Il danno da perdita del rapporto parentale1. Bussole di inquadramentoIl pregiudizio derivante dalla perdita (ma anche soltanto dalla compromissione) del rapporto parentale, e cioè dalle ripercussioni (non patrimoniali) della morte o dalla macrolesione di un congiunto, è rimasto confinato, fino al 2003, entro l'ambito di applicazione dell'art. 2059 c.c., nel suo primigenio significato: pregiudizio, dunque, risarcibile sotto il profilo del solo danno morale, e solo in presenza della commissione di un reato. Il quadro si è modificato con le c.d. «sentenze gemelle» del 2003 (Cass. n. 8827/2003; Cass. n. 8828/2003), secondo le quali «il danno non patrimoniale deve essere inteso come categoria ampia, comprensiva di ogni ipotesi in cui sia leso un valore inerente alla persona»: con tale decisione è stata data una nuova lettura, costituzionalmente orientata, dell'art. 2059 c.c., sul rilievo che «ciò che rileva, ai fini dell'ammissione a risarcimento, in riferimento all'art. 2059 c.c., è l'ingiusta lesione di un interesse inerente alla persona, dalla quale conseguano pregiudizi non suscettivi di valutazione economica», sempre che l'interesse leso appartenga al numero dei «diritti inviolabili inerenti alla persona non aventi natura economica», dotati di copertura costituzionale, diritti riguardo ai quali la «riparazione ... rappresenta la forma di tutela minima». 2. Questioni e orientamenti giurisprudenziali
Domanda
Come si è orientata la Suprema Corte nel caso di danno da perdita del rapporto parentale?
Le «sentenze gemelle» del 2003 È in tal modo emerso un interesse, certamente di rilievo costituzionale, «all'intangibilità della sfera degli affetti e della reciproca solidarietà nell'ambito della famiglia, all'inviolabilità della libera e piena esplicazione delle attività realizzatrici della persona umana nell'ambito di quella peculiare formazione sociale costituita dalla famiglia, la cui tutela è ricollegabile agli artt. 2,29 e 30 Cost.» (Cass. n. 8827/2003). Ed è divenuta nozione scontata quella secondo cui l'area della risarcibilità si estende all'intero ambito delle ripercussioni esistenziali della condotta: «il riconoscimento dei “diritti della famiglia” ... va invero inteso non già, restrittivamente, come tutela delle estrinsecazioni della persona nell'ambito esclusivo di quel nucleo, con una proiezione di carattere meramente interno, ma nel più ampio senso di modalità di realizzazione della vita stessa dell'individuo alla stregua dei valori e dei sentimenti che il rapporto parentale ispira, generando bensì bisogni e doveri, ma dando anche luogo a gratificazioni, supporti, affrancazioni e significati“; cosicché “si risarciscono ... danni diversi da quello biologico e da quello morale soggettivo”» (Cass. n. 8827/2003). Le «sentenze di San Martino» Il principio affermato dalle decisioni del 2003 si consolida nel 2008, con quattro sentenze note come «sentenze di San Martino, poiché pronunciate l'11 novembre (Cass. S.U., n. 26972-3-4-5/2008). Vi si richiama la risarcibilità del «danno non patrimoniale conseguente alla lesione di diritti costituzionalmente inviolabili (come avverrà ... nel caso di uccisione o lesione grave di congiunto, determinante la perdita o la compromissione del rapporto parentale)». Ed ancora, «pregiudizi di tipo esistenziale sono risarcibili purché conseguenti alla lesione di un diritto inviolabile della persona», «ipotesi che si realizza, ad esempio, nel caso dello sconvolgimento della vita familiare provocato dalla perdita di congiunto». Gli sviluppi del danno da perdita del rapporto parentale Viene successivamente chiarito che «un danno non patrimoniale diverso ed ulteriore rispetto alla sofferenza morale (cd. danno da rottura del rapporto parentale) non può ritenersi sussistente per il solo fatto che il superstite lamenti la perdita delle abitudini quotidiane, ma esige la dimostrazione di fondamentali e radicali cambiamenti dello stile di vita, che è onere dell'attore allegare e provare; tale onere di