Locazione: registrazione tardiva e autoriduzione del canone

23 Febbraio 2023

È possibile porre a fondamento della risoluzione per inadempimento di un contratto di locazione la morosità sopraggiunta a lite iniziata? Come deve essere valutato il comportamento del conduttore che si attiene a norme dichiarate solo successivamente incostituzionali? La Cassazione chiarisce alcuni nodi problematici.

Massime

Le cause di risoluzione di un contratto di locazione per inadempimento del conduttore debbono preesistere al momento in cui la controparte propone la domanda giudiziale, con la conseguenza che, per quanto sia consentito al giudice, in una considerazione unitaria della condotta della parte, trarre elementi circa la colpevolezza e la gravità dell'inadempimento dalla morosità che si sia protratta nel corso del giudizio, egli non può mai prescindere dall'indagine primaria sulla sussistenza dell'inadempimento al momento della domanda.

Nella specie, la S.C. ha cassato la decisione che aveva confermato la risoluzione del contratto di locazione per inadempimento del conduttore, il quale, fino all'intimazione dello sfratto per morosità, aveva corrisposto il canone in misura ridotta , poi dichiarati costituzionalmente illegittimi, attribuendo rilievo, ai fini della richiesta risoluzione, alla complessiva morosità determinatasi anche successivamente alla proposizione della domanda, senza esaminare i profili di imputabilità del pregresso inadempimento.

Il contratto di locazione immobiliare tardivamente registrato dal conduttore  sino al 16 luglio 2015 è valido ed efficace in quanto la tardiva registrazione integra una sanatoria ex tunc della nullità sancita dall' art. 1 c. 346 L. 311/2004 ; il canone o l'indennità di occupazione dovuti per il suddetto periodo corrispondono a quelli stabiliti dall' art. 13 c. 5 L. 431/1998 , senza che a ciò osti la  Corte cost. 13 aprile 2017 n. 87 , la quale ha escluso che la citata norma abbia sancito la validità del contratto tardivamente registrato secondo la disciplina dichiarata costituzionalmente illegittima, ma non gli effetti della tardiva registrazione.

Il caso

In particolare, il 13 aprile 2011 le parti avevano stipulato un contratto di locazione ad uso abitativo provvedendo alla relativa registrazione solo nel febbraio 2012. Nel giugno 2012, tuttavia, Caia aveva intimato a Tizio lo sfratto per morosità, lamentando il mancato pagamento di numerosi canoni mensili. Il conduttore, per contro, affermava di aver pagato il canone nella misura ridotta prevista dall' art. 3  c. 8 e 9 D.Lgs. 23/2011, norme poi dichiarate incostituzionali dalla  C.Cost. 14 marzo 2014 n. 50 . Pertanto, il Tribunale aveva ritenuto che Tizio avesse illegittimamente autoridotto il canone (in aderenza alle norme poi dichiarate incostituzionali), dichiarando risolto il contratto per grave inadempimento.

La decisione, confermata dalla Corte distrettuale, ha dato origine al ricorso proposto da Tizio nei confronti della proprietaria.

La stessa Caia, peraltro, nell'ottobre 2015 aveva proposto separato ricorso al fine di ottenere l'emissione di un decreto ingiuntivo per il pagamento dei canoni non pagati da Tizio dal 2012 sino al 25 ottobre 2014, data in cui quest'ultimo aveva spontaneamente rilasciato l'immobile. Il giudice di prime cure accoglieva la richiesta di Caia, condannando Tizio al pagamento di oltre 20.000 euro, mentre la Corte d'appello, accogliendo parzialmente le doglianze del conduttore, revocava il decreto ingiuntivo opposto e riduceva l'importo di quanto dovuto a 2.125,26 euro oltre interessi.

 La pronuncia di secondo grado ha pertanto originato il ricorso proposto da Caia.

Le questioni

La sentenza in commento, riunendo i due ricorsi, si sofferma su due questioni di particolare interesse.

