Condannata alle spese di lite la madre che ha proposto reclamo avverso il provvedimento che autorizza la minore al vaccino anti-covid

17 Aprile 2023

È legittima la condanna alla spese di lite per la madre soccombente che ha proposto reclamo avverso un provvedimento emesso ai sensi dell'art 709-ter c.p.c.
Massima

È legittima la condanna alle spese giudiziali nel procedimento promosso in sede di reclamo, ex art. 739 c.p.c., avverso provvedimento reso in camera di consiglio, atteso che ivi si profila comunque un conflitto tra parte impugnante e parte destinataria del reclamo, la cui soluzione implica una soccombenza che resta sottoposta alle regole dettate dagli artt. 91 e ss. c.p.c. e che, inoltre, se lo sviluppo del procedimento nella fase di impugnazione non può ovviamente conferire al procedimento stesso carattere contenzioso in senso proprio, si deve tuttavia riconoscere che in tale fase le posizioni delle parti con riguardo al provvedimento dato assumono un rilievo formale autonomo, che dà fondamento all'applicazione estensiva dell'art. 91 c.p.c.

Il caso

Un padre ha adito il Tribunale ai sensi dell'art. 709-ter c.p.c. per chiedere l'autorizzazione a vaccinare la figlia minore contro il Covid-19.

Il Tribunale ha autorizzato con decreto la vaccinazione della minore, «salva ogni diversa valutazione di competenza del medico dell'hub vaccinale e con l'impiego del vaccino ritenuto adatto al caso di specie», dichiarando compensate le spese di lite.

Avverso tale decreto, la madre, quale esercente la responsabilità genitoriale sulla figlia minore, ha proposto reclamo dinnanzi alla Corte d'Appello che lo ha, tuttavia, respinto condannandola al pagamento delle spese di lite.

Detto provvedimento è stato nuovamente impugnato in Corte di Cassazione da parte della madre della minore ritenendo quest'ultima illegittima la statuizione della Corte d'Appello relativa alla condanna alle spese ex art. 91 c.p.c.

Nei motivi di gravame la ricorrente ha eccepito l'inapplicabilità di tale norma ai procedimenti di volontaria giurisdizione riguardanti l'autorizzazione al vaccino di un terzo (la figlia minorenne), rappresentando che in detti procedimenti i genitori non configurerebbero come parti né in senso formale, né in senso sostanziale.

La Corte di Cassazione, con la pronuncia in commento, ha rigettato il ricorso, condannando la ricorrente anche al pagamento delle spese del giudizio di legittimità.

La questione

La condanna alle spese in caso di soccombenza (art. 91 c.p.c.) trova applicazione anche nei procedimenti ex art. 709-ter c.p.c. instaurati in caso di conflitto tra genitori riguardo la scelta di sottoporre la figlia minore a vaccino ?

Le soluzioni giuridiche

Con la decisione in commento la Corte di Cassazione ha fornito preliminarmente alcuni importanti chiarimenti sulla natura e finalità della disposizione normativa di cui all'art. 709-ter c.p.c. per poi soffermarsi a esporre le ragioni per cui anche nei procedimenti che si concludono con un provvedimento di volontaria giurisdizione (come quello impugnato), volto non già a dirimere, con autorità di giudicato, un conflitto tra diritti soggettivi dei genitori, ma a valutare la corrispondenza del mancato assenso di uno degli stessi all'interesse del minore, trova comunque applicazione il principio della soccombenza di cui all'art. 92 c.p.c.

  1. A. Il procedimento ex art. 709-ter c.p.c.

La Corte di Cassazione, nella pronuncia in commento, affronta preliminarmente l'analisi completa dell'art. 709-ter c.p.c..

Tale norma, introdotta nel nostro ordinamento dalla legge 8 febbraio 2006, n. 54, rappresenta il tentativo da parte del Legislatore, che delinea il sistema dell'affido condiviso del minore quale modello normativo di base, di giungere alla progressiva riduzione delle controversie sull'esercizio della responsabilità genitoriale e, quindi, sulla gestione della prole, originate da tensioni irrisolte tra i genitori.

L'art. 709-ter c.p.c. è previsto infatti per la «soluzione delle controversie insorte tra i genitori in ordine all'esercizio della responsabilità genitoriale» (questioni relative all'istruzione, all'educazione e alla salute) o controversie relative alle modalità dell'affidamento (diritti di visita, tempi di permanenza, ecc.) e, comunque, in caso di gravi inadempienze o di atti che comunque arrechino pregiudizio al minore od ostacolino il corretto svolgimento delle modalità di affidamento.

