Alcune criticità per il passaggio cognitivo al giudice civile della impugnazione penale proposta per i soli interessi civili

08 Maggio 2023

Con il comma 1-bis introdotto nell'art. 573 c.p.p. dall'art. 33, comma 1, lett a), n. 2, d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, entrato in vigore il 30 dicembre 2022, è stato disposto che: «Quando la sentenza è impugnata per i soli interessi civili, il giudice d'appello e la Corte di cassazione, se l'impugnazione non è inammissibile, rinviano per la prosecuzione, rispettivamente, al giudice o alla sezione civile competente, che decide sulle questioni civili utilizzando le prove acquisite nel processo penale e quelle eventualmente acquisite nel giudizio civile».
Premessa

È una norma il cui contenuto, a voler appena prescindere dagli obiettivi perseguiti, avendo riguardo al versante operativo induce a sollevare almeno un duplice ordine di osservazioni scaturenti dalla evidente carenza dei necessari raccordi cronologici e, soprattutto, realizzativi.

In primo luogo, la carenza di una disciplina transitoria, pone il problema se si sia in presenza di una disposizione di immediata applicazione, ovvero la si debba ritenere praticabile unicamente per le impugnazioni proposte avverso le sentenze emesse dopo il 30 dicembre 2022.

In secondo luogo, considerando i necessari aspetti di una operatività effettiva, la norma rivela notevoli carenze in termini di disposizioni attuative, in particolare quanto alle modalità di attivazione dell'innesto della domanda di riforma del provvedimento gravato attraverso la “prosecuzione” in sede civile del giudizio di impugnazione, una volta superato il vaglio di ammissibilità della impugnazione stessa, quale unica valutazione che, stando alla novella, permane attribuita al giudice penale.

In merito al primo rilievo, occorre ricordare sia pure per sintesi come, già all'indomani dell'entrata in vigore della nuova disposizione, alcune sezioni penali della Corte di cassazione, abbiano espresso indirizzi interpretativi contrastanti.

Il contrasto interpretativo

Con un primo orientamento si è ritenuto che la previsione della translatio iudicii per come disposta dalla norma in esame, debba operare in relazione a tutte le impugnazioni per i soli interessi civili pendenti alla data di entrata in vigore della norma, ritenendo opportuna, una volta «venuto meno il collegamento della pretesa risarcitoria e il processo penale», la prosecuzione della cognizione della relativa domanda «nella sua sede naturale» (così Cass. pen., sez. IV, n. 2/2023; Cass. pen., sez. IV,n. 2854/2023; Cass. pen., sez. III, n. 3/2023).

Con l'orientamento opposto, si è invece reputato che la disposizione in esame debba operare unicamente per le impugnazioni di tal genere proposte avverso le sentenze emesse dopo l'entrata in vigore della stessa.

Con ciò però diversificandosi le considerazioni interne all'orientamento stesso quanto alla individuazione del momento processuale cui fare riferimento per stabilire il prius cruciale.

Se quello della proposizione dell'actus impugnatorio quale discrimen idoneo a dar corpo al relativo giudizio (Cass. pen., sez. V, n. 3990/2023; Cass. pen., sez. V, n. 4902/2023; Cass. pen., sez. II, n. 6690/2023; in riferimento all'insegnamento impartito da Cass. pen., sez. un., n. 27614/2007, Lista, di recente ripreso ed implementato da Cass. pen., sez. un., n. 11586/2022); ovvero quello addirittura antecedente costituito dalla data di emissione della sentenza impugnata, giacché quest'ultima rappresenta l'evento processuale che da corpo al potere di impugnazione delle parti (Cass. pen., sez. VI, n. 12072/2023).

Nell'esaminare un ricorso che ha posto analoga questione, la Quinta Sezione, dopo aver constatato il perdurare del contrasto interpretativo anzidetto, ha ritenuto di disporne la rimessione alle Sezioni Unite penali ai sensi dell'art. 618, comma 1, c.p.p., affinché venga decisa la questione così formulata: «se l'art. 573, comma 1-bis, introdotto dall'art. 33, comma 1, lett. a), n. 2, d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, nella parte in cui dispone che, quando la sentenza è impugnata per i soli interessi civili, il giudice d'appello e la Corte di cassazione, se l'impugnazione non è inammissibile, rinviano per la prosecuzione, rispettivamente, al giudice o alla sezione civile competente, che decide sulle questioni civili utilizzando le prove acquisite nel processo penale e quelle eventualmente acquisite nel giudizio civile, sia norma di immediata applicazione a tutte le impugnazioni pendenti al 30 dicembre 2022 o sia applicabile solo alle impugnazioni proposte avverso le sentenze emesse a partire dal 30 dicembre 2022» (Cass. pen., sez. V, 7 febbraio 2023, n. 8149).

Alcune anticipazioni in attesa della decisione delle Sezioni Unite

Tuttavia, in attesa che il supremo collegio esteso risolva l'insorto contrasto interpretativo della nuova disposizione, merita qualche anticipazione analitica il secondo degli aspetti problematici inizialmente prospettati.

