La chiamata in causa dei sanitari da parte della struttura

Mauro Di Marzio

1. Bussole di inquadramento

Con l'entrata in vigore della l. 8 marzo 2017, n. 24, c.d. legge Gelli-Bianco, il paziente può scegliere di agire in giudizio sia nei confronti della struttura sanitaria che dei sanitari eventualmente responsabili, ove ve ne siano: e cioè nel caso in cui l'attore ponga a fondamento della domanda, nei confronti della struttura sanitaria, la condotta lesiva dei sanitari medesimi. Si è più volte avuto modo di evidenziare che, mentre la struttura sanitaria risponde dei confronti del paziente a titolo di responsabilità contrattuale, il medico risponde invece, per espressa previsione normativa, a titolo di responsabilità aquiliana; e si è visto che la struttura sanitaria la quale sia stata condannata al risarcimento del danno subito dal paziente può rifarsi, a determinate condizioni ed entro certi limiti, nei confronti dei sanitari.

Sorge, in proposito, la questione della ammissibilità di una chiamata in causa dei sanitari da parte della struttura pubblica convenuto in giudizio, sia in fase di merito, ma nella fase di consulenza conciliativa che, nel disegno del legislatore, costituisce condizione di procedibilità dell'azione risarcitoria, salvo che il paziente attore non opti per la mediazione.

2. Questioni e orientamenti giurisprudenziali

Domanda
Quando è ammissibile la chiamata in causa? 

Si tratta di stabilire se la struttura può servirsi dell'azione di rivalsa

Quanto all'ammissibilità della chiamata in causa nella fase di merito, la risposta al quesito discende dalla soluzione della questione se sia possibile azionare l'azione rivalsa da parte della struttura.

In proposito, vi è chi ritiene che l'introduzione della domanda di rivalsa nei confronti del sanitario, nel giudizio introdotto dal paziente e volto alla condanna della struttura sanitaria al risarcimento dei danni, non sia possibile, essendo ammessa solo a seguito del pagamento; altri ammettono la proposizione della domanda di rivalsa, ma solo ai fini dell'accertamento della responsabilità: in tal caso la chiamata in causa arrecherebbe comunque vantaggio alla struttura, rendendo inoperativo il termine di decadenza di un anno dall'avvenuto pagamento per l'esercizio della rivalsa, ed altresì opponibile la decisione, sebbene non definitiva, nei confronti del sanitario che ha, comunque, partecipato al giudizio risarcitorio; altri ancora, infine, ritengono consentito azionare la rivalsa anche nel medesimo giudizio in cui convenuta struttura.

Vale dunque osservare che l'art. 9 della legge Gelli-Bianco stabilisce che l'azione di rivalsa nei confronti dell'esercente la professione sanitaria può essere esercitata solo in caso di dolo o colpa grave, specificando che «se l'esercente la professione sanitaria non è stato parte del giudizio o della procedura stragiudiziale di risarcimento del danno, l'azione di rivalsa nei suoi confronti può essere esercitata soltanto successivamente al risarcimento avvenuto sulla base di titolo giudiziale o stragiudiziale ed è esercitata, a pena di decadenza, entro un anno dall'avvenuto pagamento». Da ciò si desume, a contrario, fermo il requisito del dolo o colpa grave per l'accoglimento della rivalsa (mentre il medico risponde nei confronti del paziente a titolo extracontrattuale anche per colpa lieve), che la preclusione non opera se l'esercente la professione sanitaria è stato parte del giudizio: il che, in applicazione delle regole generali, può avvenire sia perché il sanitario è stato citato dal paziente, sia perché è stato chiamato in causa dalla struttura. In entrambi i casi, infatti, il sanitario acquista la veste di parte processuale.

Sicché la soluzione preferibile appare essere quella che consente la chiamata in causa del sanitario da parte della struttura sanitaria, sebbene con la precisazione che l'accoglimento della domanda di rivalsa spiegata dalla struttura sanitaria nei confronti del sanitario è in tal caso destinata ad operare come condanna condizionata, potendosi ammettere l'esecuzione della sentenza solo ove risulti il già effettuato pagamento al danneggiato.