Affrontando il primo ricorso, la Cassazione ha colto l'occasione per esaminare la tematica della risoluzione dei contratti di locazione per inadempimento. Nello specifico, nel caso di specie, la Corte si è soffermata sulla questione delle cause di imputabilità dell'inadempimento e sulla necessità che l'inadempimento preesista alla domanda giudiziale di risoluzione del contratto.

Il tema dell'imputabilità dell'inadempimento è un tema tradizionalmente dibattuto in dottrina: all'indirizzo che ritiene requisito necessario – per poter ottenere la risoluzione del contratto, la colpa del soggetto obbligato, si contrappone l'indirizzo che prescinde da essa e ritiene invece sufficiente il semplice ed oggettivo inadempimento dell'obbligazione. La stessa questione, invece, viene affrontata perlopiù unanimemente dalla giurisprudenza, la quale, seppur presumendola, richiede sempre la colpa della parte inadempiente.

Quanto poi all'aspetto valutativo della colpa generatrice di un grave inadempimento tale da legittimare la risoluzione del contratto, nell'ambito dei contratti di locazione, le Corti hanno da tempo precisato che si debba attuare un apprezzamento complessivo del comportamento della parte inadempiente e non solo avere presente la scadenza dei canoni ed il loro importo: la valutazione del comportamento della parte non può essere “settoriale e fatta per compartimenti stagni” bensì deve essere unitaria e globale al fine di trarre elementi circa la colpevolezza e la gravità dell'inadempimento (Cass. 13 dicembre 2011 n. 26709Trib. Roma 27 maggio 2022 n. 8468).

Deve tuttavia precisarsi che, nello svolgere siffatta valutazione, il giudice non può trascurare di valutare preliminarmente se sussista o meno l'inadempimento al momento della presentazione della domanda giudiziale. È infatti principio risalente nel tempo quello per cui, in tema di rapporti obbligatori con prestazioni periodiche, come nel caso della locazione, le cause di risoluzione del contratto per inadempimento del conduttore debbano preesistere al momento in cui la controparte proponga la domanda giudiziale. Difatti, “per quanto sia consentito al giudice, in una considerazione unitaria della condotta della parte, di trarre elementi circa la colpevolezza e la gravità dell'inadempimento dalla morosità che si sia protratta nel corso del giudizio, egli non può mai prescindere dall'indagine primaria sulla sussistenza dell'inadempimento al momento della domanda, con la conseguenza che non gli è consentito porre a fondamento dell'accoglimento della stessa la sola persistenza della morosità in corso di lite” (Cass. 28 gennaio 1987 n. 805, Cass. 3 giugno 1981 n. 3601 ).

L'ulteriore nodo problematico, affrontato nell'analisi del secondo ricorso, attiene invece all'evoluzione normativa in tema di “autoriduzione” del canone di locazione per i contratti tardivamente registrati anche ad opera del solo conduttore. In particolare, l' art. 1 c. 346 L. 311/2004  prevede: “i contratti di locazione, o che comunque costituiscono diritti relativi di godimento, di unità immobiliari ovvero di loro porzioni, comunque stipulati, sono nulli se, ricorrendone i presupposti, non sono registrati”.

Il legislatore, al fine di combattere il fenomeno della mancata registrazione ed il conseguente mancato versamento degli oneri fiscali, ha stabilito che anche il solo conduttore possa provvedere alla registrazione beneficiando di una riduzione del canone di locazione. La norma di riferimento è l' art. 3 c. 8 e 9 D.Lgs. 23/2011 : “[…] a decorrere dalla registrazione il canone annuo di locazione è fissato in misura pari al triplo della rendita catastale, oltre l'adeguamento, dal secondo anno, in base al 75 per cento dell'aumento degli indici ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie degli impiegati ed operai. Se il contratto prevede un canone inferiore, si applica comunque il canone stabilito dalle parti. Le disposizioni di cui all' art. 1 c. 346 L. 311/2014 , ed al comma 8 del presente articolo si applicano anche ai casi in cui: nel contratto di locazione registrato sia stato indicato un importo inferiore a quello effettivo; b) sia stato registrato un contratto di comodato fittizio […]”.