La terminologia adoperata per coniare la nuova norma, nella parte in cui si prevede che il giudizio penale di impugnazione ove risulti circoscritto ai soli interessi civili, una volta superato il vaglio di ammissibilità dell'atto introduttivo spettante al giudice penale, sia da questi “rinviato” per la prosecuzione, al giudice o alla sezione civile competente, parrebbe ispirata dall'istituto di matrice civilistica previsto e disciplinato dall'art. 302 c.p.c., rubricato come “Prosecuzione del processo”.

A ben guardare, un tale riferimento analogico non sembrerebbe calzante sul piano sistematico, né consentirebbe di rinvenire in quella disciplina, priva com'è di disposizioni attuative, accettabili spunti di orientamento circa le specifiche modalità operative da seguire per investire della regiudicanda il giudice civile competente.

Va considerato a tal riguardo che il rinvio volto alla prosecuzione in sede civilistica potrà essere disposto secondo i singoli casi, al tribunale in composizione monocratica, in quanto competente per il giudizio di appello contro le decisioni di condanna del giudice di pace (art. 39, comma 1, d.lgs. 28 agosto 2000 n. 274), ovvero, avverso le decisioni del tribunale penale, alla competente sezione civile della corte di appello ordinaria oppure a quella per i procedimenti a carico dei minorenni (art. 2, lett. e, d.p.r. 22 settembre 1988, n. 448). Non così in presenza di un ricorso per i soli interessi civili.

In tal caso la Corte di cassazione penale, a differenza di quanto avveniva sino alla riforma in esame allorché per il disposto dall'art. 622 c.p.p. pronunciava l'annullamento della sentenza ai soli interessi civili, rinviando all'occorrenza al giudice civile competente per valore in grado di appello, attesa la natura del ricorso e ritenutane la non inammissibilità, non deciderà oltre, ma sarà tenuta a rimettere gli atti al Primo Presidente in sede per l'eventuale assegnazione alla sezione civile competente per l'ulteriore corso (cfr., in termini, Cass. pen., sez. IV, n. 2854/2023).

La ricordata disciplina della prosecuzione del processo civile, così come quella per la riassunzione dello stesso apprestata dall'articolo immediatamente successivo, costituiscono eventualità operative imposte in detto ambito dall'essersi verificato taluno degli specifici eventi interruttivi come distintamente prefigurati negli artt. 299-301 c.p.c.

In particolare, la prosecuzione del processo in tale sede si innesta ad opera della stessa parte rispetto alla quale l'evento si è verificato e appena dopo il fatto interruttivo; iniziativa quest'ultima che tuttavia scongiura l'interruzione solo se la stessa parte si costituisce per l'udienza già fissata ovvero presso la cancelleria nella evenienza che il termine di legge utile risulti ancora aperto.

Nel processo penale, mancando qualsivoglia riferimento e collegamento funzionale ad un evento interruttivo, la prosecuzione finalizzata alla decisione per i soli interessi civili dovrà avvenire unicamente perché al giudice penale la legge impone di limitarsi alla sola verifica della non inamissibilità della impugnazione e, all'esito negativo, di investire con un “rinvio” l'omologo organo di altra giurisdizione “che decide sulle questioni civili”, al quale, peraltro, risulta normativamente riconosciuto altresì il potere di consentire ( senza tuttavia che risulti specificato come) una possibile implementazione del materiale probatorio già acquisito in sede penale con prove eventualmente acquisite nel giudizio civile.

Senza trascurare la considerazione che una attribuzione siffatta si pone in aperta distonia con lo sbarramento per la introduzione tardiva dei nova reperta previsto nel giudizio di primo grado dalla rigorosa disciplina in tema di “Richieste di prova” dettata dagli artt. 493 e 495 c.p.p.; parimenti in quello di appello ove nei termini previsti non si stata in qualche modo prospettata una rinnovazione della istruzione dibattimentale.

È perciò evidente come nel caso in esame ci si verrà a trovare al cospetto di una situazione processuale del tutto inedita, non apparendo appropriato il riferimento analogico alla disciplina della “Prosecuzione del processo” apprestata dal codice del rito civile e, di conseguenza, neppure praticabili le dettagliate modalità operative ivi contemplate.

È poi appena il caso di osservare che il congegno traslativo in esame risulta altresì testualmente replicato nell'art. 578 c.p.p. alla cui rubrica originaria “Decisione sugli effetti civili nel caso di estinzione del reato per amnistia o per prescrizione”, è stata aggiunta, dopo quest'ultima parola, l'ulteriore espressione «e nel caso di improcedibilità per superamento dei termini di durata massima del giudizio di impugnazione»(integrazione disposta dall'art. 2, comma 2, lett. b, n. 1, l. 27 settembre 2021 n. 134, e poi replicata dall'art. 33, comma 1, lett. b, n. 3, d.lgs. 10 ottobre 2022 n. 150). Sicché il nuovo testo del comma 1-bis (a seguito della sostituzione del precedente operata dall'art. 33, comma 1, lett. b, n. 1, d.lgs. 150/2022) contiene l'inserimento, dopo le parole «a favore della parte civile», della espressione «e in ogni caso di impugnazione della sentenza anche per gli interessi civili».

