Niente messa alla prova per le società

Ciro Santoriello
14 Aprile 2023

Le Sezioni Unite della Suprema Corte sono state chiamate ad occuparsi della possibilità di applicare l'istituto della messa alla prova anche nel processo nei confronti degli enti collettivi.
Massima

L'istituto dell'ammissione alla prova di cui all'art. 168-bis c.p., non trova applicazione con riferimento alla disciplina della responsabilità degli enti di cui al d.lgs. n. 231 del 2001.

Il caso

In un processo nei confronti di una società, il Tribunale di Trento dichiarava non dover procedere nei confronti della persona giuridica imputata ai sensi dell'art. 464-septies c.p.p., per essere estinto l'illecito di cui all'art. 25-septies, comma 3, d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, ascritto alla società in relazione al delitto di lesioni colpose gravi contestato al legale rappresentante, per esito positivo della prova, ai sensi dell'art. 168-ter c.p.

Avverso la suddetta sentenza, il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Trento proponeva ricorso per cassazione per violazione e falsa interpretazione dell'art. 168-ter c.p. e degli artt. 62 e ss. d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, rinvenibile nella sentenza impugnata e nelle ordinanze di messa alla prova, non essendo applicabile agli enti della messa alla prova.

Il ricorso era poi assegnato alle sezioni unite per dirimere due questioni di diritto ovvero se il procuratore generale sia legittimato ad impugnare, con ricorso per cassazione, l'ordinanza che ammette l'imputato alla prova (art.464-bisc.p.p.) e in caso affermativo per quali motivi, nonché se il procuratore generale sia legittimato ad impugnare, con ricorso per cassazione, la sentenza di estinzione del reato pronunciata ai sensi dell'art. 464-septiesc.p.p.

Tuttavia, nel corso della decisione, le sezioni unite hanno esaminato un ulteriore argomento e cioè se l'istituto della messa alla prova possa operare anche con riferimento alle società nel processo di cui al d.lgs. n. 231/2001 ed a tale tema è dedicato il presente contributo.

La questione

Il dibattito sulla possibilità di applicare l'istituto della messa alla prova anche nel processo nei confronti degli enti collettivi si è recentemente riacceso (in precedenza si registra una decisione negativa risalente a diversi anni fa: Trib. Milano 27 marzo 2017, Est. Corbetta. A commento, si veda Miglio, La sospensione del procedimento con messa alla prova non si applica alle persone giuri diche , in Giurisprudenza penale web, 2017, 9).

In proposito, a fronte di un orientamento decisamente favorevole da parte della dottrina, i tribunali di merito hanno promosso una soluzione prevalentemente negativa. Come accennato, in tal senso si è pronunciata la prima decisione che ha affrontato l'argomento sostenendo che tale possibilità non sarebbe contemplata nel dettato normativo – né nel codice penale né dal d.lgs. 231/2001 -, mentre la possibilità di un'applicazione analogica dell'istituto sarebbe preclusa dalla natura (almeno parzialmente) sostanziale dell'istituto, il quale «persegue scopi socialpreventivi in ​​una fase anticipata, ex art. 25, comma 2 Cost. ed «in assenza, de jure condito, di una normativa di raccordo che renda applicabile la disciplina di cui agli artt. 168-bis c.p. alla categoria degli enti, ne deriva che l'istituto in esame, in ossequio al principio di riserva di legge, non risulta applicabile ai casi non espressamente previsti, e quindi alle società imputate ai sensi del d.lgs. n. 231/2001» (Trib. Spoleto, ord. 21 aprile 2021, est. Cercola. Secondo il Giudice delle indagini preliminari presso il Tribunale di Bologna, ord. 10 dicembre 2020, est. Gamberini, invece, pur se in via analogica sarebbe possibile ipotizzare una applicazione analogica della messa alla prova all'ente, una tale conclusione è preclusa dalla circostanza che è stato lo stesso legislatore a non provvedere ad un coordinamento fra le previsioni presenti nella legge n. 67/2014 ed il testo del d.lgs. n. 231/2001, rendendo così non compatibili le due discipline, essendo peraltro l'istituto previsto dall'art. 168-bis c.p. modellato sulla figura dell'imputato persona fisica, in ottica specialpreventiva, riparativa, conciliativa, ma anche e soprattutto rieducativa ed inoltre non avrebbe senso parlare di lavoro di pubblica utilità nell'ambito della messa alla prova con riferimento alla sua esecuzione da parte di un ente collettivo, posto che in tal caso il programma non costituirebbe più un elemento essenziale nel percorso di risocializzazione dell'imputato, ma unicamente un costo per la persona giuridica, risolvendosi sostanzialmente in un risarcimento nei confronti della collettività. Nello stesso senso, Trib. Bari, 22 giugno 2022).

