Danno patrimoniale futuro del non percettore di reddito

Mauro Di Marzio

1. Bussole di inquadramento

Ha natura di danno futuro il danno patrimoniale da lucro cessante destinato a prodursi, successivamente alla sentenza, in dipendenza della diminuita capacità lavorativa specifica del danneggiante: in questo caso può accadere che quest'ultimo sia percettore di reddito, ed allora il danno patrimoniale da lucro cessante verrà commisurato – con relativa facilità – all'entità del reddito destinato ad essere perso. Ma può anche accadere che il danneggiato non sia al momento percettore di reddito, ad esempio perché momentaneamente disoccupato, ovvero perché stabilmente dedito ad un'attività non remunerativa, quale è quella della casalinga (o «casalingo», v. Cass. n. 4657/2005).

In tal caso sorge il problema dell'individuazione del pregiudizio eventualmente risarcibile dal versante del danno patrimoniale.

2. Questioni e orientamenti giurisprudenziali

Domanda
Come viene inquadrata l'attività dello studente? 

Viene rapportata all'attività che svolgerà una volta completati gli studi

Nell'ambito dei soggetti non percettori di reddito, ricopre una posizione di rilievo intuitivamente notevole lo studente, il quale dedica il proprio impegno al conseguimento di un titolo di studio che in seguito occorrerà proprio per meglio collocarsi sul mercato del lavoro.

Ecco, quindi, che il giudice, dinanzi alla compromissione della capacità lavorativa subita da uno studente, si trova a dover effettuare una valutazione prognostica, sì da stabilire, alla stregua di una valutazione probabilistica, in quale misura tale compromissione inciderà sull'attitudine del soggetto alla produzione di reddito.

In tale prospettiva, la giurisprudenza di legittimità ha sempre ritenuto che il giudice di merito, nel procedere alla liquidazione di un danno futuro non determinabile con assoluta precisione, debba procedere attraverso calcoli di probabilità da compiersi a norma, dell'art. 2056 c.c. con equo apprezzamento delle circostanze del caso. Così, ad esempio, è stata ritenuta corretta la valutazione secondo cui il figlio di un avvocato, con adeguati studi alle spalle ed ancora in corso, avrebbe probabilmente svolto la stessa professione (Cass. n. 14678/2003).

Così, nell'ipotesi di invalidità permanente causata da un fatto illecito ad un minore, che per la sua età non svolga attività lavorativa, il danno consistente nel mancato guadagno futuro rispetto a quello che l'infortunato avrebbe percepito se la sua capacità lavorativa non fosse stata menomata, non può essere determinata dal giudice che per mezzo di presunzioni, in base al tipo di attività lavorativa che presumibilmente il minore effettuerà o avrebbe effettuato (in caso di invalidità totale) in futuro: tipo di attività che va accertata con criteri di probabilità, tra cui gli studi compiuti o le inclinazioni manifestate dal minore, se e possibile rilevarle nel caso concreto (Cass. n. 6420/1998), ovvero tenendo conto dell'attività lavorativa e della posizione economico-sociale della famiglia del minore (Cass. n. 1228/1981).

Quest'indirizzo, più volte ribadito (Cass. n. 23298/2004; Cass. n. 2335/2001; Cass. n. 4237/1999; Cass. n. 11975/1998; Cass. n. 11349/1998; Cass. n. 3539/1996; Cass. n. 1801/1991), secondo cui il danno percepito dal soggetto non percettore di reddito può essere liquidato, per mezzo di presunzioni, considerando il tipo di attività che egli svolgerà in futuro secondo un criterio probabilistico, che tenga conto delle possibili scelte ed occasioni che, secondo l'id quod plerumque accidit, si offrono in relazione al livello di studi conseguito e all'ambiente familiare e sociale di riferimento, ha condotto la S.C. ad affermare, in passato, che in tali casi il criterio di liquidazione del danno fondato su un triplo dell'ammontare annuo della pensione sociale di cui all'art. 4 del d.l. 23 dicembre 1976, n. 857, conv. nella legge 26 febbraio 1997, n. 39, non può essere utilizzato, ma può fungere solo da criterio residuale, qualora, avuto riguardo a tutte le particolarità del caso concreto, manchino attendibili parametri per la valutazione del danno futuro (Cass. n. 2335/2001; Cass. n. 11349/1998; Cass. n. 1801/1991).

