La responsabilità del medico1. Bussole di inquadramentoSotto la rubrica: «Responsabilità civile della struttura e dell'esercente la professione sanitaria, l'art. 7 della l. 8 marzo 2017, n. 24, nota come legge Gelli-Bianco, stabilisce, al comma 3, che: «L'esercente la professione sanitaria di cui ai commi 1 e 2 risponde del proprio operato ai sensi dell'art. 2043 c.c., salvo che abbia agito nell'adempimento di obbligazione contrattuale assunta con il paziente. Il giudice, nella determinazione del risarcimento del danno, tiene conto della condotta dell'esercente la professione sanitaria ai sensi dell'art. 5 della presente legge e dell'art. 590-sexies del codice penale, introdotto dall'art. 6 della presente legge». L'art. 5, cui la norma rinvia, pone l'obbligo del medico di conformarsi, nella propria condotta, alle linee guida, linee guida che lo stesso articolo poi disciplina, ed in mancanza alle buone pratiche clinico-assistenziali. L'art. 590-sexies c.p. regola i delitti di omicidio e lesioni colpose commessi nell'esercizio della professione sanitaria, stabilendo che, qualora l'evento si sia verificato a causa di imperizia, la punibilità è esclusa quando sono rispettate le linee guida ovvero, in mancanza di queste, le buone pratiche clinico-assistenziali. 2. Questioni e orientamenti giurisprudenziali
Domanda
La responsabilità del medico ha natura aquiliana o contrattuale?
La responsabilità è (quasi sempre) aquiliana Per comprendere l'evoluzione della disciplina della responsabilità civile del medico, introdotta dal menzionato complesso normativo, occorre riandare indietro nel tempo e ripercorrere in sintesi le linee evolutive che hanno operato nella materia. In una prima fase la giurisprudenza, così come la dottrina, usa distinguere tra medico dipendente della struttura sanitaria e medico libero professionista: nel primo caso si ritiene che egli sia soggetto a responsabilità extracontrattuale, nel secondo caso a responsabilità contrattuale. A fondamento di questa impostazione sta una constatazione elementare: e cioè che, nel caso di medico dipendente della struttura sanitaria, il paziente non instaura con lui alcun rapporto contrattuale vero e proprio, rapporto che intercorre invece con la struttura sanitaria, che, come tale, risponde a titolo contrattuale. Nel corso del tempo muta però il comune sentire nei riguardi della professione medica, e l'inquadramento della responsabilità del medico dipendente in termini di responsabilità extracontrattuale inizia ad essere percepita come un fattore di privilegio, di eccessivo sbilanciamento del rapporto medico-paziente in favore del primo, per il vantaggio che essa riserva al medico anzitutto sul piano di riparto degli oneri probatori: rapporto sempre più riguardato come il prodotto di un'impostazione paternalistica della relazione con il paziente, che riserva al medico, in vario modo, vaste garanzie di impunità. Ecco, dunque, che iniziano a presentarsi talune decisioni che conducono alla svolta rappresentata da Cass. n. 589/1999, la quale assimila il medico dipendente da una struttura sanitaria al medico libero professionista attraverso l'impiego della figura del «contatto sociale» (Cass. n. 8826/2007; Cass. n. 9085/2006; Cass. n. 1698/2006; Cass. n. 19564/2004; Cass. n. 11488/2004; Cass. n. 13066/2004; Cass. n. 10297/2004; Cass. n. 9471/2004; Cass. n. 11316/2003; Cass. n. 589/1999): è vero che il medico dipendente non è obbligato alla prestazione nei confronti del paziente, che non ha chiesto a lui la cura, ma alla struttura sanitaria dalla quale il medico dipende, ma è altrettanto vero che il medico, in forza degli obblighi professionali ai quali è soggetto, ingenera nel paziente un affidamento in ordine alla doverosità della sua condotta. Il medico, in altre parole, proprio perché esposto a detti obblighi, non può essere equiparato al quisque de populo che, nei confronti degli altri consociati, è soltanto tenuto ad osservare la regola del neminem laedere.
Domanda
Quali effetti produce l'inquadramento della responsabilità medica in ambito contrattuale?
