Le duplicazioni risarcitorie

Mauro Di Marzio

1. Bussole di inquadramento

Il regolamento di confini, nel campo del danno alla salute, tra diverse voci di danno (biologico, morale, esistenziale, ed altro) è reso necessario, secondo una giurisprudenza più volte ribadita, da un preminente scopo pratico, che è quello di evitare che, in sede di determinazione del quantum, il giudice possa liquidare più di una volta, sussumendolo sotto diverse definizioni, un medesimo pregiudizio.

2. Questioni e orientamenti giurisprudenziali

Domanda
Quale è la posizione della giurisprudenza di legittimità in materia di danno biologico e «non poter più fare»?

Il «non poter più fare», come conseguenza di una lesione biologica, è danno biologico, sotto specie di danno biologico «dinamico».

È così ribadito, nella giurisprudenza della S.C., il principio secondo cui, il grado di invalidità permanente espresso da un baréme medico legale fissa la misura in cui il pregiudizio alla salute incide su tutti gli aspetti della vita quotidiana della vittima.

Pertanto, una volta liquidato il danno biologico convertendo in denaro il grado di invalidità permanente, una liquidazione separata del danno estetico, alla vita di relazione, alla vita sessuale, è possibile soltanto in presenza di circostanze specifiche ed eccezionali, le quali rendano il danno concreto più grave, sotto gli aspetti indicati, rispetto alle conseguenze ordinariamente derivanti dai pregiudizi dello stesso grado sofferti da persone della stessa età. Tali circostanze debbono essere tempestivamente allegate dal danneggiato, ed analiticamente indicate nella motivazione, senza rifugiarsi in formule di stile o stereotipe del tipo «tenuto conto della gravità delle lesioni» (Cass. n. 23778/2014).

La pronuncia esamina la questione se la liquidazione del danno biologico si possa cumulare con quella del danno alla vita di relazione, estetico, sessuale, esistenziale. Una volta stabilito che il danno alla salute, o danno biologico è per l'appunto una lesione dell'interesse «salute» che provoca, a valle, una serie di conseguenze, talune che, secondo l'id quod plerumque accidit, toccano più o meno tutti, altre che toccano in maniera particolare qualcuno, è agevole osservare, a titolo di esempio, che chi subisce una frattura di tibia e perone (lesione della salute, danno-evento), rimarrà per un certo tempo allettato (invalidità temporanea assoluta: e cioè non potrà svolgere le sue normali attività), per un altro periodo di tempo sarà fortemente limitato (invalidità temporanea parziale), poi i postumi si stabilizzeranno: camminerà peggio di come camminava in precedenza, sarà impedito nello svolgimento delle attività sportive, avrà dei dolori ricorrenti nel punto in cui la frattura si è saldata, eccetera eccetera (invalidità permanente, danno-conseguenza). Queste conseguenze normali sono fotografate dai baréme medico-legali posti a base delle tabelle per la liquidazione del danno biologico: quando si dice che alla frattura della tibia e del perone corrisponde il grado di invalidità permanente di x, al quale secondo la tabella da applicare corrisponde la somma y, si sta risarcendo il danneggiato per l'appunto per il fatto che camminerà peggio, che non potrà svolgere attività sportive, che patirà dolori ricorrenti, ecc.

Il singolo danneggiato non è però identificabile in una media statistica: le ricadute della lesione medico-legale possono variare in funzione del variare del soggetto. Esempio tradizionale è quello della frattura di un mignolo: sul piano dei baréme medico-legali ha un rilievo scarso, ma se il danneggiato è un violinista o un pianista dilettante, le cose ovviamente cambiano. Ecco allora, che il risarcimento del danno biologico non può consistere nella meccanica assegnazione al danneggiato di quanto previsto dalle tabelle, in base ai baréme medico-legali: è per questo che la liquidazione deve essere oggetto di personalizzazione, tenuto conto di quanto l'interessato ha allegato e provato. Per questa via il risarcimento del danno biologico copre l'intera gamma delle ripercussioni «dinamiche» della lesione psicofisica, in ossequio al principio del risarcimento integrale.

