Diritti soggettivi dei detenuti sottoposti al regime differenziato di cui al 41-bis

Leonardo Degl'Innocenti
20 Aprile 2023

La pronuncia in commento si è occupata della tutela dei soggetti sottoposti all'art. 41-bis ord. penit. mediante la previsione dell'istituto del reclamo giurisdizionale ex art. 35-bis ord. penit. innanzi all'autorità giudiziaria ordinaria.
Massima

Non integra un diritto soggettivo tutelabile mediante il reclamo di cui all'art. 35-bis ord. penit. la pretesa del detenuto, nel caso di specie sottoposto al regime differenziato di cui all'art. 41-bis della legge penitenziaria, di usare un DVD musicale riproducibile sul computer portatile.

Il caso

Il detenuto, sottoposto al regime differenziato di cui all'art. 41-bis ord. penit., aveva proposto al magistrato di sorveglianza reclamo ex art. 35-bis ord.penit. al fine di ottenere la consegna di un DVD musicale riproducibile sul computer portatile. Il giudice monocratico aveva definito il procedimento con una declaratoria di non luogo a provvedere, avverso la quale il detenuto aveva proposto reclamo al Tribunale di Sorveglianza ai sensi del comma 4 del citato art. 35-bis; il giudice collegiale aveva rigettato il reclamo evidenziando che, da un lato, il detenuto era già stato autorizzato alla visione di file trasposti su CD-ROM ovvero su DVD riproducibili sul computer per esigenze di studio, e, dall'altro, che il detenuto aveva comunque la disponibilità del CD musicale “e che, pertanto, potendo ascoltare le canzoni per mezzo di tale supporto, doveva escludersi la lesione di diritto nei suoi confronti”.

La Corte di cassazione con la sentenza in commento ha dichiarato inammissibile il ricorso escludendo che nel caso di specie fosse configurabile la lesione di un diritto soggettivo tutelabile attraverso il rimedio giurisdizionale all'uopo previsto dall'art. 35-bis ord.penit. Secondo i giudici di legittimità la pretesa del detenuto, il quale, come evidenziato dai giudici di merito, avendo già acquisito la disponibilità del CD musicale si lamentava di non potersi avvalere di una specifica forma di fruizione della musica (c.d. modalità video), integra un interesse di mero fatto tutelabile mediante il reclamo così detto generico di cui all'art. 35, comma 1, n.5)ord. penit.

La questione

L'art. 40 del d.P.R. n. 230/2000 (Regolamento recante norme sull'ordinamento penitenziario e sulle misure privative e limitative della libertà) limita l'uso dei lettori di compact disk alle sole ragioni di studio e di lavoro, previa autorizzazione concessa dal Direttore dell'Istituto di Pena. A tale norma, di portata generale, deve aggiungersi, con riguardo ai detenuti sottoposti al regime differenziato, la disciplina dettata dalla Circolare del D.A.P. del 2 ottobre 2017 in forza della quale: è ammesso il solo uso degli apparecchi televisivi e radiofonici forniti dall'Amministrazione penitenziaria, è vietato l'uso di personal computer ed è consentito l'uso di lettori digitali esclusivamente per esigenze di studio o di consultazione di materiale giudiziario.

