Il ricorso introduttivo

Mauro Di Marzio

1. Bussole di inquadramento

Con la legge Gelli-Bianco il legislatore ha inciso sulla materia della responsabilità medica, mirando a perseguire una equilibrata composizione dei diritti in contesa, ma sempre nel rispetto del principio del rango costituzionale del diritto alla salute.

In tale quadro può collocarsi anche la scelta in ordine al rito da seguire nelle cause di risarcimento del danno da responsabilità medica, secondo il comma 3 dell'art. 8 della legge, in cui si contemplava, in via preferenziale, il ricorso al rito sommario di cognizione ex art. 702-bis c.p.c.: ciò, in definitiva, in ragione della snellezza del rito, e dunque della sua attitudine ad assicurare una più celere tutela di un diritto dotato di copertura costituzionale quale quello alla salute. Naturalmente, occorre rammentare che con l'entrata in vigore del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, a far data dal 28 febbraio 2023, il rito sommario di congnizione è sostituito dal procedimento semplificato di cognizione, che è stato fatto traslocare negli artt. 281-decies ss. c.p.c.

Non è escluso, però, che la domanda possa essere proposta nelle forme del procedimento di cognizione ordinaria, ossia con la ordinaria citazione a comparire a udienza fissa.

2. Questioni e orientamenti giurisprudenziali

Domanda
Qual è il rito elettivamente indicato dal legislatore per le cause di responsabilità medica?

Il procedimento sommario di cognizione e poi quello semplificato

Il procedimento sommario di cognizione disciplinato dagli artt. 702-bis ss. c.p.c. è stato introdotto con l'art. 51, comma 1, l. 18 giugno 2009, n. 69. Con esso il legislatore ha inteso offrire a coloro che intendono agire in giudizio un procedimento come si diceva snello e semplificato rispetto a quello ordinario, con le necessarie scansioni che esso comporta. Occorre tuttavia considerare che il procedimento di cognizione ordinaria pensato dal legislatore della riforma di cui al d.lgs. n. 149/2022 non contiene la più separazione tra la prima udienza di comparizione e trattazione ed il successivo svolgimento del giudizio, per il tramite dell'assegnazione dei termini di cui all'art. 183 c.p.c., dal momento che la fase di precisazione del thema decidendum e del thema probandum risulta, con la riforma, collocata in una fase ancora antecedente all'incontro delle parti con il giudice, secondo un'impostazione che in qualche modo occhieggia all'abrogato rito societario. E, per conseguenza, la distanza tra il giudizio di cognizione ordinaria, quale giudizio «lento» ed il giudizio sommario di cognizione, tramutato in giudizio semplificato di cognizione, quale giudizio «veloce» si va assottigliando.

Quanto al c.d. rito sommario di cognizione, tanto la dottrina quanto la giurisprudenza hanno concordato nel ritenere che esso non comporta una cognizione di natura sommaria, in nessuna delle due forme in cui essa tradizionalmente si presenta, ossia la cognizione sommaria perché superficiale (p. es. la cognizione del giudice del cautelare destinata ad essere approfondita della fase di merito) e la cognizione sommaria perché parziale (p. es. la cognizione del giudice del procedimento monitorio che conosce dei documenti del trattore, ma non delle difese del convenuto). Ciò è del resto testimoniato dal successivo sviluppo che il procedimento ha avuto, secondo quanto si è accennato, giacché il legislatore ha fatto traslocare il menzionato procedimento sommario di cognizione, lasciandone sostanzialmente inalterata la disciplina, negli artt. 281-decies ss. c.p.c. quale procedimento non più sommario, ma appunto semplificato di cognizione.

