Ergastolo ostativo e accesso alla liberazione condizionale alla luce del nuovo contesto normativo

Redazione Scientifica
17 Aprile 2023

A seguito dell'intervento della Consulta e poi del legislatore, la Corte di legittimità sottolinea la trasformazione da assoluta in relativa della presunzione di pericolosità ostativa alla concessione dei benefici e delle misure alternative in favore dei detenuti non collaboranti.

Il Tribunale di sorveglianza di L'Aquila dichiarava inammissibile la richiesta di liberazione condizionale proposta da un condannato all'ergastolo per delitti ostativi ex art. 4 ord. penit. Secondo il Tribunale non poteva riscontrarsi, nel caso di specie, il requisito della collaborazione, né tantomeno l'impossibilità/inesigibilità della stessa. La difesa ha proposto ricorso in Cassazione dolendosi per non aver il giudice di merito tenuto conto delle sopravvenute indicazioni della giurisprudenza sovranazionale, secondo cui il difetto di collaborazione non può essere elevato ad indice invincibile di pericolosità sociale. La Corte di legittimità ha rimesso alla Corte costituzionale la questione relativa alla preclusione della concessione dei benefici penitenziari per l'assenza di collaborazione. La Consulta con l'ordinanza n. 97/2021, dopo aver illustrato le ragioni di incompatibilità della normativa denunciata con i principi costituzionali, ha invocato l'intervento del legislatore che è dunque intervenuto con lo strumento della decretazione d'urgenza dettando una disciplina di accesso ai benefici penitenziari per i detenuti per reati ostativi non collaboranti con il d.l. n. 162/2022, conv. in l. n. 199/2022. Come scrive la Cassazione con la pronuncia in commento «il principale portato della nuova disciplina si rinviene nella trasformazione da assoluta in relativa della presunzione di pericolosità ostativa alla concessione dei benefici e delle misure alternative in favore dei detenuti non collaboranti. Costoro, infatti, sono ora ammessi alla possibilità di proporre richiesta, che può essere accolta in presenza di stringenti e concomitanti condizioni, diversificate a seconda dei reati per i quali è intervenuta condanna».

Tornando alla vicenda in esame e alla luce del nuovo contesto normativo, la Cassazione ritiene che il ricorso debba essere accolto con annullamento dell'ordinanza impugnata e il rinvio al Tribunale di sorveglianza per un nuovo giudizio.

Posto che nel caso di specie il reato oggetto di una delle condanne riportate dal ricorrente (omicidio aggravato ai sensi dell'art. 7 l. n. 203/1991) rientra nel catalogo di cui all'art. 4-bis, comma 1, l. 354/1975, la pronuncia richiama la disciplina attuale secondo cui «anche in assenza di collaborazione con la giustizia, ai detenuti possono essere concessi i benefici penitenziari a condizione che:

  • dimostrino l'adempimento delle obbligazioni civili e degli obblighi di riparazione pecuniaria conseguenti alla condanna o l'assoluta impossibilità di adempimento;
  • alleghino elementi specifici, diversi e ulteriori rispetto alla regolare condotta carceraria, alla partecipazione al percorso rieducativo e alla mera dichiarazione di dissociazione, che consentano di escludere l'attualità di collegamenti con la criminalità organizzata e con il contesto nel quale il reato è stato commesso, nonché il pericolo di ripristino di tali collegamenti, anche indiretti o tramite terzi, tenuto conto delle circostanze personali e ambientali, delle ragioni eventualmente dedotte a sostegno della mancata collaborazione, della revisione critica della condotta criminosa e di altra informazione disponibile;
  • il giudice accerti la sussistenza di iniziative dell'interessato a favore delle vittime, sia nelle forme risarcitorie che in quelle della giustizia riparativa». Ulteriore requisito per l'accesso alla liberazione condizionale per i condannati all'ergastolo è l'aver scontato almeno 30 anni di pena (non più 26 come previsto precedentemente).

Inoltre, dopo aver accertato la positiva sussistenza delle citate condizioni, il Tribunale deve svolgere «una complessa attività istruttoria, consistente nell'acquisizione di dettagliate informazioni, anche a conferma degli elementi offerti dal richiedente, in ordine:

  • al perdurare dell'operatività del sodalizio criminale di appartenenza o del contesto criminale in cui il delitto fu commesso;
  • al profilo criminale del detenuto;
  • alla sua posizione all'interno dell'associazione;
  • alle eventuali nuove imputazioni o misure cautelari o di prevenzione

sopravvenute e, ove significative,

  • alle infrazioni disciplinari commesse in corso di detenzione.

Il Tribunale, ancora, deve richiedere il parere del pubblico ministero presso il giudice che ha emesso la sentenza di primo grado o, se si tratta di condanne per i delitti di cui agli artt. 51 commi 3-bis e 3-quater, c.p.p., del pubblico ministero preso il Tribunale del capoluogo del distretto ove à stata pronunciata la sentenza di primo grado, e del Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo; deve, quindi, acquisire informazioni dalla Direzione dell'Istituto di detenzione e deve disporre accertamenti sulle condizioni reddituali e patrimoniali, sul tenore di vita, sulle attività economiche e sulla pendenza o definitività di misure di prevenzione personali o patrimoniali del detenuto, degli appartenenti al suo nucleo familiare o delle persone comunque a lui collegate».

In conclusione, sottolinea il Collegio «la necessità della mediazione valutativa del giudice del merito, affinché accerti, alla luce della nuova normativa, l'ammissibilità e fondatezza della pretesa fatta valere dal ricorrente o, di contro, l'assenza di tali qualità della sua domanda in ragione delle disposizioni limitatrici della nuova disciplina che agiscano in concreto con funzione impeditiva, con conseguente, per tale via, persistente rilevanza della questione incentrata sulla contrarietà ai principi di cui agli articoli 3, 27 e 117 Cost. di un complesso di regole che finisce con l'escludere il condannato all'ergastolo cd. ostativo dall'accesso alla liberazione condizionale in violazione del principio di ragionevolezza, del principio della finalità rieducativa e risocializzante della pena e degli obblighi convenzionali assunti dallo Stato quanto al trattamento dei condannati alla cd. pena perpetua».

*Fonte: DirittoeGiustizia

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