Ma, se a questo punto il giudice dice che «il non poter più fare» in cui consiste l'impedimento, causato dalla frattura di tibia e perone, al gioco del tennis, della pallacanestro o del football americano costituisce altresì danno esistenziale, commette un evidente errore. Identico ragionamento, naturalmente, vale per il danno estetico, per il danno alla sfera sessuale, per il danno alla vita di relazione. Tale soluzione, in cui si riassume l'indirizzo giurisprudenziale ricordato, non può che essere condivisa, ed è stata anche di recente ribadita da Cass. n. 20630/2016).

Resta in ogni caso fermo che, come avverte la S.C., «ben può accadere che nel singolo caso i postumi permanenti causati dalla lesione fisica provochino una più incisiva compromissione della vita di relazione della vittima, rispetto ai casi analoghi: ma tale circostanza deve da un lato entrare nel processo con le debite forme (e cioè essere tempestivamente allegata da chi la invoca); e dall'altro, se ritenuta esistente dal giudice, deve essere esposta nella sentenza e sorretta da una adeguata motivazione» (Cass. n. 23778/2014). Rimane tuttavia da chiedersi se possano esserci casi particolari in cui il risarcimento del pregiudizio biologico e di quello esistenziale possono cumularsi, il che può forse accadere qualora la condotta del danneggiante abbia leso più di un interesse.

Danno biologico e alla vita di relazione

Merita rammentare una peculiare fattispecie a fronte della quale la S.C. ha affermato che, in presenza di una lesione dell'integrità psicofisica della persona, il danno alla vita di relazione costituisce una componente del danno biologico, perché si risolve nell'impossibilità o nella difficoltà di reinserirsi nei rapporti sociali a causa degli effetti di tale lesione. Perciò il menzionato danno relazionale non è suscettibile di autonoma valutazione rispetto al danno biologico, ancorché costituisca un fattore di cui il giudice deve tenere conto per accertare in concreto la misura del pregiudizio e personalizzarlo alla peculiarità del caso (Cass. n. 9514/2007). Il caso è quello di una donna che cade da un ciclomotore a causa di un avvallamento del manto stradale, batte violentemente la testa, ammalandosi di una «encefalopatia fronto-basale post contusiva»: di qui turbe comportamentali assai serie: la malattia, infatti, fa impennare il suo desiderio sessuale, unito ad un totale abbattimento dei freni inibitori, tanto che ella – ci informa la sentenza – «si spogliava in pubblico e si concedeva a chiunque». Secondo la S.C. la donna vittima del sinistro subisce una lesione psicofisica e vede la sua vita quotidiana sconvolta, i suoi assetti relazionali profondamente modificati dall'irrefrenabile manifestarsi di comportamenti sessuali censurabili secondo il costume comune. Sicché occorre chiedersi se abbia ragione di domandare un doppio risarcimento, da un lato per la malattia insorta, dall'altro lato per la vita di relazione pregiudicata. Ma il responso per la S.C. è anche in tal caso negativo.