Tra le restrizioni previste, dal comma 2-quater dell'art. 41-bis ord. penit. si colloca anche la «limitazione delle somme, dei beni e degli oggetti che possono essere ricevuti dall'esterno» (lettera c). L'Amministrazione penitenziaria, nella menzionata circolare dipartimentale 2 ottobre 2017, recante l'organizzazione del circuito detentivo speciale ha stabilito che qualsiasi tipo di stampa autorizzata (quotidiani, riviste, libri) possa essere acquistato dai detenuti in regime speciale solo nell'ambito dell'istituto, tramite l'impresa di mantenimento o il personale delegato dalla Direzione (artt. 7.2, secondo paragrafo, e 11.6, sesto paragrafo). Correlativamente, viene vietata la ricezione di libri e riviste provenienti dall'esterno, e in particolare dai familiari, sia a mezzo pacco postale sia tramite consegna in occasione dei colloqui, così come la trasmissione all'esterno di tale materiale da parte del detenuto (art. 7.2, quarto paragrafo, e 11.6, quinto paragrafo). La giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. Sez. I, 8.06.2021, n.36865, Strangio, in C.E.D. Cass., n. 281907) ha più volte affermato la legittimità di tale disciplina in quanto «le prescrizioni ministeriali non pregiudicano in modo significativo il diritto del detenuto ad informarsi e a studiare attraverso la lettura di testi, in quanto non ne precludono la ricezione, ma la indirizzano verso “canali sicuri” (l'impresa di mantenimento o il personale delegato dalla direzione penitenziaria), onde impedire una loro utilizzazione in funzione elusiva delle restrizioni connesse al regime speciale, e in particolare per effettuare scambi di messaggi criptici non facilmente individuabili dal personale addetto alla censura» (si precisa che «tale assunto non implica tuttavia che ogni pubblicazione possa e debba, tramite i canali di acquisto sopra evidenziati, fare il proprio ingresso in istituto, indipendentemente dalla compatibilità di un tale ingresso con le finalità proprie del regime detentivo speciale, con le ineludibili esigenze organizzative dell'Amministrazione, a quelle finalità anche correlate, e con l'effettiva inerenza dello stampato all'esercizio di diritti fondamentali.»).

Secondo l'impostazione seguita da parte di alcuni giudici di merito il divieto di utilizzare i CD, incidendo sulla possibilità del detenuto di ascoltare musica, attività rientrante nel trattamento rieducativo, potrebbe pregiudicare il diritto del detenuto al trattamento stesso, tenuto conto dell'esigenza di salvaguardare gli spazi residui nei quali può espandersi la libertà della persona ristretta in un istituto di pena. Il divieto in esame non sarebbe giustificato da ineludibili esigenze di sicurezza, imposte dal regime speciale di detenzione, essendo i CD acquistabili tramite la cd. impresa di mantenimento, con le cautele (presenza del contrassegno SIAE) finalizzate a scongiurare la presenza di contenuti impropri.

La sentenza in commento, in linea con la giurisprudenza precedente, ha affermato che le norme sopra richiamate, storicamente datate, non valgano a stabilire una preclusione assoluta a un utilizzo dello strumento per finalità diverse dalla consultazione di testi, rese attuali dall'evoluzione tecnologica; ciò anche considerato che la possibilità di ascoltare musica per mezzo dei CD rientra, a pieno titolo, di quel residuo spazio di libertà che deve essere riconosciuto anche alle persone detenute. Tuttavia l'affermazione secondo la quale il divieto di utilizzare compact disk musicali non presenta alcuna connessione con le finalità di tutela dell'ordine e della sicurezza perseguite dall'art. 41-bis non può essere condivisa nella sua perentorietà.

Deve pertanto riconoscersi alla Amministrazione penitenziaria il potere di autorizzare il detenuto ad acquistare ed utilizzare, mediante il relativo lettore, DVD musicali, ma, dall'altro, occorre puntualizzare che tale soluzione non “deve ritenersi imposta in ogni situazione e contesto”.

In questa prospettiva è stato ritenuto legittimo il provvedimento con il quale l'Amministrazione penitenziaria ha rigettato l'autorizzazione, richiesta da un detenuto sottoposto al regime differenziato, all'acquisto ed alla detenzione di compact disk musicali e dei relativi lettori digitali, qualora, per l'incidenza sull'organizzazione della vita dell'Istituto, in termini di impiego di risorse umane e materiali, non sia possibile assicurare la messa in sicurezza di tali dispositivi e supporti (cfr. anche: Cass. pen., sez. I, 7 luglio 2022, n. 5078, Scornaienchi, inedita; Cass. pen., sez. I, 30 settembre 2021, n. 43484, Viscido, in C.E.D. Cass., n. 282213 che in motivazione puntualizza: «va dunque ribadita la necessità che il Tribunale, prima di riconoscere il diritto del detenuto ad utilizzare CD ad uso ricreativo, verifichi se tale impiego, pur in assoluto non precluso dalla normativa vigente, possa nondimeno comportare inesigibili adempimenti da parte dell'Amministrazione penitenziaria in relazione agli indispensabili interventi su dispositivi e supporti, tali da rendere ragionevole la scelta, operata dalla direzione di istituto, di non autorizzarne l'ingresso nei reparti ove vige il regime penitenziario differenziato. Scelta che, implicando un apprezzamento della possibilità di soddisfare le esigenze ricreative dei detenuti alla luce delle risorse disponibili, rientrerebbe in un ambito di legittimo esercizio del potere di organizzazione della vita degli istituti penitenziari»). Secondo la Corte, l'interesse del detenuto ad ascoltare musica di sua scelta, deve essere bilanciato con le esigenze di controllo dell'Amministrazione penitenziaria che assumono un rilievo particolare nei casi in cui, come quello oggetto del ricorso, il detenuto è sottoposto al regime differenziato.