La Corte di Cassazione, nell'ordinanza in commento, chiarisce che, in forza di quanto previsto dalla stessa l. n. 54/2006, art. 4, comma 2, l'art. 709-ter c.p.c. si applica anche ai casi di "scioglimento, di cessazione degli effetti civili o di nullità del matrimonio, nonché ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati" .

Il Giudice, chiamato a decidere la questione controversa, non solo può dare “i provvedimenti opportuni”, ma in caso di gravi inadempienze o di atti che comunque arrechino pregiudizio al minore od ostacolino il corretto svolgimento delle modalità di affidamento, può anche modificare i provvedimenti assunti e, anche congiuntamente, ammonire il genitore inadempiente, disporre il risarcimento dei danni (sia in favore del figlio che dell'altro genitore) e condannare l'inadempiente al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria.

Il presupposto applicativo della proposizione del procedimento di cui all'art. 709-ter c.p.c. è rappresentato dalla presenza di un provvedimento (sentenza, decreto di omologa o provvedimenti provvisori), relativo all'esercizio della responsabilità genitoriale, o delle modalità di affidamento della prole minorenne, a prescindere dall'eventuale carattere definitivo, cautelare o provvisorio del medesimo.

Si precisa che le "controversie" da definirsi ai sensi dell'art. 709-ter c.p.c. si traducono in quei disaccordi e contrasti che insorgono di frequente tra i genitori quando si tratta di individuare le modalità attuative dell'affidamento, ossia le forme di esercizio della responsabilità genitoriale ogni qual volta sia stato pronunciato un provvedimento di affidamento.

In linea generale, stando al perimetro della norma in esame, il Giudice è chiamato ad intervenire solamente in casi di “insuperabile conflittualità, che integri, attraverso il blocco delle funzioni decisionali inerenti la vita del soggetto minore, un consistente pregiudizio ai suoi pregnanti interessi, non già in presenza di una forte difformità di vedute o di orientamenti educativi (Cfr. App. Milano, decr. 4 maggio 2022).

L'ingerenza giurisdizionale presuppone, infatti, che il mancato perfezionamento dell'accordo tra i genitori esercenti la potestà sia accertato come dissidio insuperabile, in quanto diversamente opinando, in presenza di una forte difformità di vedute e di orientamenti educativi tra i genitori, si avrebbe quale effetto che l'esercizio della potestà, e proprio con riguardo alle questioni di maggior rilievo, finirebbe per concentrarsi sul giudice, con conseguente sostanziale svuotamento dello stesso esercizio da parte dei titolari della potestà medesima e accumulo di responsabilità in capo all'organo giudiziario.

La disposizione normativa di cui all'art. 709-ter c.p.c. salvaguarda il rapporto equilibrato tra il minore ed entrambi i genitori, rafforzando, in via indiretta, l'efficacia dei provvedimenti giurisdizionali, nell'ottica della tutela della bigenitorialità.

La Corte di Cassazione nell'ordinanza in commento evidenzia, infatti, che lo scopo principale della norma è quello di superare le difficoltà da lungo tempo emerse nella prassi applicativa rispetto alla possibilità di assicurare l'effettività del diritto della prole ad un rapporto equilibrato e continuativo con entrambi i genitori - in linea con le finalità generali della stessa l. n. 54/2006 sull'affidamento condiviso - anche ove tale diritto sia riconosciuto in un provvedimento di carattere giurisdizionale che disciplina le modalità di affidamento, per tutti gli aspetti diversi da quelli economici, e il diritto/dovere di visita del genitore non collocatario, ossia profili afferenti a obbligazioni complesse di carattere infungibile, incidenti su diritti di carattere non patrimoniale.

B. Il principio di soccombenza (art. 91 c.p.c.).

L'art. 91 c.p.c. prevede espressamente che “il Giudice, con la sentenza che chiude il processo davanti a lui, condanna la parte soccombente al rimborso delle spese a favore dell'altra parte e ne liquida l'ammontare insieme con gli onorari di difesa”.

Si tratta della regola generale il base alla quale il soccombente nella causa è sempre condannato a rimborsare le spese che la parte vincitrice ha dovuto affrontare.

A fondamento della condanna alle spese di lite vi è il principio di tutela dell'effettività del diritto di difesa (art. 24 Cost.): la parte vittoriosa infatti non deve essere gravata delle spese sostenute per il giudizio, altrimenti subirebbe un danno economico per il solo fatto di aver agito per il riconoscimento di un proprio diritto.