L'inalterazione delle condizioni del paziente rileva quale inadempimento, e l'asticella della diligenza richiesta si innalza Le ricadute dell'inquadramento della responsabilità del medico in ambito contrattuale sono molteplici. Anzitutto, dal momento che non si versa in tema di responsabilità extracontrattuale, ma contrattuale, ciò che viene in questione non è la lesione del diritto alla salute del paziente, e dunque il peggioramento dello stato di salute preesistente, bensì il mancato soddisfacimento dell'interesse al risultato terapeutico per il soddisfacimento del quale il contratto è stato stipulato. In altri termini, anche l'inalterazione dello stato preesistente costituisce inadempimento contrattuale. Quest'affermazione è stata espressamente formulata dalla S.C. in un caso in cui un intervento di settorinoplastica non aveva raggiunto lo scopo di migliorare la capacità respiratoria del paziente, ma neppure l'aveva peggiorata (Cass. n. 8826/2007). Inoltre, se tra medico e paziente si instaura un rapporto di natura contrattuale, il parametro di diligenza da applicare è quello del comma 2 dell'art. 1176 c.c., secondo cui nell'adempimento delle obbligazioni inerenti all'esercizio di un'attività professionale la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell'attività esercitata. Al medico è cioè richiesta una diligenza superiore a quella ordinaria del «buon padre di famiglia», variabile in ragione del grado di specializzazione. Il livello di diligenza, dunque, deve essere tanto più intenso quanto maggiore è la specializzazione del medico, tenuto conto che a diversi gradi di specializzazione corrispondono diversi gradi di perizia. Il giudizio sull'osservanza del parametro di diligenza richiesto va quindi calibrato in funzione delle caratteristiche del professionista e della struttura entro la quale egli opera. La diligenza del professionista va allora valutata in concreto, rapportandola al livello di specializzazione del professionista e alle strutture tecniche a sua disposizione, sicché il medesimo deve, da un canto, valutare con prudenza e scrupolo i limiti della propria adeguatezza professionale, ricorrendo anche all'ausilio di un consulto se la situazione non è così urgente da sconsigliarlo e, da altro canto, deve adottare tutte le misure volte ad ovviare alle carenze strutturali ed organizzative incidenti sugli accertamenti diagnostici e sui risultati dell'intervento, e laddove ciò non sia possibile, deve informare il paziente, finanche consigliandogli, se manca l'urgenza di intervenire, il ricovero in una struttura più idonea (v. Cass. n. 12273/2004; Cass. n. 11316/2004; Cass. n. 6318/2000).
Domanda
Come si evolve l'approccio ai temi degli interventi difficili, delle obbligazioni di mezzi e di risultato, degli oneri probatori?
Si evolve nel senso di aggravare la responsabilità del medico L'approccio alla responsabilità del medico si evolve nel corso del tempo almeno sotto altri tre rilevanti aspetti. Il primo aspetto è quello del trattamento degli interventi difficili. L'art. 2236 c.c., sotto la rubrica «responsabilità del prestatore d'opera», stabilisce che: «Se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d'opera non risponde dei danni, se non in caso di dolo o di colpa grave». Questa norma è stata in un primo tempo oggetto di «tendenze interpretative volte ad assicurare un'area di sostanziale immunità ai liberi professionisti, di cui si è avvertita ancora eco in pronunce neanche troppo risalenti» (Cass. n. 9471/2004). L'art. 2236 c.c. acquista però poi un rilievo del tutto marginale ai fini dell'esclusione della responsabilità del medico per due motivi: i) «problemi tecnici di speciale difficoltà», secondo la S.C., sono tali o perché non ancora sperimentati o studiati a sufficienza, o perché non ancora dibattuti con riferimento ai metodi terapeutici da seguire (Cass. n. 9471/2004; Cass. n. 2042/2005; Cass. n. 4852/1999); ed in effetti sono rarissimi i casi in cui la giurisprudenza ha ritenuto l'intervento medico di speciale difficoltà; ii) la limitazione di responsabilità professionale del medico ai casi di dolo o colpa grave ex art. 2236 c.c. si applica nelle sole ipotesi di imperizia e non anche di imprudenza e negligenza (Cass. n. 9085/2006; Cass. n. 14448/2004; Cass. n. 5945/2000). La «speciale difficoltà» dell'intervento, allora, impone di valutare la condotta del medico specialista non già con minore, ma semmai al contrario con maggior rigore ai fini della responsabilità professionale, dovendo aversi riguardo alla necessità di adeguare la condotta alla natura e al livello di pericolosità della prestazione (v. con riferimento al medico sportivo, Cass. n. 85/2003), la quale importa una