In senso adesivo all'applicazione dell'istituto della messa alla prova nei confronti delle società si è invece pronunciato due volte il tribunale di Modena (Giudice delle indagini preliminari presso il Tribunale di Modena, ordinanza 19 ottobre 2019, est. Romito; Giudice delle indagini preliminari presso il Tribunale di Modena, ordinanza 11 dicembre 2019, est. Romito), valorizzando lo spirito del d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, il quale si caratterizza per la particolare attenzione riservata alle occasioni di ravvedimento post factum, capaci di riportare l'ente sui binari della legalità.

Decisamente più uniforme si presenta la posizione della dottrina, la quale in termini unitari si pronuncia per la applicabilità dell'istituto in parola nel procedimento de quo (Fidelbo - Ruggiero, Procedimento a carico degli enti e messa alla prova: un possibile itinerario, in Resp. amm. soc. enti, 4/2016, 3; Belluta, L'ente incolpato. Diritti fondamentali e “processo 231”, Torino, 2018, 121; Centorame, Enti sotto processo e nuovi orizzonti difensivi. Il diritto alla probation dell'imputato persona giuridica, in Lupária – Marafioti - Paolozzi (a cura di), Diritti fondamentali e processo all'ente. L'accertamento della responsabilità d'impresa nella giustizia penale italiana e spagnola, Torino, 2018, 199; Garuti, La responsabilità degli enti e le prospettive di sviluppo del sistema sanzionatorio nell'ottica del diritto processuale penale, in Fiorella – Gaito - Valenzano (a cura di), La responsabilità dell'ente da reato nel sistema generale degli illeciti e delle sanzioni anche in una comparazione con i sistemi sudamericani. In memoria di Giuliano Vassalli, Roma, 2018, 432; Scalfati, Punire o reintegrare? Prospettive sul regime sanzionatorio contro l'ente, ibidem, 441; Ruggiero, Scelte discrezionali del Pubblico Ministero e ruolo dei modelli organizzativi nell'azione contro gli enti, Torino, 2018, 171; Garuti – Trabace, Qualche nota a margine della esemplare decisione con cui il Tribunale ha ammesso la persona giuridica al probation, in Giurisprudenza Penale Web, 2020, 10; Riccardi - Chilosi, La messa alla Prova nel processo “231”: quali prospettive per la diversion dell'ente, in Dir. pen. cont., 2017, n. 10, 47; Meazza, Messa alla prova e persone giuridiche: una nuova pronuncia del Tribunale di Bologna, in Giurisprudenza Penale Web, 2020, 12; D'Acquarone - Roscini- Vitali, Sistemi di diversione processuale e d.lgs. 231/2001: spunti comparativi, in Rivista 231, n. 2, 2018, 123. In senso critico, Marandola, Responsabilità ex 231/2001: l'ente può accedere alla messa alla prova?, in www.quotidianogiuridico.it, 9 novembre 2020).

La c.d. probation avrebbe una natura anfibia, causa di estinzione del reato, da una parte, e rito speciale (sulla ambivalenza della disciplina della sospensione del procedimento con messa alla prova, Cass. pen., sez. un., 31 marzo 2016, n. 36272, in Mass. Uff., n. 267238), per cui la relativa disciplina processuale (artt. 464-bis ss. c.p.p.), tramite gli artt. 34 e 35 d.lgs. n. 231/2001, può operare anche nella giurisdizione de societate. Alla luce di ciò, si ritiene che la trasposizione dell'alternativa di cui agli artt. 464-bis ss. c.p.p. nel peculiare contesto del processo de societate non solo non sarebbe una forzatura ermeneutica ma anzi l'applicazione della probation agli enti sarebbe affine «con le svariate occasioni di ravvedimento che si ripetono lungo tutto l'arco processuale di cui la persona giuridica è protagonista; affinità, questa, destinata a emergere ancor più chiaramente se si considera che il decreto già contempla situazioni che comportano, al pari del probation, una momentanea paralisi del rito funzionale al perfezionamento di condotte di operosa resipiscenza (artt. 49 e 65)» (Garuti – Trabace, Qualche nota a margine della esemplare decisione, cit. 4); detti strumenti risultano, in buona sostanza, accumunati dalla medesima logica, sicché «ove mai si negasse all'ente la facoltà di richiedere la messa alla prova, si finirebbe, in fondo, per rinnegare la stessa natura intimamente rieducativa del processo per gli illeciti de societate» (Centorame, Enti sotto processo e nuovi orizzonti difensivi, cit., 200).