allegazione, peraltro, va adempiuto in modo circostanziato, non potendo risolversi in mere enunciazioni generiche, astratte od ipotetiche» (Cass. n. 21060/2016; Cass. n. 16992/2015, Cass. n. 28989). Dunque, se il congiunto ha contratto, in conseguenza della perdita del rapporto parentale, una patologia suscettibile di accertamento medico-legale, l'aspetto esistenziale del pregiudizio viene risarcito sotto il profilo della componente dinamico-relazionale del danno biologico/dinamico; per converso, in assenza di danno biologico, è da escludersi la corresponsione di un'ulteriore posta risarcitoria (per danno esistenziale) rispetto a quella già liquidata per il “danno costituito dalla lesione del rapporto parentale”, rappresenterebbe un'indebita duplicazione risarcitoria (Cass. n. 30997/2018). Si è infine ricordato «i principi ripetutamente affermati da questa Corte, che non solo ha ritenuto legittimati i componenti del consorzio familiare a far valere una pretesa risarcitoria che trova fondamento negli artt. 2043 e 2059 c.c. in relazione agli artt. 2,29 e 30 Cost., nonché – ai sensi della norma costituzionale interposta costituita dall'art. 8 CEDU, che dà rilievo al diritto alla protezione della vita privata e familiare – all'art. 117 Cost., comma 1, (in tal senso, funditus, Cass. n. 8442/2019), ma ha anche chiarito che pure tale tipo di pregiudizio rileva nella sua duplice, e non sovrapponibile dimensione morfologica “della sofferenza interiore eventualmente patita, sul piano morale soggettivo, nel momento in cui la perdita del congiunto è percepita nel proprio vissuto interiore, e quella, ulteriore e diversa, che eventualmente si sia riflessa, in termini dinamico-relazionali, sui percorsi della vita quotidiana attiva del soggetto che l'ha subita” (Cass n. 28989/2019, approdo definitivo di un lungo e tormentato percorso interpretativo che ha finalmente colto la reale fenomenologia del danno alla persona, come confermato dallo stesso, esplicito dettato legislativo di cui al novellato art. 138 C.d.a., oltre che dalla cristallina sentenza del Giudice delle leggi n. 235/2014 che, nel pronunciarsi sulla conformità a Costituzione del successivo art. 139, e discorrendo di risarcibilità anche del danno morale al punto 10.1. della sentenza, ha definitivamente chiarito la differenza strutturale tra qualificazione della fattispecie e quantificazione del danno). Aspetti, dunque, come il panico, gli incubi e il mutamento delle abitudini di vita, conseguenti alla morte del feto in utero, non possono considerarsi affatto come un tipo di danno “assolutamente avulso rispetto alla domanda di risarcimento formulata ex art. 2059 c.c.”, risultando tale affermazione errata in diritto, come errata appare quella secondo cui “altro sarebbe il danno non patrimoniale causato dalla perdita del frutto del concepimento, e ben altro sarebbe invece il danno consistente negli strascichi che quel lutto abbia lasciato nell'animo dei protagonisti”. Nel riconsiderare tali aspetti del danno lamentato dai ricorrenti, il collegio di rinvio terrà altresì conto di quanto di recente affermato da questa stessa Corte (Cass. n. 8887/2020) in tema di danno da perdita del rapporto parentale, valorizzando appieno l'aspetto della sofferenza interiore patita dai genitori (Cass. 901/2018, 7513/2018, 2788/2019, 25988/2019), poiché la sofferenza morale, allegata e poi provata anche solo a mezzo di presunzioni semplici, costituisce assai frequentemente l'aspetto più significativo del danno de quo. Esiste, difatti, una radicale differenza tra il danno per la perdita del rapporto parentale e quello per la sua compromissione dovuta a macrolesione del congiunto rimasto in vita – caso nel quale è la vita di relazione a subire profonde modificazioni in peius. Una differenziazione che rileva da un punto di vista qualitativo/quantitativo del risarcimento se è vero che, come insegna la più recente ed avveduta scienza psicologica, e contrariamente alle originarie teorie sull'elaborazione del lutto, quella