Mutatio ed emendatio

Mauro Di Marzio

1. Bussole di inquadramento

Viene esaminato qui il tema della possibilità di modificazione della domanda nei giudizi di risarcimento del danno. Tale problema si interseca con quello, già esaminato, dell'identificazione del necessario contenuto dell'atto introduttivo del giudizio risarcitorio, giacché quanto più si esige che l'iniziale formulazione della domanda sia specifica, tanto più si limita l'eventualità che la domanda debba essere modificata.

Dopodiché, identificato il contenuto minimo dell'atto introduttivo, si tratta di stabilire fino a dove possa spingersi la successiva attività di mutatio ed emendatio.

2. Questioni e orientamenti giurisprudenziali

Domanda
Come vanno indicati petitum e causa petendi? 

Vanno indicati in modo quanto più possibile preciso.

Si è già avuto modo di osservare che l'atto introduttivo di un giudizio di danno deve contenere «la determinazione dell'oggetto della domanda» e «l'esposizione dei fatti e degli elementi di diritto costituenti le ragioni della domanda».

Tradotta la formula curiale ― che riflette i concetti di petitum e causa petendi ― in linguaggio corrente, ciò vuol dire, quanto alla prima delle menzionate previsioni, che l'attore deve dire chiaramente cosa chiede; quanto alla seconda che deve spiegare perché chiede ciò che chiede.

L'onere di allegazione

I fatti posti a fondamento della domanda vanno prima allegati, sempre e comunque, e poi se del caso provati. In particolare i fatti principali vanno allegati fin dall'atto introduttivo, i fatti secondari, se vi è stata una appagante allegazione dei fatti principali, possono essere allegati al momento della formulazione dei mezzi istruttori.

La ragione che impone un'allegazione attenta e puntuale sono evidenti: da un lato essa è necessaria porre giudice in condizione di identificare il thema decidendum, e quindi a stabilire quali prove debbano essere eventualmente ammesse; dall'altro lato, prima ancora, è necessaria al convenuto al fine di consentirgli di spiegare le proprie difese.

Ciò discende dal principio del contraddittorio, che trova il suo referente fondamentale nell'art. 111 Cost., il quale stabilisce come noto che «ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale». Se si permettesse all'attore di proporre la propria domanda in termini generici, neppure potrebbe scattare per il convenuto l'onere di contestazione e di formulazione in comparsa di costituzione ed a pena di decadenza tutte le eccezioni non rilevabili d'ufficio. Solo se l'attore adempie il proprio onere di analitica indicazione del petitum, si concretizza l'onere del convenuto di contestazione e formulazione delle eccezioni non rilevabili d'ufficio. Per questo, l'attore nell'atto introduttivo del giudizio di risarcimento del danno deve allegare analiticamente le voci di danno subito, in vista di quella realizzazione della dialettica processuale che la SC riassume nell'affermazione secondo cui «l'onere di allegazione precede l'onere di contestazione» (Cass. S.U., n. 11353/2004).

A tal riguardo la S.C. ha precisato che l'onere di allegazione «va adempiuto in modo circostanziato, non potendo risolversi in mere enunciazioni generiche, astratte od ipotetiche» (Cass. n. 10527/2011), sicché le allegazioni che «devono accompagnare la proposizione di una domanda risarcitoria non possono essere limitate alla prospettazione della condotta in tesi colpevole della controparte ..., ma devono includere anche la descrizione delle lesioni, patrimoniali e/o non patrimoniali, prodotte da tale condotta, dovendo l'attore mettere il convenuto in condizione di conoscere quali pregiudizi vengono imputati al suo comportamento, e ciò a prescindere dalla loro esatta quantificazione e dall'assolvimento di ogni onere probatorio al riguardo» (Cass. n. 691/2012; analogamente Cass. n. 13536/2021; Cass. n. 10868/2021; Cass. n. 10450/2019).

La domanda di una somma di denaro a titolo risarcitorio

È da evitare una certa sciatteria in cui frequentemente ci si imbatte, nei giudizi risarcitorio, al momento della quantificazione della somma di denaro domandare. Certo, non occorre un'indicazione definitiva della somma richiesta, somma che talora non emerge nella sua precisa consistenza neppure all'esito dell'istruttoria, ove ricorrano i presupposti per la liquidazione equitativa di cui all'art. 1226 c.c., ma altrettanto evidente che non ci si può limitare a chiedere la «somma che sarà ritenuta di giustizia» senza indicare quali siano gli elementi di fatto ed i criteri ai quali ancorare la liquidazione del danno.