È stato altresì affermato che il danno patrimoniale da lucro cessante subito da un soggetto privo di reddito il quale abbia subito postumi permanenti in conseguenza di un fatto illecito altrui ha natura di danno futuro da valutare con criteri probabilistici, in via presuntiva, e con equo apprezzamento del caso concreto. Pertanto, ove occorra valutare il lucro cessante di un minore menomato permanentemente, la liquidazione del risarcimento del danno va svolta sulla previsione della sua futura attività lavorativa, in base agli studi compiuti e alle sue inclinazioni, rapportate alla posizione economico-sociale della famiglia, oppure (nel caso in cui quella previsione non possa essere formulata) adottando come parametro di riferimento quello di uno dei genitori, presumendo che il figlio eserciterà la medesima professione del genitore (Cass. n. 3949/2007). Tale pronuncia, in particolare, nel fare applicazione del complesso di principi fin qui riassunti, ha correttamente osservato che, tra i vari elementi rilevanti ai fini della determinazione del pregiudizio futuro in discorso, va considerata la perdita dell'anno scolastico determinata dalle lesioni conseguite al sinistro, la quale, secondo criteri di normalità, finirà per ripercuotersi, ritardandolo, sull'ingresso della studentessa del mondo del lavoro.

Poiché è risarcibile il danno futuro se il suo verificarsi è concretamente pronosticabile sulla base di criteri ragionevolmente probabilistici, spetta alla madre di uno studente prossimo alla conclusione del corso di studi il risarcimento del danno per la perdita della quota di reddito che il figlio, tenuto conto delle modeste condizioni economiche di lei, le avrebbe presumibilmente destinato una volta entrato nel mondo del lavoro (Cass. n. 4791/2007). Anche tale pronuncia si inquadra nel più ampio tema della risarcibilità del danno futuro. Nella vicenda in esame, tuttavia, il giudizio prognostico richiesto al giudice ha dovuto affrontare il doppio ostacolo della determinazione, da un lato, del reddito che il defunto avrebbe percepito una volta collocato sul mercato del lavoro e, dall'altro lato, della quota di detto reddito che avrebbe destinato al congiunto.

In simile frangente, quindi, la valutazione doveva essere compiuta, per un verso, in considerazione del tipo di studi, delle attitudini dimostrate dallo studente e delle conseguenti prospettive lavorative e, per altro verso, in considerazione della solidità del legame tra il defunto e il congiunto, alla luce delle condizioni economiche di questi. Condivisibilmente, dunque, i giudici di legittimità hanno posto l'accento sulla circostanza che il defunto era prossimo alla conclusione del ciclo di studi in elettronica, i quali preludono ad una successiva collocazione lavorativa, e conviveva con la madre pensionata, la quale, del resto, neppure godeva dell'apporto economico del coniuge, precedentemente venuto a mancare.

La decisione così pronunciata trova conforto nell'affermazione di principio secondo cui il genitore di persona minore d'età, deceduta in conseguenza dell'altrui atto illecito, ai fini della liquidazione del danno patrimoniale futuro provocato dalla perdita degli alimenti che il minore avrebbe potuto erogare in loro favore, devono provare che, sulla base dell'insieme delle circostanze attuali, sia pronosticabile che in futuro essi si possano trovare in uno stato di indigenza tale da aver bisogno della corresponsione di alimenti senza che nessun altro possa prestarli. Parimenti, per dar prova della frustrazione dell'aspettativa ad un contributo economico da parte del familiare prematuramente scomparso, hanno l'onere di allegare e provare che il figlio deceduto avrebbe verosimilmente contribuito ai bisogni della famiglia. A tal fine la previsione va operata sulla base di criteri ragionevolmente probabilistici, non già in via astrattamente ipotetica, ma alla luce delle circostanze del caso concreto, conferendo rilievo alla condizione economica dei genitori sopravvissuti, alla età loro e del defunto, alla prevedibile entità del reddito di costui, dovendosi escludere che sia sufficiente la sola circostanza che il figlio deceduto avrebbe goduto di un reddito proprio (Cass. n. 8333/2004).