Come è noto l'art. 41-bisord. penit. prevede una serie di limitazioni all'ordinario trattamento penitenziario funzionali ad impedire che il detenuto possa liberamente comunicare con l'esterno, mantenendo un legame con l'ambiente delinquenziale di provenienza e continuando, per tale via, a partecipare alle attività illecite dell'organizzazione criminale di riferimento.

Come puntualizzato dalla Corte costituzionale nella sentenza n.143/2013 «il regime è volto a far fronte alle esigenze di tutela dell'ordine e della sicurezza esterne al carcere, connesse alla lotta alla criminalità organizzata, terroristica ed eversiva, e ad impedire, in particolare, i collegamenti dei detenuti appartenenti alle organizzazioni criminali tra loro e con i membri di queste che si trovino in libertà; collegamenti che potrebbero realizzarsi attraverso i contatti con il mondo esterno, che l'ordinamento penitenziario normalmente favorisce quali strumenti di reinserimento sociale. Quel che si intende evitare è, soprattutto, che gli esponenti dell'organizzazione in stato di detenzione, sfruttando il normale regime penitenziario, «possano continuare ad impartire direttive agli affiliati in stato di libertà, e così mantenere, anche dal carcere, il controllo sulle attività delittuose dell'organizzazione stessa».

La sospensione delle regole del trattamento è finalizzata «ad evitare che il detenuto possa veicolare all'esterno notizie o informazioni di valenza associativa, ovvero mantenere collegamenti con il gruppo criminale di provenienza, contattando gli appartenenti in condizione di libertà» (Cass. pen., sez. I, 20 aprile 2022, n. 5363, Messina, inedita). La sentenza da ultimo richiamata evidenzia inoltre che, pur in presenza di tale finalità preventiva, deve escludersi che il regime differenziato sia assimilabile ad una misura di prevenzione personale: «deve ribadirsi la differenza strutturale tra l'istituto di cui all'art. 41-bis e la misura di prevenzione in senso stretto. Sono individuabili plurimi profili di differenza tra gli istituti a raffronto quanto a presupposti giustificativi e funzioni; sotto il primo profilo, l'art. 41-bis ord. penit. postula la ricorrenza di condizioni oggettive di emergenza e sicurezza pubbliche ed altre soggettive riguardanti il detenuto, derivanti dalla condanna o dalla sottoposizione a misura coercitiva custodiale per reati di particolare gravità e motivo di allarme sociale, oltre che la perdurante esistenza ed operatività dell'organizzazione cui egli appartiene. Le misure di prevenzione vengono imposte per fronteggiare il rischio della commissione di reati nei confronti di chi sia ritenuto pericoloso in dipendenza, non necessariamente di condanne o di misure cautelari, ma dello stile di vita. Anche negli effetti va osservato che la sospensione delle regole detentive ordinarie riguarda l'esecuzione della pena nei confronti di quei detenuti che manifestino capacità di mantenere collegamenti con le associazioni di appartenenza e di trasmettere ordini e direttive all'esterno del carcere. Ciò comporta una limitazione dei diritti soggettivi, non già la loro radicale privazione. Sulla scorta di tali presupposti e del rilievo secondo il quale il regime detentivo differenziato non viene imposto in via automatica a tutti i detenuti che abbiano riportato condanna per determinati titoli di reato, ma selettivamente a coloro di essi che presentino caratteristiche personali e specifiche di pericolosità, legate alla loro appartenenza ad organizzazioni criminali strutturate, distinguendoli dai comuni soggetti sottoposti a pena detentiva, va escluso che la norma di cui all'art. 41-bis si ponga in contrasto con i principi di cui agli artt. 2 e 3 Cost. e che sussista una riconoscibile e censurabile disparità di trattamento, rispetto al sistema delle misure di prevenzione, sotto il profilo dell'adozione del provvedimento impositivo di tale regime o della sua proroga da parte dell'autorità amministrativa, anziché per decisione giudiziale come, invece, previsto per le misure di prevenzione. Non sussiste nemmeno il denunciato contrasto tra la disposizione dell'art. 41-bis ord. penit. ed i parametri costituzionali, rappresentati dagli artt. 111 e 117 Cost., poiché, sebbene il regime detentivo differenziato sia imposto con provvedimento amministrativo, lo stesso, anche se sia autorizzata la proroga, deve essere supportato da autonoma e congrua motivazione in ordine alla permanenza dei pericoli per l'ordine e la sicurezza pubblica e la possibilità del suo riesame in funzione della tutela del sottoposto, ammesso ad esercitare il diritto di difesa senza limitazioni. Tale tutela è assicurata in sede giurisdizionale mediante la previsione dell'istituto del reclamo innanzi all'autorità giudiziaria ordinaria, che provvede all'esito della procedura camerale partecipata».