Danno biologico e danno esistenziale

In effetti, quello definito dalla S.C. come danno alla vita di relazione menzionato dalla pronuncia avrebbe potuto essere meglio definito proprio come danno biologico dinamico: quella di danno alla vita di relazione, come accennato, è figura vecchia e sorpassata, elaborata in passato al fine di aggirare, attraverso una venatura di patrimonialità, i limiti al risarcimento del danno non patrimoniale cagionato al di fuori dell'ambito disegnato dall'art. 2059 c.c. nella sua ormai desueta e retrograda lettura. Sicché anche nel caso considerato può dirsi alla liquidazione del danno biologico (comprensivo della componente dinamica) non può cumularsi la liquidazione del danno esistenziale. Ed invero, ogni duplicazione risarcitoria è sempre da respingere, ed ancora una volta il risarcimento del danno biologico già ricomprende il ristoro di quei pregiudizi che, altrimenti, ricadrebbero nella sfera di applicazione del danno esistenziale. Sicché, ciò che è risarcito una volta a titolo di danno biologico non può essere risarcito una seconda volta a titolo di danno esistenziale. In questo senso, in un'altra pronuncia, è stato affermato che: «Qualora in relazione ad una lesione del bene della salute, sia stato liquidato il “danno biologico” che include ogni pregiudizio diverso da quello consistente nella diminuzione o nella perdita della capacità di produrre reddito ... non v'è luogo per una duplicazione liquidatoria della stessa voce di danno, sotto la categoria generica del “danno esistenziale”» (Cass. n. 9510/2007; nello stesso senso, Cass n. 23918/2006; Cass. n. 11761/2006; tutte sulla scia di Cass. n. 15022/2005).

Nella stessa prospettiva mal si collocano, tuttavia, pronunce secondo cui, in caso di risarcimento del danno biologico derivante da mastectomia, costituisce duplicazione risarcitoria quella concernente le perdite dinamico-relazionali della lesione (Cass. n. 7639/2015), concernente una donna rimasta vittima di una erronea diagnosi di tumore al seno sinistro. La donna agisce in giudizio ed ottiene un risarcimento del danno quantificato in € 38.000 a titolo di danno biologico già incrementato del 25% per il danno morale. La danneggiata ricorrere per cassazione contro la sentenza di appello che ha liquidato la somma indicata, chiedendo il riconoscimento di un importo più elevato sotto due distinti profili: per un verso lamentando che la corte d'appello, così come il tribunale, non abbia dato corso alla richiesta di consulenza tecnica psichiatrica, volta all'accertamento del danno psichico conseguito all'errore diagnostico, quantificato in € 300.000; per altro verso sostenendo il proprio diritto, in ogni caso, al riconoscimento di un ulteriore importo di € 60.000, in parte per le perdite c.d. dinamico-relazionali, in parte per la compromissione della capacità lavorativa generica, intesa quale danno patrimoniale. Sorge in proposito la questione se il tema delle duplicazioni risarcitorie venga richiamato a proposito con riguardo ad una donna che abbia subito una mastectomia ed abbia avuto perciò risarcito il danno biologico, e tuttavia domandi un ulteriore risarcimento per le perdite dinamico-relazionali subite. In tale frangente la Corte di cassazione: i) disattende la doglianza concernente la mancata ammissione della consulenza tecnica volta all'accertamento del danno psichico condividendo il responso del giudice di merito che l'aveva reputata esplorativa, in mancanza della produzione di documentazione medica comprovante l'insorgenza della malattia; ii) disattende la doglianza concernente la mancata liquidazione di una somma a titolo di risarcimento delle perdite dinamico-relazionali, poiché detta liquidazione darebbe luogo a duplicazione risarcitoria in mancanza della specifica deduzione delle perdite subite; e qui il riferimento alla nota Cass. S.U., n. 26972/2008 è evidente; iii) disattende la doglianza concernente la mancata liquidazione del danno per la compromissione della capacità lavorativa generica, inteso quale danno patrimoniale, osservando che detta perdita altro non è che un aspetto del danno biologico già liquidato. A ciò è agevole replicare che le donne che subiscono l'asportazione del seno subiscono normalmente, alla luce della scienza medico-legale, reazioni d'ansia, senso di vuoto, disturbi del sonno, diminuzione dell'attività sessuale per il senso di vergogna, brusco calo dell'autostima, tendenza all'isolamento e depressione. Nel caso in esame la S.C. dice che, «in mancanza di specifici motivi di sofferenza allegati – tale riconoscimento [il riconoscimento, cioè, di un risarcimento delle perdite c.d. dinamico-relazionali: n.d.r.] si risolverebbe nella duplicazione della tutela risarcitoria». Questa affermazione rinvia alla questione dell'onere di allegazione cui è sottoposta la vittima di una lesione della salute. Per il che vale accennare alla distinzione tra conseguenze generalmente determinate dalla lesione e conseguenze specificamente legate al vissuto individuale di ciascuno. Questa distinzione corrisponde pressappoco a quella propria del diritto anglosassone tra general damages e specific damages: per questi ultimi può tornarsi all'esempio della frattura di un mignolo, che generalmente rileva ben poco, ma può assumere un peso significativo se il danneggiato è un pianista dilettante. Nell'un caso siamo dinanzi ad un danno che normalmente si produce, ma in particolari casi potrebbe anche non prodursi. Nel secondo caso, al contrario, siamo dinanzi ad un danno che normalmente non si produce, ma in determinati casi può prodursi. Ebbene, questa distinzione è senz'altro rilevante sul terreno dell'allegazione e, cioè, dell'individuazione dei fatti posti a fondamento della domanda e, così, del thema decidendum e del thema probandum. Sicché nessun giudice chiederebbe al danneggiato che abbia subito la frattura di tibia e perone e sia rimasto zoppo di allegare che non può camminare come prima e che non può fare tutte quelle normali attività che sono impedita dalla zoppia. Ma sembra parimenti un errore negare il risarcimento del danno biologico dinamico derivante dall'asportazione del seno per mancata allegazione delle normali conseguenze di detta lesione.