Le soluzioni giuridiche

Il ricorso è stato giudicato fondato essendosi escluso - dopo che la Cassazione ha affermato che il procuratore generale è legittimato ad impugnare con ricorso per cassazione l'ordinanza di ammissione alla prova - che nell'ambito del procedimento de societate possa operare l'istituto della messa alla prova.

La premessa della decisione è rappresentata dalla considerazione secondo cui le norme relative alla messa alla prova non contengono alcun riferimento agli "enti" quali possibili soggetti destinatari di esse e neppure le norme del d.lgs. 231/2001, sebbene introdotte antecedentemente a quelle disciplinanti l'istituto della messa alla prova per gli imputati maggiorenni, contengono agganci o richiami deponenti per l'immediata applicabilità dell'istituto di più recente introduzione agli enti. Gli artt. 34 e 35 del d.lgs. 231/2001, infatti, nel dettare le disposizioni generali sul procedimento di accertamento e di applicazione delle sanzioni amministrative dipendenti da reato, oltre a prevedere l'osservanza delle norme specificamente dettate dal decreto, contengono un richiamo esclusivamente alle disposizioni del codice di procedura penale e alle disposizioni processuali relative all'imputato, in quanto compatibili. Di contro, secondo la Cassazione, la messa alla prova ex art.168-bisc.p. deve inquadrarsi nell'ambito di un "trattamento sanzionatorio" penale ed è quindi, contrariamente a quanto sostenuto dalla dottrina in precedenza citata, un istituto di natura sostanziale.

A conferma di quest'ultima considerazione si evidenzia come l'istituto della messa alla prova dei maggiorenni è volto alla risocializzazione del reo, assicurando in relazione alla finalità specialpreventiva un percorso che tiene conto della natura del reato, della personalità del soggetto e delle prescrizioni imposte, così da consentire la formulazione di un favorevole giudizio prognostico. In conseguenza di tale natura del procedimento in discorso si prevede infatti che il procedimento di ammissione alla prova comporti la prestazione di condotte volte all'eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato, nonché, ove possibile, il risarcimento del danno dallo stesso cagionato, oltre che l'affidamento dell'imputato al servizio sociale, per lo svolgimento di un programma che può implicare, tra l'altro, attività di volontariato di rilievo sociale, ovvero l'osservanza di prescrizioni relative ai rapporti con il servizio sociale o con una struttura sanitaria, alla dimora, alla libertà di movimento, al divieto di frequentare determinati locali, oltre allo svolgimento di lavoro di pubblica utilità.