La previsione legislativa, tuttavia, è stata dichiarata incostituzionale dalla  Corte Cost. 14 marzo 2014 n. 50  per contrasto con l' art. 76 Cost.  (in materia di delega al Governo della funzione legislativa).

Il legislatore, prendendo atto della pronuncia della Consulta, nel tentativo di salvare gli effetti della norma dichiarata incostituzionale, aveva poi introdotto l' art. 5 c. 1 ter DL 47/2014 , prorogando gli effetti della disciplina previgente sino al 31 dicembre 2015. La norma, come prevedibile, è stata a sua volta tacciata di illegittimità per violazione del precedente giudicato costituzionale (in tal senso si veda la sentenza  C.Cost. 16 luglio 2015 n. 169 ).

Da ultimo, l' art. 1 c. 59 L. 208/2015  ha modificato l' art. 13 c. 5 L. 431/98  prevedendo: “Per i conduttori che, per gli effetti della disciplina di cui all' art. 3 c. 8 e 9 D.Lgs. 23/2011 , prorogati dall' art. 5 comma 1 ter DL 47/2014 , convertito, con modificazioni, dalla  L. 80/2014 , hanno versato, nel periodo intercorso dalla data di entrata in vigore del  D.Lgs. 23/20113   al giorno 16 luglio 2015, il canone annuo di locazione nella misura  stabilita dalla disposizione di cui al citato  art. 3 c. 8 D.Lgs. 23/2011 , l'importo del canone di locazione dovuto ovvero dell'indennità di occupazione maturata, su base annua, è pari al triplo della rendita catastale dell'immobile, nel periodo considerato”.

La norma, apparentemente reiterativa della disciplina di cui all' art. 3 D.Lgs. 23/2011  già dichiarata incostituzionale, è stata invero ritenuta dalla Consulta esente da censure di legittimità. La Corte, infatti, con sentenza interpretativa di rigetto ( C.Cost. 13 aprile 2017 n. 87 ), ha ritenuto che la disposizione «non ripristina (né ridefinisce il contenuto relativo a durata e corrispettivo) dei pregressi contratti non registrati, la cui convalida, per effetto delle richiamate disposizioni del 2011 e del 2014, è venuta meno, ex tunc, in conseguenza delle correlative declaratorie di illegittimità costituzionale. E, pertanto, non replica alcuna forma di sanatoria ex lege di detti contratti affetti da nullità: nullità che lo stesso  art. 1 c. 59 L. 208/2015  […] ribadisce derivare dalla omessa registrazione del contratto entro il prescritto “termine perentorio di trenta giorni”.

L'odierna disposizione prevede, piuttosto, una predeterminazione forfettaria del danno patito dal locatore e/o della misura dell'indennizzo dovuto dal conduttore […] Tanto è anche testualmente confermato dalla disposizione censurata là dove, in questa, il riferimento al “canone di locazione dovuto” si completa con l'espressione “ovvero” (da intendere in senso specificativo) “l'indennità di occupazione maturata”, poiché è proprio (e soltanto) il riferimento a tale indennità che risulta coerente ed armonico rispetto alla invalidità del contratto ed alla caducazione del rapporto ex tunc, correlandosi alla detenzione dell'immobile senza titolo».

Nel caso in esame, dunque, si è posta la seguente questione: i contratti stipulati (e tardivamente registrati) nel periodo di vigenza delle norme dichiarate incostituzionali che consentivano l'autoriduzione del canone di locazione sono nulli? Infatti, sebbene l' art. 1 c. 346 L. 311/2004  preveda la nullità dei contratti non registrati, nel caso di specie Tizio aveva provveduto, sia pur tardivamente, alla registrazione, ma in base a norme  dichiarate incostituzionali.

Inoltre, nel caso i già menzionati rapporti contrattuali fossero ritenuti validi, a quale disciplina sarebbero soggetti? Potrebbe venire in rilievo in qualche misura l' art. 13 L. 431/98 , come modificato nel 2015?

Le soluzioni giuridiche

Tizio proponeva il  ricorso  contro la decisione della Corte distrettuale che aveva confermato la pronuncia di primo grado con cui era stato risolto il contratto di locazione per grave inadempimento.

