Disconoscimento e contemporanea dichiarazione giudiziale di paternità: intervengono le Sezioni Unite

Alberto Figone
10 Maggio 2023

Quid juris se l'azione di dichiarazione giudiziale di paternità viene promossa prima che si sia formato il giudicato su quella di disconoscimento della paternità?
Massima

Il giudizio di disconoscimento di paternità è pregiudiziale rispetto a quello in cui viene richiesto l'accertamento di altra paternità, così che, nel caso della loro contemporanea pendenza, si applica l'istituto della sospensione per pregiudizialità ex art. 295 c.c..

Il caso

Tre fratelli agiscono giudizialmente per il disconoscimento della paternità. Nel contempo instaurano altro procedimento per far dichiarare la paternità in capo al preteso genitore biologico, ma parte convenuta eccepisce l'inammissibilità della domanda, per non essersi ancora formato il giudicato sul disconoscimento. Il Tribunale accoglie questa eccezione e provvede di conseguenza. Avverso tale decisione interpone ricorso nell'interesse della legge il Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione, chiedendo l'enunciazione del seguente principio di diritto: “Il giudizio di disconoscimento di paternità è pregiudiziale rispetto a quello in cui viene richiesto l'accertamento di altra paternità così che, nel caso della loro contemporanea pendenza, si applica l'istituto della sospensione per pregiudizialità ex art. 295 c.c.". Le Sezioni Unite accolgono il ricorso e formulano il richiesto principio di diritto.

La questione

Quid juris se l'azione di dichiarazione giudiziale di paternità viene promossa prima che si sia formato il giudicato su quella di disconoscimento della paternità? La relativa domanda deve dichiararsi inammissibile, oppure il giudizio può essere sospeso, in attesa della definizione del procedimento “demolitivo” dello stato?

Le soluzioni giuridiche

Come è noto, pur dopo la riforma del 2012/2013, fermo il diritto di ogni donna a non essere nominata nell'atto di nascita (il c.d. “parto anonimo”), l'attribuzione della paternità avviene in due modi diversi, a seconda che la partoriente sia o meno coniugata. Nel primo caso (salvo che la madre non riconosca il figlio come concepito con persona diversa dal marito), troverà applicazione la presunzione di paternità in capo al coniuge ex art. 231 e 232 c.c. Nel secondo, si richiede da parte di entrambi i genitori un atto di riconoscimento del figlio stesso, piuttosto che una sentenza dichiarativa dello status ex art. 269 c.c. La riforma (a parte un intervento meramente formale, conseguente al nuovo principio dell'unicità dello stato) non ha modificato il contenuto dell'art. 253 c.c., per cui il riconoscimento non è ammissibile se in contrasto con uno status filiationis già posseduto dall'interessato (quale figlio nato nel matrimonio, ovvero al di fuori di esso). Un eventuale riconoscimento, che dovesse essere effettuato in violazione della norma or ora citata, non sarebbe peraltro nullo, né inesistente, ma semplicemente inefficace; esso dunque potrebbe acquisire operatività, con effetti ex tunc, ove il precedente status venisse rimosso (a seguito dell'esito positivo di un procedimento “demolitivo” dello status stesso). Da tanto consegue che colui, il quale intenda far accertare una paternità diversa da quella risultante dall'atto di nascita, dovrà previamente rimuovere lo status attribuitogli, tramite l'azione di disconoscimento di paternità (art. 243 ss. c.c.), ovvero di impugnazione del riconoscimento (art. 263 c.c.). Una volta rimasto privo dello status genitoriale nei confronti del ramo paterno, potrà agire con l'azione di cui all'art. 269 c.c., salvo che non intervenga il riconoscimento spontaneo da parte dell'effettivo genitore. Il nostro ordinamento non contempla invero il riconoscimento c.d. di rottura, tale da rimuovere automaticamente, senza intervento del giudice, il precedente status (cfr. in termini Cass. 11 ottobre 2021, n. 27560)