Il disoccupato

Sempre in tema di danno patrimoniale da lesione della salute nel non percettore di reddito è stato affermato che contrasta con il principio del risarcimento integrale il rigetto, per mancanza di prova, della domanda di risarcimento del danno da perdita della capacità lavorativa specifica proposta da un disoccupato che, a seguito di un sinistro stradale, abbia riportato una grave invalidità permanente (Cass. n. 23791/2014). A seguito di un sinistro stradale, un ragazzo all'epoca diciottenne subisce lesioni assai gravi, tali da comportare un'invalidità permanente del 70%. Ne segue un giudizio risarcitorio all'esito del quale il danneggiato ottiene in parte il risarcimento richiesto, nei limiti della percentuale di responsabilità addebitata al conducente del veicolo antagonista, escluso il risarcimento del danno da perdita della capacità lavorativa specifica: e ciò, ci riferisce la sentenza che ci apprestiamo a commentare, perché «il giovane, poco più che diciottenne al tempo dello incidente non lavorava né aveva dato la prova della futura attività lavorativa».

Contro tale decisione l'uomo interpone ricorso per cassazione denunciando: i) la contraddittorietà della sentenza d'appello, che aveva per un verso fatto proprie le valutazioni espresse nella consulenza tecnica d'ufficio, la quale aveva stimato l'invalidità nella misura del 70%, tale da incidere sulla capacità lavorativa specifica, e per altro verso rigettato perché non provata la domanda sul punto; ii) la mancata applicazione, ai fini della liquidazione della menzionata posta di danno, del parametro del triplo della pensione sociale.

La pronuncia consente di ricapitolare alcuni principi in tema di risarcimento del danno in favore del non percettore di reddito ed in particolare di rispondere, brevemente, ai quesiti: se spetta al disoccupato il risarcimento del danno da perdita della capacità lavorativa specifica; quale spazio trova in proposito l'applicazione del parametro del triplo della pensione sociale. La S.C. osserva in proposito quanto al rigetto della domanda di risarcimento del danno da perdita della capacità lavorativa specifica, che: «La esclusione del danno patrimoniale in un soggetto ventenne, ma non ancora occupato, che subisce una menomazione psicofisica del 70% di invalidità, costituisce violazione del principio del diritto alla riparazione integrale del danno da illecito, nella specie da circolazione, allorché tale posta risarcitoria sia stata dedotta e provata, con lo accertamento della compromissione della attività di guadagno in relazione all'età della vittima, cui è preclusa la concorrenzialità lavorativa».

Dopodiché la pronuncia richiama a conforto di simile affermazione, Cass. n. 17219/2014, peraltro cimentatasi con la doglianza di una lavoratrice cinquantaduenne che lamentava l'esiguità della liquidazione del danno da perdita della capacità lavorativa specifica, poiché effettuata in considerazione del suo effettivo reddito e senza tenere invece in considerazione i verosimili incrementi futuri di esso. Fattispecie, dunque, non parente, neppure lontanamente, di quella del giovane disoccupato. La S.C. prosegue affermando che: «Si vuol dire che nella fattispecie in esame, la perdita delle chances del giovane non occupato, in relazione alla perdita della concorrenzialità lavorativa, pressocché totale, giustifica invece la liquidazione equitativa del lucro cessante tenendo conto dello effetto permanente del pregiudizio e della sua gravità obbiettiva».

Vale in realtà anche nel caso considerato la regola secondo cui, se il danneggiato non è al momento percettore di reddito, ad esempio perché momentaneamente disoccupato, nell'ipotesi di invalidità permanente causata ad un soggetto che non svolga attività lavorativa (escluso il caso del consapevole rifiuto del lavoro: Cass. n. 16396/2010), il danno consistente nel futuro mancato guadagno rispetto a quello che il danneggiato avrebbe percepito se la sua capacità lavorativa non fosse stata menomata, deve essere determinato dal giudice per mezzo di presunzioni, in base al tipo di attività lavorativa che presumibilmente il soggetto effettuerà o avrebbe effettuato in futuro: tipo di attività che va accertato con criteri di probabilità, tenendo conto degli studi compiuti, delle inclinazioni manifestate, dell'ambiente sociale e della vita di relazione del soggetto (Cass. n. 3539/1996; Cass. n. 6420/1998; Cass. n. 564/2005; Cass. n. 26081/2005, secondo cui, in tema di risarcimento del danno alla persona, un danno patrimoniale risarcibile può essere legittimamente riconosciuto anche a favore di persona che, subita una lesione, si trovi al momento del sinistro senza un'occupazione lavorativa e, perciò, senza reddito, in quanto tale condizione può escludere il danno da invalidità temporanea, ma non anche il danno futuro collegato all'invalidità permanente che – proiettandosi appunto per il futuro – verrà ad incidere sulla capacità di guadagno della vittima, al momento in cui questa inizierà a svolgere un'attività remunerata. Questo danno, infatti, si ricollega, con ragionevole certezza, alla riduzione della capacità lavorativa specifica conseguente alla grave menomazione cagionata dalla lesione patita e va liquidato in aggiunta rispetto a quello del danno biologico riguardante il bene della salute, potendosi procedere alla sua quantificazione anche in via equitativa, tenuto conto dell'età della vittima stessa, del suo ambiente sociale e della sua vita di relazione).

