Geolocalizzazione e tabulati: quale disciplina?

17 Aprile 2023

Nella pronuncia in commento, la Cassazione effettua un'ampia e interessante ricognizione dell'intera disciplina dei tabulati, con particolare riguardo alla qualificazione dei dati sulla localizzazione.
Massima

I dati presenti sui tabulati relativi alla geolocalizzazione sono equiparati a quelli relativi alle comunicazioni: gli stessi, prima della l. n. 178/2021, potevano essere acquisiti solo con provvedimento del P.M. L'acquisizione da parte della P.G. non può essere ricondotta alla categoria della prova atipica ex art. 189 c.p.p., così che, in caso di giudizio abbreviato, gli stessi non possono essere utilizzati, trattandosi di prove viziate da inutilizzabilità patologica assoluta, non sanabile in virtù della mera richiesta dell'imputato di accesso al rito alternativo e rilevabile anche d'ufficio in ogni stato e grado del procedimento a norma dell'art. 191 c.p.p.

Il caso

Nell'ambito di una complessa vicenda con oggetto reati contro la p.a., reati fallimentari e ipotesi di falso, la S.C. viene investita - tra l'altro – della questione relativa alla utilizzabilità, in sede di giudizio abbreviato, di tabulati acquisiti apparentemente in assenza di un provvedimento del pubblico ministero, ritenuti funzionali alla affermazione di responsabilità dell'imputato per una ipotesi di falso. In questo senso, sulla base della geolocalizzazione nei medesimi contenuta sarebbe stata provato il fatto che questi si sarebbe trovato in un luogo diverso al momento della adozione degli atti asseritamente falsi. Nel ricorso si rileva che i tabulati sarebbero stati acquisiti dalla polizia giudiziaria senza alcun intervento del pubblico ministero e che sarebbe pertanto rilevabile una inutilizzabilità patologica assoluta, atteso che l'atto sarebbe stato assunto in violazione dell'art. 15 Cost., deducibile anche nel giudizio abbreviato non potendo essa rientrare nell'ambito applicativo dell'art. 423, comma 6-bis, c.p.p.

La questione

La S.C. condivide le argomentazioni della difesa, escludendo che l'acquisizione dei dati di ubicazione di una utenza possa avvenire ad opera dalla polizia giudiziaria e precisa come tali dati siano in tutto assimilabili a quelli sulle comunicazioni; censura, inoltre, la decisione oggetto del ricorso per non avere tenuto conto dell'evoluzione normativa di cui alla legge 23 novembre 2021, n. 178, di conversione del d.l. n. 132/2021, in relazione alla disciplina transitoria vigente al momento della sua decisione; conseguentemente, la sentenza viene annullata e la Corte di appello, in sede di rinvio, è chiamata a verificare - preso atto della inutilizzabilità dei tabulati - se ed in che limiti sia possibile formulare comunque un giudizio di colpevolezza nei confronti del ricorrente.


Le soluzioni giuridiche

Esaustiva, chiara e lineare l'argomentazione contenuta nella decisione. La vicenda deve essere inquadrata, sul piano temporale, nella normativa antecedente alla l. n. 178/2022, che ha “spogliato” il P.M. della possibilità – prima, al contrario, a questi riconosciuta - di richiedere in via autonoma i tabulati. Il problema nasce dal fatto che un provvedimento in tal senso, nel caso di specie, non è stato reperito in atti (o, quantomeno, non è stato esibito, sussistendo un preciso onere probatorio sul punto a carico dell'ufficio requirente) così che l'acquisizione dei tabulati dai quali sono stati tratti i dati sulla geolocalizzazione, ritenuti fondamentali per il riconoscimento della responsabilità, si è ritenuto essere avvenuta direttamente ad opera della P.G.

La sentenza della Corte di Appello oggetto del ricorso non ha affrontato il tema della disciplina transitoria introdotta con la legge di conversione e che avrebbe dovuto regolare il caso di specie; nondimeno, si può ritenere che, con elevata verosimiglianza, l'acquisizione dei tabulati in oggetto - considerato il titolo del reato e la significatività dei dati nei medesimi contenuti - sarebbe stata ammissibile. Sul punto, l'art. 1 l. 178/2021, ha stabilito che i dati relativi al traffico telefonico acquisiti, come nel caso in esame, nei procedimenti penali prima della entrata in vigore del d.l. n. 132/2021 «possono essere utilizzati a carico dell'imputato solo unitamente ad altri elementi di prova ed esclusivamente per l'accertamento dei reati per i quali la legge stabilisce la pena dell'ergastolo o della reclusione non inferiore nel massimo a tre anni, determinata a norma dell'art. 4 c.p.p. e dei reati di minaccia e di molestia o disturbo alle persone con il mezzo del telefono, quando la minaccia, la molestia o il disturbo sono gravi». Il discorso, evidentemente, muta, laddove si tratti di valutare la medesima attività, ma posta in essere dalla P.G.