In particolare, egli riteneva che la Corte d'Appello si fosse pronunciata sull'azione di risoluzione per inadempimento “al di là di quanto si doveva valutare per giudicarne la fondatezza”: la domanda di risoluzione del contratto sottesa all'azione di sfratto era basata sulla morosità per i canoni di locazione dovuti tra febbraio 2012 e giugno 2012 (canoni corrisposti in misura ridotta sulla base della norma dichiarata poi incostituzionale). La Corte territoriale aveva invece dato rilievo anche alla morosità relativa al 2014.

La Corte di Cassazione, ritenendo fondata la doglianza, coglie l'occasione per ribadire il principio di diritto poc'anzi richiamato, secondo il quale le cause di risoluzione di un contratto di locazione per inadempimento del conduttore debbono preesistere alla proposta della domanda giudiziale. Il giudice “non può mai prescindere dall'indagine primaria sulla sussistenza dell'inadempimento al momento della domanda; con la conseguenza che non gli è consentito porre a fondamento dell'accoglimento della stessa la sola persistenza della morosità in corso di lite”.  La Corte d'Appello, dunque, nel porre a fondamento della propria pronuncia la circostanza che il conduttore avesse sospeso il pagamento del canone di locazione per un periodo successivo a quello cui si riferiva l'azione di risoluzione, aveva disatteso il citato principio di diritto.

Chiarito che l'unico periodo cui era possibile fare riferimento era quello relativo alla proposta azione di risoluzione, quanto all'imputabilità dell'inadempimento, la Corte afferma che, nel caso di specie, “non sussiste un inadempimento e meno che mai un inadempimento colpevole del conduttore giustificativo della risoluzione del contratto, avendo egli conformato il proprio comportamento a quanto stabilito dall' art. 3 D.Lgs. 23/2011 , norma dichiarata incostituzionale solo successivamente con  sentenza C.Cost. 19 marzo 2014 n. 50/2014,  peraltro in relazione a questione sollevata proprio nel corso del presente giudizio”. Dunque, a parere della Corte, la condotta del conduttore che si attiene a quanto stabilito da norme dichiarate solo successivamente incostituzionali (anzi, dichiarate tali proprio nell'ambito del procedimento che lo interessa), innanzitutto non configurerebbe una condotta inadempiente e, in ogni caso, anche a considerarla tale, non potrebbe ritenersi integrare il requisito dell'imputabilità richiesto ai fini della risoluzione.

Quanto al secondo ricorso, Caia formulava tre motivi di doglianza.

Per quanto qui di interesse, riteneva che la tardiva registrazione del contratto ad opera di Tizio, in base al meccanismo di sanatoria previsto dalla disciplina poi dichiarata incostituzionale, non avesse determinato la salvezza del negozio proprio in seguito alla pronuncia della Consulta. Il conduttore doveva pertanto essere ritenuto inadempiente e condannato al pagamento dell'intero importo come riconosciuto dal giudice di prime cure.

La Corte di Cassazione provvede anzitutto ad offrire una lettura specifica delle norme in rilievo e della pronuncia della  C.Cost. 13 aprile 2017 n. 87 . Per la suprema Corte, infatti, la Consulta – pur ribadendo il venir meno del meccanismo di sanatoria dei contratti di locazione grazie alle registrazioni postume previste dalle disposizioni del 2011 – si sarebbe occupata di escludere “l'efficacia del contratto dall'intervenuta registrazione con gli effetti conseguenti quanto alla durata […] non anche con riguardo al regime generale di una tardiva registrazione sulla nullità comminata dall' art. 1 c. 346 L. 311/2004 . Sicché il comportamento del conduttore che avesse proceduto alla registrazione del contratto stipulato nella vigenza della norma ora detta […] disciplina dichiarata incostituzionale, non è stata oggetto in alcun modo della valutazione espressa dal giudice delle leggi”.

In altri termini: la Corte costituzionale, nel pronunciare sentenza interpretativa di rigetto, avrebbe solo chiarito perché suddetto fosse conforme alla Carta fondamentale, senza nulla dire (considerata anche la tipologia di sentenza emessa) in ordine alla validità dei contratti tardivamente registrati in virtù della disciplina già dichiarata incostituzionale o in virtù di qualsiasi altra forma di registrazione tardiva.