Molto si è discusso sui rapporti intercorrenti tra le due azioni di stato (demolitiva e costitutiva). Ci si è così chiesti se il giudicato sulla domanda demolitiva rappresenti presupposto processuale, ovvero condizione dell'azione rispetto all'altra. Nel primo caso, l'instaurazione della dichiarazione giudiziale di paternità presupporrebbe la preventiva formazione del giudicato sulla domanda demolitiva; nel secondo caso, il giudicato potrebbe intervenire anche in un momento successivo, purché prima della decisione quanto alla domanda attributiva. Se si ragionasse in termini di presupposto processuale, una “prematura” azione di dichiarazione giudiziale di paternità dovrebbe essere dichiarata inammissibile, come avvenuto nella fattispecie che ha dato luogo alla sentenza in esame. Altrimenti, dovrà pensarsi ad una necessaria sospensione del procedimento costitutivo, nell'attesa della formazione del giudicato, in base all'art. 295 c.p.c., atteso il legame di pregiudizialità tra i due giudizi.

Come noto, la giurisprudenza ritiene ormai pacificamente che la sospensione possa dirsi necessaria, ai sensi dell'art. 295 c.p.c., solo quando la previa definizione di altra controversia sia prevista per legge, ovvero rappresenti l'indispensabile antecedente logico-giuridico dal quale dipende la decisione della causa pregiudicata ed il cui accertamento sia richiesto con efficacia di giudicato. Si richiede nel contempo che la controversia pregiudiziale sia pendente fra le stesse parti della causa pregiudicata, posto che solo in tal caso si correrebbe il rischio di giudicati contrastanti (Cass. 11 aprile 2007, n. 8701; Cass. 25 luglio 2006, n. 15960). Al di fuori di detti presupposti (e segnatamente in presenza di una pregiudizialità solo in senso logico) la sospensione sarebbe meramente facoltativa (Cass. 14 febbraio 2010, n. 25272).

La riforma della filiazione nulla ha disposto in merito, tanto che il problema è stato risolto dalle Sezioni Unite, con la decisione in commento, dopo che la medesima problematica era stata sottoposta anche all'esame della Corte costituzionale. Con sentenza n. 117 del 14 luglio 2022 la Consulta aveva invero a dichiarare inammissibile la questione di legittimità dell'art 269 comma 1 c.c., nella parte in cui consente la dichiarazione giudiziale di paternità (o maternità) solo alle condizioni richieste per il riconoscimento, come si è visto non ammissibile se in contrasto con un precedente status filiationis. Nel contempo è stata esclusa dal giudice delle leggi la configurabilità di una pronuncia dichiarativa della maternità o della paternità, con efficacia condizionata alla rimozione giudiziale del precedente status. Osserva infatti in buona sostanza la Consulta come in entrambi i casi si fosse richiesta una pronuncia additiva, di carattere manipolativo.

Le Sezioni Unite optano per la sospensione necessaria del procedimento di accertamento del nuovo status all'esito della definizione del giudizio preliminare di rimozione del precedente status, dichiarando di voler dare continuità alla decisione della Corte costituzionale di cui si è detto. Del resto, già la stessa Suprema Corte aveva avuto a pronunciarsi in questo senso, rilevando come la sospensione si imponga per evitare conflitti di giudicati, pur in difetto dell'identità delle parti processuali (Cass. 17 aprile 2018, n. 17392). Un diverso orientamento era stato assunto da pronunce più risalenti, quando ancora l'azione di dichiarazione giudiziale della paternità era subordinata alla previa delibazione sull'ammissibilità della stessa, in base all'art. 274 c.c., poi dichiarato incostituzionale (Cass. 19 agosto 1998, n. 8190)

Solo per completezza espositiva, preme rammentare come l'art. 253 c.c. non escluda l'accertamento incidentale (ossia non diretto all'attribuzione dello status) di un rapporto biologico di filiazione, differente da quello fondante lo status medesimo (Cass. 28 agosto 1999, n. 9065; Cass. pen. 5 marzo 2004, n. 15023). Il principio è stato di recente ribadito con riferimento all'azione ex art. 279 c.c., ritenuta esperibile per l'attribuzione dei diritti successori ex art. 580 c.c., senza che si configuri dismissione del precedente status filiationis (Cass. 25 ottobre 2022, n. 31672).