più scrupolosa attenzione ed adeguata preparazione professionale (Cass. n. 583/2005). Il secondo aspetto è quello della distinzione tra obbligazioni di mezzi e obbligazioni di risultato (si ricorda che al tema è dedicato il caso «Obbligazioni di mezzi e obbligazioni di risultato»). Nella giurisprudenza della S.C. è stata per decenni ricorrente l'affermazione secondo cui le obbligazioni attinenti all'esercizio di un'attività professionale sono, di regola, obbligazioni di mezzi, non di risultato. Pertanto, il prestatore d'opera intellettuale non è responsabile se il risultato non viene raggiunto, ovvero non viene raggiunto nella forma prevista, e l'inadempimento si concreta nella violazione dei doveri inerenti allo svolgimento dell'attività professionale (Cass. S.U. , n. 375/1965; Cass. n. 6967/2006; Cass. n. 20869/2004; Cass. n. 10454/2002; Cass. n. 5928/2002; Cass. n. 2836/2002; Cass. n. 10431/2000). La distinzione tra obbligazioni di mezzi, o obbligazioni di diligenza, ed obbligazioni di risultato — elaborata dalla dottrina francese nella prima parte del XX secolo — si riassume in ciò, che, mentre di regola il debitore assume l'obbligazione di apportare al creditore un preciso risultato, in taluni casi egli si impegnerebbe soltanto a svolgere una certa attività in conformità a determinate regole, sia pure allo scopo, mediato, di pervenire ad un risultato sperato. Nel caso delle obbligazioni di mezzi, cioè, il risultato non potrebbe essere raggiunto se non grazie all'intervento di un complesso di fattori favorevoli, non tutti controllabili dal professionista: così, volendo ricorrere ad uno dei più comuni esempi dottrinari, «il medico può soltanto mettere in essere alcune condizioni necessarie o utili per promuovere il risanamento dell'infermo: ma la riuscita della cura esige purtroppo la presenza di altri elementi, sui quali il medico non ha potere». La distinzione, evidentemente, comporta massicce ricadute sul piano del riparto degli oneri di allegazione ovvero di prova — secondo le diverse impostazioni — dal momento che nelle obbligazioni di mezzi non basterebbe al creditore, come nelle obbligazioni di risultato, la sola allegazione/prova del mancato raggiungimento dello scopo al quale l'attività del debitore era diretta, ma occorrerebbe la (certo più impegnativa) allegazione/prova della negligenza addebitabile al debitore nell'esecuzione della prestazione. Il rilievo della distinzione tra obbligazioni di mezzi e obbligazioni di risultato è stato ridimensionato dalla giurisprudenza, la quale è giunta ad affermare che «il professionista, ed il medico specialista in particolare, è... tenuto non già ad una prestazione professionale purchessia bensì impegnato ad una condotta specifica particolarmente qualificata, in ragione del proprio grado di abilità tecnico-scientifica nel settore di competenza, in vista del conseguimento di un determinato obiettivo dovuto, avuto riguardo al criterio di normalità» (Cass. n. 8826/2007). Il terzo aspetto in cui la configurazione della responsabilità medica quale responsabilità contrattuale riveste rilievo è senz'altro quello del riparto degli oneri probatori, su cui si tornerà in un paragrafo specificamente dedicato al tema.
Domanda
Come influisce sulla responsabilità del medico la legge Gelli-Bianco?
Essa mira ad un riequilibrio del rapporto medico-paziente, considerato ormai troppo squilibrato a favore del secondo Si è così concretizzato, sotto i profili sopra enumerati, l'intento di elevare il livello della tutela dell'interesse del paziente, tutela tra l'altro accresciuta per il manifestarsi di nuove figure di danno, quale quella da lesione del diritto all'autodeterminazione per violazione del consenso informato. L'esito è stato quello di un sistema capovolto rispetto al passato, ma nuovamente asimmetrico, poiché eccessivamente sbilanciato nei riguardi del paziente, con le conseguenti ricadute in termini di medicina difensiva nonché di incremento della spesa pubblica non destinata al miglioramento del servizio nel settore sanitario: il che vuol dire, in altri termini, che lo sbilanciamento del sistema in favore del singolo paziente il quale abbia agito per il risarcimento del danno finisce per influire negativamente sulla qualità del servizio destinato a soddisfare le esigenze della generalità dei pazienti che necessitino dell'intervento del medico. La legge Gelli-Bianco, in una linea di sviluppo della precedente legge Balduzzi, mira così al riequilibrio del sistema, attraverso la valorizzazione di politiche di gestione e prevenzione del rischio sanitario, nonché di trasferimento del rischio sanitario sulla struttura e non sul singolo medico, così da tutelare non tanto i medici