Per contro, la Corte richiama il proprio consolidato orientamento in tema di registrazione tardiva dei contratti di locazione ad uso abitativo, recentemente ribadito anche dalla pronuncia  Cass. 9 ottobre 2017 n. 23601 , in virtù della quale “il contratto di locazione […] ove non registrato nei termini di legge, è nullo ai sensi dell' art. 1 c. 346 L. 311/2004ma, in caso di sua tardiva registrazione, da ritenersi consentita in base alle norme tributarie, sanabile […] è difatti innegabile che, nel caso di specie, l'interprete sia chiamato a confrontarsi con una vicenda di nullità efficacemente definita impropria o atipica, a tacer d'altro perché il contratto produce i suoi effetti almeno fino a trenta giorni dalla sua stipulazione, termine ultimo per effettuare la registrazione, per poi assumere la qualificazione negativa sancita dal legislatore, mentre l'ammissibilità di un effetto di sanatoria troverebbe ulteriore conferma nella interpretazione sistematica delle norme di registro, e, segnatamente, di quelle sulla registrazione d'ufficio […]”.

Le sezioni unite, cioè, riconoscono l'operatività della nullità di cui all' art. 1 c. 346 L. 311/2004 , ma non escludono che il contratto possa nondimeno essere sanato in quanto tardivamente registrato. Sanatoria che, come visto, sarebbe necessario ammettere in virtù, se non altro, dell'interpretazione sistematica delle norme tributarie e dei principi generali in tema di nullità del contratto. Infatti, per la Corte, “tale soluzione si pone in linea con quanto condivisibilmente affermato da quella dottrina che propone una lettura restrittiva dell' art. 1423 c.c. , limitata alla insanabilità del negozio nullo salvo convalida, così che […] la norma non può ritenersi ostativa alla (eccezionale) ammissibilità di altre ipotesi di cd. sanatoria (ovvero di "recupero" degli effetti negoziali, come più correttamente proposto da altra dottrina) delle nullità contrattuali (ne testimonierebbero la legittimità alcune fattispecie previste dallo stesso codice, come la conferma delle disposizioni testamentarie e delle donazioni nulle; il matrimonio putativo; l'esecuzione del contratto di lavoro nullo; la cosiddetta pubblicità sanante  ex  art. 2652 n. 6 c.c.  […]”. Tale principio, per la sentenza in commento, ha “certamente una valenza generale nell'esegesi del comma 346 citato e, dunque […] copre, sotto il profilo della validità (retroattiva) del contratto conseguente a successiva registrazione, anche le fattispecie, come quella di cui è processo, nelle quali la registrazione da parte del conduttore fosse intervenuta durante il periodo di vigenza delle disposizioni incostituzionali.

Dunque, fermo restando che il contratto mai registrato sia irrimediabilmente nullo, la sua tardiva registrazione può sempre determinarne la sanatoria con produzione di effetti ex tunc. In particolare, la produzione di effetti sin dal momento della sua stipulazione trova ulteriore spiegazione nel fatto che “una soluzione diversa si risolverebbe in una inaccettabile novazione del contratto originario (indirettamente) per factum principis, inficiando la disciplina legaledella durata del contratto [...] La registrazione provoca un effetto sanante ex tunc, retroagendo alla data di conclusione del negozio, considerata l'evidente anomalia della vicenda, che diacronicamente alterna una fase di piena validità ed efficacia del rapporto ad una in cui subentra la totale invalidità ed inefficacia proprie della disciplina della nullità e la stabilizzazione definitiva degli effetti del contratto che può dare l'efficacia sanante retroattiva” (Cass. 20 dicembre 2019 n. 34156).  

Anche nel caso di specie, pertanto, la Corte può affermare che il contratto, tardivamente registrato da Tizio, fosse valido ed efficace, in virtù della sanatoria ex tunc nei termini di cui si è detto. Per la Cassazione, sembra necessario ribadirlo, l'estensione del principio generale di sanatoria a seguito di tardiva registrazione, non confligge con il dictum di  C.Cost. 13 aprile 2017 n. 87  “per quanto si è detto circa il significato della sentenza della Consulta”.

