Prescrizione maturata prima del concordato in appello: per le Sezioni Unite ammissibile il ricorso in Cassazione

10 Maggio 2023

Nei confronti della sentenza resa all'esito di concordato in appello è proponibile ricorso per cassazione con cui si deduca l'omessa dichiarazione di estinzione del reato per prescrizione maturata anteriormente alla pronuncia di tale sentenza.

I fatti contestati. Un uomo veniva condannato in primo grado per tentata estorsione perché, in qualità di gestore di un esercizio commerciale, con atteggiamenti intimidatori, minacciava di licenziamento i dipendenti qualora non avessero sottoscritto un contratto a progetto che, senza alcuna modifica dell'orario di lavoro, prevedeva una decurtazione dello stipendio e l'eliminazione delle mensilità aggiuntive, nel tentativo, non riuscito, di procurarsi un ingiusto profitto con altri danno.

Concordato in appello e ricorso in Cassazione. Interposto appello, all'udienza di seconde cure, veniva presentata richiesta di concordato – accolto dalla Corte territoriale, che emetteva sentenza in conformità dell'appello – che in riforma della decisione di primo grado, escludeva la recidiva e rideterminava la pena finale.

Avverso tale pronuncia, l'imputato presentava ricorso per cassazione censurando l'omessa declaratoria di prescrizione del reato ascrittogli in quanto l'esclusione della recidiva era maturato il termine massimo di prescrizione molti anni prima della pronuncia della sentenza d'appello.

Rimesso il contrasto alle Sezioni Unite. Con ordinanza n. 17439/2022, la seconda sezione di legittimità sollecitava l'intervento del Supremo Collegio registrando un contrasto giurisprudenziale. Un orientamento ammette, infatti, la ricorribilità della sentenza di appello, emessa ai sensi dell'art. 599-bis c.p.p., per dedurre la prescrizione del reato maturata anteriormente a detta sentenza e non oggetto di specifica rinunzia, in base ai principi espressi dalle Sezioni Unite n. 18953/2016 Piergotti.

Un altro indirizzo, invece, formatosi dopo la riforma della Legge Orlando n. 103/2017, limita la possibilità di ricorrere avverso la predetta sentenza solo «per motivi attinenti all'espressione della volontà dell'imputato, al difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza, all'erronea qualificazione giuridica del fatto ed alla illegalità della pena o della misura di sicurezza».

Il percorso motivazionale del Massimo Consesso. In accoglimento del motivo di ricorso della difesa e sulla conforme richiesta del P.G. di Cassazione, le Sezioni Unite annullano senza rinvio la sentenza per estinzione del reato, preso atto della prescrizione maturata anteriormente alla decisione di secondo grado. Il cuore della questione sottoposta alla sua attenzione è se la richiesta di concordato avanzata dall'imputato o il consenso manifestato dallo stesso a quella proposta dal PM possano costituire una dichiarazione legale tipica di rinuncia alla prescrizione non più revocabile.

La rinuncia alla prescrizione richiede una forma espressa. In termini negativi, per l'omologo istituto del patteggiamento in prime cure, si sono pronunciate le Sezioni Unite suindicate in quanto per il valido esercizio del diritto di rinuncia alla prescrizione presuppone una rinuncia espressa che non ammette equipollenti. Tale verifica va pertanto compiuta indipendentemente dalla piattaforma negoziale e sulla base delle risultanze processuali.

Dopo tale arresto, si è formato un orientamento che ha esteso i suoi principi anche al concordato in appello, reintrodotto dalla l. n. 103/2017, non potendo trarre la rinuncia alla prescrizione da una volontà esternata per altri fini (quelli, per l'appunto, di concordare la pena), ammettendosi il ricorso in Cassazione del vizio di violazione di legge per omessa declaratoria di estinzione del reato, qualora i termini siano decorsi prima della pronuncia del giudice d'appello (Cass., n. 12285/2020; Cass., n. 38115/2019).