Le soluzioni giuridiche

Come anticipato, nel caso di specie la Corte ha escluso che la pretesa avanzata dal condannato nei confronti dell'Amministrazione penitenziaria potesse integrare un diritto soggettivo tutelabile attraverso lo strumento del reclamo di cui all'art. 35-bis ord. penit. in quanto la determinazione assunta dall'Amministrazione incideva soltanto su una specifica modalità di fruizione della musica, tanto più se si tiene conto del fatto che il condannato aveva la disponibilità del relativo C.D. musicale.

Come è noto l'esperimento del rimedio giurisdizionale previsto dagli artt. 35-bis e 69, comma 6, lett. b), è subordinato alla compresenza di due diverse condizioni: vale a dire «dall'esistenza, in capo al detenuto, di una posizione giuridica attiva, non riducibile (o non riducibile ulteriormente) per effetto della carcerazione e direttamente meritevole di protezione, nonché dal rilievo di una condotta, imputabile all'Amministrazione penitenziaria, che si ponga con tale posizione soggettiva in illegittimo contrasto. È peraltro evidente che dalla condizione detentiva possano derivare limitazioni, anche significative, alla ordinaria sfera dei diritti soggettivi della persona, e ciò anche quale conseguenza dell'adozione di misure e provvedimenti organizzativi dell'Amministrazione stessa, volti a disciplinare la vita degli istituti, a garantire l'ordine e la sicurezza interna e l'irrinunciabile principio del trattamento rieducativo; misure e provvedimenti che, ove adottati nel rispetto dei fondamentali canoni di ragionevolezza e proporzionalità, incidono legittimamente sulla posizione soggettiva del ristretto, andando ad integrarne l'ambito di autorizzata e lecita compressione. È a partire da tale constatazione che la giurisprudenza di questa Corte, da tempo, ammonisce a non confondere il diritto soggettivo del detenuto, nel suo nucleo intangibile, cui è garantita protezione, con le mere modalità di esercizio di esso, inevitabilmente assoggettate a regolamentazione. La sola negazione del diritto in quanto tale integra lesione suscettibile di reclamo giurisdizionale, mentre le modalità di esplicazione del diritto restano affidate alle scelte discrezionali dell'Amministrazione penitenziaria, in funzione delle esigenze di ordine e disciplina interne, che, ove non manifestamente irragionevoli, ovvero sostanzialmente inibenti la fruizione del diritto, non sono sindacabili in sede giudiziaria» (Cass. pen., sez. I, Strangio, cit.: nel caso di specie la Corte ha escluso la configurabilità di un diritto soggettivo tutelabile con il reclamo de quo nella richiesta del detenuto di poter ricevere, in abbonamento, riviste per soli adulti; in particolare a fronte della doglianza del detenuto che aveva lamentato la violazione del diritto alla sessualità, i giudici di legittimità hanno affermato che «l'autoerotismo esula da tale problematica. Anche a volerlo considerare un aspetto della sessualità, nella sua accezione più lata, esso non è impedito - di per sé - dallo stato detentivo. La fruizione di materiale pornografico costituisce uno dei mezzi possibili per la sua migliore soddisfazione, ma non ne costituisce presupposto ineludibile, sicché non può ragionevolmente affermarsi che, attraverso il pratico disconoscimento di una tale eventualità, poggiante sull'assetto e sulle caratteristiche dello speciale regime di detenzione, passi la negazione di un diritto inviolabile della personalità»).