In tema di quantificazione del danno permanente alla salute, la misura standard del risarcimento prevista dalla legge e dal criterio equitativo uniforme adottato dai giudici di merito (secondo il sistema c.d. del punto variabile) può essere aumentata, nella sua componente dinamico-relazionale attinente alla vita esterna del danneggiato, solo in presenza di conseguenze dannose del tutto anomale, eccezionali e peculiari, che fuoriescono da quelle normali ed indefettibili secondo l'id quod plerunque accidit entro le quali non è giustificata alcuna personalizzazione in aumento del risarcimento. Ne deriva, pertanto, che costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione del danno biologico e del c.d. danno esistenziale, appartenendo tali categorie (o voci) di danno alla stessa area protetta dall'art. 32 Cost., mentre non costituisce duplicazione risarcitoria, la differente ed autonoma valutazione compiuta con riferimento alla sofferenza interiore patita dal danneggiato in conseguenza della lesione del diritto alla salute (Cass. n. 23469/2018).

Danno biologico e danno da perdita del rapporto parentale

In tema di danno non patrimoniale, la liquidazione del danno da perdita del rapporto parentale, incidente sulla conservazione dell'equilibrio emotivo-soggettivo del danneggiato e, in una dimensione dinamico-relazionale, sull'impedita prosecuzione concreta di una relazione personale, e di un ulteriore importo a titolo di risarcimento del danno biologico quale pregiudizio arrecato all'integrità psico–fisica per l'uccisione del congiunto, non costituisce una duplicazione risarcitoria, trattandosi di voci di danno tra loro diverse e derivanti dalla lesione di beni logicamente ed ontologicamente distinti che trovano riferimento, rispettivamente, nell'art. 29 e nell'art. 32 Cost. (Cass. n. 9857/2022).

Danno biologico e danno morale

In tema di danno non patrimoniale da lesione della salute, non costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione del risarcimento del danno biologico, quale pregiudizio che esplica incidenza sulla vita quotidiana e sulle attività dinamico-relazionali del soggetto, e di un'ulteriore somma a titolo di ristoro del pregiudizio rappresentato dalla sofferenza interiore (c.d. danno morale, sub specie di dolore dell'animo, vergogna, disistima di sé, paura, disperazione), con la conseguenza che, ove dedotto e provato, tale ultimo danno deve formare oggetto di separata valutazione e liquidazione (Cass. n. 4878/2019).