Ove si tratti di danno alla salute, in particolare, descritta la consistenza del pregiudizio subito, nei termini che tra breve si indicheranno, occorrerà indicare la consistenza dell'invalidità permanente e di quella temporanea, nonché il criterio di calcolo che si chiede di applicare per la liquidazione: e dunque se la liquidazione debba essere fatta secondo una determinata tabella, oppure a punto, oppure secondo il criterio equitativo puro.

Sicché, non è necessario che l'atto introduttivo del giudizio contenga già la determinazione del quantum richiesto, sulla base di conteggi che, a tal momento, sovente non potrebbero essere neppure attendibili, ma nondimeno occorre che vengano esposti gli elementi costitutivi del calcolo, con particolare riguardo agli elementi su cui il convenuto deve prendere posizione.

Se, ad esempio, i congiunti di un paziente deceduto per responsabilità sanitaria si limitassero a formulare una domanda di risarcimento del danno patrimoniale subito per effetto della perdita, altra specificazione il convenuto non verrebbe messo in condizione di comprendere neppure se gli attori, ipoteticamente attori del defunto, abbiano inteso richiedere il danno subito iure proprio dalla vittima e loro trasmesso iure haereditario, ovvero se abbiano inteso richiedere il risarcimento del danno da essi attori subito iure proprio, per effetto del venir meno del contributo economico che il defunto erogava, ovvero, ancora, se abbiano inteso richiedere il risarcimento del danno per la compromissione della propria capacità lavorativa specifica eventualmente pregiudicata, sempre per ipotesi, dal grave stato depressivo conseguito al lutto.

Il danno non patrimoniale

Si consideri, poi, che la specificazione del danno patrimoniale non è per l'attore la più impegnativa. Se si pone mente all'evoluzione che la nozione di danno non patrimoniale ha avuto nell'ultimo mezzo secolo, evolvendosi dall'originaria configurazione del pretium doloris, fino all'individuazione di una pluralità di voci di danno non patrimoniale di consistenza spesso incerta, si comprende agevolmente che il danno non patrimoniale può essere declinato e definito in una pluralità di modi.

Ci siamo occupati, nei capitoli precedenti, di alcune voci di danno ed anche, in particolare, del problema delle duplicazioni risarcitorio, problema derivante dalla circostanza che in sede pretoria si sono spesso impiegate definizioni variegate per definire pregiudizi sovrapponibili, se non anche definizioni identiche, in particolare, ad esempio, quella di danno morale, per individuare pregiudizi eterogenei.

In tale contesto, la scelta dell'etichetta definitoria, non può che avere un valore modesto: giacché le definizioni non valgono affatto ad individuare la concreta natura del pregiudizio di cui si discorre. Sarebbe così nullo per assoluta genericità non solo l'atto di citazione in cui venisse formulata una domanda di danno morale, senza ulteriori precisazioni, ma, probabilmente, anche quella di liquidazione del danno biologico, senza gli alimenti ulteriori, benché tale ultima nozione, grazie all'intervento del legislatore, abbia una sua consistenza ben individuata. Esporre che l'attore ha subito una frattura ad un determinato arto non dice ancora abbastanza, occorrendo invece che l'atto introduttivo chiarisca se e quali postumi siano residuati alla frattura.

Il danno biologico

In quest'ottica occorre rammentare che il verificarsi di un danno biologico richiede la sussistenza di una lesione dell'integrità psicofisica, di una disfunzione derivata dalla lesione e di un peggioramento delle funzioni vitali del danneggiato.

Fatto costitutivo della pretesa, dunque, non è la semplice lesione fisica, ma anche la conseguenza disfunzionale secondata dalla lesione, ed infine l'invalidità residuata.

Dunque spetta all'attore di specificare non soltanto quali siano state le lesioni subite, ma anche la natura e consistenza dei postumi da esse derivate.

Natura e consistenza, occorre aggiungere, che non si chiariscono con la semplice indicazione di un dato percentuale, quale l'invalidità rapportata ad una percentuale x, a meno che non si faccia riferimento ad una tabella prevista dalla legge, come tale dotata di un significato univoco. Ma, quando si discorre di tabelle la cui elaborazione risale alla medicina legale, diviene ineluttabilmente necessario specificare a quale barémes medico legale si intenda far riferimento. Dire che il paziente rimasto danneggiato da un intervento medico ha subito postumi del 10%, significa in effetti ben poco se non si indica il barémes impiegato per la valutazione, e soprattutto la disfunzione effettiva residuata al sinistro.