della cosiddetta elaborazione del lutto è un'idea fallace, poiché che camminiamo nel mondo sempre circondati dalle assenze che hanno segnato la nostra vita e che continuano ad essere presenti tra noi. Il dolore del lutto non ci libera da queste assenze, ma ci permette di continuare a vivere e di resistere alla tentazione di scomparire insieme a ciò che abbiamo perduto. Il vero danno, nella perdita del rapporto parentale, è la sofferenza, non la relazione. È il dolore, non la vita, che cambia, se la vita è destinata, sì, a cambiare, ma, in qualche modo, sopravvivendo a sé stessi nel mondo» (Cass. n. 26301/2021). Si tratta, com'è evidente, di considerazioni che con il diritto hanno poco a che fare, e che ciascuno può considerare come crede. Certo è che la pronuncia pare porsi in contrasto con altre decisioni (Cass. n. 22859/2020; Cass. n. 19190/2020; Cass. n. 12717/2015) secondo cui, nel caso di perdita del feto, il ristoro deve essere calcolato non già facendo riferimento agli ordinari valori tabellari per la liquidazione del danno parentale, bensì dimezzandoli, in quanto ad essere riparata non è la rottura di un rapporto esistente, bensì la mera aspettativa dello stesso. Allegazione, prova e liquidazione del danno da perdita del rapporto parentale La legittimazione attiva alla domanda di risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale spetta ai componenti del nucleo familiare, i genitori, il coniuge, anche separato, previa verifica della connotazione del rapporto (Cass. n. 1025/2013; Cass. n. 25415/2013), il convivente more uxorio (fin da Cass. n. 2988/1994), naturalmente i figli, ed ancora i nonni rispetto ai nipoti (Cass. n. 4253/2012; contra Cass. n. 14931/2012), rilevando la convivenza al solo fine di dimostrare l'ampiezza e la profondità del vincolo affettivo (Cass. n. 21230/2016; Cass. n. 29332/2017; Cass. n. 21837/2019). Più in generale, è stato affermato che «il danno conseguente alla lesione del rapporto parentale (e non soltanto alla sua perdita) deve essere riconosciuto in relazione a qualsiasi tipo di rapporto che abbia le caratteristiche di una stabile relazione affettiva, indipendentemente dalla circostanza che il rapporto sia intrattenuto con un parente di sangue o con un soggetto che non sia legato da un vincolo di consanguineità naturale, ma che ha con il danneggiato analoga relazione di affetto, di consuetudine di vita e di abitudini» (Cass. n. 20835/2018). Come si è già avuto modo di osservare, anche in materia di risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale vale l'impostazione consequenzialista affermatasi con riguardo al danno non patrimoniale in generale: esso, dunque, non può considerarsi in re ipsa, ma deve essere allegato e provato dal preteso danneggiato mediante l'utilizzo dei mezzi di prova consentiti, ivi comprese le presunzioni, con la precisazione che, secondo Cass. n. 28989/2019, sulla scia della giurisprudenza precedente, l'attitudine del ragionamento presuntivo a comprovare il danno è direttamente proporzionale alla prossimità del rapporto, tenuto conto del suo concreto atteggiarsi. L'entità del risarcimento va quindi parametrata alla previsione tabellare, e collocata tra il minimo e il massimo, potendo peraltro il convenuto contrastare l'applicazione del ragionamento presuntivo in funzione delle circostanze del caso (v. p. es. Cass. n. 29784/2018). Quanto all'impiego delle tabelle, la S.C. inclina a reputarne l'impiego meno stringente di quanto non faccia per il danno biologico. In tal senso, Cass. n. 29495/2019 circoscrive l'applicazione del principio affermato da Cass. n. 12408/2011 (la vocazione nazionale delle tabelle milanesi) al danno non patrimoniale da lesione dell'integrità psico-fisica, sicché esso «non investe la determinazione del danno da lesione del rapporto parentale». Per conseguenza, espletata la necessaria istruttoria, il giudice può disattendere la domanda risarcitoria quando constati l'assenza di un effettivo rapporto di affezione-frequentazione tra i congiunti, può accoglierla entro i limiti tabellari, ma può anche esorbitare da detti limiti, a condizioni di fornirne adeguata motivazione. 