Può anche pensarsi al caso che la domanda della struttura sanitaria nei confronti del sanitario sia proposta in separato giudizio e successivamente vi sia stata la riunione per connessione, ai sensi dell'art. 274 c.p.c., non intacca l'autonomia delle cause riunite nello stesso processo, ciascuna delle quali consta del proprio corredo assertivo e probatorio che la riunione non può né sopprimere né comprimere, pena la violazione del dovere di pronuncia di cui all'art. 112 c.p.c. (Cass. n. 23260/2019).

Disciplina della chiamata in causa

La chiamata in causa del medico da parte della struttura sanitaria è da ricondurre all'art. 106 c.p.c., secondo cui ciascuna parte può chiamare nel processo un terzo al quale ritiene comune la causa o dal quale pretende essere garantita (Cass. n. 29798/2019).

Detta chiamata in causa richiede dunque l'iniziativa di parte e la previa autorizzazione del giudice, autorizzazione oggetto di un potere discrezionale del giudice medesimo, il cui esercizio non è sindacabile in Cassazione (Cass. n. 25676/2014; Cass. n. 15362/2006). L'autorizzazione da parte del giudice di merito a chiamare in causa un terzo ai sensi dell'art. 106 c.p.c. non è difatti un atto dovuto, ed il diniego non è impugnabile, poiché, al di fuori dalla ipotesi di litisconsorzio necessario ex art. 102 c.p.c., il provvedimento del giudice di merito che concede o nega l'autorizzazione a chiamare in causa un terzo ai sensi dell'art. 106 c.p.c., coinvolge valutazioni discrezionali che, come tali, non possono formare oggetto di appello e di ricorso per cassazione (Cass. n. 25676/2014).

La discrezionalità si traduce in ciò, che pur chiesta tempestivamente dal convenuto ai sensi dell'art. 269 c.p.c., la fissazione di una nuova udienza ai fini della chiamata in causa, il giudice può denegarla, anche in forza di esigenze di economia processuale e di ragionevole durata del processo (Cass. S.U., n. 4309/2010).

Se la chiamata avviene ad opera del giudice iussu iudicis occorre l'estensione da parte dell'attore della domanda originaria nei confronti del terzo, domanda che non è assoggettata ad alcun termine perentorio, potendo essere disposto l'intervento ex art. 107 c.p.c. in qualsiasi momento del processo (Cass. n. 4724/2019).

L'intervento volontario dei sanitari

Naturalmente non può escludersi che i sanitari intervengano nel giudizio introdotto dal paziente nei confronti della struttura sanitaria.

In proposito vale ricordare che il soggetto che interviene volontariamente in un processo già pendente ha sempre la facoltà di formulare domande nei confronti delle altre parti, sebbene sia spirato il termine per la fissazione del thema decidendum. L'art. 268, comma 2, c.p.c. deve difatti essere interpretato alla luce del comma 1, in applicazione del quale l'intervento può avere luogo anche successivamente al maturare dei termini di preclusione per le altre parti, ossia sino a che non vengano precisate le conclusioni (Cass. n. 3116/2015). La preclusione di cui all'art. 268 c.p.c., non opera dunque sul piano assertivo, bensì su quello istruttorio, con conseguente ammissibilità della formulazione da parte del terzo interveniente di domande nuove ed autonome (Cass. n. 15208/2011; Cass. n. 3186/2006).

Chiamata in causa e spese processuali

In applicazione del principio di causalità e in ragione dell'accezione ampia con cui il termine soccombenza è assunto nell'art. 91 c.p.c., le spese processuali sostenute dal terzo chiamato in garanzia dal convenuto vanno poste a carico dell'attore, ove la chiamata in causa si sia resa necessaria in relazione alle tesi poste a fondamento della domanda e queste siano risultate infondate, a nulla rilevando che l'attore non abbia proposto nei confronti del terzo alcuna domanda, salvo il caso che l'iniziativa della chiamata si sia rivelata palesemente arbitraria e concreti un esercizio abusivo del diritto di difesa (Cass. n. 31889/2019; Cass. n. 2253/2013; Cass. n. 7431/2012; Cass. n. 23552/2011).

Quindi il rimborso è dovuto dalla parte che abbia cagionato la chiamata in causa del terzo (Cass. n. 6292/2019; Cass. n. 7431/2012).

La chiamata in causa nella fase di consulenza tecnica conciliativa

Un cenno va ancora fatto alla possibilità che la struttura sanitaria convenuta si risolva a chiamare in causa il sanitario in tesi responsabile del danno, qualora questi non sia stato citato dal danneggiato ricorrente, già nella fase di consulenza tecnica conciliativa ex art. 8 della legge Gelli-Bianco, che richiama il procedimento disciplinato dall'art. 696-bis c.p.c.