La soccombenza consiste nella difformità tra le richieste della parte (domande ed eccezioni) e la decisione del Giudice.

La giurisprudenza di merito ha elaborato anche una nozione di soccombenza c.d. sostanziale, che consiste nella valutazione globale dell'esito del giudizio, all'esito della quale è soccombente anche la parte le cui richieste ed eccezioni siano state accolte solo in minima parte (App. Trento Bolzano sent. 12 luglio 2018).

Solo la parte che all'esito della causa risulti interamente vittoriosa, non può essere mai condannata alle spese. In tutti gli altri casi di c.d. soccombenza reciproca, è rimessa alla valutazione del giudice di merito la decisione di compensare interamente le spese o porre una quota delle spese a carico della parte parzialmente soccombente, lasciando a carico della parte parzialmente vittoriosa una parte delle spese legali. In ogni caso, la parte parzialmente vittoriosa non può essere comunque condannata a rifondere le spese alla parte soccombente (Cass. civ. sez. VI ord. 22 aprile 2020 n. 8036).

C. La condanna alle spese di liti nel procedimento di volontaria giurisdizione ex art. 709-ter c.p.c.

Nell'ordinanza in commento la Corte di Cassazione affronta, altresì, la delicata questione se il principio della soccombenza ex art. 91 c.p.c. e s.s. possa o meno trovare applicazione anche in quei procedimenti di volontaria giurisdizione (come quello instaurato ex art. 709-ter c.p.c. per chiedere l'autorizzazione al Tribunale per sottoporre il figlio minore a vaccinazione e superare, così, il dissenso dell'altro genitore esercente la responsabilità genitoriale) in cui non si tratta di dirimere, con autorità di giudicato, un conflitto tra diritti soggettivi dei genitori, ma a valutare la corrispondenza del mancato assenso di uno degli stessi all'interesse del minore.

Nell'ambito dell'attività di giurisdizione volontaria, il Giudice non è infatti chiamato a decidere su controversie sorte tra parti contrapposte per la tutela di diritti, ma alla emissione di provvedimenti finalizzati alla soddisfazione di privati interessi concorrendo così alla costituzione di rapporti giuridici nuovi o allo svolgimento di quelli esistenti.

Sul punto la giurisprudenza non è mai stata univoca essendovi stati orientamenti divergenti:

a) alcuni che hanno ritenuto che nei procedimenti di volontaria giurisdizione non troverebbero applicazione le regole di cui all'art. 91 c.p.c. e ss., le quali postulano l'identificazione di una parte vittoriosa e di una parte soccombente in esito alla definizione di un conflitto di tipo effettivamente contenzioso. (Cass. civ. n. 2095/2011; Cass. civ. 15131/2015; Cass. civ. n. 25336/2018; Cass. 12021/2021)

b) altri di segno contrario che hanno stabilito invece:

- che ove nel procedimento vi sia stata rituale instaurazione tra le parti del contraddittorio (Cass. civ., 14 giugno 2019, n. 16125) il giudice deve provvedere al regolamento delle spese processuali secondo i principi ordinari di cui agli artt. 91 e 92 c.p.c.;

- che le disposizioni degli art. 91 e ss. c.p.c., trovano applicazione analogica nei procedimenti camerali, ove il provvedimento che li definisca statuisca su posizioni soggettive in contrasto (Cass. 21 marzo 1989, n. 1416).

Dall'insegnamento della Giurisprudenza di legittimità si ricava, infatti, il principio per cui se “se vi è soccombenza di un soggetto rispetto a un altro, anche nei procedimenti di volontaria giurisdizione deve pronunciarsi condanna alle spese sulla base del principio generale codificato nell'art.91 c.p.c.” (Trib. Milano sez. V, 19 gennaio 2018, in De Jure; Cass.31 agosto 2007 n.18459, in Giust civ. mass, 2007, 7-8 e in De Jure 2020; Cass.16 maggio 2007 n.11320 e Cass.30 gennaio 2006 n.1856, in Giust. civ. Mass. 2006, 1, richiamate da Trib. Milano cit.; Cass. civ. sez.VI, 28 novembre 2017, n. 28331, in De Jure 2020 Trib. Salerno sez. I, 24 ottobre 2006, in De Jure, 2020; App. Milano, 15 dicembre 2004, in Giur. merito 2006, 3, 650; App. Genova sez. I, 10 aprile 2020, n.366, in De Jure, 2020).