È dunque costantemente ribadito «che la menomazione dell'integrità fisica non può essere ... utilizzata per riconoscere in modo sostanzialmente automatico un danno patrimoniale ... come conseguenza delle lesioni, essendo il giudice sempre tenuto ad un giudizio prognostico sull'idoneità delle lesioni ad incidere effettivamente sulla futura capacità lavorativa del soggetto leso, nota o presumibile de futuro» (Cass. n. 10905/2001; Cass. n. 239/2001). Il fondamento di tale principio non ha bisogno di essere spiegato: «tra lesione della salute e diminuzione della capacità di guadagno non sussiste alcun rigido automatismo», sicché «in presenza di una lesione della salute, anche di non modesta entità, non può ritenersi ridotta in eguale misura la capacità di produrre reddito, ma il soggetto ha sempre l'onere di allegare e provare, anche mediante presunzioni, che l'invalidità permanente abbia inciso sulla capacità di guadagno» (così Cass. n. 13409/2001).

La casalinga

Colui o colei che, in conseguenza di una lesione della salute, vede ridursi la propria capacità di lavoro domestico, patisce un danno patrimoniale futuro risarcibile, per la liquidazione del quale non è necessaria né la prova che, dopo la guarigione, l'attività domestica si sia ridotta o sia cessata (essendo invece sufficiente anche solo la prova che la vittima sarà costretta ad una maggiore usura o ad una anticipata cessazione da tale attività), né la prova che la vittima sia dovuta ricorrere all'ausilio di un collaboratore domestico, giacché, diversamente, il risarcimento non potrebbe essere liquidato proprio a coloro che, per insufficienza di risorse economiche, non abbiano potuto affrontare tale spesa (Cass. n. 16896/2010).

Si osserva, dunque, che l'attività domestica possiede un intrinseco valore economico, sebbene non retribuita e dunque non produttiva di reddito, sicché la perdita totale o parziale della capacità di occuparsi delle faccende domestiche giustifica il risarcimento del danno patrimoniale (Cass. n. 23573/2011). Il pregiudizio in discorso va risarcito sia quando beneficiario del lavoro domestico sia un nucleo familiare, sia quando sia svolto per sé dallo stesso danneggiato (Cass. n. 20324/2005). E, come si è premesso, la regola opera, ovviamente, indipendentemente dal sesso (Cass. n. 4657/2007). Il lavoro domestico costituisce cioè una utilità suscettibile di valutazione economica, sicché la relativa perdita costituisce danno risarcibile senza che rilevi che essa sia patita dall'uno o dall'altro coniuge, ponendosi una diversa soluzione in contrasto con il principio di parità e pari contribuzione dei coniugi ai bisogni della famiglia, nel cui ambito la scelta del riparto delle incombenze domestiche risponde a criteri soggettivi e costumi sociali, nonché con l'id quod plerumque accidit attesa la necessità per ogni persona di occuparsi, quantomeno per le proprie personali esigenze, di una aliquota di lavoro domestico (Cass. n. 24471/2014). Il risarcimento spetta anche se la casalinga svolga simultaneamente un'attività lavorativa part-time, e cioè in caso di compatibilità tra le due occupazioni (Cass. n. 26080/2005).