I giudici affermano pertanto che “i contratti di locazione abitativa tardivamente registrati ad opera del conduttore dalla data di entrata in vigore del  D.Lgs. 23/2011 sino al 16 luglio 2015 , in forza della disposizione dell'art. 1 c. 346 della I. n. 311 del 2004, risultano validi ed efficaci, in quanto il Giudice delle Leggi ha escluso che il comma 5 abbia inteso sancire la validità del contratto secondo il regime della registrazione disciplinata dal testo del comma 5 introdotto dal  D.Lgs. 23/2011  e dalla successiva proroga di cui alla L. 47/2014, ma non ha, invece, in alcun modo escluso gli effetti della registrazione ai sensi del citato comma 346. Sempre per effetto della sentenza della Consulta, il canone o l'indennità di occupazione dovuti dal conduttore nel periodo su indicato sono dovuti nell'ammontare precisato dal comma 5 attualmente vigente, ancorché l'intervenuta registrazione, una volta apprezzata retroagisca, giusta  Cass. 9 ottobre 2017 n. 23601 , alla data di stipulazione del contratto, se concluso per iscritto”.

La Corte rigetta dunque il ricorso di Caia, riconosce la validità del contratto di locazione tardivamente registrato da Tizio e stabilisce che questi aveva correttamente corrisposto il canone nella misura ridotta prevista dall' art. 13 c. 5 L. 431/1998 .

Considerazioni conclusive

La sentenza in commento offre una rilettura (forse volutamente limitante) della pronuncia della Corte costituzionale del 2017, la quale aveva sì “salvato” l'art. 13 L. 431/1998 dalla scure della incostituzionalità, a patto però di darvi un'interpretazione costituzionalmente conforme.

La Consulta, infatti, aveva precisato che «[l]'odierna disposizione prevede, piuttosto, una predeterminazione forfettaria del danno patito dal locatore e/o della misura dell'indennizzo dovuto dal conduttore […] in ragione della occupazione illegittima del bene locato, stante la nullità del contratto e, dunque, l'assenza di suoi effetti ab origine. Tanto è anche testualmente confermato dalla disposizione censurata là dove, in questa, il riferimento al “canone di locazione dovuto” si completa con l'espressione “ovvero” (da intendere in senso specificativo) “l'indennità di occupazione maturata”, poiché è proprio (e soltanto) il riferimento a tale indennità che risulta coerente ed armonico rispetto alla invalidità del contratto ed alla caducazione del rapporto ex tunc, correlandosi alla detenzione dell'immobile senza titolo. In altri termini, una volta che il legislatore del 2015 si è disinteressato del ripristino dei rapporti giuridici di locazione sorti in base a contratti non registrati tempestivamente, la disciplina inerente al pagamento dell'importo annuo “pari al triplo della rendita catastale dell'immobile, nel periodo considerato” non può altrimenti collegarsi che alla pregressa situazione di fatto della illegittima detenzione del bene immobile in forza di titolo nullo e privo di effetti; ed essere dunque propriamente attinente al profilo dell'arricchimento indebito del conduttore, cui è coerente il pagamento di una indennità di occupazione e non di un canone di locazione, non affatto dovuto.

È significativo, in tale contesto, anche il venire meno della previsione dell'adeguamento ISTAT dell'importo dovuto, consentaneo, invero, soltanto al canone quale corrispettivo della locazione in essere». I giudici delle leggi, cioè, hanno ritenuto, sia pure in un obiter dictum, che l'art. 13 L. 431/1998 potesse trovare applicazione solo ai casi di illegittima occupazione del bene immobile e che i contratti stipulati in vigenza delle norme (art. 3 c. 8 e 9 D.Lgs. 23/2011) dichiarate incostituzionali fossero radicalmente nulli. Tanto che la disposizione dell'art. 13 L. 431/1998 viene intesa non come quantificazione di un corrispettivo per la locazione (cosa che presupporrebbe una validità del rapporto sinallagmatico), ma solo come forma di determinazione forfettaria del danno patito dal locatore per l'occupazione dell'immobile da parte del conduttore. Occupazione derivante, per l'appunto, dal venir meno del titolo abitativo in seguito alla pronuncia di incostituzionalità e della inevitabile nullità dei contratti tardivamente registrati secondo la normativa del 2011.