Osservazioni

La sentenza in commento, estremamente ricca di richiami alla giurisprudenza della Consulta, della Corte EDU, della stessa Corte di Cassazione, ma pure dei giudici di merito, si presenta assai interessante sotto vari profili.

In primis, deve ormai ritenersi espressione del diritto vivente il principio per cui, in caso di contemporanea pendenza di due azioni di status (la prima volta all'elisione dello stato attribuito nell'atto di nascita e la seconda, finalizzata alla declaratoria di un nuovo status filiationis, incompatibile con il precedente), è configurabile un rapporto di pregiudizialità tecnico-giuridica, che ben può essere gestito tramite la necessaria sospensione del procedimento “costitutivo” fino alla definizione di quello “demolitivo”, con sentenza passata in giudicato.

È peraltro di tutta evidenza come la contraria tesi, favorevole alla declaratoria di inammissibilità dell'azione costitutiva, non esporrebbe parte attrice a conseguenze più di tanto pregiudizievoli. La domanda ex art. 269 c.c. ben potrà infatti essere riproposta, una volta formatosi il giudicato di accoglimento nel giudizio demolitivo dello status, senza che possano configurarsi decadenze o preclusioni di sorta. Vero è però che ciò inciderebbe sulla durata del processo ed in ogni caso esporrebbe l'attore ad esborsi ulteriori, a cominciare dall'assolvimento di un duplice contributo unificato. Una visione più dinamica dei principi sottesi all'attribuzione dello status filiationis, con conseguente riduzione dei “tempi morti”, del periodo di mancanza di stato, conferma la bontà dell'interpretazione fornita dalle Sezioni Unite: il disconoscimento di paternità (ovvero l'impugnazione del riconoscimento) può essere proposta anche contemporaneamente con l'azione di dichiarazione giudiziale della paternità (o maternità); quest'ultimo procedimento dovrà tuttavia essere sospeso fino all'esito dell'altro, avente natura pregiudiziale. L'azione costitutiva sarà procedibile, ovviamente, solo in caso di elisione del precedente status, altrimenti un'eventuale pronuncia positiva che dovesse essere resa, sarebbe inefficace (come un riconoscimento in contrasto con un precedente status già acquisito), dando luogo a giudicati contrapposti. Né sarebbe possibile ipotizzare una pronuncia sull'attribuzione di un diverso status, subordinata all'accoglimento della domanda di disconoscimento di paternità, ovvero di impugnazione del riconoscimento, per le ragioni evidenziate dalla Corte costituzionale con la decisione n. 177/2012, di cui si è detto.