Pertanto a fronte del reclamo proposto dal detenuto il giudice di sorveglianza è anzitutto chiamato a procedere alla corretta qualificazione dello strumento giuridico azionato, verificando, preliminarmente, se sia configurabile, in relazione alla pretesa dedotta, una situazione di diritto soggettivo, ai sensi dell'art. 69, comma 6, lett. b), ord. penit., e se vi sia una correlazione tra tale posizione soggettiva e la condotta tenuta dall'Amministrazione penitenziaria; in caso di riscontro negativo, il reclamo deve essere qualificato come generico, ai sensi dell'art. 35, comma 1, n. 5),ord. penit., in quanto non rientrante nelle previsioni di legge in tema di tutela giurisdizionale, che deve essere denegata (come, appunto, nel caso di specie).

Si colloca in questo orientamento anche Cass. pen., sez. I, 12 ottobre 2022, n.6354, Giacalone, inedita, che ha escluso, disattendendo la decisione adottata dai giudici di merito, la configurabilità di un diritto soggettivo tutelabile nella richiesta del detenuto di poter sintonizzare l'apparecchio su canali diversi da quelli consentiti dalla Circolare del D.A.P. del 2 ottobre 2017. Anche in questo caso la Corte ha ribadito che la determinazione dell'Amministrazione penitenziaria non incide su un diritto soggettivo, ma solo sulle modalità di esercizio dello stesso e che pertanto deve essere «qualificato come reclamo generico quello proposto dal detenuto in tema di fruizione dei canali televisivi, non incidendo la relativa regolamentazione sul diritto costituzionale all'informazione, né su quello alla regolare fruizione del trattamento rieducativo, entrambi assicurati dalla mantenuta possibilità di accesso ad un'ampia e diversificata offerta televisiva, riguardante forme varie della cultura e dell'intrattenimento, bensì soltanto sulle modalità del loro esercizio, che restano affidate, anche a livello tecnico-organizzativo, alla discrezionalità amministrativa» (cfr. anche Cass. pen., sez. I, 24 novembre 2022, n. 2754, Mignolo, inedita).

Osservazioni

Per concludere appare opportuno ricordare alcune pronunce della Corte di legittimità che si sono occupate della individuazione delle posizioni di diritto soggettivo tutelabili a mezzo del ricorso giurisdizionale previsto dall'art.35-bis ord.penit.