Questa conclusione relativamente alla natura sostanziale della figura di messa alla prova è confermata – non solo dalla citata decisione delle Sezioni Unite n. 36272/2016, la quale ha evidenziato come la nuova figura realizzi una rinuncia statuale alla potestà punitiva, condizionata al buon esito di un periodo di prova controllata e assistita con il che occorre riconoscere che la stessa, sebbene si connoti per una accentuata dimensione processuale, che la colloca nell'ambito dei procedimenti speciali alternativi al giudizio, ha soprattutto natura sostanziale – da pronunce della Corte costituzionale che ha avuto modo di delineare in maniera sempre più chiara la portata dell'istituto. Si pensi alla sentenza n. 240 del 2015 secondo cui l'istituto in discorso ha effetti sostanziali, perché dà luogo all'estinzione del reato, ma è connotato da un'intrinseca dimensione processuale, in quanto consiste in un nuovo procedimento speciale, alternativo al giudizio o alla sentenza n. 91 del 2018 secondo cui la sospensione del procedimento con messa alla prova può essere assimilata all'applicazione della pena su richiesta delle parti deve essere riconosciuta, soprattutto, la natura sostanziale dell'istituto, poiché l'esito positivo della prova conduce ad una sentenza di non doversi procedere per estinzione del reato o infine alla pronuncia n. 68 del 2019, con la quale la Corte costituzionale, nell'enunciare le diverse caratteristiche dell'istituto di cui all'art. 168-bisc.p., rispetto alla messa alla prova per i minorenni, ha appunto sottolineato la connotazione sanzionatoria delle prescrizioni inerenti alla sospensione del processo con messa alla prova per gli imputati adulti, introdotta dalla legge n. 67/2014, differentemente dalla messa alla prova per i minorenni, alla quale non può essere ascritta alcuna funzione sanzionatoria (secondo questa decisione il trattamento della messa alla prova costituisce un vero e proprio «trattamento sanzionatorio», ancorché anticipato rispetto all'ordinario accertamento della responsabilità dell'imputato e rimesso comunque - a differenza delle pene - alla spontanea osservanza delle prescrizioni da parte del soggetto, un trattamento che persegue lo scopo - costituzionalmente imposto in forza dell'art. 27, comma 3, Cost. - della risocializzazione del soggetto, sulla base della libera scelta che questi ha compiuto per evitare le conseguenze, da lui ritenute evidentemente più pregiudizievoli, del processo ordinario e della pena che potrebbe conseguirne. Si vedano anche le decisioni n. 146 e 174 del 2022).

La natura sanzionatoria della figura della messa alla prova impedirebbe, dunque, secondo la Cassazione, di applicare la relativa disciplina nei confronti delle società, la cui la responsabilità amministrativa da reato rientra in un genus diverso da quello penale (tertium genus secondo quanto sostenuto da Cass. pen., sez. un., 24 aprile 2014, n. 38343, in Mas. Uff., n. 261112), a ciò ostando, innanzitutto, il principio della riserva di legge di cui all'art. 25, comma 2, Cost. L'introduzione attraverso provvedimenti giurisdizionali di un "trattamento sanzionatorio" - quello della messa alla prova - ad una categoria di soggetti - gli enti - non espressamente contemplati dalla legge quali destinatari di esso, in relazione a categorie di illeciti non espressamente previsti dalla legge penale, si pone in contrasto con il principio di legalità della pena, del quale la riserva di legge costituisce corollario, che si traduce nel principio, secondo cui «nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso».

Non possono soccorrere, al fine di ritenere applicabile agli enti l'istituto della messa alla prova, né l'analogia in bonam partem, né tantomeno l'interpretazione estensiva, come invece sostenuto nelle pronunce di merito favorevoli all'applicazione agli enti della messa alla prova. Quanto all'analogia, la sanzione da applicare ad una fattispecie che ne sia priva non può essere rinvenuta attraverso l'interpretazione analogica e tale divieto deve trovare applicazione nella fattispecie in esame, in cui viene in questione la traslazione o meglio l'innesto del "trattamento sanzionatorio penale" della messa alla prova in un sistema - quello della responsabilità amministrativa degli enti derivante da reato - che non solo non è assimilabile ad un sistema penale - ma riguarda appunto gli enti, ossia soggetti giammai indicati quali destinatari di precetti penali, dichiaratamente esclusi dal novero di essi dalla già citata Relazione ministeriale di accompagnamento al d.lgs. n. 231/2001 per cui non è consentito ricorrere all'analogia in bonam partem perché non vengono in questione sistemi sanzionatori omogenei. Del pari, nessuno spazio può trovare nella fattispecie in esame "l'interpretazione estensiva" delle norme, poiché tale operazione attiene alle ipotesi in cui il risultato interpretativo si mantiene, comunque, all'interno dei possibili significati della disposizione normativa, situazione questa, neppure astrattamente, confacente alla fattispecie in esame.