dal carico di cause intentate nei loro confronti, bensì l'interesse degli stessi pazienti ad un sereno esercizio dell'attività medica. In tale prospettiva, assume ancora una volta rilievo l'inquadramento della responsabilità medica nell'uno o nell'altro settore, contrattuale o aquiliano. La legge Gelli-Bianco adotta un regime differenziato stabilendo che la responsabilità del medico libero professionista e della struttura ospedaliera (sia pubblica che privata), anche per le prestazioni rese dai sanitari di cui le strutture si avvalgono per adempiere alle proprie obbligazioni, ha natura contrattuale, mentre quella del sanitario che opera all'interno della struttura è di tipo extracontrattuale. In tal senso la lettera dell'art. 7 della legge Gelli-Bianco è inequivoca, cosa che non era accaduta invece nei riguardi dell'art. 3, comma 1, della legge Balduzzi, di formulazione in effetti equivoca. In proposito la S.C. (Cass. n. 8940/2014) aveva osservato che l'art. 3, coma 1, della legge «quando dice che resta comunque fermo l'obbligo di cui all'art. 2043 c.c. (...) vuole solo significare che il legislatore si è soltanto preoccupato di escludere l'irrilevanza della colpa lieve in ambito di responsabilità extracontrattuale, ma non ha inteso certamente prendere alcuna posizione sulla qualificazione della responsabilità medica necessariamente come responsabilità di quella natura. (...) Non sembra ricorrere, dunque, alcunché che induca il superamento dell'orientamento tradizionale sulla responsabilità da contatto e sulle sue implicazioni». Sicché, allo scopo di escludere ogni dubbio è intervenuta sul punto la norma oggi vigente, introducendo un netto cambiamento, giacché il medico che opera a vario titolo nella struttura rimane assoggettato al regime della responsabilità extracontrattuale. Ne consegue che il paziente deve provare la sussistenza degli elementi costitutivi dell'illecito e dunque la condotta colposa o dolosa, il nesso di causalità ed il danno e, inoltre deve far valere la pretesa risarcitoria nel più breve termine quinquennale di prescrizione. Il senso della scelta è evidente, giacché per un verso non penalizza il paziente, il quale ha modo di avanzare le proprie eventuali pretese risarcitorie nei confronti della struttura, nel quadro di applicazione delle più favorevoli regole della responsabilità contrattuale, e ciò nei confronti del soggetto meglio attrezzato per gestire il ridurre il rischio sanitario, per altro verso mira a riservare al medico un regime di responsabilità meno pesante, per le ragioni poc'anzi evidenziate. La giurisprudenza di merito si muove in quest'ottica, precisando che la riforma in materia di responsabilità medica avviata con la legge Gelli-Bianco ha posto a carico del sanitario la responsabilità del proprio operato ai sensi dell'art. 2043 c.c., salvo che abbia agito nell'adempimento di un'obbligazione contrattuale assunta con il paziente. Quindi il medico che agisce alle dipendenze di una struttura ospedaliera beneficia di una sostanziale inversione dell'onere della prova, poiché sarà il paziente, per ottenere il risarcimento del danno patito, che dovrà provare non solo l'inadempimento, ma anche la colpa del professionista (Trib. Siena 24 settembre 2021, n. 722). Ciò detto, sarebbe del tutto erroneo ritenere che la legge Gelli-Bianco rappresenti un ritorno al passato nel campo della responsabilità professionale medica, giacché la tutela riconosciuta al paziente, il quale può soddisfarsi nei confronti della struttura sanitaria ed eventualmente dell'assicuratore, non arretra di un passo, ed anzi riceve un esplicito riconoscimento normativo attraverso l'inquadramento della responsabilità della struttura sanitaria nell'ambito contrattuale. È così che la qualificazione della responsabilità del medico che opera nella struttura come responsabilità extracontrattuale non solo è bilanciata dalla posizione attribuita alla stessa struttura, ma persegue la finalità di miglioramento del complessivo funzionamento del sistema sanitario, attraverso la riduzione dei rischi connessi alla medicina difensiva. I primi responsi giurisprudenziali Premesso che, in tema di responsabilità sanitaria, le norme poste dagli artt. 3, comma 1, d.l. n. 158 del 2012, convertito dalla legge n. 189 del 2012 (legge Balduzzi), e dall'art. 7, comma 3, della legge n. 24 del 2017 (legge Gelli-Bianco), non hanno efficacia retroattiva e non sono applicabili ai fatti verificatisi anteriormente alla loro entrata in vigore, i primi interventi, per ora della giurisprudenza di merito, hanno evidenziato che la riforma in materia di malpractice medica avviata con la l. n. 24 del 2017 ha posto a carico del sanitario la responsabilità del proprio operato ai sensi dell'art. 2043 c.c., salvo che abbia agito nell'adempimento di un'obbligazione contrattuale assunta con il paziente. Quindi il medico che agisce alle dipendenze di una struttura ospedaliera beneficia del riparto dell'onere della prova previsto in ambito aquiliano, poiché è il paziente, per ottenere il risarcimento del danno patito, che deve provare non solo l'inadempimento, ma anche la colpa del professionista (p. es. Trib. Siena 24 settembre 2021, n. 722). La legge Gelli-Bianco ha insomma stabilito una duplice natura della responsabilità: la struttura sanitaria risponde dell'operato degli esercenti professioni sanitarie exartt. 