Il procedimento sommario di cognizione, oggi semplificato, è dunque un procedimento volto, come quello ordinario e come l'altro modello processuale fondamentale previsto dal codice di rito, ossia il rito del lavoro, alla giurisdizione dichiarativa, procedimento che, pertanto, non può essere confuso con i procedimenti speciali. A differenza del rito ordinario, che prevede una predeterminata scansione dei tempi in cui le parti dispiegano le proprie facoltà processuali, il procedimento sommario di cognizione lascia al giudice una maggiore discrezionalità nella gestione del processo, pur nel rispetto dell'esigenza di assicurare le garanzie del contraddittorio. È il giudice, dunque, che di volta in volta programma lo sviluppo del processo

Il procedimento sommario di cognizione si introduceva «con ricorso al tribunale competente» (art. 702-bis c.p.c.). Oggi, l'art. 281-deciesc.p.c. stabilisce che: «La domanda si propone con ricorso, sottoscritto a norma dell'art. 125, che deve contenere le indicazioni di cui ai n. 1), 2), 3), 3-bis), 4), 5), 6) e l'avvertimento di cui al n. 7) del terzo comma dell'art. 163». La scelta tra rito ordinario e semplificato è tendenzialmente effettuata a discrezione dell'attore. La scelta della parte, tuttavia, non è ultimativa giacché è dato al giudice, ove rilevi la necessità di un'istruttoria non sommaria, il potere di disporre la conversione del rito da semplificato ad ordinario.

Nell'arco di oltre un decennio, il rito sommario ha dato risultati soddisfacenti, quale appagante punto di equilibrio tra esigenze di garantismo ed esigenze di celerità, sicché ha visto man mano dilatato il suo ambito di applicazione che, per quanto rileva in questa sede, si è dunque ritenuto di estendere al campo delle controversie in materia di responsabilità medica. Dopodiché il sommario è stato sostituito dal rito semplificato, al quale deve oggi riferirsi il rinvio dell'art. 8 della legge Gelli-Bianco.

Domanda
È possibile adottare il rito ordinario? 

L'alternativa rito sommario-rito ordinario si pone nei termini che seguono

L'art. 8 della legge Gelli-Bianco esordisce con lo stabilire che chi intende esercitare un'azione innanzi al giudice civile relativa a una controversia di risarcimento del danno derivante da responsabilità sanitaria è tenuto preliminarmente a proporre ricorso ai sensi dell'art. 696-bis c.p.c. Dopo aver poi precisato che è fatta salva la possibilità di esperire in alternativa il procedimento di mediazione obbligatoria, soggiunge che, ove la conciliazione non riesca o il procedimento non si concluda entro il termine perentorio di sei mesi, la domanda diviene procedibile e gli effetti della domanda sono salvi se, entro un dato termine, è depositato presso il giudice del procedimento di consulenza conciliativa, il ricorso di cui all'art. 702- bis , oggi 281- decies , c.p.c.

Qui merita intanto osservare che l'introduzione del giudizio di merito a mezzo del ricorso nel rito sommario, oggi semplificato, se effettuato nei novanta giorni dal deposito della relazione o dalla scadenza del termine perentorio di sei mesi stabilito per la durata del procedimento, consente di far salvi gli effetti prodotti dal deposito e dalla notificazione della domanda contenuta nel ricorso ex art. 696-bis c.p.c. Tra detti effetti rileva anzitutto l'interruzione della prescrizione, ma con la precisazione che tale effetto rimarrebbe comunque fermo, ai sensi della regola generale stabilita dall'art. 2943 c.c., attesa la natura di atto di costituzione in mora del ricorso introduttivo del giudizio di merito, una volta notificato. Effetto ulteriore che viene mantenuto è quello sospensivo della prescrizione che, ai sensi dell'art. 2945, comma 2, c.c., si ricollega all'atto introduttivo del giudizio o alla domanda che viene proposta in corso di giudizio.

Sul tema si deve aggiungere che, nella consecutio tra procedimento di consulenza conciliativa e giudizio di merito, non è inibito sollevare, in sede di merito, l'eccezione di incompetenza: difatti, in tema di accertamento tecnico preventivo a fini conciliativi ex art. 8 della l. n. 24 del 2017, il rinvio all'istituto di cui all'art. 696-bis c.p.c. fa sì che il provvedimento con cui il giudice affermi o neghi la propria competenza per territorio a provvedere sulla relativa istanza non assuma alcuna efficacia preclusiva o vincolante nel successivo giudizio di merito, con la conseguenza che il mancato rilievo d'ufficio dell'incompetenza (derogabile o inderogabile), o l'omessa proposizione della relativa eccezione ad opera delle parti, non determina il consolidamento della competenza, in capo all'ufficio giudiziario adito, anche ai fini del successivo giudizio di merito, non operando nel giudizio cautelare il regime delle preclusioni delineato, per il giudizio a cognizione piena, dall'art. 38 c.p.c. (Cass. n. 5046/2022).