Osservazioni

In primo luogo, la S.C. affronta il tema della ipotetica riconducibilità di tale acquisizione alla categoria della c.d. “prova atipica”, escludendo, tuttavia, decisamente tale possibilità, trattandosi, al contrario, di prova in contrasto con i principi costituzionali: «Quando il legislatore regola un atto idoneo a comprimere diritti fondamentali egli non è libero giacché la disciplina deve soddisfare requisiti assai stringenti: occorre che la misura limitativa sia idonea a raggiungere lo scopo e risulti indispensabile per conseguire quel fine; inoltre, il sacrificio imposto al bene giuridico deve essere giustificato dalla gravità del reato. Il risvolto negativo del quadro appena delineato è quello della prova incostituzionale: quando non esiste una norma di rango legislativo che soddisfi - nell'an e nel quomodo - la predetta riserva, l'acquisizione non può che considerarsi vietata: dal silenzio del legislatore si ricava un limite probatorio, e cioè che quando è in gioco la tutela di diritti fondamentali, è vietato tutto ciò che non è espressamente consentito. In questo quadro di riferimento, un elemento di apparente distonia potrebbe essere individuato nell'art. 189 c.p.p. che consente l'ingresso processuale della prova atipica……. Ci si è chiesti se la disposizione in oggetto valga ad attuare la riserva costituzionale stabilita a tutela dei diritti fondamentali, di modo che, attraverso tale canale, possano ammettersi prove atipiche lesive delle istanze in parola, e la risposta fornita è che la disposizione appena indicata vale ad introdurre quelle sole prove atipiche che non rechino vulnus ad istanze costituzionalmente tutelate e che, dunque, non richiedono una disciplina legislativa espressa. La norma in oggetto non ha cioè la funzione di aprire il sistema, bensì di chiuderlo. In definitiva, il concetto di prova incostituzionale porta con sé un divieto probatorio implicito desumibile a contrario dai silenzi del codice: la prova lesiva di diritti fondamentali, anche se atipica, è vietata e, se acquisita, è inutilizzabile».

Il secondo tema affrontato è quelle della natura dei dati relativi alla localizzazione. La sentenza richiama una risalente decisione della Corte cost. (sentenza n. 81/1993), che aveva riconosciuto, in forza dell'art. 15 Cost., il diritto di mantenere segreti tanto i dati che possono portare alla identificazione dei soggetti della conversazione, quanto quelli relativi al tempo ed al luogo della comunicazione. Conseguentemente, si pone un problema di «tutela dei diritti rispetto al ricorso generalizzato agli strumenti di raccolta automatizzata dei dati personali, come appunto i tabulati, siano essi dati - non comunicativi - di geolocalizzazione, ovvero dati relativi ad immagini, dati digitali o piuttosto informazioni relative al traffico telefonico». In questo senso «con la tradizionale locuzione "dati esteriori di comunicazioni" si intende fare riferimento ad una serie di informazioni di varia natura, suscettibili di acquisizione e utilizzazione processuale, che riguardano non solo i dati relativi alle telefonate su apparecchi fissi o mobili, ma anche ogni altro tipo di comunicazione elettronica; la prassi operativa si è evoluta al punto di poter geolocalizzare una utenza mobile non solo ex post, ma, soprattutto, anche in tempo diretto, ed in assenza di captazione, mediante la costante rilevazione delle celle di aggancio della stazione mobile, consentendo una sorta di pedinamento elettronico del possessore del cellulare anche nei momenti in cui questi non comunica».

Non vi sarebbero, pertanto, ragioni per ritenere – contrariamente a quanto affermato dalla Corte di Appello - che i dati relativi alla ubicazione dell'utenza sarebbero stati legittimamente acquisiti dalla P.G., atteso che in tema di diritti fondamentali è vietato tutto ciò che non è consentito e nessuna possibilità non era prevista da alcuna norma. Inoltre, «il riconoscimento e la garanzia costituzionale della libertà e della segretezza della comunicazione comportano l'assicurazione che il soggetto titolare del corrispondente diritto possa liberamente scegliere il mezzo di corrispondenza, anche in rapporto ai diversi requisiti di riservatezza che questo assicura sia sotto il profilo tecnico, sia sotto quello giuridico» così che «una volta che una persona abbia prescelto l'uso del mezzo telefonico, vale a dire l'utilizzazione di uno strumento che tecnicamente assicura una segretezza più estesa di quella riferibile ad altri mezzi di comunicazione (postali, telegrafici, etc.), ad essa, in forza dell'art. 15 Cost., va riconosciuto il diritto di mantenere segreti tanto i dati che possano portare all'identificazione dei soggetti della conversazione, quanto quelli relativi al tempo e al luogo dell'intercorsa comunicazione».