Quanto ai criteri risarcitori, è stato utilizzato quello del triplo della pensione sociale, che pure a questi fini ha una generale portata applicativa (Cass. n. 16896/2010). Ma si è perlopiù detto che la casalinga, pur non percependo reddito monetizzato, svolge, cionondimeno, un'attività suscettibile di valutazione economica, che non si esaurisce nell'espletamento delle sole faccende domestiche, ma si estende al coordinamento, lato sensu, della vita familiare, così che costituisce danno patrimoniale (come tale, autonomamente risarcibile rispetto al danno biologico) quello che la predetta subisca in conseguenza della riduzione della propria capacità lavorativa, e che sussiste anche nel caso in cui ella sia solita affidare la parte materiale del proprio lavoro a persone estranee. Consistendo il danno de quo nella perdita di una situazione di vantaggio, e non rimanendo esso escluso neanche dalla mancata sopportazione di spese sostitutive, legittimo risulta il riferimento, nel relativo procedimento di liquidazione, al reddito di una collaboratrice familiare, con gli opportuni adattamenti dettati dalla maggiore ampiezza dei compiti espletati dalla casalinga (Cass. n. 10923/1997; Cass. n. 16832/2003; Cass. n. 19387/2004; Cass. n. 20324/2005).

3. Azioni processuali

Ulteriori azioni processuali

Per la fattispecie in esame è, in alternativa, esperibile il Ricorso ex art. 281-undecies c.p.c. (Procedimento semplificato di cognizione).

Aspetti preliminari: mediazione e accertamento tecnico preventivo

Mediazione

Le cause di risarcimento del danno da responsabilità medico-sanitaria rientrano tra quelle elencate dall'art. 5 d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria» (Parte I – La responsabilità medica in generale).

Accertamento tecnico preventivo diretto alla conciliazione della lite

Con la legge Gelli-Bianco è stato inoltre previsto un diverso congegno volto alla definizione conciliativa della lite ed alternativo alla mediazione, ossia l'accertamento tecnico preventivo diretto alla composizione della lite, previsto dall'art. 696-bis c.p.c. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria» (Parte I – La responsabilità medica in generale).

L'alternativa tra mediazione e consulenza tecnica preventiva

Sia la consulenza tecnica preventiva che la mediazione perseguono lo stesso scopo, ossia la definizione conciliativa della lite, con conseguente effetto deflattivo sul contenzioso civile. Tra i due strumenti sussistono similitudini e diversità, che possono rendere preferibile l'uno o l'altro. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria» (Parte I – La responsabilità medica in generale).

Competenza per territorio

La legge Gelli Bianco ha inquadrato la responsabilità della struttura sanitaria nell'ambito della responsabilità contrattuale, il che va considerato ai fini dell'individuazione del giudice presso cui si radica la competenza territoriale per le cause in materia di responsabilità medica. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria» (Parte I – La responsabilità medica in generale).

Competenza per valore

La competenza per valore del giudice di pace si determina in base ai criteri indicati dall'art. 7, comma 1, c.p.c. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria» (Parte I – La responsabilità medica in generale).

Rito applicabile

La domanda di risarcimento del danno per responsabilità medica può essere proposta con atto di citazione, nelle forme del procedimento ordinario di cognizione, ovvero con ricorso nelle forme del procedimento semplificato di cognizione. La scelta è libera, però, solo se si avvia la mediazione e questa non conduce alla soluzione della lite. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria» (Parte I – La responsabilità medica in generale).

Legittimazione attiva e passiva

Il paziente che si assume danneggiato, ovvero i suoi congiunti in caso di morte (ovvero gli ulteriori legittimati, unitamente al paziente), può agire in via risarcitoria nei confronti della struttura sanitaria, nei confronti dell'«esercente la professione sanitaria, nei confronti dell'impresa di assicurazione della struttura ovvero dell'esercente. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria» (Parte I – La responsabilità medica in generale).

Contenuto dell'atto introduttivo

Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso: «La responsabilità della struttura sanitaria» (Parte I – La responsabilità medica in generale).

4. Conclusioni

Anche il soggetto attualmente non percettore di reddito (studente/minore, casalinga, disoccupato) subisce un pregiudizio patrimoniale per la perdita della capacità lavorativa specifica, pregiudizio che va risarcito attraverso una valutazione dell'attività che il soggetto avrebbe potuto svolgere (nel caso dello studente o del disoccupato) ovvero in funzione del valore attribuito alla perdita subita (nel caso della casalinga).

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