Peraltro, proprio l'entità del corrispettivo sembra rappresentare il punto di maggior criticità della pronuncia in commento. Infatti, applicando i principi generali, in seguito alla sanatoria del contratto con effetti ex tunc, dovremmo ritenere che il conduttore sia tenuto a corrispondere l'intero ammontare del canone come previsto dal negozio e non, invece, il (generalmente) minor importo calcolato secondo quanto previsto dall'art. 13 c. 5 L. 431/1998 (cioè il triplo della rendita catastale).

Una recente sentenza della Cassazione, peraltro citata dalla pronuncia in commento, in un caso analogo sembra infatti sostenere che, in caso di tardiva registrazione, ferma la sanatoria del contratto, il conduttore che avesse pagato in misura ridotta in virtù dell'autoriduzione fosse inadempiente: “l'avvenuta registrazione tardiva del contratto […] ha sanato con effetto retroattivo il contratto, e la sopravvenuta illegittimità costituzionale della disciplina sulla scorta della quale il conduttore aveva corrisposto il canone nella misura ridotta ha reso quest'ultimo inadempiente, con la conseguente impossibilità di qualificare la pretesa esercitata nei suoi confronti dal locatore alla stregua di una indennità per occupazione sine titulo, di ammontare forfettariamente e normativamente predeterminato” (Cass. 24 settembre 2019 n. 23637). L'ammontare, dunque, non sembra affatto potersi quantificare alla stregua di quanto previsto dall'art. 13 L. 431/1998, riferibile unicamente ai casi in cui non si discuta di un “canone”, ma solo di un danno derivante dall'occupazione sine titulo. Vero è altresì che la sentenza in commento, nel rigettare il ricorso di Caia, precisa che le conclusioni cui sono giunti i giudici possono trovare applicazione solo ai contratti “sanati” tardivamente registrati nel periodo compreso tra l'entrata in vigore del D.Lgs. 23/2011 sino al 16 luglio 2015 (data del deposito della sentenza della Corte che ha ritenuto illegittima la disciplina dell'art. 5 c. 1ter D.L. 47/2014 perché contrastante con il giudicato costituzionale).

Potrebbe dunque tracciarsi il seguente quadro di sintesi, senza pretesa di esaustività e rammentando che le criticità della sentenza di cui in commento (soprattutto alla luce della pronuncia di C.Cost. 13 aprile 2017 n. 87 e di Cass. 24 settembre 2019n. 23637) non sembrano sopite:

  • nel caso in cui il contratto di locazione non sia mai stato registrato, dovrebbe trovare piena applicazione la ricostruzione della Corte costituzionale e, dunque, dovrebbe affermarsi la nullità del negozio con la possibilità per il locatore di chiedere un indennizzo per l'occupazione sine titulo nella misura prevista dall'art. 13 c. 5 L. 431/98;
  • nel caso in cui il contratto di locazione sia stato registrato tardivamente nel periodo compreso tra l'entrata in vigore del D.Lgs. 23/2011 e sino al 16 luglio 2015, il negozio sarebbe sanato e i suoi effetti decorrerebbero ex tunc. Quanto all'importo del canone di locazione, in linea con quanto previsto dalla sentenza in commento, dovrebbe parametrarsi nuovamente all'art. 13 c. 5 L. 431/98;
  • infine, in tutti gli altri casi di contratti nulli, ma tardivamente registrati, potrebbe operare la sanatoria “generale” secondo le indicazioni di Cass. 9 ottobre 2017 n. 23601, ma sembra ragionevole ritenere che il quantum debeatur corrisponda all'intero importo previsto nel contratto (e non la somma indicata dall'art. 13 c. 5 L. 431/1998), come sostenuto da Cass. 24 settembre 2019 n. 23637.

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