Assunzione di nuove prove e impugnazione agli effetti civili post Cartabia
04 Maggio 2023
La riforma Cartabia è intervenuta anche nel microcosmo delle impugnazioni agli effetti civili, introducendo – mediante la novellazione dell'art. 573 c.p.p. - una regola di competenza per effetto della quale se l'impugnazione è sollevata per tutelare gli interessi civili, essa andrà decisa dal giudice civile previa verifica della sua ammissibilità, che invece compete al giudice penale a quo.
Posto che si tratta di una norma processuale è apparso a tutti sin da subito chiaro che deve farsi applicazione del noto principio tempus regit actum, dal quale discende la sua immediata applicabilità anche ai giudizi in corso. Eppure, forse anche a causa del peculiare effetto derivante dal suo concreto operare (il dirottamento dei giudizi di impugnazione aventi le caratteristiche di cui all'art. 573 c.p.p. verso il giudice civile), è risultata non del tutto agevole l'individuazione dell'actum a cui agganciare la disciplina applicabile: e così si sono formati sin da subito due distinti indirizzi ermeneutici. Il primo assume come punto di riferimento la pronuncia della sentenza da impugnare, mentre il secondo considera la pendenza del giudizio di impugnazione.
Più precisamente, ad avviso del primo indirizzo la nuova disciplina non sarebbe applicabile alle sentenze pronunciate prima dell'entrata in vigore della riforma, mentre secondo l'opposta corrente di pensiero ciò che conta è l'introduzione del giudizio impugnativo. In disparte questo rilievo, si segnala la consequenziale problematica applicativa che deriva dal contenuto del comma 1 bis, aggiunto all'art. 573 c.p.p., secondo il quale il giudice civile, investito dell'impugnazione, decide sulle questioni civili utilizzando le prove assunte nel processo penale, oltre a quelle eventualmente acquisite nel giudizio civile. È lecito a questo punto chiedersi, nel caso in cui si dia luogo a rinnovazione parziale dell'istruzione dibattimentale, in che modo il giudice debba, ad esempio, assumere una testimonianza di cui s'è chiesta e ottenuta l'ammissione.
Dovrà farlo seguendo lo schema del rito civile – nel quale le domande sono predeterminate per iscritto – oppure con quello previsto dal codice di procedura penale, e cioè con le regole dell'esame incrociato? Al riguardo, è possibile sostenere che l'assunzione delle prove nel giudizio civile d'impugnazione dovrà avvenire sempre e comunque secondo le regole del codice di procedura penale. L'addentellato normativo che legittima questa opzione è contenuto nel primo comma dell'art. 573 c.p.p., che l'intervento di riforma non ha toccato se non per sostituire la parola “soli” originariamente presente (riferito agli interessi civili) con l'articolo “gli”. In questa regola, che suona come una norma di principio peraltro preesistente al recente intervento di riforma, si specifica che l'impugnazione è trattata con le forme ordinarie del processo penale.
Ciò permette quindi di escludere che, oltre al mutamento del giudice competente, debba anche variare il rito applicabile. A confermare questo assunto milita, se mai ce ne fosse bisogno, anche l'ulteriore rilievo secondo il quale poiché la norma che varia la competenza del giudice dell'impugnazione per gli interessi civili rappresenta, nel panorama codicistico, una disposizione speciale, laddove il legislatore avesse voluto anche modificare le regole di assunzione dei mezzi di prova lo avrebbe certamente esplicitato. |