Anche a tal riguardo, si sostiene da alcuni che la chiamata in causa del sanitario responsabile da parte della struttura, unica convenuta dal danneggiato, non sarebbe consentita. Al di là del rilievo che, come si è già visto, a differenza dell'ordine di integrazione del contraddittorio ex art. 102 c.p.c., la chiamata in causa di cui all'art. 116 c.p.c. è rimessa alla discrezionale valutazione del giudice in ordine all'opportunità di estendere il contraddittorio al terzo, anche in considerazione di esigenze di economia processuale e ragionevole durata del processo (Cass. n. 4309/2010; Cass. n. 7406/2014; Cass. n. 9570/2015), viene anche in questo caso in questione l'art. 9 della legge Gelli-Bianco, che subordina l'esperibilità della azione di rivalsa all'esistenza di un titolo giudiziale o stragiudiziale che accerti la responsabilità e condanni la struttura al risarcimento del danno nei confronti del danneggiato, all'effettivo pagamento da parte della struttura, al rispetto del termine decadenziale previsto dalla norma: il che, secondo alcuni, renderebbe inammissibile la proposizione di una azione di rivalsa simultanea. Da altri si osserva che la chiamata in causa del sanitario da parte della struttura è non solo ammissibile ma anche auspicabile, poiché l'opportunità della partecipazione del sanitario già nella procedura stragiudiziale discende anche dall'ultimo comma dell'art. 9, che riconosce al giudice la facoltà di desumere «argomenti di prova dalle prove assunte nel giudizio instaurato dal danneggiato nei confronti della struttura sanitaria o dell'impresa di assicurazione» se il primo è stato parte del giudizio stesso: ciò considerando che la nozione di giudizio ben può estendersi all'accertamento tecnico preventivo ante causam.

La chiamata del terzo va effettuata al più tardi all'udienza di comparizione ex art. 695 c.p.c.: la parte resistente deve chiedere al giudice la fissazione di un termine per notificare l'atto al terzo chiamato onde consentire a quest'ultimo di far valere le sue eventuali difese alla successiva udienza.

Anche in questa fase è da ritenere ammissibile l'intervento del sanitario, da effettuarsi sino all'udienza di comparizione ex art. 695 c.p.c. e fintanto che il giudice non abbia provveduto ad ammettere la consulenza tecnica.

La chiamata in causa del sanitario ed il problema dell'estensione della domanda attrice

È stato in proposito ricordato (Cass. n. 30601/2018) che, secondo Cass. S.U., n. 24707/2015, nell'ambito delle controversie aventi ad oggetto la responsabilità civile ed il risarcimento del danno, la distinzione tra garanzia propria ed impropria assume carattere meramente descrittivo ed è inidonea a qualificare diversamente la posizione processuale del terzo chiamato, tanto nella ipotesi in cui la chiamata in causa del terzo sia svolta esclusivamente al fine di rendere opponibile a quest'ultimo l'accertamento del rapporto principale ― tra attore danneggiato e convenuto responsabile ― che costituisce il fatto condizionante della esigibilità della prestazione di garanzia che il convenuto ― se soccombente ― potrà far valere nei confronti del garante eventualmente in un successivo giudizio, quanto nel caso in cui a tale domanda di accertamento (finalizzata alla opponibilità al terzo del giudicato) si aggiungano le domande di accertamento del rapporto di garanzia e/o l'azione di condanna all'adempimento della prestazione derivante dal rapporto di garanzia, quest'ultima proposta in via condizionata all'accertamento sfavorevole al garantito del rapporto principale. L'arresto delle Sezioni Unite è dunque inteso ad affermare il principio secondo cui la predetta distinzione è priva di effetti sulla regola, ricorrente in tutti casi di chiamata del terzo in garanzia, della legittimazione del terzo chiamato a contraddire anche in ordine al rapporto principale e ad esercitare il potere di impugnazione sui capi della sentenza di merito concernenti l'accertamento del rapporto principale, il che non esclude affatto la irrilevanza della distinzione tra garanzia propria ed impropria al di fuori della regola indicata.

