responsabilità medica e sanitaria... è tenuto ... preliminarmente a esperire il procedimento di mediazione ai sensi del presente decreto ... L'esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale» ― rende manifesto che il previo accesso al procedimento di mediazione riguarda qualunque causa di risarcimento del danno cagionato nell'esercizio dell'attività medica, indipendentemente dalla circostanza che la domanda venga proposta nei confronti del medico, o di altro personale sanitario, o della struttura sanitaria, ed altresì indipendentemente dalla natura del pregiudizio lamentato, sia che esso concerna l'integrità psicofisica del paziente, sia che abbia ad oggetto il suo diritto di autodeterminazione nelle scelte attinenti alla sfera sanitaria, come accade nell'ipotesi di intervento operato in mancanza del necessario consenso informato: in definitiva non v'è dubbio che la domanda di risarcimento (anche) del danno morale debba essere preceduta dal procedimento di mediazione, in alternativa all'accertamento tecnico conciliativo.

Accertamento tecnico preventivo diretto alla conciliazione della lite

Con la legge Gelli-Bianco è stato inoltre previsto un diverso congegno volto alla definizione conciliativa della lite ed alternativo alla mediazione, ossia l'accertamento tecnico preventivo diretto alla composizione della lite, previsto dall'art. 696-bis c.p.c. L'art. 8, l. 8 marzo 2017, n. 24, nel disciplinare la materia, fa «salva la possibilità di esperire in alternativa il procedimento di mediazione ai sensi dell'art. 5, d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28», cui si è poc'anzi fatto cenno.

Nel rinviare alla trattazione svolta già nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria», si rammenta che il ricorso per accertamento tecnico preventivo ai fini della conciliazione della lite deve contenere gli elementi previsti dall'art. 125 c.p.c., che menziona l'ufficio giudiziario, le parti, l'oggetto, le ragioni della domanda e le conclusioni o l'istanza. Non è tuttavia indispensabile indicare l'oggetto della futura domanda di merito, dal momento che il procedimento non riveste natura cautelare anticipatoria, ma appunto conciliativa.

Quando la domanda giudiziale sia stata proposta senza farla precedere dalla consulenza tecnica preventiva o dalla mediazione obbligatoria, il giudice, su eccezione del convenuto o a seguito di rilievo d'ufficio non oltre la prima udienza, dispone che si dia ingresso, o se del caso si prosegua, il procedimento di consulenza conciliativa.

L'alternativa tra mediazione e consulenza tecnica preventiva

Si avuto modo di ripetere che la consulenza tecnica preventiva che la mediazione perseguono lo stesso scopo, ossia la definizione conciliativa della lite, con conseguente effetto deflattivo sul contenzioso civile. L'efficacia della conciliazione raggiunta in sede di mediazione è sostanzialmente sovrapponibile a quella dell'accordo raggiunto sulla base della consulenza tecnica preventiva: entrambi gli accordi sono riconducibili sul terreno negoziale alla disciplina dell'art. 1372 c.c., e su quello esecutivo, esecutivo alla previsione dell'art. 474, comma 2, n. 1, e comma 3, c.p.c. Vi sono però differenze sensibili tra l'una e l'altra procedura, giacché la relazione tecnica redatta dal consulente nominato dal giudice va fisiologicamente a far parte del corredo istruttorio della causa di merito, mentre le risultanze dell'attività svolta nel procedimento di mediazione può al più costituire prova atipica rimessa al prudente apprezzamento del giudice. In tale prospettiva non sembra possano negarsi i vantaggi del procedimento di consulenza tecnica preventiva volta alla composizione della lite, tenuto conto che nella materia in discorso l'espletamento della consulenza tecnica d'ufficio è perlopiù indispensabile.

Competenza per territorio

La legge Gelli Bianco ha inquadrato la responsabilità della struttura sanitaria nell'ambito della responsabilità contrattuale, il che va considerato ai fini dell'individuazione del giudice presso cui si radica la competenza territoriale per le cause in materia di responsabilità medica. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria» (Parte I – La responsabilità medica in generale).

Competenza per valore

La competenza per valore del giudice di pace si determina in base ai criteri indicati dall'art. 7, comma 1, c.p.c. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria» (Parte I – La responsabilità medica in generale).

Rito applicabile

La domanda di risarcimento del danno per responsabilità medica può essere proposta con atto di citazione, nelle forme del procedimento ordinario di cognizione, ovvero con ricorso nelle forme del procedimento semplificato di cognizione. La scelta è libera, però, solo se si avvia la mediazione e questa non conduce alla soluzione della lite. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria» (Parte I – La responsabilità medica in generale), rammentando che, se si condivide quanto poc'anzi osservato con riguardo all'alternativa tra la mediazione e la consulenza tecnica conciliativa, e si ritiene preferibile quest'ultima, la domanda risarcitoria deve in tal caso seguire il procedimento semplificato di cognizione.

Legittimazione attiva e passiva

Il paziente che si assume danneggiato, ovvero i suoi congiunti in caso di morte (ovvero gli ulteriori legittimati, unitamente al paziente), può agire in via risarcitoria nei confronti della struttura sanitaria, nei confronti dell'«esercente la professione sanitaria, nei confronti dell'impresa di assicurazione della struttura ovvero dell'esercente. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria» (Parte I – La responsabilità medica in generale).

Contenuto dell'atto introduttivo

La collocazione della responsabilità della struttura sanitaria dal versante contrattuale sposta il fuoco degli oneri gravanti sull'attore dal campo probatorio a quello assertivo. L'attore deve provare l'esistenza del contratto, il che è agevole, giacché il contratto si perfeziona per fatti concludenti per il fatto stesso dell'ingresso del paziente nella struttura sanitaria, e deve dedurre l'inadempimento. A tale ultimo riguardo, è appena il caso di accennare che la giurisprudenza richiede la deduzione di un «inadempimento qualificato», ossia astrattamente idoneo a cagionare il danno: tuttavia, per quanto concerne i profili attinenti al danno morale, e dunque, non all'an, ma al quantum debeatur, l'attenzione va prestata più che altro alla distinzione tra le diverse voci di danno ed alla precisa individuazione del contenuto del pregiudizio subito, in modo da valorizzare il rilievo in vista di una adeguata personalizzazione del risarcimento.

4. Conclusioni

La vicenda del danno morale soggettivo, entro quella del danno non patrimoniale, è tra le più travagliate della giurisprudenza formatasi sul c.c. Basterà qui rammentare che, ad un dato momento, nel 2008, le Sezioni Unite hanno stabilito che il danno non patrimoniale è una categoria unica ed unitaria, comprensiva anche del danno morale soggettivo, di guisa che la liquidazione del danno ha da essere, in fin dei conti, una ed una soltanto. A partire dal 2018, tuttavia, la giurisprudenza è cambiata e, traendo argomento dall'art. 138 cod. ass., nel frattempo novellato nel 2017, è in buona sostanza affermato che il danno morale va liquidato a parte. Tutto ciò nell'attesa che il legislatore si decida ad emanare la tabella unica nazionale, che sarebbe applicabile anche in campo di responsabilità professionale medica, in quanto richiamata dalla legge Gelli-Bianco, prevista da tale ultima disposizione, e che si fa attendere dal 2005.

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