Si tratta di dati personali qualificati perché «forniscono retrospettive di indubbio rilievo quali il tempo, la durata, la frequenza delle chiamate, le utenze contattate, i codici IMEI, gli intestatari delle schede SIM, e, come nel caso in esame, l'ubicazione dell'utenza mediante la geolocalizzazione storica delle celle di aggancio; si tratta di dati di indubbia sensibilità, perché incidenti sulla personalità e sulla sfera privata del titolare della utenza telefonica. I dati esteriori di comunicazioni, si è correttamente rilevato, consentono cioè di creare una mappatura fedele ed esaustiva di una parte importante dei comportamenti privati di una persona; dati che possono inerire persino al ritratto della sua identità personale».

Un principio che trova – anche – il proprio fondamento in una nota decisione della Grande Sezione della Corte di Giustizia dell'Unione europea, con la sentenza del 2 marzo 2021, H.K. c. Prokunrantuur (causa C-746/18), pronunciandosi sul rinvio pregiudiziale formulato dalla Corte Suprema estone in ordine all'interpretazione dell'art. 15, par. 1, dir. 2002/58/CE - relativa al trattamento dei dati personali e alla tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni elettroniche - come modificata dalla direttiva 2009/136/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 25 novembre 2009, nella quale, proseguendo un una linea ermeneutica presente da tempo, ha precisato che «la direttiva, letta alla luce degli artt. 7, 8 e 11 nonché dell'art. 52, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, osta a una normativa nazionale che permetta alle autorità pubbliche l'accesso a dati relativi al traffico o a dati relativi all'ubicazione, idonei a fornire informazioni sulle comunicazioni effettuate da un utente di un mezzo di comunicazione elettronica o, come nel caso di specie, sull'ubicazione delle apparecchiature terminali da costui utilizzate, per finalità di prevenzione, ricerca, accertamento e perseguimento di reati, senza che tale accesso sia circoscritto a procedimenti aventi per scopo la lotta contro forme gravi di criminalità o la prevenzione di gravi minacce alla sicurezza pubblica».

Proprio in forza di tale indicazione - prosegue la decisione in commento - il legislatore nazionale ha adottato il d.l. 132/2021 che ha, riscritto l'art. 132, comma 3, del d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, prevedendo la giurisdizionalizzazione della procedura di acquisizione dei tabulati.

Il terzo aspetto affrontato dalla S.C. riguarda le conseguenze – in sede di giudizio abbreviato - dei vizi sopra evidenziati, derivanti dall'acquisizione dei tabulati da parte della P.G. Sul punto, viene richiamata la giurisprudenza della stessa S.C., per la quale rientrano nella categoria delle prove sanzionate dall'inutilizzabilità, non solo le "prove oggettivamente vietate", ma anche quelle formate o acquisite in violazione dei diritti soggettivi tutelati dalla "legge" e, a maggior ragione quelle acquisite in violazione dei diritti tutelati in modo specifico dalla Costituzione.

In particolare, per la Corte costituzionale (sentenza n. 34/1973) sussistono dei divieti probatori ricavabili in modo diretto dal dettato costituzionale, così che «attività compiute in dispregio dei fondamentali diritti del cittadino non possono essere assunte di per sé a giustificazione e fondamento di atti processuali a carico di chi quelle attività costituzionalmente illegittime abbia subito». Nello specifico, l'acquisizione dei tabulati in assenza di un decreto autorizzatorio dell'autorità giudiziaria rende inutilizzabili i dati in essi contenuti. Si tratterebbe di prove riconducibili alla inutilizzabilità cosiddetta "patologica", in quanto atti probatori assunti contra legem, il cui impiego è vietato in modo assoluto non solo nel dibattimento ma in qualsiasi altra fase del procedimento, ivi comprese le indagini preliminari, l'udienza preliminare, le procedure incidentali cautelari e quelle negoziali di merito (Cass. pen., sez. un., 13 luglio 1998, CED 211197; Cass. pen., sez. un., 23 febbraio 2000, n. 6, CED 215841, in tema di tabulati telefonici). Un divieto di utilizzazione della prova in termini di operatività assoluta: l'inosservanza del divieto non sarebbe sanabile in virtù della mera richiesta dell'imputato di accesso al rito alternativo ed è rilevabile anche d'ufficio in ogni stato e grado del procedimento a norma dell'art. 191 c.p.p. (così Cass. pen., sez. un., 21 giugno 2000, n. 16, CED 216247).

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