1218 e 1228 c.c., l'esercente la professione sanitaria risponde del proprio operato ex art. 2043 c.c. (Trib. Mantova 5 settembre 2019, n. 642). 3. Azioni processualiUlteriori azioni processuali Per la fattispecie in esame è, in alternativa, esperibile il Ricorso ex art. 281-undecies c.p.c. (Procedimento semplificato di cognizione). Aspetti preliminari Mediazione Le cause di risarcimento del danno da responsabilità medico-sanitaria rientrano tra quelle elencate dall'art. 5, d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso «La responsabilità medica in generale». Accertamento tecnico preventivo diretto alla conciliazione della lite Con la legge Gelli-Bianco è stato inoltre previsto un diverso congegno volto alla definizione conciliativa della lite ed alternativo alla mediazione, ossia l'accertamento tecnico preventivo diretto alla composizione della lite, previsto dall'art. 696-bis c.p.c. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso «La responsabilità della struttura sanitaria». L'alternativa tra mediazione e consulenza tecnica preventiva Sia la consulenza tecnica preventiva che la mediazione perseguono lo stesso scopo, ossia la definizione conciliativa della lite, con conseguente effetto deflattivo sul contenzioso civile. Tra i due strumenti sussistono similitudini e diversità, che possono rendere preferibile l'uno o l'altro. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso «La responsabilità della struttura sanitaria». Competenza per territorio La legge Gelli Bianco ha inquadrato la responsabilità della struttura sanitaria nell'ambito della responsabilità contrattuale, il che va considerato ai fini dell'individuazione del giudice presso cui si radica la competenza territoriale per le cause in materia di responsabilità medica. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso «La responsabilità della struttura sanitaria». Competenza per valore La competenza per valore del giudice di pace si determina in base ai criteri indicati dall'art. 7, comma 1, c.p.c.. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso «La responsabilità della struttura sanitaria». Rito applicabile La domanda di risarcimento del danno per responsabilità medica può essere proposta con atto di citazione, nelle forme del procedimento ordinario di cognizione, ovvero con ricorso nelle forme del procedimento semplificato di cognizione. La scelta è libera, però, solo se si avvia la mediazione e questa non conduce alla soluzione della lite. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso «La responsabilità della struttura sanitaria». Legittimazione attiva e passiva Il paziente che si assume danneggiato, ovvero i suoi congiunti in caso di morte (ovvero gli ulteriori legittimati, unitamente al paziente), può agire in via risarcitoria nei confronti della struttura sanitaria, nei confronti dell'«esercente la professione sanitaria, nei confronti dell'impresa di assicurazione della struttura ovvero dell'esercente. Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso «La responsabilità della struttura sanitaria». Contenuto dell'atto introduttivo Si rinvia alle considerazioni svolte nel caso «La responsabilità della struttura sanitaria». 4. ConclusioniCon la legge Gelli-Bianco il legislatore assoggetta la responsabilità della struttura sanitaria e del medico operante nella struttura sanitaria ad un regime differenziato: contrattuale l'una, extracontrattuale l'altra, con tutto quanto ne deriva sul piano del riparto degli oneri probatori: il che rende palese l'intento perseguito dalla legge, che consiste nel conservare il livello di tutela spettante al paziente nei confronti della struttura sanitaria e nel rendere sconveniente che egli si rivolga invece direttamente al medico operante nella struttura, allo scopo di scongiurare i rischi connessi all'esercizio della medicina difensiva ed in tal modo di migliorare lo stesso funzionamento del servizio sanitario nazionale. Nulla cambia, invece, per il medico con cui il paziente stabilisca un diretto rapporto contrattuale. |