In definitiva, in caso di domanda di risarcimento del danno alla salute, l'attore deve essenzialmente procedere alla descrizione della lesione, e delle conseguenti disfunzioni ed handicap: adempiuto tale onere, l'indicazione del grado di invalidità diviene superfluo. Al contrario la sola indicazione di una percentuale di invalidità non sostenuta dall'individuazione del baréme utilizzato finisce per essere generica.

Il danno da morte

Analoghe considerazioni possono essere compiute con riguardo al caso in cui venga in discorso la morte del paziente.

Anche in tal caso l'attore è onerato non tanto della scelta di un'etichetta definitoria del pregiudizio subito, bensì della descrizione di esso.

Occorre pertanto chiarire se la domanda abbia ad oggetto il risarcimento dei danni subiti iure proprio o iure haereditario, e quindi specificare in che cosa tali danni si siano concretizzati.

E, nell'ipotesi in cui venga denunciato un danno patrimoniale conseguito alla morte del congiunto e determinato dalla perdita delle utilità che questi ha portava i congiunti, pur non essendo richiesti conteggi dettagliati, occorre almeno specificare quale fosse il reddito della vittima, se gli altri membri della famiglia godessero di propri redditi, quanta parte del proprio reddito la vittima destinasse alla famiglia.

Fatti primari e fatti secondari

Secondo una distinzione proveniente dalla dottrina e di cui fa ampio uso la giurisprudenza, «fatto primario» è il fatto da provare e che, se provato, conduce all'accoglimento della domanda; «fatto secondario» è invece quello dedotto approva del «fatto principale», sicché esso rileva solo nella misura in cui riesca a dare dimostrazione di questo (Cass. n. 8525/2020).

Per fare un esempio, proposta domanda di risarcimento del danno biologico, sull'assunto che il danneggiato, a causa della cattiva esecuzione di un intervento di riduzione di una frattura, abbia dovuto tra l'altro abbandonare la propria quotidiana attività di jogging, tale circostanza costituisce «fatto primario», rilevante in particolare sotto il profilo della personalizzazione del danno biologico; viceversa la circostanza che la commessa di un negozio di articoli sportivi avesse visto l'attore acquistare abbigliamento da jogging, costituisce «fatto secondario», giacché diretta soltanto a dimostrare che effettivamente egli svolgesse tale attività.

Orbene, la S.C. ha chiarito che essi possono essere introdotti nel giudizio al più tardi con la seconda memoria istruttoria, attualmente prevista dall'art. 183, comma 6, n. 2, c.p.c., quantunque il termine sia stato richiesto al solo fine della indicazione dei mezzi di prova e produzioni documentali: «basti pensare ai capitoli di prova testimoniale, molto spesso riferiti a circostanze non specificamente narrate nell'atto introduttivo, ma tuttavia indicate al fine di dimostrare, in virtù di ragionamento inferenziale, il fatto costitutivo in esso dedotto; non si è mai dubitato, né può dubitarsi che essi possano essere indicati per la prima volta anche nel termine di cui all'art. 183, comma 6, n. 2, c.p.c.» (Cass. n. 8525/2020).

Dunque, se l'attore abbia nell'atto introduttivo del giudizio dedotto il «fatto principale», e cioè, nell'esempio fatto, abbia lamentato di non poter più svolgere l'attività di jogging, ben potrà allegare, con la seconda memoria istruttoria, di aver ciclicamente acquistato abbigliamento da jogging; se, invece, l'attore si sia inizialmente limitato a riferire dell'invalidità cagionata dall'errata riduzione della frattura, non potrà per la prima volta dedurre con la seconda memoria istruttoria che ciò gli ha precluso lo svolgimento dell'attività di jogging.

Modificazione di domande ed eccezioni

Il menzionato art. 183, comma 6, n. 1, c.p.c., consente di «depositare memorie limitate alle sole precisazioni o modificazioni delle domande, delle eccezioni e delle conclusioni già proposte». Sorge in proposito il ben noto quesito su cosa debba intendersi per «modificazione e precisazione» di domande, eccezioni e conclusioni.

Qui il punto di riferimento fondamentale e tuttora costituito da Cass. S.U., n. 12310/2015, che, secondo una lettura diffusa, avrebbe sdoganato la facoltà di modificazione delle.