Un ulteriore considerazione va fatta con riguardo all'ipotesi di inosservanza del termine per l'introduzione del giudizio di merito dopo il fallimento della consulenza conciliativa. Una volta promosso il ricorso ex art. 696-bis c.p.c., il mancato rispetto del termine di 90 giorni – calcolati dal deposito della relazione o dalla scadenza del termine perentorio semestrale dal deposito del ricorso – per l'instaurazione del giudizio di merito ai sensi dell'art. 702-bis c.p.c., oggi 281-decies c.p.c., non produce altra conseguenza se non la perdita della possibilità di ancorare gli effetti della domanda dichiarativa al precedente ricorso ex art. 696-bis c.p.c. (Trib. Savona, 8 ottobre 2019).

Ciò detto, il quesito ulteriore che si pone, in proposito, è se, nel caso in cui l'attore abbia scelto la strada non della consulenza conciliativa, ma della mediazione obbligatoria, possa poi servirsi del giudizio di cognizione ordinaria.

Il tenore letterale della disposizione depone nel senso che la prescrizione del rito sommario sia riferita solo al caso in cui si sia svolto un procedimento ex art. 696-bis c.p.c., dovendo al contrario affermare che nel caso della mediazione obbligatoria l'attore può agire attraverso le forme del procedimento ordinario di cognizione ex art. 163 c.p.c. Rilevano in tal senso le seguenti considerazioni: i) la proposizione della domanda è subordinata al fallimento della conciliazione o alla sua mancata conclusione nel termine di sei mesi dal deposito del ricorso, termine evidentemente legato alla proposizione del procedimento ex art. 696-bis c.p.c.; ii) gli effetti della domanda sono fatti salvi se, nei novanta giorni dal deposito della relazione o dalla scadenza del termine di sei mesi per la conclusione del procedimento, il ricorso è proposto nelle forme dell'art. 702-bis c.p.c., oggi 281-decies c.p.c.. Vale inoltre osservare che il riferimento alla mediazione è stato aggiunto solo nel corso dei lavori parlamentari, mentre l'impianto originario della norma pone in stretta correlazione l'espletamento della consulenza conciliativa con la successiva adozione del rito sommario di cognizione, dal momento che la consulenza tecnica preventiva consente di anticipare la fase principale dell'istruzione probatoria, rendendo il successivo giudizio tale da non richiedere un'attività istruttoria complessa e da giustificare, così, l'uso del rito sommario.

Tutto ciò concorre a far reputare che, ove si sia dato corso alla mediazione obbligatoria per l'assolvimento della condizione di procedibilità, la domanda possa essere proposta ai sensi dell'art. 163 c.p.c., quindi nelle forme del rito ordinario, fermo restando che la naturale alternatività tra questo e il rito sommario conduce a ritenere che l'attore possa scegliere il sommario anche in ipotesi di preventiva fase svoltasi nelle forme della mediazione.

Il giudice competente per il merito è espressamente individuato dalla norma nella parte in cui afferma che il ricorso deve essere «depositato presso il giudice che ha trattato il procedimento di cui al comma 1», quindi, davanti al giudice competente per il procedimento di consulenza tecnica preventiva.

Si è già accennato alla questione se «il giudice che ha trattato il procedimento di cui al comma 1» possa essere anche il giudice di pace. Ora, guardando al problema da un punto di vista strettamente pratico, è abbastanza evidente che una competenza per valore del giudice di pace, sebbene astrattamente possibile, appare, nella materia della responsabilità medica, largamente improbabile. Ma, occorre riconoscere, non può escludersi che si diano controversie di valore contenuto nei limiti della competenza di detto giudice. Il dubbio sorgeva in relazione all'art. 702-bis c.p.c. il quale limita l'applicazione del rito alle «cause in cui il tribunale giudica in composizione monocratica», il che escludeva che il rito sommario di cognizione possa essere applicato dinanzi al giudice di pace. La questione, al di là del limitato interesse pratico, ha perso di attualità con l'entrata in vigore del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, che prevede l'applicazione del rito semplificato di cognizione, sostitutivo del rito semplificato di cognizione, anche dinanzi al giudice di pace.