La Corte di Cassazione nell'ordinanza in commento ha aderito a quest'ultimo orientamento ribadendo la legittimità della condanna alle spese ex art. 91 c.p.c. posto che:

a) la sollecitazione da parte del genitore istante all'adozione di un provvedimento volto alla protezione degli interessi della minore implica comunque un contrasto (anche in sede di reclamo) con l'altro genitore che consente l'identificazione di una parte processualmente vittoriosa e di una parte processualmente soccombente in esito alla definizione del procedimento di impugnazione.

b) la regolamentazione delle spese di lite ex art. 91, comma 1, c.p.c., non rappresenta una sanzione essendo la stessa solo finalizzata a disciplinare il regime degli oneri economici sostenuti dai soggetti che usufruiscono, con tesi ed opinioni contrapposte, del servizio pubblico giudiziario. Si è al cospetto, dunque, di un semplice criterio di "ripartizione dei costi" di un tale servizio.

c) nel procedimento promosso in sede di reclamo, ex art. 739 c.p.c., avverso un provvedimento del Tribunale reso in camera di consiglio, si profila comunque un conflitto tra parte impugnante e parte destinataria del reclamo, la cui soluzione implica una soccombenza che resta sottoposta ad un'applicazione dell'artt. 91 e ss. c.p.c.

d) pur non di trattandosi di un procedimento con carattere contenzioso in senso proprio, la posizioni delle parti con riguardo al provvedimento dato assumono un rilievo formale autonomo, che dà fondamento all'applicazione estensiva dell'art. 91 cit."

Osservazioni

La pronuncia in commento evidenzia la portata estensiva alla norma (art. 91 c.p.c.) che disciplina le spese di lite riconoscendo la sua applicabilità anche nell'ambito dei procedimenti di volontaria giurisdizione.

La volontaria giurisdizione consiste, infatti, in una attività giurisdizionale, nella quale non vengono coinvolti diritti soggettivi fondamentali, di rilievo costituzionale, come usualmente accade nel contenzioso civile, ma l'autorità giurisdizionale viene, eccezionalmente, chiamata ad “amministrare” interessi privati, a rilevanza superindividuale, per prevenire il pericolo della loro lesione.

Nella giurisdizione volontaria l'intervento del Giudice è giustificato dalla salvaguardia di un interesse privato e non dalla risoluzione di una controversia.

Nel processo civile, questo particolare tipo di procedimento si caratterizza per l'assenza delle formalità proprie del procedimento ordinario e la sua scansione (tempi del contraddittorio, assunzione di eventuali elementi di prova) viene lasciata al Giudice.

Tuttavia, anche nei procedimenti di volontaria giurisdizione con rito camerale (come quello di cui all'art. 709-ter c.p.c.) deve essere assicurato il rispetto del principio del contraddittorio.

La giurisprudenza ha ritenuto, infatti, che in tema di rito camerale viola il principio del contraddittorio il provvedimento che sia stato emesso all'esito di un procedimento del quale il destinatario degli effetti non è stato informato e nel quale questi non ha potuto pertanto interloquire (Cass. civ. sez. I, 22maggio 2007, n. 11859).

Più in generale vi è nullità per difetto di contraddittorio tutte le volte in cui nei procedimenti di volontaria giurisdizione sia identificabile un controinteressato e questi non sia stato chiamato a partecipare al processo (Cass. civ. sez. II, 20 agosto 2002, n. 12286).

Ed è proprio questo contradittorio che porta a profilare anche nell'ambito del procedimento di volontaria giurisdizione l'esistenza di conflitto tra le parti la cui soluzione implica una soccombenza che resta sottoposta alle regole dettate dagli artt. 91 e ss. c.p.c.

I principi espressi dalla Corte di Cassazione nell'ordinanza in commento paiono condivisibili garantendo anche unatutela giurisdizionale effettiva e tendenzialmente completa.

Infatti, gli artt. 91 -98 c.p.c., stabilendo un obbligo officioso del giudice di provvedere sulle spese del procedimento, hanno natura inderogabile e, in correlazione con l'art. 112 c.p.c., esprimono il principio, che costituisce un cardine della tutela processuale civile, della corrispondenza, necessaria e doverosamente completa, tra le domande delle parti e le statuizioni giudiziali (Cfr. Cass. civ. ord. 11 gennaio 2022, n. 651).

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