Il caso esaminato da quest'ultima pronuncia era tipico del ricorrente: l'attore aveva chiesto una pronuncia ex art. 2932 c.c. sul presupposto che il contratto stipulato con il convenuto avesse natura di preliminare di vendita; in corso di causa, reputando che il contratto avesse natura non di preliminare, bensì di definitivo, aveva chiesto al giudice non più una pronuncia costitutiva del trasferimento del bene, bensì dichiarativa del già avvenuto trasferimento. In tale frangente la SC ha ritenuto che non vi fosse nessun mutamento dei fatti da accertare, ma solo una diversa qualificazione giuridica dei medesimi fatti, con conseguente ammissibilità della modificazione.

Osserva la pronuncia che il codice di rito prevede tre distinte modalità di modificazione, e cioè le domande nuove, quelle in senso stretto modificate e quelle semplicemente precisate. Ora, mentre le domande nuove sono sempre inammissibili, e quelle semplicemente precisate sono sempre ammissibili, resta da intendersi sul significato del concetto di «modificazione», concetto che ― dice la SC ― non è in effetti illuminato dalla tradizionale e ormai consunta distinzione tra emendatio e mutatio. Di qui le seguenti osservazioni: i) la modificazione non può consistere nella sola diversa qualificazione giuridica, che è sempre innegabilmente ammissibile; ii) una qualche modificazione della domanda deve ammettersi, altrimenti si negherebbe qualsiasi significato all'art. 183 c.p.c.; iii) l'art. 183, comma 5, c.p.c. vieta implicitamente le domande nuove, ma consente quelle in replica alle difese del convenuto, domande che si aggiungono a quella originaria; iv) la modificazione di cui al comma 6 dell'art. 183 c.p.c. non può che essere qualcosa di diverso da quanto previsto dal precedente comma 5, dunque non una domanda che si aggiunge, ma che si sostituiscono a quella originaria; v) tale sostituzione si giustifica perché, altrimenti, si costringerebbe la parte ad iniziare un nuovo processo, con spreco di attività processuale; vi) la modificazione deve però avere ad oggetto la «medesima vicenda sostanziale dedotta in giudizio o comunque essere con questa collegata».

Si tratta dunque di comprendere quand'è che la «vicenda sostanziale» venga ad immutarsi. E la risposta è che la modificazione vi è quando va a toccare il fatto costitutivo della domanda, il che accade in caso di immutazione dei fatti posti a fondamento della domanda, e che devono essere conseguentemente oggetto di istruttoria. Dal punto di vista pratico, se la modificazione richiede di conoscere, e quindi di provare, nuovi fatti, essa è inammissibile.

Ad esempio, dedotta inizialmente la responsabilità del medico per aver errato nella riduzione di una frattura, è inammissibile la domanda volta a lamentare che il medico non aveva raccolto il consenso informato in ordine all'eventualità che l'operazione di riduzione potesse avere sfavorevoli conseguenze. In simili frangenti, infatti, le due condotte addebitate al sanitario individuano «vicende sostanziali» del tutto distinte: la prima concerne la violazione colposa delle leges artis e produce un danno alla salute; la seconda concerne la violazione di un obbligo derivante dalla legge e produce una lezione del diritto alla autodeterminazione.

In tale prospettiva, anche dopo le Sezioni Unite del 2015, deve tenersi per fermo che l'attore, dopo avere richiesto il risarcimento di talune voci di danno (ad esempio il danno morale da perdita del congiunto), non può richiedere il risarcimento di danni diversi, il cui accertamento imponga accertamenti fattuali ulteriori (ad esempio il danno biologico per la perdita della capacità lavorativa specifica determinata da un grave stato depressivo provocato dalla morte del congiunto). In tal senso v. Cass. n. 9090/2001; Cass. n. 9370/2000.

3. Azioni processuali

Ulteriori azioni processuali

Per le fattispecie in esame è, in alternativa, esperibile il Ricorso ex art. 281-undecies c.p.c. (Procedimento semplificato di cognizione).

Rinvii

Nel presente capitolo si è esaminata la disciplina della mutatio ed emendatio della domanda risarcitoria proposta dal paziente nei confronti del convenuto prescelto, struttura sanitaria o medico che sia, sicché non vi sono ulteriori considerazioni da svolgere sulle azioni processuali, riservate alla trattazione dei profili sostanziali.

4. Conclusioni

Elevata è l'attenzione che l'avvocato deve prestare al momento della formulazione della domanda, identificando con adeguata precisione i danni di cui intende chiedere il risarcimento. Errato sarebbe confidare in una lettura lassista di una nota decisione del 2015 in tema di emendatio e mutatio, dal momento che essa, correttamente intesa, non consente di dedurre in corso del processo fatti nuovi, salvo non si tratti di fatti secondari ancora suscettibili di essere dedotti con la seconda memoria di cui all'art. 183 c.p.c.

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