Nel contempo, la Corte di cassazione si pone una diversa questione, estranea all'oggetto dell'impugnazione. Si domanda infatti se sia ammissibile proporre, con un unico atto, la domanda di disconoscimento della paternità (o di impugnazione del riconoscimento) e quella di dichiarazione giudiziale della paternità, dando conto di prese di posizione contrastanti da parte della dottrina. Le Sezioni Unite non forniscono una risposta, ma, in maniera estremamente cauta, affermano non potersi escludere in alcuni casi la possibilità di un simultaneus processus. Il ragionamento prende le mosse dall'art. 473-bis.49 c.p.c., che ammette oggi la possibilità del cumulo delle domande di separazione e divorzio in un unico ricorso e, nel contempo, consente la riunione dei relativi procedimenti, se pendenti davanti a giudici diversi, ovvero davanti allo stesso giudice, in base a quanto prevedono gli artt. 40 e 274 c.p.c. Se è vero che il simultaneus processus “potrebbe rispondere all'esigenza valorizzata dalla Corte Edu .. di assicurare la più sollecita definizione degli status”, la sua concreta operatività pare collidere con la struttura dei diversi procedimenti. Separazione personale e divorzio si inquadrano in un contesto procedimentale unitario, finalizzato, tramite lo “step” dell'affievolimento degli obblighi coniugali, allo scioglimento del vincolo: i relativi procedimenti si svolgono fra le stesse parti e buona parte delle domande sono sovrapponibili (regime di affidamento dei figli minori, contribuzione al loro mantenimento, ovvero di quello dei figli maggiorenni non autosufficienti, assegnazione della casa familiare). Questi elementi di comunanza non si ritrovano invece nelle azioni di stato. Come noto, i procedimenti di disconoscimento della paternità, come quelli di impugnazione del riconoscimento, sono strutturati sulla base di un litisconsorzio necessario fra i soggetti della triade familiare (padre, madre, figlio); l'azione ex art 243-bis c.c. può essere proposta solo dai componenti della famiglia matrimoniale, con esclusione della legittimazione attiva di chi si dichiari genitore biologico, il quale potrà solo rivolgersi alla Procura perché richieda la nomina di un curatore speciale al figlio, se di minore età, con esclusione financo della possibilità di intervento in giudizio o di esperire opposizione di terzo avverso la pronuncia che dovesse essere resa, in presenza di un pregiudizio solo di fatto (Cass. 11 ottobre 2021, n. 27560; Cass. 13 gennaio 2014, n. 487; Cass. 12 luglio 2012, n. 12211). L'azione ex art. 263 c.c. può invece essere promossa, oltre che da chi effettuò il riconoscimento e da chi venne riconosciuto, anche dai portatori di un interesse meritevole di tutela. Il procedimento ex art. 269 c.c. vede poi come parti processuali il figlio ed il presunto genitore (o i suoi eredi, piuttosto che un curatore speciale, in caso di loro mancanza). Riesce allora alquanto difficile ipotizzare la contemporanea proposizione, con un unico atto, di domande che si rivolgono ciascuna ad una diversa platea di controparti e che sono connotate da oggetti differenti, per essere legate solo dall'elemento teleologico (la rivendicazione di uno status filiationis conforme al vero). Sta di fatto che entrambe le domande hanno ad oggetto un diritto indisponibile, quello allo status, che si struttura a sua volta in diritti altrettanto indisponibili, quali quello all'identità personale e alla vita familiare. Da tanto consegue come le rigorose preclusioni, dal punto di vista delle produzioni e delle allegazioni istruttorie, proprie in oggi del ricorso introduttivo del giudizio unitario in tema di persone, minori e famiglie, non opererebbero nella specie, atteso il disposto dell'art. 473-bis.19 c.p.c.. Pare comunque preferibile tenere distinte le due azioni, sia al momento della redazione dell'atto introduttivo del giudizio, sia successivamente, anche se non vanno trascurati possibili elementi positivi, che potrebbero conseguire al simultaneus processus (es. licenziamento di un'unica ctu genetica), in relazione al quale sarebbe auspicabile una presa di posizione esplicita da parte del legislatore.

Per concludere, va rammentato come la giurisprudenza ha più volte affermato che la sentenza di accoglimento della domanda di disconoscimento di paternità, pronunciata anche nei confronti del P.M., assume autorità di cosa giudicata erga omnes, come tale opponibile al presunto padre biologico; questi dunque, convenuto nel giudizio ex art. 269 c.p.c., non potrà eccepire asseriti vizi di quello di disconoscimento (es. tardività della domanda) (Cass. 13 luglio 2021, n. 19956). Ciò conferma vieppiù come, nella fattispecie in esame, non possa costituire ostacolo alla pronuncia di sospensione ex art. 295 c.p.c. il fatto che il giudizio di stato pregiudicante intercorra fra soggetti diversi rispetto a quelli del procedimento ex art. 269 c.c.. Come si è visto, il rapporto di pregiudizialità necessaria tra cause pendenti fra soggetti diversi, ancorché legate da una pregiudizialità logica, viene escluso di regola, in quanto la parte rimasta estranea ad uno di essi potrebbe eccepire l'inopponibilità, nei propri confronti, della relativa decisione (Cass. 11 agosto 2017, n. 20072); detta eventualità non si verifica peraltro nel caso di specie, in quanto la sentenza resa nell' esito al disconoscimento di paternità ha efficacia erga omnes.

In conclusione, il coordinamento delle diverse azioni ben potrà realizzarsi sulla scorta dei principi espressi dalle Sezioni Unite con la decisione in esame. Solo il legislatore, alla cui discrezionalità è demandata la materia processuale potrà prevedere espressamente il cumulo delle due domande, come pure introdurre la previsione di una sentenza condizionata sullo status, che non trova al momento una esplicita base normativa.

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