Cass. pen., sez. I, 4 dicembre 2020, n.4030, Gallo, in C.E.D. Cass., n. 280532 ha affermato che in via astratta è configurabile in relazione alle questioni che attengono all'acquisto dei generi alimentari ed alla cottura dei cibi una posizione di diritto soggettivo «trattandosi di profili che sono direttamente pertinenti al diritto di alimentarsi e che, come tali, hanno immediata rifluenza sul diritto alla salute». Ciò premesso la Corte ha ritenuto legittima, in quanto incidente solo sulle modalità dell'esercizio del diritto, la disposizione che impone il divieto di cottura dei cibi in determinate fasce orarie purché tale restrizione riguardi tutti i detenuti e non solo quello sottoposti al regime differenziato di cui all'art. 41-bis ord. penit. e ciò in quanto tale prescrizione «non appare distonica rispetto all'esigenza di preservare la salubrità degli ambienti, di salvaguardare l'ordinata convivenza all'interno degli spazi detentivi e la possibilità per il personale di lavorare senza che i tempi previsti per le attività trattamentali siano condizionati» da tale attività. Mette conto segnalare che la stessa decisione ha affermato, con riferimento ai detenuti sottoposti al regime differenziato, la legittimità del provvedimento impositivo del divieto di acquistare cibi acquistabili dai detenuti ristretti nelle sezioni ordinarie. Secondo i giudici di legittimità tale restrizione non si risolve in una irragionevole disparità di trattamento tra detenuti comuni e detenuti sottoposti al regime differenziato in quanto finalizzata ad evitare in un'ottica preventiva che il detenuto sottoposto a tale regime, acquistando anche in quantità notevoli generi alimentari pregiati, possa distinguere la sua posizione dimostrando o imponendo «il suo carisma o il suo spessore criminale al resto della popolazione carceraria».

Tra i diritti soggettivi tutelabili mediante il reclamo ex art. 35-bis ord.penit. si colloca sicuramente il diritto al lavoro.

Ha, infatti, affermato Cass. pen., sez. I, 27 aprile 2021, n.21546, Masetti, in C.E.D. Cass., n. 281285 che il decreto col quale il magistrato di sorveglianza approva la proposta di revoca del provvedimento di ammissione al lavoro esterno è impugnabile innanzi al Tribunale di sorveglianza trattandosi di decisione idonea ad incidere su un diritto fondamentale del detenuto considerata anche la valenza trattamentale del lavoro quale componente essenziale del percorso rieducativo del detenuto evidenziata dalla Corte cost. con la sentenza n. 532/2002 (nello stesso senso cfr. Cass. pen., sez. I, 17 novembre 2022, n.1449, Picozzi, in C.E.D. Cass., n. 283896).

Non può pertanto dubitarsi che i provvedimenti che incidono su tale diritto devono essere assoggettati al sindacato giurisdizionale attuabile attraverso il reclamo di cui all'art. 35-bis ord.penit. (anche se, formalmente, il provvedimento oggetto del reclamo è costituito dal decreto del giudice di sorveglianza che approva la proposta di revoca formulata dall'Amministrazione penitenziaria, condizionandone l'efficacia: trattasi di un provvedimento imputabile non all'Amministrazione penitenziaria ma all'A.G.).

Risulta così superato il difforme orientamento espresso da Cass. pen., sez. I, 10 gennaio 2017, n.4979, Cesarano, in C.E.D. Cass., n.272284, che aveva escluso l'ammissibilità del reclamo avverso il provvedimento de quo in ragione della natura meramente amministrativa dello stesso.

È appena il caso di rammentare che appartiene al novero delle situazioni soggettive tutelabili col reclamo giurisdizionale anche il diritto alla salute ed è pertanto azionabile con lo strumento di cui all'art. 35-bis ord. penit. la richiesta del detenuto di rimuovere dalla copertura dell'area dei passeggi la rete metallica, composta da griglie spesse e vicinissime tra loro tali da impedire la diffusione della luce solare (Cass. pen., sez. I, 18 ottobre 2022, n.424, Attanasio, inedita).

Da ultimo merita di essere segnalata Cass. pen., sez. I, 24 maggio 2022, n.34855, Attanasio, inedita, che affronta il tema del rapporto tra diritti dei detenuti (nel caso di specie il diritto allo studio) e discrezionalità dell'Amministrazione penitenziaria nel disciplinare l'organizzazione della vita intramuraria; in questo caso la Corte ha affermato che il diritto allo studio garantito ad ogni detenuto implica la possibilità per l'interessato di tenere presso di sé tutti i libri di cui necessita senza limitazioni numeriche predeterminate; tuttavia al fine di evitare che dal numero dei volumi presenti nella cella derivi il pericolo concreto di non poter effettuare adeguatamente i controlli ordinari all'interno della cella stessa, la Direzione dell'Istituto di Pena può stabilire un limite massimo al numero di libri che il detenuto può tenere contemporaneamente nella cella e nella apposita bilancetta esterna alla cella.

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