Domanda
Che cosa succede se l'attore sbaglia a scegliere il tito? 

L'errore nella scelta del rito si rimedia così

Occorre ora interrogarsi sulle conseguenze nel caso di errore sulla scelta del rito da parte del paziente danneggiato il quale, fallito il procedimento di consulenza conciliativa, intenda proporre la domanda risarcitoria con l'atto introduttivo del giudizio di merito. Occorre cioè interrogarsi se il giudizio che doveva essere introdotto con ricorso ai sensi dell'art. 702-bis c.p.c., oggi nelle forme del rito semplificato, viene introdotto con atto di citazione redatto ai sensi dell'art. 163 c.p.c. La questione rileva sotto un duplice profilo. Da un lato, l'errore può produrre ricadute con riferimento al rispetto del termine decadenziale di cui all'art. 8, comma 3, della legge Gelli-Bianco. Poiché gli effetti prodottisi ex art. 696-bis c.p.c. sono salvi se nel termine indicato è depositato il ricorso ex art. 702-bis c.p.c., oggi 281-decies c.p.c., occorre ritenere, in ossequio alla giurisprudenza formatasi in altri contesti, in primo luogo quello dell'opposizione a decreto ingiuntivo per crediti di lavoro spiegata concitazione anziché con ricorso, che, anche nel nostro caso, la scelta della citazione del ricorso non produca alcun pregiudizio, stante il principio di fungibilità delle forme, ma a condizione che la citazione, oltre ad essere notificata entro il termine previsto dall'art. 8, comma 3, sia anche depositata entro lo stesso termine.

Una volta che il rito non sia stato rispettato, e che in conseguenza di ciò sia stato violato il termine menzionato, non per questo sorge un'esigenza ineluttabile di trasformazione del rito ordinario in rito sommario, attesa la necessità che il giudice verifichi di volta in volta la complessità della lite e dell'istruzione probatoria e solo in un secondo momento proceda, se necessario, alla conversione del rito.

D'altro canto, ove pure si versi in ipotesi di espletamento della consulenza conciliativa che non abbia avuto buon fine e successiva introduzione del giudizio di merito, in conformità al precetto normativo, con ricorso nel rito sommario di cognizione, non può escludersi che il giudice proceda alla conversione del rito sommario in ordinario. Difatti, ove pure la consulenza tecnica preventiva sia stata disposta, non soltanto può accadere che essa non sia stata depositata in termine ovvero che le parti, nel giudizio di merito, non richiedano l'acquisizione, ma, soprattutto, può darsi che il giudice, se del caso su sollecitazione delle parti, ritenga di rinnovare la consulenza tecnica, se non anche di disporre eventuali ulteriori prove costituende.

3. Azioni processuali

Ulteriori azioni processuali

Per le fattispecie in esame è, in alternativa, esperibile il Ricorso ex art. 281-undecies c.p.c. (Procedimento semplificato di cognizione).

Rinvii

Nel presente capitolo si è esaminata la disciplina processuale dell'atto introduttivo del giudizio di merito in materia di responsabilità medica, successivamente all'espletamento del procedimento di cui all'art. 696-bis c.p.c., ovvero di quello di mediazione obbligatoria, sicché non vi sono ulteriori considerazioni da svolgere sulle azioni processuali, riservate alla trattazione dei profili sostanziale.

4. Conclusioni

La travagliata elaborazione della legge Gelli-Bianco ha fatto sì che il legislatore abbia in un primo tempo immaginato una sola condizione di proponibilità, quella della consulenza tecnica conciliativa, seguita dal giudizio di merito nelle forme del procedimento sommario di cognizione. Successivamente, il testo definitivo della legge ha previsto l'ulteriore condizione di procedibilità, in alternativa a quella indicata, della mediazione obbligatoria, nel qual caso è da credere che l'attore possa introdurre giudizio non soltanto nelle forme del rito sommario, che è sempre nella sua disponibilità, ma anche sotto forma di giudizio ordinario di cognizione.

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