Danno da perdita del rapporto parentale e danno esistenziale

In virtù del principio di unitarietà e onnicomprensività del risarcimento del danno non patrimoniale, deve escludersi che al prossimo congiunto di persona deceduta in conseguenza del fatto illecito di un terzo possano essere liquidati sia il danno da perdita del rapporto parentale che il danno esistenziale, poiché il primo già comprende lo sconvolgimento dell'esistenza, che ne costituisce una componente intrinseca (nella specie Cass. n. 30997/2018 ha confermato la pronuncia di merito che aveva negato il riconoscimento di un'ulteriore posta risarcitoria, a titolo di danno esistenziale, in favore della moglie della vittima di un incidente sul lavoro, in mancanza di qualsivoglia allegazione, da parte della ricorrente, delle circostanze di fatto relative al suo rapporto con la vittima primaria, che valessero a rendere il pregiudizio concreto più grave di quello già riconosciutole).

3. Azioni processuali

Ulteriori azioni processuali

Per la fattispecie in esame è, in alternativa, esperibile il Ricorso ex art. 281-undecies c.p.c. (Procedimento semplificato di cognizione).

Aspetti preliminari: mediazione e accertamento tecnico preventivo

Mediazione

Le cause di risarcimento del danno da responsabilità medico-sanitaria rientrano tra quelle elencate dall'art. 5 d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria» (Parte I – La responsabilità medica in generale).

Accertamento tecnico preventivo diretto alla conciliazione della lite

Con la legge Gelli-Bianco è stato inoltre previsto un diverso congegno volto alla definizione conciliativa della lite ed alternativo alla mediazione, ossia l'accertamento tecnico preventivo diretto alla composizione della lite, previsto dall'art. 696-bis c.p.c. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria» (Parte I – La responsabilità medica in generale).

L'alternativa tra mediazione e consulenza tecnica preventiva

Sia la consulenza tecnica preventiva che la mediazione perseguono lo stesso scopo, ossia la definizione conciliativa della lite, con conseguente effetto deflattivo sul contenzioso civile. Tra i due strumenti sussistono similitudini e diversità, che possono rendere preferibile l'uno o l'altro. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria» (Parte I – La responsabilità medica in generale).

Competenza per territorio

La legge Gelli Bianco ha inquadrato la responsabilità della struttura sanitaria nell'ambito della responsabilità contrattuale, il che va considerato ai fini dell'individuazione del giudice presso cui si radica la competenza territoriale per le cause in materia di responsabilità medica. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria» (Parte I – La responsabilità medica in generale).

Competenza per valore

La competenza per valore del giudice di pace si determina in base ai criteri indicati dall'art. 7, comma 1, c.p.c. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria» (Parte I – La responsabilità medica in generale).

Rito applicabile

La domanda di risarcimento del danno per responsabilità medica può essere proposta con atto di citazione, nelle forme del procedimento ordinario di cognizione, ovvero con ricorso nelle forme del procedimento semplificato di cognizione. La scelta è libera, però, solo se si avvia la mediazione e questa non conduce alla soluzione della lite. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria» (Parte I – La responsabilità medica in generale).

Legittimazione attiva e passiva

Il paziente che si assume danneggiato, ovvero i suoi congiunti in caso di morte (ovvero gli ulteriori legittimati, unitamente al paziente), può agire in via risarcitoria nei confronti della struttura sanitaria, nei confronti dell'«esercente la professione sanitaria, nei confronti dell'impresa di assicurazione della struttura ovvero dell'esercente. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria» (Parte I – La responsabilità medica in generale).

Contenuto dell'atto introduttivo

Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria» (Parte I – La responsabilità medica in generale).

4. Conclusioni

Il delinearsi, in giurisprudenza, di un'ampia pluralità di voci di danni, sovente escogitate a fini meramente descrittivi, determina il sorgere del problema delle c.d. duplicazioni risarcitorie, che sorgono quando il medesimo pregiudizio è risarcito due volte perché sussunto sotto definizioni diverse: duplicazioni che, naturalmente, devono essere evitate.

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