Infine, la Cassazione osserva come la disciplina della messa alla prova ex art. 168-bisc.p., è disegnata e modulata specificamente sull'imputato persona fisica e sui reati allo stesso astrattamente riferibili, caratteristiche queste che la rendono insuscettibile di estensione all'ente quanto alla responsabilità amministrativa, di cui al d.lgs. n. 231/2001. La modulazione dell'istituto della messa alla prova sull'imputato - "persona fisica", emerge all'evidenza dalla mera lettura dell'art. 168-bisc.p., laddove si fa riferimento all'affidamento dell'imputato al servizio sociale per lo svolgimento dì un programma implicante, tra l'altro, attività di volontariato di rilievo sociale, ovvero l'osservanza di prescrizioni relative ai rapporti con il servizio sociale o con una struttura sanitaria, «alla dimora, alla libertà di movimento, al divieto di frequentare determinati locali»; del pari, il riferimento alla prestazione di lavoro dì pubblica utilità - che deve tener conto anche delle specifiche professionalità ed attitudini lavorative dell'imputato di durata non inferiore a dieci giorni, anche non continuativi, in favore della collettività, da svolgere presso lo Stato, le regioni, le province, i comuni, le aziende sanitarie o presso enti o organizzazioni, anche internazionali, che operano in Italia, di assistenza sociale, sanitaria e di volontariato con prestazione svolta con modalità che non pregiudichino le esigenze di lavoro, di studio, di famiglia e di salute dell'imputato e la cui durata giornaliera non può superare le otto ore - non può che attenere alla persona fisica.

Ancora, le condizioni che consentono l'accesso dell'imputato alla messa alla prova - ossia l'allegazione alla richiesta ex art. 464-bisc.p.p. di un programma di trattamento, ovvero la richiesta di elaborazione del predetto programma, contemplante, tra l'altro, « a) le modalità di coinvolgimento dell'imputato, nonché del suo nucleo familiare e del suo ambiente di vita nel processo di reinserimento sociale, ove ciò risulti necessario e possibile; b) le prescrizioni comportamentali e gli altri impegni specifici che l'imputato assume anche al fine di elidere o di attenuare le conseguenze del reato, considerando a tal fine il risarcimento del danno, le condotte riparatorie e le restituzioni, nonché le prescrizioni attinenti al lavoro di pubblica utilità ovvero all'attività di volontariato di rilievo sociale [ ... ]» non possono che confermare che il soggetto destinatario del programma sia l'imputato-persona fisica.

Emblematico, poi, risulta il criterio di cui all'art. 464-quater, comma 3, c.p.p. - secondo cui la sospensione del procedimento con messa alla prova è disposta quando il giudice, in base ai parametri di cui all'art. 133 c.p. reputa idoneo il programma di trattamento presentato e ritiene che l'imputato si asterrà dal commettere ulteriori reati- che rende ancor più evidente che la disciplina è stata modellata per l'imputato e per la sua rieducazione e risocializzazione e non può essere traslata ad una persona giuridica, soggetto non "imputato", privo di sostrato psicofisico.

A fronte di queste considerazioni, risulta inaccettabile e non corretta l'operazione ermeneutica secondo cui gli organi dell'ente, in quanto investiti da un rapporto di immedesimazione organica sono equiparabili all'imputato e garantirebbero sufficientemente il soddisfacimento degli obiettivi e delle finalità della messa alla prova, posto che aderendo a questa impostazione si realizzerebbe «una sorta di immedesimazione rovesciata in cui le colpe dell'ente ricadrebbero sugli organi e questi sarebbero chiamati a rieducarsi per conto di un diverso soggetto, operazione questa in evidente contrasto anche con le finalità proprie del d.lgs. n. 231/2001».

Viene, inoltre, rilevato che l'art. 168-ter c.p. prevede che l'esito positivo della prova estingue il reato per cui si procede, ma non pregiudica l'applicazione delle sanzioni amministrative accessorie, ove previste dalla legge, a dimostrazione ulteriore del fatto che le sanzioni diverse da quelle penali, operando in ambiti per finalità diverse, non sono interessate dal percorso della messa alla prova e possono essere egualmente irrogate.