Perciò, il trasferimento alla giurisdizione civile in esame dovrà ritenersi applicabile anche per ogni impugnazione rivolta ai capi civili della decisione penale impugnata allorché per i capi penali della stessa non vi è più alcuna ragione per proseguire il processo.

Solo qualche esempio per dar corpo a quelle che potrebbero essere le evenienze riconducibili a quell'ogni, il cui significato esige la correlazione con l'intervenuta coeva sostituzione nel primo comma dell'art. 573 c.p.p. delle parole “i soli con la parola “gli”(disposta dall'art. 33, comma 1, lett. a, n. 1, d. lgs. 10 ottobre 2022 , n. 150): l'imputato che ha impugnato la condanna sul danno o quella al pagamento delle spese del procedimento, ovvero si tratti di impugnazione della condanna alla rifusione delle spese in favore di altra parte privata; la parte privata che ha impugnato la condanna ai danni per lite temeraria; il responsabile civile coinvolto, che ha impugnato per ottenere la esclusione della propria responsabilità; e così oltre, quanto alle varie future situazioni residuali aventi contenuto esclusivamente civilistico che dovranno essere oggetto del trasferimento in sede propria.

Riprendendo il tema finalistico delle modifiche normative esaminate, più che lo scopo deflattivo del rito penale - considerata la prevedibile marginale incidenza degli scarsi flussi numerici dei futuri trasferimenti di impugnazioni ai fini civili – le stesse parrebbero ascrivibili alla logica di ricondurre alla sede “ propria “ tutte quelle controversie residuate dal giudizio penale ormai definito, nelle quali la contesa verte unicamente su responsabilità di matrice civilistica, tanto per rispetto del principio di autonomia e separazione del processo civile da quello penale ( ricavabile dagli artt. 75 e 652 c.p.p.).

Il sistema si ricompone assicurando alla trattazione e decisione di tali impugnazioni lo statuto probatorio del rito civile anche alla luce del recente insegnamento offerto al riguardo dalla giurisprudenza costituzionale (sentenza 7-30 luglio 2021 n. 182).

Ad ogni modo, ai fini della disposta prosecuzione in sede civile, non parrebbero sorgere limiti o preclusioni per l'utilizzabilità delle prove che risultino già acquisite o formate in quella penale, tranne che per le testimonianze che risultino rese dalla persona offesa costituitasi parte civile (per la incapacità a testimoniare sancita per tale soggetto dall'art. 246 c.p.c.) ovvero dal coniuge ancorché separato o da taluno dei congiunti della parte impugnante (per il divieto di testimoniare previsto per ciascuno di tali soggetti dall'art. 247 c.p.c.), prove queste in relazione alle quali si profilerebbero possibili questioni di inutilizzabilità.

Mentre, allo stato, non appare ben chiaro se con la espressione finale della novella, laddove ai fini del decidere sulle questioni civili con cui si indicano come prove utilizzabili anche «quelle eventualmente acquisite nel giudizio civile», dal legislatore si sia inteso presupporre che attraverso l'atto mediante il quale viene richiesta la prosecuzione del giudizio in sede civile, possa legittimarsi la inclusione di una richiesta di prove nuove a sostegno della domanda risarcitoria.

In ordine all'an debeatur,la domanda in sede di prosecuzione dinanzi al giudice civile non potrà che ritenersi cristallizzata in quella originariamente formulata con l'atto di costituzione di parte civile, quale atto dichiarativo che produce i suoi effetti in ogni stato e grado del processo (artt. 76 e 84 c.p.p.); domanda integrabile, eventualmente, con modificazioni, addizioni o precisazioni mediante la presentazione delle conclusioni scritte in esito alla discussione orale.

In ordine al quantum debeatur della domanda, ove per il risarcimento dei danni richiesto non sia stata indicata al giudice penale la determinazione del loro ammontare (art. 523, comma 2, c.p.p.), occorrerà che sia specificata per il giudice civile attraverso quello che sarà l'atto propulsivo del passaggio cognitivo, quantificazione eventualmente suscettibile di implementazione, ma solo nei limiti circoscritti dall'art. 345, comma 1, secondo periodo, c.p.c.

Quanto alla possibilità di introdurre una mutatio libelli, la prima parte dell'articolo 345 appena citato preclude espressamente la formulazione in appello di domande nuove che, se proposte debbono essere dichiarate inammissibili.

Se la prosecuzione concerne un ricorso per cassazione già ritenuto non inammissibile dal giudice penale, parrebbe possibile che la parte istante nella formulazione ove si ritenga onerata per un atto di impulso da rivolgere alla Sezione civile designanda, debba aver cura di verificare che il contenuto del proprio ricorso soddisfi i requisiti di cui all'art. 366 c.p.c. provvedendo a colmare possibili carenze con il relativo adeguamento, supportata in ciò da quanto previsto dal Protocollo di intesa tra la Corte di Cassazione e il Consiglio Nazionale Forense sottoscritto il 17 dicembre 2015.

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