3. Azioni processualiUlteriori azioni processuali Per la fattispecie in esame è, in alternativa, esperibile il Ricorso ex art. 281-undecies c.p.c. (Procedimento semplificato di cognizione). Aspetti preliminari: mediazione e accertamento tecnico preventivo Mediazione Le cause di risarcimento del danno da responsabilità medico-sanitaria rientrano tra quelle elencate dall'art. 5 d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria» (Parte I – La responsabilità medica in generale). Accertamento tecnico preventivo diretto alla conciliazione della lite Con la legge Gelli-Bianco è stato inoltre previsto un diverso congegno volto alla definizione conciliativa della lite ed alternativo alla mediazione, ossia l'accertamento tecnico preventivo diretto alla composizione della lite, previsto dall'art. 696-bis c.p.c. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria» (Parte I – La responsabilità medica in generale). L'alternativa tra mediazione e consulenza tecnica preventiva Sia la consulenza tecnica preventiva che la mediazione perseguono lo stesso scopo, ossia la definizione conciliativa della lite, con conseguente effetto deflattivo sul contenzioso civile. Tra i due strumenti sussistono similitudini e diversità, che possono rendere preferibile l'uno o l'altro. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria» (Parte I – La responsabilità medica in generale). Competenza per territorio La legge Gelli Bianco ha inquadrato la responsabilità della struttura sanitaria nell'ambito della responsabilità contrattuale, il che va considerato ai fini dell'individuazione del giudice presso cui si radica la competenza territoriale per le cause in materia di responsabilità medica. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria» (Parte I – La responsabilità medica in generale). Competenza per valore La competenza per valore del giudice di pace si determina in base ai criteri indicati dall'art. 7, comma 1, c.p.c. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria» (Parte I – La responsabilità medica in generale). Rito applicabile La domanda di risarcimento del danno per responsabilità medica può essere proposta con atto di citazione, nelle forme del procedimento ordinario di cognizione, ovvero con ricorso nelle forme del procedimento semplificato di cognizione. La scelta è libera, però, solo se si avvia la mediazione e questa non conduce alla soluzione della lite. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria» (Parte I – La responsabilità medica in generale). Legittimazione attiva e passiva Il paziente che si assume danneggiato, ovvero i suoi congiunti in caso di morte (ovvero gli ulteriori legittimati, unitamente al paziente), può agire in via risarcitoria nei confronti della struttura sanitaria, nei confronti dell'«esercente la professione sanitaria, nei confronti dell'impresa di assicurazione della struttura ovvero dell'esercente. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria» (Parte I – La responsabilità medica in generale). Contenuto dell'atto introduttivo Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria» (Parte I – La responsabilità medica in generale). 4. ConclusioniTra i danni non patrimoniali derivanti, normalmente, dalla lesione di un interesse diverso dalla salute, spicca il danno da perdita (ma anche soltanto da compromissione) del rapporto parentale, danno che è risarcibile in favore di una platea di congiunti sempre più ampia, in cui sono stati ricompresi oltre al convivente more uxorio, i nonni le persone coinvolte in «qualsiasi tipo di rapporto che abbia le caratteristiche di una stabile relazione affettiva». La S.C. non esclude, tuttavia, che il danno da perdita del rapporto parentale possa assumere le caratteristiche del danno biologico, quando si traduca nell'insorgenza di una malattia suscettibile di accertamento medico-legale. |