Infine, ulteriori argomenti ostativi all'applicazione della messa alla prova nel sistema della responsabilità amministrativa dell'ente vengono dalla decisione in rassegna tratto anche dal d.lgs. n. 231/2001, come ricavabile l'art. 67, che, nel prevedere le ipotesi in cui il giudice pronuncia sentenza di non doversi procedere nei confronti dell'ente, richiama esclusivamente i casi previsti dall'art. 60 e l'estinzione per prescrizione della sanzione. In base a tale disposto testuale si deduce che, in caso di esito positivo della messa alla prova, il giudice non potrebbe pronunciare sentenza di non doversi procedere ex art. 464-septiesc.p.p., non essendo tale ipotesi prevista tra quelle espressamente indicate di estinzione dell'illecito, con conseguente necessità di "creazione" in tal caso di una causa estintiva dell'illecito al di fuori del sistema espressamente disciplinato dal d.lgs. n. 231/2001. Inoltre, già sono previste nel d.lgs. 231 forme di riparazione delle conseguenze da reato che rilevano, tuttavia, per l'ente solo in relazione alla mancata applicazione di sanzioni interdittive e non già per l'estinzione di sanzioni pecuniarie.

Osservazioni

La sentenza della Cassazione può condividersi nella misura in cui si concorda sulla natura sostanziale della messa alla prova, nel qual caso le cadenze argomentative utilizzare dalle sezioni unite per pervenire alla conclusione negativa esposta nella massima si presenta logicamente coerente.

Al contempo, tuttavia, non ci sembrano insuperabili le considerazioni che cercano di giustificare tale conclusione sostenendo che, in ogni caso, l'applicazione agli enti dell'istituto della messa alla prova sconterebbe significative criticità sotto il profilo pratico ed operativo.

Infatti, quanto al programma della messa alla prova non si intravvedono significative differenze tra il programma di trattamento confezionato per la persona fisica e quello confezionato per persona giuridica: in entrambe le situazioni, il graduale reinserimento del reo passerà dall'eliminazione degli effetti pregiudizievoli dell'illecito, dal risarcimento del danno ove possibile, dall'integrazione del modello organizzativo e dalla esecuzione di un lavoro di pubblica utilità ed in quest'ottica si potranno istituire corsi di formazione gratuita, sostenere l'operato di organizzazioni sociali, sanitarie e di volontariato nonché promuovere le più svariate iniziative, purché capaci di apportare un qualche beneficio alla collettività. Parimenti sovrapponibili risulteranno, infine, la scansione temporale e la concreta modulazione del rito speciale che, nella migliore delle ipotesi, consentirà all'ente la fuoriuscita anzitempo dal proprio circuito processuale.

Milita nel senso della conclusione proposta, inoltre, la evidente affinità – già menzionata dalla dottrina – fra le finalità dell'istituto della messa alla prova e la ratio che fa da sfondo al d.lgs. n. 231/2001, il quale valorizza in più punti il ricorso da parte della persona giuridica a strumenti di ravvedimento post factum al fine di stimolare una collaborazione dell'ente. Si tratta di condotte di operosa resipiscenza rappresentano il precipitato degli obiettivi specialpreventivi che animano l'impianto normativo congegnato ad inizio millennio, tendente palesemente più alla prevenzione che alla repressione, più alla compliance che all'irrogazione della pena; un contesto, insomma, in cui «la rielaborazione del conflitto sociale sotteso all'illecito e al reato [passa anche e soprattutto dal]la valorizzazione di modelli compensativi dell'offesa» (Con riferimento all'art. 17, Relazione allo schema definitivo del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231. In dottrina, Amodio, Prevenzione del rischio penale d'impresa e modelli integrati di responsabilità degli enti, in Cass. pen., 2005, 331; Donini, Compliance, negozialità e riparazione dell'offesa nei reati economici. Il delitto riparato oltre la restorative justice, in Paliero- Viganò - Basile - Gatta (a cura di), La pena, ancora: fra attualità e tradizione, Milano, 2018, p. 581 ss., che rileva come «[l]a pena rappresenterebbe il fallimento della riforma, che vuole diffondere a ogni livello una cultura della prevenzione dei reati dentro le imprese»).

Infine, va notato come una tale scelta non altererebbe la filosofia di fondo del sistema 231: un meccanismo accostabile alla messa alla prova, infatti, si avrebbe già nella disciplina di cui agli artt. 49 e 65 d.lgs. n. 231/2001, i quali stimolano sì condotte assimilabili a quelle richieste nel caso di svolgimento del programma di messa alla prova ma senza estinguere il reato, riconoscendo solamente una riduzione del trattamento sanzionatorio. Il ricorso alla messa alla prova permetterebbe di aumentare le opzioni concesse all'ente.

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