La vicenda dei rapporti processuali tra le tre parti del giudizio, esaminata dalla sentenza delle Sezioni Unite, evidenzia come la natura propria od impropria della garanzia risulti indifferente ai fini della estensione al terzo degli effetti dell'accertamento del rapporto principale, della legittimazione del terzo alla impugnazione dei capi di sentenza relativi al rapporto principale, della estensione della impugnazione effettuata dal solo garante o dal solo garantito anche al litisconsorte necessario processuale, senza incidere sulla diversa questione della automatica estensione della domanda risarcitoria svolta dall'attore nei confronti del convenuto, anche al terzo chiamato in garanzia propria od impropria dal convenuto.

Il principio dell'estensione automatica della domanda dell'attore al chiamato in causa da parte del convenuto non trova applicazione allorquando il chiamante, senza postulare la esclusione della propria responsabilità (ed anzi presupponendola), faccia valere nei confronti del chiamato un rapporto diverso da quello dedotto dall'attore come causa petendi, come avviene nell'ipotesi di chiamata di un terzo in garanzia, propria o impropria, o di azione condizionata di regresso nei confronti del terzo chiamato in coobbligazione. In tal caso è infatti rimessa in via esclusiva all'attore la scelta ― alla stregua della situazione giuridica dedotta nell'atto di chiamata in causa ― di proporre o meno autonoma domanda anche nei confronti del terzo chiamato (Cass. n. 25559/2008; Cass. n. 12317/2011; Cass. n. 8411/2016). Relativamente alla ipotesi in cui il convenuto chiami un terzo in giudizio indicandolo come soggetto corresponsabile della pretesa fatta valere dall'attore e chieda, senza rigettare la propria legittimazione passiva, soltanto di essere manlevato delle conseguenze della soccombenza nei confronti dell'attore, il quale a sua volta non estenda la domanda verso il terzo, è stato affermato che il cumulo di cause integra un litisconsorzio facoltativo ed ove la decisione di primo grado abbia rigettato la domanda di manleva in sede di impugnazione dà luogo ad una situazione di scindibilità delle cause (Cass. n. 5444/2006; Cass. n. 23308/2007).

In definitiva, qualora il convenuto in un giudizio di risarcimento dei danni, chiami in causa un terzo indicandolo come soggetto corresponsabile della pretesa fatta valere dall'attore e chieda di essere manlevato in caso di accoglimento della pretesa attorea, senza porre in dubbio la propria legittimazione passiva, si versa in una ipotesi di chiamata in garanzia, nella quale non opera la regola della automatica estensione della domanda al terzo chiamato, atteso che la posizione assunta dal terzo nel giudizio non contrasta, ma anzi coesiste, con quella del convenuto rispetto all'azione risarcitoria, salvo che l'attore danneggiato proponga nei confronti del chiamato (quale coobbligato solidale) una nuova autonoma domanda di condanna (Cass. n. 30601/2018, in applicazione del principio di cui in massima, ha confermato la decisione di merito, che aveva considerato non operante la regola della automatica estensione al terzo chiamato della domanda risarcitoria principale relativamente ad un'ipotesi in cui l'azienda ospedaliera convenuta aveva chiamato in causa il proprio dipendente medico-chirurgo, limitandosi a svolgere nei suoi confronti domanda di rivalsa condizionata all'accoglimento della pretesa attorea e senza che l'attore avesse proposto in via autonoma una domanda di condanna nei confronti del chiamato).

3. Azioni processuali

Ulteriori azioni processuali

Per le fattispecie in esame è, in alternativa, esperibile il Ricorso ex art. 281-undecies c.p.c. (Procedimento semplificato di cognizione).

Rinvii

Nel presente capitolo si è esaminata la disciplina della chiamata in causa del terzo, da parte della struttura sanitaria nei riguardi del sanitario, sia nella fase ordinaria del giudizio risarcitorio intentato dal paziente danneggiato, sia nella fase di consulenza tecnica conciliativa, sicché non vi sono ulteriori considerazioni da svolgere sulle azioni processuali, riservate alla trattazione dei profili sostanziali.

4. Conclusioni

Quantunque vi sia contrasto sul punto, il dato letterale desumibile dalla legge Gelli-Bianco porta a concludere che la struttura sanitaria possa effettuare la chiamata in causa del sanitario sia nella fase di merito del giudizio risarcitorio, sia in quella di consulenza tecnica conciliativa.

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