La richiesta di concordato non costituisce rinuncia alla prescrizione. Ripercorso il travagliato iter normativo dell'istituto del concordato di pena (introdotto nel codice di rito del 1988, ampliato dalla Corte costituzionale, abrogato e poi reintrodotto dalla Legge Orlando), per le Sezioni Unite che la mancanza di una espressa rinuncia alla prescrizione, avverso la sentenza che raccoglie in secondo grado il concordato è senz'altro proponibile ricorso in Cassazione. Richiamando le omologhe Piergotti del 2016, fondamentale è la sequenza diacronica che caratterizza il modulo procedimentale del patteggiamento, laddove il paradigma procedimentale assegna priorità fondamentale alla verifica dell'insussistenza delle cause di non punibilità previste dall'art. 129 c.p.p. da compiersi aliunde sulla base degli atti del fascicolo del P.M.

Il giudice non può esimersi dalla preliminare verifica di cause estintive del reato. Soltanto in caso di negativa delibazione, il giudice può, poi, procedere, all'esame di legittimità della piattaforma negoziale offertagli dalle parti, al fine di verificare la correttezza del nomen iuris attribuito al fatto-reato, legalità e congruità dell'assetto sanzionatorio concordato.

Sicché, in presenza di una richiesta di patteggiamento e di concordato in appello che non abbia tenuto conto delle maturate cause estintive del reato il giudice non è esentato dal dovere funzionale del pertinente rilievo, ai sensi dell'art. 129 c.p.p., che segna il momento di criticità della tesi che non ammette equipollenti alla dichiarazione espressa di rinuncia.

La rinuncia dei motivi non si estende alla prescrizione. L'applicabilità del principio applicato dalla sentenza Piergotti, estesa dall'odierna pronuncia anche al concordato in appello, impone un ulteriore passaggio: verificare l'individuazione dei limiti di ricorribilità della sentenza emessa a seguito di concordato in appello in relazione al principio espresso dalle Sezioni Unite Ricci (Cass. n. 12602/2016) circa la generale ammissione della deduzione, mediante ricorso per cassazione, della prescrizione maturata anteriormente alla pronuncia di appello.

Appoggiandosi sulla differenza funzionale e strutturale del patteggiamento e del concordato di pena ritiene non valevole la regola l'antica regola pacta sunt servanda secondo la specifica declinazione processuale per la quale il concordato processuale non può essere unilateralmente abbandonato attraverso la riproposizione, attraverso il ricorso per cassazione, di questioni che con lo stesso concordato siano state rinunciate.

Per gli odierni giudici di legittimità tale fondamento è condivisibile solo per le questioni su cui si è verificata preclusione o intervenuto giudicato sostanziale ma non coinvolge la prescrizione del reato che, come detto, non può intendersi rinunciata per il solo fatto della proposizione dell'accordo la cui valutazione è demandata al giudice del gravame.

Le Sezioni Unite ampliano il perimetro della ricorribilità della sentenza che abbraccia il concordato. Altro passaggio fondamentale della sentenza in commento riguardo il rilevo, di respiro sistematico e più generale, che contesta gli arresti di legittimità per i quali, a seguito della legge n. 103/2017, ricavano dalla nuova formulazione dell'art. 610, comma 5, c.p.p. l'esclusione del ricorso per cassazione per la sentenza emessa in seguito al concordato in appello, limitandone l'impugnazione al solo ricorso straordinario. Non si tiene conto che, la predetta e novellata disposizione processuale individua i presupposti in presenza dei quali è prevista la procedura de plano per la trattazione del ricorso in Cassazione avverso la sentenza di patteggiamento e di concordato di pena. Ma non riguarda i presupposti di ammissibilità dei relativi ricorsi: quelli per il patteggiamento sono infatti previsti dall'art. 448 c.p.p.; mentre nessuna novità è stata introdotta per il concordato in appello.

Rilievi conclusivi. Alla luce dell'indicato percorso motivazionale, per le Sezioni Unite, anche dopo la riforma del 2017, esclusa l'introduzione di speciali limiti di ricorribilità in Cassazione per la sentenza emessa a seguito del concordato in appello, può essere riaffermato il principio espresso dalle Sezioni Unite Ricci che nessun dato positivo induce a ritenere che non possa censurarsi, con il ricorso in Cassazione, l'errore del giudice che ha omesso di dichiarare la già intervenuta prescrizione del reato, pur se non eccepita dalla parte in quel grado, censurabile quale violazione di legge ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. b), c.p.p.

*Fonte: DirittoeGiustizia

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.